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RISPOSTA: “La freccia ferma. Tre tentativi di annullare il tempo” di Elvio Fachinelli è un viaggio affascinante nel profondo della psiche umana e delle dinamiche sociali, esplorando come individui e intere società cercano di sfuggire alla tirannia del tempo e alla paura della morte. Fachinelli ci porta a scoprire la “macchina morale” che imprigiona l’individuo in un labirinto di regole e rituali ossessivi, un meccanismo che ricorda le aporie di Zenone, dove ogni movimento diventa impossibile. Attraverso un’analisi che intreccia Freud, le società arcaiche e il fenomeno del fascismo, il libro svela come il sacro, la morte e il legame con gli antenati siano fili conduttori che uniscono il destino dell’individuo a quello della collettività. Dalle nevrosi ossessive che frammentano il tempo, al fascismo che tenta di negare la morte della patria, fino al disconoscimento della realtà come meccanismo di difesa, Fachinelli ci offre una prospettiva unica su come l’uomo elabora l’insopportabile, cercando un senso in un tempo che sembra sfuggire. Questo libro è un invito a riflettere sulla nostra stessa relazione con il tempo, la morte e il sacro, in un’esplorazione che non lascia indifferenti.Riassunto Breve
La vita di un individuo può essere dominata da un sistema rigido di regole, spesso derivate da un’interpretazione estrema di precetti morali, che porta a una paralisi quasi totale. Ogni azione, anche la più semplice, viene sottoposta a procedure complesse, spingendo l’individuo a sopprimere ogni iniziativa e a rimanere in uno stato di inerzia per evitare di infrangere queste regole. Il tempo stesso viene frammentato in unità minime, quasi nel tentativo di controllare ogni istante per prevenire il peccato, un processo che ricorda le aporie di Zenone, dove la divisione all’infinito rende impossibile l’azione. Questo meccanismo, che porta a una ricerca di perfezione nell’esecuzione, rende di fatto impossibile agire concretamente. Tale sistema si sviluppa spesso a partire da conflitti irrisolti legati a modelli genitoriali idealizzati, dove la difficoltà nell’affermare la propria identità porta a un rifugio nell’osservanza impersonale di regole, che però non risolvono il conflitto interiore, ma lo spostano sul piano del peccato. La “macchina morale” prende il sopravvento, riducendo la vita a una serie di azioni meccaniche e ripetitive, in un tempo segmentato e privo di storia. Questo comportamento ossessivo può essere interpretato attraverso concetti freudiani come l'”annullamento”, il tentativo di rendere non accaduto un evento, che nel caso dell’ossessivo si estende a tutte le azioni successive, creando un circuito complesso e angosciante. Il confronto con teorie come quelle di Freud e von Gebsattel evidenzia come il comportamento ossessivo sia un tentativo distorto di gestire il tempo e il conflitto interiore. Mentre le civiltà arcaiche utilizzavano rituali per ricreare un ordine cosmico, l’ossessivo crea un proprio rituale frammentato e privo di significato, un tentativo di comportarsi come un “arcaico” nella modernità, ma destinato al fallimento per la mancanza di un rapporto autentico con i modelli mitici e la difficoltà di integrare l’esperienza personale con le regole imposte.Nelle società arcaiche, la morte di un individuo, specialmente se importante, non è solo una perdita, ma un evento che scuote le fondamenta del gruppo, spesso caratterizzato da una forte dipendenza da figure chiave. La loro morte crea un vuoto che minaccia l’esistenza collettiva. Di fronte a questa minaccia, la reazione universale è quella di negare la morte, credendo che la persona continui a vivere in un’altra forma, una credenza necessaria per mantenere la coesione e la continuità del gruppo. La morte viene spesso interpretata come punizione per la violazione di norme o tabù, o come aggressione da parte di forze esterne o interne. Questo legame tra morte, antenati e vita del gruppo si riflette nella psicologia individuale, in particolare in una relazione di dipendenza precoce, dove il bambino si sente parzialmente appartenente a una figura adulta onnipotente, portando a una “posizione d’indecidibilità”. In questa situazione, ogni tentativo di autonomia genera angosce profonde, legate alla paura di distruggere l’altro o di essere distrutti. La soluzione ossessiva, in questo contesto, può essere vista come un modo per gestire queste angosce, spostando il dilemma su un piano simbolico-magico, ma mantenendo un legame di dipendenza che si trasforma in un rituale ossessivo. Questo rituale, spesso ripetitivo e minuzioso, serve a placare l’autorità temuta e a garantire una sorta di sopravvivenza, ma crea anche una precarietà costante, un equilibrio fragile.Le società arcaiche e gli individui ossessivi affrontano un problema comune: la gestione della morte e della trasgressione. Nei gruppi arcaici, la morte di figure importanti porta a un rinnegamento attraverso riti funebri che trasformano i defunti in antenati, i quali governano i vivi con leggi rigide. L’ossessivo vive una situazione simile internamente: un polo di onnipotenza magica domina il soggetto, e ogni aspirazione diventa un pericolo di morte. L’impossibilità di risolvere questo dilemma porta a uno spostamento su un piano magico generalizzato, creando un ciclo ossessivo di trasgressione, punizione e riparazione mai concluso. Le somiglianze tra le dinamiche arcaiche e quelle ossessive, come la formazione di tabù e divieti, emergono dal confronto con “Totem e Tabù” di Freud. Tuttavia, la differenza cruciale risiede nella gestione della trasgressione: nel gruppo arcaico, il trasgressore viene isolato e punito con la morte, permettendo al gruppo di purificarsi. Nell’ossessivo, il trasgressore è parte integrante dell’individuo, impedendo il compimento del lutto e generando un’incessante attività di purificazione. L’ossessivo è quindi una sorta di “microsocietà arcaica” dove il lutto fallisce. Questo schema si applica all’analisi del fascismo. La Prima Guerra Mondiale, con le sue perdite immense, ha creato un sentimento di “morte della patria” in molti reduci, un sentimento ambivalente, temuto perché significava la perdita di un ideale, ma desiderato perché la patria era vista come causa di sofferenze inutili. Il fascismo emerge come risposta a questa crisi, un tentativo di negare violentemente la morte della patria. Il movimento fascista iniziale, con il suo amalgama di tendenze, risuonava con il desiderio di cambiamento di ampie fasce della popolazione. La soluzione fascista fu un “diniego” della morte della patria, spostando l’ideale su un piano di assolutezza attraverso l’assunzione della romanità. Questo culto della patria divenne esclusivo e intollerante, portando alla persecuzione di chi era considerato “senza patria”. Tuttavia, questa patria totale si rivelò una facciata vuota, la cui fragilità era evidenziata dalla necessità di continui rituali per riaffermarne l’esistenza. Le guerre fasciste furono rituali estremi per esorcizzare la paura della morte della patria. Con la Seconda Guerra Mondiale, questa facciata crollò, rivelando il vuoto sottostante. Il fascismo, in questo senso, fu una “parentesi” che impedì di vedere la morte dei valori ottocenteschi, lasciando l’Italia di fronte ai problemi irrisolti del dopoguerra. La sconfitta militare liberò il paese, permettendo l’emergere di nuove forze, a differenza della vittoria nella Prima Guerra Mondiale che aveva consolidato un dominio basato su un passato mitico.Il “sacro”, inteso come un insieme di qualità quali autorità, fascino e terrore, è presente in diverse configurazioni, dal fascismo alle società arcaiche, fino alle nevrosi ossessive. Il sacro non coincide necessariamente con la religione istituzionalizzata, ma è un fenomeno più ampio che precede e attraversa diverse esperienze umane. Viene introdotto il concetto di “catastrofe del sacro”, ovvero la trasformazione di un valore-figura attraverso il suo spostamento su un piano diverso, che ne altera la natura. Questo processo è osservato sia nelle società arcaiche, dove il sacro regola la vita comunitaria, sia negli individui ossessivi, dove si manifesta in una forma più privata e spesso angosciante. Anche il fascismo viene interpretato come un tentativo di sacralizzare la storia collettiva attraverso rituali e propaganda. La relazione tra individuo e società è centrale: contrariamente all’idea comune che la società sia più prevedibile dell’individuo, si suggerisce che, in un’ottica di “sapere basico”, la società appaia più comprensibile. La differenza tra individuo e società non è di sostanza, ma di “dispiegamento”: le posizioni e le forze che agiscono nell’individuo sono le stesse presenti nella società, ma in quest’ultima sono distribuite e articolate. Il tempo viene identificato come un “elemento ordinatore” che permette di collegare queste diverse esperienze. L’analisi del modo in cui il tempo viene vissuto e gestito in contesti arcaici, ossessivi e storici rivela una “cellula genetica” comune, una sorta di “cronotipo” che, pur non negando le specificità di ciascuna situazione, ne evidenzia le connessioni profonde. Questo approccio permette di superare le divisioni disciplinari e di comprendere meglio l’agire umano, sia a livello individuale che collettivo, riconoscendo la coesistenza di diverse temporalità e la possibilità di “storie impossibili” che si intrecciano con quelle più lineari.Il concetto di “disconoscimento” o “diniego” (Verleugnung) in Freud è centrale per capire come le persone affrontano ciò che trovano insopportabile nella realtà. Inizialmente, questo meccanismo era simile alla negazione di ricordi spiacevoli o di colpe. Tuttavia, Freud ha dato a Verleugnung il significato di un rifiuto attivo di un elemento della realtà esterna, distinguendolo dalla negazione (Verneinung) che riguarda elementi interni alla psiche, e dalla rimozione (Verdrängung) che sposta pulsioni nell’inconscio. Freud ha dedicato molta attenzione a questo processo, non solo per capire la psicosi, ma anche per analizzare meccanismi comuni. Ad esempio, il desiderio di dormire porta a un disconoscimento temporaneo della realtà, permettendo il funzionamento secondo il principio di piacere. Anche l’apprendimento della differenza sessuale, in particolare per i maschi di fronte all’assenza del pene nelle femmine, implica un disconoscimento della realtà che viene poi superato. Questo processo è evidente anche nel feticismo, dove l’assenza del pene materno viene disconosciuta e sostituita da un oggetto. Il disconoscimento della morte è un altro esempio significativo. Inizialmente considerato una reazione psicotica, Freud ha poi riscontrato meccanismi simili di disconoscimento e riconoscimento simultaneo in nevrotici, come nel caso del feticismo. Questo suggerisce che il disconoscimento non è legato a un’esperienza specifica, ma all’insopportabilità che un’esperienza reale può avere per un individuo. Winnicott, partendo da queste idee, ha introdotto il concetto di “oggetti e fenomeni transizionali”. Questi rappresentano una fase normale dello sviluppo infantile, in cui il bambino inizia a separarsi dalla madre. L’oggetto transizionale simboleggia l’unione e la separazione, permettendo un’esperienza di “illusione” che è fondamentale per la creatività adulta, l’arte e la religione. Il disconoscimento della realtà, tipico del feticista, diventa così una forma di illusione normale. In questo quadro, il feticcio e l’oggetto transizionale rappresentano due estremi di un continuum. Freud, concentrandosi sugli adulti nevrotici, ha evidenziato il polo feticcio-delirio, mentre Winnicott, studiando i bambini, ha sottolineato il polo fenomeno transizionale-illusione. Il disconoscimento della morte, in particolare nei casi ossessivi, si colloca più vicino al polo del feticcio, con una ritualizzazione angosciata che testimonia la presenza di una figura minacciata, simile a come il feticcio testimonia il pene assente. Il disconoscimento arcaico, invece, si avvicina di più all’illusione, come nel caso delle religioni istituzionali. Il tentativo di annullare il tempo, di rendere inesistenti gli eventi accaduti, si manifesta in una persona attraverso la ripetizione inversa di ogni azione compiuta. Questo comportamento, inserito in un quadro di vita ossessivo, è collegato al rifiuto della morte. Tale dinamica si ritrova anche in contesti storici e culturali diversi, come la trasformazione dei defunti in antenati o il fenomeno del fascismo. L’analisi di questo fenomeno suggerisce che la differenza tra individuo e società non risiede nell’uguaglianza delle esperienze, ma nella differente distribuzione di ruoli e posizioni all’interno di uno stesso contesto. Emergono così questioni fondamentali riguardanti il sacro, la storia intesa non solo come insieme di eventi realmente accaduti ma anche come somma di quelli mancati, e la possibilità di un sapere sull’uomo basato sull’elaborazione del tempo. Questo approccio permette di unire l’indagine sulle dinamiche psichiche individuali con quella sulle forze che agiscono nella storia.Riassunto Lungo
1. La Macchina Morale e il Tempo Frammentato
Un sistema di regole che paralizza la vita
La vita di una persona è dominata da un insieme molto rigido di regole. Queste regole derivano da un’interpretazione estrema di precetti molto antichi, come quelli del decalogo. Ogni azione, anche la più semplice, viene sottoposta a procedure complicate che portano quasi a una paralisi totale. Per evitare di sbagliare e infrangere queste regole, la persona tende a bloccare ogni propria iniziativa, rimanendo ferma, senza agire.Il tempo diviso in piccoli pezzi
Anche il tempo viene spezzettato in unità piccolissime. È come se si volesse controllare ogni singolo momento per non commettere errori o peccare. Questo modo di fare ricorda le difficoltà che si incontrano nel ragionamento, come quelle di Zenone, dove dividere all’infinito uno spazio o un tempo rende impossibile muoversi o fare qualcosa. L’obiettivo è raggiungere una perfezione assoluta nell’esecuzione, ma questo porta all’impossibilità di agire nella realtà.Origini dei conflitti interiori
Questo “sistema” nasce da problemi non risolti legati ai modelli dei genitori, visti come perfetti. La difficoltà nel definire la propria identità spinge a rifugiarsi nell’obbedienza impersonale a regole religiose. Tuttavia, questo non risolve i problemi interiori, ma li sposta sul piano del peccato. La “macchina morale” prende il sopravvento, trasformando la vita in una serie di azioni meccaniche e ripetitive, vissute in un tempo spezzettato e senza una vera storia.Il tentativo di “annullare” gli eventi
Questo meccanismo ossessivo viene analizzato in relazione a concetti della psicologia, come quello di “annullamento” (Ungeschehenmachen). Questo termine descrive il tentativo di far sì che un evento non sia mai accaduto. Tuttavia, nel caso di chi soffre di ossessioni, questo annullamento non avviene in un attimo, ma si estende a tutte le azioni successive. Questo crea un circolo vizioso, complesso e fonte di grande angoscia.Confronto con teorie psicologiche e antiche civiltà
Il confronto con le idee di Freud e di altri studiosi come von Gebsattel mostra come il comportamento ossessivo sia un tentativo di gestire il tempo e i conflitti interiori, ma in modo sbagliato. Mentre le civiltà antiche usavano riti per riportare ordine nel mondo, la persona ossessiva crea un proprio rituale, frammentato e privo di un vero significato. È un tentativo di comportarsi come un “arcaico” nella vita moderna, ma è destinato a fallire. Questo fallimento è dovuto alla mancanza di un legame autentico con i modelli del passato e alla difficoltà di unire l’esperienza personale con le regole imposte.Se l’ossessione per la regola e la frammentazione del tempo derivano da modelli genitoriali imperfetti e dalla difficoltà di definire l’identità, come si concilia questo con l’idea che le civiltà antiche utilizzassero rituali per riportare ordine, e perché il tentativo moderno di ritualizzazione ossessiva fallisce nel creare un legame autentico con il passato?
Il capitolo presenta una connessione tra problemi psicologici individuali e pratiche storiche, ma la transizione tra queste due sfere appare piuttosto brusca e necessita di maggiore chiarimento. Non è del tutto esplicitato come le dinamiche familiari e la ricerca identitaria si traducano direttamente nella necessità di una “macchina morale” e in una percezione del tempo frammentata, né come questo si differenzi dai rituali antichi che, pur avendo funzioni simili di ordine, sembrano aver avuto esiti differenti. Per approfondire, sarebbe utile esplorare le discipline dell’antropologia culturale, in particolare studi sulle società arcaiche e sui loro sistemi simbolici, e la psicologia evolutiva per comprendere meglio la formazione dell’identità e la trasmissione dei modelli comportamentali. Autori come Mircea Eliade potrebbero offrire spunti preziosi sull’analisi dei rituali e del sacro nelle società tradizionali, mentre opere sulla teoria dell’attaccamento potrebbero illuminare le origini dei modelli genitoriali problematici.Il Legame Indissolubile tra Morte, Antenati e la Struttura del Gruppo
La Morte come Minaccia alla Sopravvivenza del Gruppo
Nelle società antiche, la morte di una persona, specialmente se di rilievo, non è solo una perdita. È un evento che scuote le fondamenta stesse della comunità. Questo avviene perché, in queste società, il gruppo dipende molto da figure centrali, come capi o anziani. Queste figure sono viste come coloro che garantiscono la sopravvivenza di tutti. La loro scomparsa, quindi, crea un vuoto che mette in pericolo l’esistenza stessa del gruppo.La Negazione della Morte e la Coesione Sociale
Di fronte a questa minaccia, la reazione comune è quella di negare la morte. Si cerca di “sdruppiare” il defunto, ovvero si crede che, anche se il corpo non si muove più, la persona continui a vivere in un’altra forma. Questa convinzione che i morti continuino a esistere è fondamentale per mantenere unito il gruppo e garantirne la continuità nel tempo. La morte, inoltre, viene spesso vista come una punizione. Può essere una punizione per aver infranto regole o divieti, o un attacco da parte di forze esterne o interne al gruppo.La Dipendenza e l’Angoscia Individuale
Questo stretto legame tra morte, antenati e la vita del gruppo si riflette anche nella psicologia delle singole persone. In particolare, si nota come una relazione di forte dipendenza fin dalla giovane età, dove il bambino si sente legato a una figura adulta quasi onnipotente, possa portare a una “posizione d’indecidibilità”. In questa situazione, ogni tentativo di diventare autonomi provoca una profonda angoscia. Questa angoscia nasce dalla paura di distruggere l’altro o di essere distrutti.Il Rituale Ossessivo come Soluzione
La soluzione ossessiva, in questi casi, può essere vista come un modo per gestire queste angosce. Il dilemma viene spostato su un piano simbolico e magico. Allo stesso tempo, però, si mantiene un legame di dipendenza che si trasforma in un rituale ossessivo. Questo rituale, spesso ripetitivo e molto preciso nei dettagli, serve a calmare l’autorità temuta. In questo modo, si cerca di garantire una sorta di sopravvivenza. Tuttavia, questo crea anche una costante precarietà, un equilibrio molto fragile, simile al cammino di un funambolo.È scientificamente provato che la “posizione d’indecidibilità” derivi esclusivamente da un legame di dipendenza infantile, o si tratta di un’interpretazione che necessita di contestualizzazione e verifica in ambiti disciplinari diversi?
Il capitolo lega in modo piuttosto deterministico la “posizione d’indecidibilità” e l’angoscia derivante dalla paura di distruggere o essere distrutti a un rapporto di dipendenza infantile. Sebbene questa correlazione possa avere fondamento in alcune teorie psicologiche, è fondamentale considerare che la complessità della psiche umana e le dinamiche relazionali sono influenzate da una miriade di fattori. Per una comprensione più completa, sarebbe utile approfondire studi di psicologia dello sviluppo che esplorino le diverse forme di attaccamento e le loro implicazioni, nonché approcci antropologici che analizzino come le strutture sociali e culturali, oltre ai legami familiari, possano plasmare la percezione della morte e la coesione del gruppo. Autori come John Bowlby per la teoria dell’attaccamento e Marcel Mauss per le sue analisi sui legami sociali e i rituali potrebbero offrire prospettive illuminanti per colmare questa lacuna argomentativa.Se il disconoscimento della realtà, come quello della morte, è un meccanismo universale che si estende dal feticismo all’illusione religiosa, dove si colloca la linea di demarcazione tra una sana elaborazione psichica e una patologica distorsione della realtà?
Il capitolo traccia un continuum tra l’oggetto transizionale di Winnicott e il feticcio freudiano, suggerendo che il disconoscimento possa manifestarsi in forme più o meno adattive. Tuttavia, la transizione da un’illusione creativa a un vero e proprio delirio o a un rifiuto patologico della realtà non viene definita con sufficiente chiarezza. Per approfondire questa delicata distinzione, sarebbe utile esplorare ulteriormente il lavoro di autori che si sono occupati della psicopatologia della percezione e della costruzione della realtà, come ad esempio Karl Jaspers, e confrontare le teorie psicoanalitiche con approcci neuroscientifici che indagano i correlati neurali della dissociazione e della negazione.4. L’Annullamento del Tempo e la Ricerca del Senso
Il Rifiuto della Morte e la Ripetizione Inversa
Il desiderio di annullare il tempo, di cancellare gli eventi passati, si manifesta in un individuo attraverso la ripetizione inversa di ogni sua azione. Questo comportamento, inserito in un contesto di vita ossessivo, è strettamente legato al rifiuto della morte. Questa dinamica si ritrova anche in contesti storici e culturali differenti, come la trasformazione dei defunti in antenati venerati o il fenomeno del fascismo.La Distinzione tra Individuo e Società
L’analisi di questo fenomeno suggerisce che la differenza tra un individuo e la società non risiede nell’uguaglianza delle esperienze vissute, ma piuttosto nella diversa distribuzione dei ruoli e delle posizioni all’interno dello stesso contesto. Questo porta a considerare questioni fondamentali legate al sacro, alla storia intesa non solo come l’insieme degli eventi realmente accaduti ma anche come la somma di quelli che non si sono verificati, e alla possibilità di sviluppare una conoscenza dell’uomo basata sull’elaborazione del tempo.Unione di Psiche e Storia
Questo approccio permette di collegare l’indagine sulle dinamiche psichiche dell’individuo con lo studio delle forze che agiscono nella storia, offrendo una prospettiva più completa sulla natura umana e sul suo rapporto con il tempo e la memoria.È davvero possibile “annullare il tempo” attraverso la ripetizione inversa delle azioni, e come può questo fenomeno, legato al rifiuto della morte, essere equiparato a dinamiche storiche come il fascismo senza cadere in una semplificazione eccessiva o in un’analogia fuorviante?
Il capitolo accenna a un legame tra il desiderio di annullare il tempo, la ripetizione inversa delle azioni e il rifiuto della morte, estendendo poi questo parallelo a fenomeni storici come il fascismo. Tuttavia, la connessione tra un comportamento individuale ossessivo e movimenti storici complessi appare piuttosto labile e necessita di un’argomentazione più solida e contestualizzata. Per comprendere meglio la natura di queste connessioni e le potenziali lacune logiche, sarebbe utile approfondire le basi psicologiche del rifiuto della morte e delle ossessioni, magari consultando autori come Sigmund Freud o Carl Jung. Parallelamente, per analizzare il fenomeno del fascismo e le sue motivazioni profonde, uno studio più approfondito di testi storici e sociologici specifici, magari focalizzandosi su autori come Hannah Arendt o Erich Fromm, potrebbe fornire il contesto necessario per valutare la validità di tali paragoni. La distinzione tra individuo e società, e la concezione della storia come somma di eventi accaduti e non accaduti, richiedono inoltre un’esplorazione più dettagliata delle teorie filosofiche del tempo e della memoria.Abbiamo riassunto il possibile
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