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“La guerra per il Mezzogiorno. Italiani, borbonici e briganti 1860-1870” di Carmine Pinto ti porta dritto nel cuore di un periodo pazzesco della nostra storia: l’unificazione italiana vista dal Sud. Non è stata una passeggiata, ma una vera e propria “guerra per il Mezzogiorno” che va dal 1860 al 1870. Il libro racconta come è crollato il Regno delle Due Sicilie, non solo per lo sbarco di Garibaldi, ma anche per le divisioni interne e la debolezza del re Francesco II. Poi esplode il conflitto: da una parte l’esercito italiano che cerca di imporre il nuovo Stato unitario, dall’altra la resistenza borbonica e il brigantaggio postunitario, un fenomeno super complesso fatto di ex soldati, contadini e fuorilegge, spesso supportati da chi non voleva i Savoia. È una lotta brutale, fatta di scontri militari, guerriglia, repressione (anche con leggi speciali come la Legge Pica) e una battaglia a colpi di propaganda per definire chi erano i “patrioti” e chi i “criminali”. Personaggi come Garibaldi, Francesco II, i capi briganti e i notabili locali sono i protagonisti di questa storia violenta che ha segnato profondamente il Sud e ha dato il via alla famosa questione meridionale. È un racconto avvincente su come l’Italia è stata fatta, ma anche sul prezzo pagato da una parte del paese.Riassunto Breve
La fine del Regno delle Due Sicilie nel 1860 avviene in un contesto di scontro tra liberali e assolutisti. La debolezza di Francesco II e l’azione di forze interne ed esterne portano al crollo dello Stato borbonico. Garibaldi sbarca in Sicilia, il re tenta invano riforme, ma il governo si paralizza. Figure come Liborio Romano lavorano dall’interno per smantellare gli apparati statali e potenziare la Guardia Nazionale. La rivoluzione si diffonde nelle province con comitati unitari che prendono il controllo, garantendo ordine e proprietà . Le defezioni nell’esercito e nella marina accelerano il collasso. Francesco II lascia Napoli e Garibaldi entra in città accolto con entusiasmo. Si forma un governo provvisorio che consolida il nuovo regime. Il plebiscito del 21 ottobre sancisce l’annessione al Regno di Sardegna, con ampio sostegno delle classi dirigenti. L’esercito borbonico tenta una resistenza militare, ma viene sconfitto nella battaglia del Volturno e nell’assedio di Gaeta. Francesco II si rifugia a Roma, da dove cerca di alimentare la resistenza. Accanto alla guerra regolare, si sviluppa una diffusa guerra irregolare. Bande armate composte da ex soldati, contadini e fuorilegge, spesso guidate da notabili borbonici e membri del clero, attaccano i rappresentanti del nuovo Stato. Gli unitari definiscono questi combattenti “briganti” per negare la loro natura politica e li reprimono con severità . L’esercito italiano interviene con esecuzioni sommarie. Questa resistenza contribuisce all’inizio del brigantaggio postunitario. Nell’estate del 1861, le province napoletane affrontano una grave crisi con criminalità e insurrezione. Il governo italiano invia il generale Cialdini con pieni poteri e promuove la centralizzazione amministrativa. Si forma un patto nazionale antiborbonico basato sulla repressione intransigente. Dall’esilio, Francesco II organizza una rete di sostegno e pianifica spedizioni militari che però falliscono. L’insurrezione borbonica attacca paesi e piccoli reparti, ma viene contrastata dalle truppe italiane e dalle guardie nazionali. Dopo il 1861, il brigantaggio si trasforma in bande più mobili con capi locali, mescolando obiettivi politici e criminali. Nonostante causino problemi di ordine pubblico, non riescono a minacciare seriamente lo Stato. La repressione italiana è intensa, con decine di migliaia di soldati impiegati, scontri violenti, rappresaglie e fucilazioni. La mancanza di supporto efficace dall’esilio e la determinazione unitaria impediscono al brigantaggio politico di rovesciare il nuovo Stato. Parallelamente alla lotta armata, si combatte una “guerra di idee”. Lo Stato italiano promuove una narrativa unitaria, celebrando l’unità e delegittimando i briganti come criminali. La propaganda borbonica dall’esilio presenta il brigantaggio come lotta patriottica, ma manca di forza comunicativa e di un progetto politico credibile. Il conflitto si combatte con tattiche di contro-guerriglia, usando colonne mobili, presidi, imboscate e intelligence. L’eliminazione dei capi briganti è cruciale. I briganti sono composti principalmente da contadini poveri ed ex militari, con motivazioni miste di miseria, arricchimento, vendetta e fedeltà ai Borbone. Si finanziano con attività criminali e qualche aiuto dai comitati borbonici. I civili unitari, soprattutto notabili, supportano attivamente lo Stato, mentre l’alto clero si oppone e una rete di manutengoli fornisce supporto ai briganti. Lo Stato italiano, con la sua organizzazione militare e il sostegno dei notabili, riesce a imporre il controllo. La resistenza borbonica si indebolisce per mancanza di sostegno internazionale e divisioni interne. La Legge Pica legalizza la repressione militare. La strategia italiana isola i briganti dalla popolazione. La brutalità dei briganti contribuisce al loro isolamento. Il governo borbonico in esilio viene sciolto nel 1866. Il brigantaggio politico fallisce nel diventare una minaccia strategica. Dopo il 1866, il governo cerca di normalizzare il Sud. La lotta continua contro i briganti criminali. La presa di Roma nel 1870 e l’annessione segnano la fine definitiva della guerra per il Mezzogiorno. La questione del Sud diventa centrale nel dibattito politico nazionale, con inchieste e l’ascesa di politici meridionali. Il movimento borbonico-legittimista diventa una “causa perduta”. Gli ultimi briganti vengono braccati e uccisi negli anni Settanta. La repressione è brutale. La morte degli ultimi capi segna la fine della resistenza armata. Il brigantaggio si trasforma in un mito. Il conflitto viene ricordato come una lotta interna, “di italiani contro italiani”.Riassunto Lungo
1. Il crollo borbonico e la rivoluzione unitaria nel Mezzogiorno
La fine del Regno delle Due Sicilie nel 1860 fu il culmine di un lungo scontro, iniziato alla fine del Settecento, tra chi sosteneva idee liberali e chi difendeva l’assolutismo. Questo conflitto, influenzato dagli eventi in Europa, creò una profonda divisione interna e portò la società meridionale a schierarsi politicamente. Dopo i tentativi rivoluzionari non riusciti, come la spedizione di Sapri del 1857, divenne chiaro al movimento unitario che era fondamentale unire le forze liberali del Sud con il progetto di unificazione nazionale guidato dal Piemonte. La crisi che portò al crollo finale nel 1860 prese il via con lo sbarco di Garibaldi in Sicilia.L’arrivo di Garibaldi e la reazione del re
L’arrivo di Garibaldi fu reso possibile dalla debolezza e dall’incertezza di Francesco II. Il re provò a fermare la rivoluzione concedendo una Costituzione, richiamando lo Statuto del 1848, ma questa mossa arrivò troppo tardi e non ebbe l’effetto sperato. Il governo borbonico si mostrò paralizzato e privo di autorità , incapace di gestire la situazione che precipitava rapidamente in tutto il regno. Nonostante il tentativo di mostrare un’apertura, la mancanza di fiducia nelle capacità del sovrano di difendere lo Stato spingeva molti a cercare alternative.Il governo paralizzato e il ruolo di Liborio Romano
Mentre il re esitava, alcune figure chiave all’interno del governo lavoravano attivamente per favorire il cambiamento. Ministri come Liborio Romano, responsabile dell’Interno, agirono dall’interno per smantellare le strutture dello Stato borbonico. Essi sostituirono i funzionari leali al re e rafforzarono la Guardia Nazionale, che divenne uno strumento importante nelle mani del movimento unitario. Questa azione interna contribuì in modo significativo a indebolire ulteriormente un governo già in difficoltà e a preparare il terreno per l’avanzata di Garibaldi e delle forze unitarie. Il controllo del territorio sfuggiva sempre più di mano alle autorità centrali.La rivoluzione si estende nelle province
La spinta rivoluzionaria si propagò rapidamente nelle province del Mezzogiorno, spesso in modo organizzato e controllato. I comitati unitari locali, formati da persone influenti come notabili, proprietari terrieri e liberali, presero il comando dei comuni e delle province. Il loro obiettivo principale era garantire l’ordine sociale e proteggere la proprietà privata, un modo per ottenere l’appoggio della popolazione e delle classi dirigenti locali. Questi governi provvisori dichiararono subito la loro fedeltà a Garibaldi e al re Vittorio Emanuele II, consolidando il controllo unitario sul territorio.Le defezioni militari e navali
Il collasso del regno borbonico fu accelerato in modo decisivo dalle numerose defezioni nelle forze armate. Soldati e ufficiali, soprattutto nella marina, abbandonarono in massa l’esercito. Agenti piemontesi contribuirono a questo fenomeno offrendo garanzie di carriera e vantaggi a chi decideva di cambiare schieramento. La mancanza di fiducia nella leadership del re e la percezione che il regno fosse destinato a cadere spinsero molti a passare dalla parte degli unitari. L’avanzata di Garibaldi in Calabria incontrò una resistenza militare molto scarsa, con intere brigate borboniche che si arresero senza combattere, dimostrando la disintegrazione delle forze leali al re.La caduta di Napoli
Ormai isolato e incapace di opporre una resistenza efficace, Francesco II prese la decisione di abbandonare Napoli il 6 settembre 1860. La quasi totalità della marina borbonica, con una sola eccezione, si unì alla flotta piemontese, lasciando la capitale indifesa via mare. La città fu affidata alla Guardia Nazionale e al sindaco, che si accordarono con Liborio Romano e prepararono l’arrivo di Garibaldi. La rapidità con cui il regno cadde fu il risultato dell’azione strategica del movimento unitario, unita alla completa disintegrazione interna dello Stato borbonico e alla mancanza di volontà di resistere da parte di molti suoi rappresentanti.Presentando il crollo borbonico quasi come un inevitabile epilogo di debolezze interne, il capitolo non rischia di sottovalutare il peso determinante di interessi esterni e strategie politiche più ampie?
Il capitolo offre una narrazione focalizzata principalmente sulla disintegrazione interna del Regno delle Due Sicilie e sulle mosse del movimento unitario. Tuttavia, per comprendere appieno la complessità degli eventi del 1860, è fondamentale considerare il contesto internazionale, in particolare il ruolo della Gran Bretagna e della Francia, e le dinamiche economiche e sociali che andavano oltre il semplice scontro tra liberali e assolutisti o le defezioni militari. Approfondire la storia diplomatica e le analisi storiografiche che mettono in discussione la narrazione tradizionale può fornire una prospettiva più completa. Autori come Denis Mack Smith o Christopher Duggan offrono punti di vista critici e basati su una vasta documentazione che meritano di essere esplorati.2. Scontro per il Mezzogiorno: Unificazione e Controrivoluzione
Garibaldi arriva a Napoli nel settembre 1860, accolto con grande entusiasmo. Subito si forma un governo temporaneo per rafforzare il nuovo stato unito. Vengono scelti governatori per le province, che rappresentano i vari gruppi che sostengono l’unità . Questo governo cerca di mantenere l’ordine, anche di fronte a chi occupa le terre. I rapporti con la Chiesa peggiorano in fretta, e alcuni religiosi contrari al cambiamento vengono allontanati. Il 21 ottobre si vota per l’annessione al Regno di Sardegna. La maggior parte delle persone partecipa e vota sì. Le classi più ricche e potenti del Sud appoggiano questa scelta, vedendo nella monarchia dei Savoia una sicurezza per il futuro.La reazione borbonica
Intanto, il re Francesco II e il suo esercito si ritirano e provano a riorganizzarsi. Mostrano di voler resistere con forza. La loro difesa si basa sulla forza militare. Ci sono battaglie importanti, come quella del Volturno, e l’assedio della città di Gaeta. Ma l’esercito borbonico viene battuto dalle forze che vogliono l’unità d’Italia. Queste forze sono formate dai volontari di Garibaldi e dall’esercito del Piemonte. Francesco II scappa a Roma e trova rifugio dal Papa Pio IX, che lo aiuta. Da Roma, l’ex re e il suo governo che non è più al potere cercano aiuti da altri paesi. Vogliono anche continuare a sostenere chi resiste nel Sud.La guerra dei “briganti”
Oltre alla guerra fatta dagli eserciti, inizia una lotta diversa, meno organizzata, ma molto diffusa. Persone importanti fedeli ai Borboni, alcuni preti e soldati rimasti senza un comando mettono insieme gruppi armati. Questi gruppi sono formati da ex soldati, contadini e anche fuorilegge. Attaccano chi rappresenta il nuovo Stato e chi lo appoggia. Fanno ruberie e usano la violenza. Chi sostiene l’unità d’Italia chiama questi combattenti semplicemente “briganti”. Non riconoscono che la loro lotta ha anche motivi politici. Per questo li combattono in modo molto duro. L’esercito italiano interviene per fermare queste rivolte. Questo esercito è fatto dai volontari di Garibaldi e da una parte dei vecchi soldati borbonici. Spesso, per reprimere le rivolte, si arriva a uccisioni immediate senza processo. Anche se l’esercito borbonico viene battuto, questa resistenza porta all’inizio di quello che viene chiamato brigantaggio dopo l’unità d’Italia. Questo mostra quanto fosse diviso il Sud e quanto fosse crudele la lotta per l’unificazione in quelle terre.Se il nuovo Stato definì “briganti” gli oppositori armati nel Sud, ignorandone i motivi politici, non si rischia di semplificare eccessivamente una realtà complessa e di giustificare a posteriori una repressione di inaudita violenza?
Il capitolo descrive correttamente la resistenza armata nel Sud post-unitario e la definizione di “briganti” data dal nuovo Stato, riconoscendo che questa lotta aveva anche motivi politici. Tuttavia, la narrazione potrebbe beneficiare di un approfondimento maggiore sulla natura eterogenea di questa opposizione, che non era composta solo da fedeli borbonici e fuorilegge, ma anche da contadini e popolani con rivendicazioni sociali ed economiche specifiche, spesso delusi dalle promesse non mantenute del nuovo regime. Comprendere appieno questo fenomeno richiede di esplorare le cause profonde del malcontento, le diverse componenti della resistenza e la brutalità della reazione statale, che andò ben oltre la semplice “repressione” di criminali. Per un’analisi più completa, è utile consultare studi di storia sociale e politica del Mezzogiorno risorgimentale e post-unitario. Autori come Denis Mack Smith o Carmine Pinto offrono prospettive critiche e documentate su questo periodo complesso e ancora dibattuto.3. Guerra e brigantaggio nel Mezzogiorno
Nell’estate del 1861, le province del Sud Italia, che prima facevano parte del Regno di Napoli, si trovano ad affrontare grandi problemi. La criminalità e le difficoltà nel gestire il territorio si mescolano a una vasta rivolta. Questa rivolta è portata avanti da chi vuole il ritorno della famiglia Borbone sul trono e da bande armate, i briganti. Per rimettere ordine, il governo italiano, guidato da Ricasoli, manda a Napoli il generale Cialdini, dandogli pieni poteri sia militari che civili. La situazione nel Sud è vista come fondamentale per la sopravvivenza del nuovo Stato italiano e per essere riconosciuto dagli altri paesi.Come risponde il governo
Il governo centrale a Torino decide di imporre le leggi e le regole che già usava in Piemonte su tutto il nuovo regno, anche se alcuni avrebbero preferito dare più autonomia alle diverse regioni. Per fermare la rivolta, Cialdini cerca l’appoggio di tutti i gruppi del Sud che sono a favore dell’unità d’Italia. Tra questi ci sono anche i seguaci di Garibaldi e Mazzini, che a Napoli hanno un forte seguito. Si crea così un accordo tra queste forze per combattere senza pietà chi si oppone. I sostenitori dei Borbone e i briganti vengono chiamati semplicemente criminali, non persone che combattono una guerra, per togliere valore alla loro resistenza.I tentativi dei Borbone dall’esilio
Dalla città di Roma, dove si trovano in esilio, l’ex re Francesco II e i suoi sostenitori cercano di organizzare un aiuto in diverse città d’Europa. Cercano soldi, armi e volontari con l’obiettivo di creare problemi al Regno d’Italia e riprendere il controllo di Napoli. Vengono organizzate anche spedizioni militari, come quella guidata dal generale Borjes in Calabria. Tuttavia, questi tentativi non riescono a causa di problemi nell’organizzazione, piani poco realistici, rivalità tra i capi borbonici e spie italiane che si infiltrano tra loro.L’inizio della rivolta e la reazione
La rivolta dei sostenitori dei Borbone si manifesta con attacchi a paesi e piccoli gruppi di soldati italiani. All’inizio, migliaia di persone partecipano e riescono anche a occupare per un breve tempo diversi comuni. Ma la reazione delle truppe italiane e delle guardie locali, formate da persone del Sud favorevoli all’Italia unita, è veloce e spesso molto dura. Le città più grandi e i capoluoghi rimangono invece saldamente sotto il controllo delle forze unitarie.Il brigantaggio cambia faccia
Dopo le sconfitte subite nel 1861, il fenomeno del brigantaggio cambia. Le bande diventano più veloci e difficili da catturare. Sono guidate da capi nati nel posto, come Crocco, Caruso e Romano. Le loro azioni mescolano obiettivi politici, cioè il desiderio di far tornare i Borbone, e obiettivi criminali, come rapine, richieste di denaro con minacce e sequestri di persona. Si muovono bene grazie alla profonda conoscenza del territorio e all’aiuto di una parte della popolazione. Anche se le offensive del 1862 creano seri problemi di sicurezza e mettono in difficoltà il governo italiano, le bande non riescono a creare un territorio che controllano stabilmente o a rappresentare una minaccia seria per le istituzioni dello Stato.La dura repressione italiana
La risposta italiana è molto forte. Vengono impiegati decine di migliaia di soldati e volontari. La lotta è caratterizzata da scontri molto duri, azioni di vendetta contro i paesi che aiutano i briganti e fucilazioni immediate senza processo. Le perdite tra i briganti sono altissime. Nonostante riescano a resistere e a causare danni, l’incapacità dei Borbone in esilio di dare un comando efficace e un aiuto militare sufficiente, unita alla forte volontà delle forze italiane unite, impedisce al brigantaggio, pur avendo motivazioni politiche, di diventare una vera guerra capace di rovesciare il nuovo Stato.Presentare la resistenza post-unitaria come un fenomeno isolato e criminale non ignora forse le complesse cause sociali ed economiche che alimentarono il malcontento nel Sud?
Il capitolo, pur descrivendo la repressione statale, non approfondisce a sufficienza le ragioni profonde del diffuso malcontento che permise al cosiddetto “brigantaggio” di radicarsi. La narrazione che lo lega primariamente alla cospirazione borbonica e all’attività criminale rischia di semplificare eccessivamente un fenomeno con radici sociali ed economiche significative nel contesto del Sud post-unitario. Per comprendere appieno la complessità di quella fase storica, è fondamentale esplorare le condizioni di vita delle popolazioni meridionali, i cambiamenti introdotti dal nuovo Stato (come la leva obbligatoria e la pressione fiscale) e le dinamiche agrarie. Approfondimenti in storia sociale ed economica del Mezzogiorno, leggendo autori come Nitti, Hobsbawm, Molfese o Di Fiore, possono offrire prospettive più articolate.7. La fine della lotta e la questione del Sud
Dopo la sconfitta del brigantaggio politico nel 1866, il governo italiano si concentra per riportare la normalità nelle province del Sud. L’obiettivo principale è consolidare l’unificazione del paese. Nonostante un’amnistia generale nel 1867 e accordi raggiunti con lo Stato pontificio, la lotta contro i briganti che non si erano arresi continua. Nel 1868, parte una nuova campagna militare guidata dal generale Pallavicini, a cui vengono dati poteri speciali per affrontare la situazione. Un evento simbolico importante per legare il Sud alla nuova monarchia sabauda avviene nel 1869 con la nascita a Napoli del futuro re Vittorio Emanuele III.La presa di Roma e la fine della guerra
La conquista di Roma nel 1870 segna un punto di svolta decisivo. Con l’annessione formale della città , la guerra per il controllo del Mezzogiorno giunge alla sua conclusione definitiva. Francesco II e i sostenitori borbonici lasciano Roma, perdendo il loro ultimo punto d’appoggio significativo. La capitale d’Italia viene trasferita a Roma nel 1871, un passo che conferma la stabilità del nuovo Stato unitario. Le ultime aree del Sud ancora considerate “zone di guerra” dal governo vengono ufficialmente chiuse nel 1874, sancendo la fine delle operazioni militari su larga scala.La questione del Mezzogiorno nel dibattito nazionale
Con la fine del conflitto armato, le condizioni sociali ed economiche del Sud diventano un tema centrale per tutta l’Italia. Studiosi come Pasquale Villari analizzano a fondo i problemi del Mezzogiorno, portando la “questione meridionale” all’attenzione dell’intera nazione. Questo nuovo interesse favorisce la crescita della Sinistra nel Sud. Nel 1876, la Sinistra ottiene una vittoria elettorale che la porta al governo, includendo figure meridionali di spicco come Depretis, Cairoli, Crispi e Nicotera. La presenza di questi uomini al potere rafforza il ruolo politico dei gruppi dirigenti del Sud nel governo del paese. Intellettuali e politici come Franchetti, Sonnino e Fortunato avviano importanti indagini e studi sulle condizioni sociali e economiche delle province meridionali.Il declino del movimento borbonico
Il movimento che sosteneva i Borbone e la legittimità del vecchio regno, pur riuscendo a ottenere qualche successo locale, come la vittoria alle elezioni comunali di Napoli nel 1872 grazie anche all’appoggio della Chiesa cattolica guidata dal cardinale Riario Sforza, non riesce a imporsi a livello nazionale. Si riduce progressivamente a una “causa persa”, alimentata più dalla nostalgia per il passato e dal risentimento verso il nuovo Stato che da un progetto politico concreto. Viene così marginalizzato dal dibattito principale, che ormai considera il Mezzogiorno non più come un territorio da conquistare, ma come una parte integrante dell’Italia unita con i suoi specifici problemi interni.La caccia agli ultimi briganti
Gli ultimi gruppi di briganti rimasti, ormai per lo più dediti ad attività criminali piuttosto che politiche, vengono braccati senza sosta. Capi come Crocco, Tardio, Manzo e Padovano vengono catturati o uccisi nel corso degli anni Settanta dell’Ottocento. Il generale Pallavicini guida queste operazioni finali, impiegando anche metodi moderni per l’epoca, come le fotografie segnaletiche per identificare i ricercati. La repressione è molto dura, con arresti di massa e l’uso di informatori e agenti infiltrati. La morte o la cattura degli ultimi capi segna la fine definitiva di ogni forma di resistenza armata organizzata nel Sud.Il brigantaggio tra mito e memoria
Con il passare del tempo, il fenomeno del brigantaggio si trasforma. Da realtà militare e sociale diventa un soggetto di studi, leggende e racconti popolari. Figure come quella di Crocco assumono contorni quasi mitici nell’immaginario collettivo. I soldati che avevano combattuto nel Sud celebrano la vittoria e l’unificazione del paese. Tuttavia, con il passare degli anni e l’emergere di nuove sfide per l’Italia, come la Prima Guerra Mondiale, il conflitto nel Mezzogiorno viene sempre più spesso ricordato non come una guerra contro un nemico esterno, ma come una lotta interna, un periodo doloroso in cui “italiani combatterono contro altri italiani”.Ma la “questione meridionale” è davvero “emersa” solo dopo la fine della lotta armata, o era una realtà preesistente che la repressione non ha risolto?
Il capitolo suggerisce che la “questione del Mezzogiorno” diventi un tema centrale per tutta l’Italia “Con la fine del conflitto armato”. Questa impostazione potrebbe portare a credere che i gravi problemi sociali ed economici del Sud siano “emersi” solo in quel momento, quasi come una conseguenza secondaria della pacificazione militare. Tuttavia, molti studi storici evidenziano come le radici profonde della “questione meridionale” affondassero in strutture economiche, sociali e politiche preesistenti all’unificazione, e che il conflitto post-unitario e le politiche del nuovo Stato abbiano piuttosto esacerbato o reso più evidenti queste problematiche. Per avere un quadro più completo, è fondamentale non limitarsi agli studi dei contemporanei citati nel capitolo (come Villari, Franchetti, Sonnino e Fortunato), ma approfondire anche la storiografia che analizza le condizioni del Sud nel lungo periodo, la natura del processo di unificazione dal punto di vista meridionale e l’impatto delle scelte politiche ed economiche dei primi governi unitari. Approfondire la storia sociale ed economica del Mezzogiorno è essenziale per comprendere la complessità del fenomeno.Abbiamo riassunto il possibile
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