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Contenuti del libro
Informazioni
“La fonte nascosta. Un viaggio alle origini della coscienza” di Mark Solms ti porta in un viaggio incredibile dentro il cervello per capire cos’è davvero la coscienza, quel “cosa si prova” che la scienza fa fatica a spiegare. Dimentica l’idea che tutto sia nella corteccia; Solms ci mostra che la vera sorgente dei nostri sentimenti e della nostra esperienza soggettiva si nasconde in aree più antiche e profonde, come il tronco encefalico e il mesencefalo, in particolare nel Grigio Periacqueduttale. Scoprirai come i sogni e persino le confabulazioni siano legati al sistema dopaminergico e ai nostri bisogni più profondi. Il libro esplora l’omeostasi e la minimizzazione dell’energia libera come principi fondamentali che guidano l’elaborazione predittiva del cervello e generano gli affetti, che sono la vera bussola della nostra esistenza cosciente. È un ponte tra neuroscienze e psicoanalisi, un’immersione nella neuropsicoanalisi per affrontare finalmente il problema difficile della coscienza e capire perché sentire è la base per esistere. Un libro che ti fa guardare la mente e il cervello con occhi completamente nuovi.Riassunto Breve
Lo studio scientifico della mente trova difficile spiegare cosa si prova ad avere un’esperienza soggettiva. Alcuni approcci ignorano i processi interni, altri si concentrano solo sulle strutture del cervello. La ricerca sui sogni mostra che non dipendono solo da una fase specifica del sonno, ma da aree profonde del cervello legate alla motivazione e ai bisogni, suggerendo che i sogni sono guidati da desideri. Anche i falsi ricordi dopo danni cerebrali sembrano servire a rendere la realtà più accettabile, influenzati dagli stessi sistemi cerebrali. Questo indica che l’esperienza soggettiva ha una base biologica precisa, legata a sistemi cerebrali che regolano bisogni e motivazioni. L’idea che la coscienza stia solo nella parte esterna del cervello (la corteccia) viene messa in discussione. Osservazioni su esseri viventi con corteccia danneggiata o assente mostrano che possono ancora avere reazioni emotive e comportamenti che sembrano indicare una forma di esperienza. Molte funzioni complesse attribuite alla corteccia, come vedere o ricordare, possono avvenire senza che ne siamo consapevoli. I sentimenti, invece, sembrano essere l’unica funzione mentale che è sempre cosciente; non si può avere un sentimento senza provarlo. La capacità di sentire, di avere esperienze affettive, sembra persistere anche quando le capacità cognitive della corteccia sono compromesse. Questo suggerisce che la fonte della coscienza, intesa come la capacità di sentire, potrebbe trovarsi in strutture cerebrali più antiche e profonde, non nella corteccia. I sentimenti sono stati coscienti che ci dicono se qualcosa è buono o cattivo per noi, segnalando lo stato dei nostri bisogni biologici e guidando il nostro comportamento. Sono necessariamente coscienti e danno priorità ai bisogni, guidando le azioni volontarie basate su un sistema di valori interno. La funzione biologica dei sentimenti è aiutarci a decidere cosa fare in situazioni incerte, valutando se un’azione è utile per la sopravvivenza. La fonte neurologica degli affetti e della coscienza si trova nel tronco cerebrale profondo. Danni minimi in quest’area possono causare la perdita di coscienza. Un’area chiave nel mesencefalo, il grigio periacqueduttale (PAG), sembra essere il punto dove convergono le informazioni sui bisogni interni e sul mondo esterno per decidere le azioni. Questo “centro decisionale” nel mesencefalo è considerato l’origine della volontà e del comportamento intenzionale. Gli organismi viventi devono mantenersi in equilibrio per sopravvivere, resistendo al disordine. Questo si ottiene costruendo un modello predittivo del mondo e di sé stessi. Il cervello funziona facendo previsioni e correggendo gli errori quando ciò che accade non corrisponde a ciò che si aspettava. Minimizzare questi errori predittivi, o la “sorpresa”, è il principio che guida il comportamento e serve a mantenere l’organismo in vita. Le previsioni fondamentali legate ai bisogni innati (gli affetti) non possono essere cambiate, costringendo l’organismo ad agire e imparare per ridurre l’incertezza. La coscienza emerge da questo processo di dare priorità ai bisogni e collegarli al mondo esterno, valutando la “precisione” delle previsioni e dei segnali sensoriali. La corteccia crea il mondo percepito come una realtà virtuale basata su questi modelli predittivi. La coscienza corticale aggiorna queste previsioni quando ci sono errori. Il pensiero e il linguaggio aiutano a perfezionare questi modelli. L’esperienza cosciente, sia sentire che percepire, consiste nel notare le differenze tra le aspettative del sistema e la realtà, valutate in base alla loro importanza. La coscienza è un problema difficile perché non si capisce come l’esperienza soggettiva nasca dai processi fisici. Non è una proprietà universale e non riguarda ogni sistema che elabora informazioni. È legata a sistemi che cercano di sopravvivere minimizzando il disordine. La sua funzione principale è affettiva: è il sentire. Mentre altre funzioni possono essere inconsce, i sentimenti richiedono coscienza. La coscienza corticale dipende dall’attivazione del tronco cerebrale, che genera una coscienza basata sugli affetti. Gli affetti derivano dalla necessità di mantenere l’equilibrio interno (omeostasi). I sistemi che si auto-organizzano hanno un punto di vista (soggettività) perché registrano le deviazioni dai parametri vitali come bisogni, a cui gli affetti danno un valore (piacere/dispiacere) per guidare le azioni. Le azioni guidate dagli affetti prioritari sono volontarie e mirano a ridurre l’incertezza. La coscienza è legata a queste previsioni e alla loro precisione. Il meccanismo di base che spinge all’azione preventiva per eliminare l’incertezza è la RICERCA, che si manifesta come curiosità. I meccanismi della coscienza, sia oggettivi che soggettivi, sono riconducibili a leggi naturali che governano l’auto-organizzazione e la resistenza al disordine. La coscienza è parte della natura e può essere studiata scientificamente. Non tutti i sistemi viventi sono coscienti, ma tutti i sistemi coscienti sono vivi. Questo suggerisce che un sistema artificiale capace di auto-verifica e di gestire i propri “bisogni” per sopravvivere potrebbe, in linea di principio, essere cosciente. Creare una coscienza artificiale è possibile, ma solleva importanti questioni etiche. La coscienza, intesa come la capacità di sentire, è un tratto evolutivo legato alla sopravvivenza che guida le azioni in condizioni incerte. Non è solo un flusso di sensazioni o conoscenza, ma emerge da processi interni profondi.Riassunto Lungo
1. La Psiche nel Labirinto del Cervello
Lo studio scientifico della mente incontra una difficoltà fondamentale: come trattare l’esperienza soggettiva, ciò che si prova interiormente, che non può essere osservato direttamente. Alcuni approcci, come il comportamentismo, hanno scelto di ignorare del tutto i processi mentali interni, concentrandosi solo su ciò che è visibile dall’esterno: gli stimoli ricevuti e le risposte date. Anche le neuroscienze cognitive, pur studiando le strutture del cervello e come vengono elaborate le informazioni, spesso tralasciano l’aspetto più intimo dell’esperienza, ovvero “cosa si prova” ad avere una certa esperienza o a pensare un certo pensiero.I sogni: un ponte tra mente e cervello
La ricerca sui sogni offre un esempio concreto di questa sfida. Tradizionalmente si pensava che i sogni fossero strettamente legati al sonno REM, una fase del sonno generata in una parte specifica del cervello chiamata tronco encefalico. Tuttavia, studi recenti hanno dimostrato che la capacità di sognare non dipende unicamente dal sonno REM. Si è osservato che lesioni in aree specifiche del prosencefalo, una regione più avanzata del cervello, come il lobulo parietale inferiore e alcune zone della sostanza bianca vicino ai lobi frontali, possono causare la completa perdita dei sogni, anche se il sonno REM rimane intatto. Questo dato è cruciale perché dimostra chiaramente che sogni e sonno REM, pur essendo spesso associati, sono in realtà fenomeni distinti. La generazione dei sogni sembra dipendere da altre aree cerebrali.Il ruolo della motivazione nei sogni
L’area che si è rivelata critica per la nascita dei sogni è il circuito dopaminergico mesocorticale-mesolimbico. Questo sistema cerebrale è noto per essere profondamente legato alla motivazione, alla sensazione di ricompensa e al comportamento che ci spinge a cercare ciò che desideriamo. Quando questo circuito è attivo, l’attività onirica aumenta significativamente, mentre un suo danneggiamento porta alla scomparsa dei sogni. Questa scoperta suggerisce che i sogni non sono eventi casuali, ma sono guidati da bisogni e desideri profondi. Questa idea risuona fortemente con la teoria psicoanalitica di Freud, che considerava i sogni come una forma di appagamento, spesso mascherato, dei desideri inconsci.Confabulazioni: falsi ricordi con uno scopo
Un altro fenomeno che illumina il legame tra cervello, motivazione ed esperienza soggettiva sono le confabulazioni. Si tratta di falsi ricordi che alcune persone creano involontariamente in seguito a lesioni cerebrali. Queste confabulazioni non sono semplici errori di memoria casuali. Sono piuttosto delle distorsioni della realtà che servono a uno scopo preciso: rendere la situazione più accettabile o confortante per chi le sperimenta. Anche le confabulazioni sembrano essere influenzate e modellate dall’attività del sistema dopaminergico, lo stesso coinvolto nella generazione dei sogni.Verso una comprensione integrata
Questi studi, sia sui sogni che sulle confabulazioni, portano a una conclusione importante: l’esperienza soggettiva, ciò che proviamo e percepiamo interiormente, ha una base biologica concreta e identificabile. Questa base è legata in modo particolare a sistemi cerebrali situati nelle aree più antiche e profonde del cervello (sistemi subcorticali), che sono fondamentali per regolare i nostri bisogni primari e le nostre motivazioni. Integrare lo studio dell’esperienza soggettiva, che è stato a lungo il campo d’indagine della psicoanalisi, con le scoperte e i metodi delle neuroscienze è essenziale per ottenere una comprensione completa e profonda della mente umana. Questo approccio integrato, noto come neuropsicoanalisi, cerca proprio di colmare il divario tra la descrizione scientifica e oggettiva del funzionamento del cervello e l’esperienza vissuta in prima persona.Ma l’esperienza soggettiva, con tutta la sua complessità, può davvero essere ridotta all’attività di pochi circuiti cerebrali subcorticali?
Il capitolo presenta in modo efficace il legame tra specifiche aree cerebrali e fenomeni come sogni e confabulazioni, suggerendo una base biologica per l’esperienza soggettiva. Tuttavia, l’enfasi sui sistemi subcorticali legati a bisogni e motivazioni, pur essendo un punto di partenza interessante, rischia di semplificare eccessivamente la questione. L’esperienza cosciente e soggettiva è un fenomeno enormemente complesso, che coinvolge probabilmente interazioni dinamiche tra molteplici aree cerebrali, incluse quelle corticali, e non è ancora pienamente compresa dalla scienza. Per approfondire questa tematica e comprendere la vastità del dibattito, è utile esplorare la filosofia della mente e le neuroscienze della coscienza, leggendo autori come Antonio Damasio o David Chalmers, che affrontano direttamente il difficile problema di come l’attività cerebrale dia origine alla consapevolezza interiore.2. Sentimenti oltre la Corteccia
La teoria più diffusa sostiene che la coscienza si trovi nella parte esterna del cervello, chiamata corteccia cerebrale. Questa idea ha radici antiche, risalendo a filosofie che vedevano la mente come un insieme di sensazioni e ricordi, e fu rafforzata dai primi studi neurologici che localizzavano qui le capacità mentali più complesse. Nonostante questa visione consolidata, alcune osservazioni sollevano dubbi. Ad esempio, bambini nati senza corteccia o animali a cui è stata rimossa mostrano comportamenti che sembrano indicare una forma di coscienza. Queste creature non sono in uno stato vegetativo, ma mostrano reazioni emotive e riescono a compiere azioni finalizzate, suggerendo la presenza di un’esperienza interiore.Le prove che mettono in discussione l’idea della corteccia
Le ricerche più recenti mostrano che molte capacità che pensavamo dipendessero dalla corteccia possono in realtà funzionare anche senza consapevolezza. Ad esempio, una persona con ‘visione cieca’ non vede consapevolmente un oggetto, ma il suo cervello reagisce e può indicarne la posizione corretta. Allo stesso modo, persone con amnesia grave possono imparare nuove abilità senza ricordarsi di averle apprese. Anche informazioni mostrate per brevissimo tempo (in modo subliminale) possono influenzare il comportamento senza che la persona ne sia cosciente. Questi fatti dimostrano che l’attività della corteccia non è sempre legata alla coscienza. Inoltre, persone con gravi danni a parti della corteccia considerate fondamentali per il senso di sé o per collegare diverse informazioni, come l’insula o le aree prefrontali e cingolate, continuano a dire di sentirsi coscienti e di provare emozioni.Forse i sentimenti nascono altrove
Tutto questo porta a pensare che la coscienza, soprattutto l’aspetto del ‘sentire’, potrebbe non dipendere solo dalla corteccia. I sentimenti sembrano essere l’unica esperienza mentale che è per sua natura consapevole. È difficile immaginare un sentimento che esista senza che qualcuno lo stia provando. La capacità di sentire, di avere esperienze emotive, sembra rimanere anche quando le abilità di pensiero legate alla corteccia sono danneggiate. Per questo, la capacità di provare sensazioni e di essere consapevoli potrebbe avere origine in parti del cervello più antiche della corteccia.Se la coscienza e i sentimenti non sono nella corteccia, dove diavolo si troverebbero, e perché il capitolo non lo dice?
Il capitolo solleva dubbi legittimi sul ruolo esclusivo della corteccia per la coscienza e i sentimenti, presentando osservazioni interessanti su casi di danno cerebrale e percezione non cosciente. Tuttavia, l’argomentazione si ferma proprio sul più bello. Affermare che l’origine potrebbe essere in “parti del cervello più antiche” senza nominarle o spiegare come genererebbero l’esperienza cosciente lascia un vuoto enorme nell’argomentazione. Per colmare questa lacuna e capire quali strutture subcorticali (come il tronco encefalico o il talamo) potrebbero essere implicate, e su quali basi empiriche o teoriche, sarebbe utile approfondire gli studi di neuroscienziati come Antonio Damasio o Jaak Panksepp, che hanno esplorato il ruolo delle strutture sottocorticali nelle emozioni e nella coscienza primaria.3. Sentimenti: La Bussola Interiore della Coscienza
I sentimenti sono sensazioni che proviamo consapevolmente, che ci sembrano “buone” o “cattive”. Questa qualità ci dice come stanno i nostri bisogni fondamentali e ci spinge ad agire. Per esempio, la sete è una sensazione sgradevole perché bere è essenziale per vivere, mentre dissetarsi è piacevole. I sentimenti ci informano su cosa succede dentro di noi a livello biologico e ci motivano a fare qualcosa. A differenza di quello che vediamo o sentiamo con i sensi, non possiamo ignorare o cambiare i sentimenti senza mettere a rischio la nostra sopravvivenza.I sentimenti sono sempre consapevoli
I sentimenti esistono solo se ne siamo consapevoli. Se un bisogno non viene percepito, non diventa un sentimento. Il nostro corpo gestisce molti bisogni in automatico, senza che ce ne accorgiamo, grazie a un sistema interno. Ma quando un bisogno richiede che facciamo qualcosa di nostra volontà, ecco che interviene la coscienza. Anche i bisogni legati alle emozioni, che sono spesso più complicati e dipendono dalle relazioni con gli altri, creano sentimenti che tendono a durare più a lungo.Come i sentimenti guidano le nostre azioni
Diamo più importanza ai bisogni che sentiamo rispetto a quelli di cui non siamo consapevoli. Decidiamo quale bisogno affrontare in base alla situazione e a quanto è forte. Quando un bisogno diventa chiaro nella nostra mente, ci spinge a compiere azioni deliberate. Queste azioni volontarie si basano su decisioni prese sul momento, guidate da un sistema di valori che nasce dai nostri sentimenti. Questo ci dà un vantaggio importante: ci permette di reagire in modo efficace anche in situazioni nuove o inaspettate. La funzione principale dei sentimenti, dal punto di vista biologico, è proprio quella di aiutarci a muoverci nel mondo quando le cose non sono certe. Ci permettono di capire se un’azione ci farà stare meglio o peggio. Impariamo dalle nostre esperienze grazie a un principio semplice: le conseguenze delle nostre azioni che percepiamo come positive o negative sono quelle che ci insegnano cosa fare in futuro.Le origini dei sentimenti nel cervello
Le radici dei sentimenti e della coscienza si trovano in una parte profonda del cervello chiamata tronco cerebrale. Anche piccoli danni in quest’area possono portare al coma. Stimolare specifiche zone del tronco cerebrale può farci provare stati emotivi precisi. Sempre nel tronco cerebrale c’è un sistema che genera l’energia e l’attenzione (l’eccitamento) che serve alla parte più esterna del cervello (la corteccia) per essere cosciente. Questa energia regola come funziona la corteccia. Il punto chiave in cui si passa dalle reazioni automatiche alle azioni volontarie guidate dai sentimenti è una zona chiamata grigio periacqueduttale (PAG), che si trova nella parte centrale del cervello (il mesencefalo). Il PAG riceve tutte le informazioni sui nostri stati emotivi e le combina con quello che percepiamo dal mondo esterno per decidere cosa è più importante fare. Questa zona nel mesencefalo, che funziona come un “centro decisionale”, è considerata l’origine della nostra volontà e delle nostre intenzioni. Agire volontariamente significa continuamente verificare se quello che ci aspettiamo, basato su ricordi ed esperienze passate, sta succedendo davvero. I sentimenti ci dicono se le nostre previsioni e i nostri piani funzionano bene o male, soprattutto per quanto riguarda la nostra sopravvivenza. I segnali che ci dicono che qualcosa non va, sia a livello emotivo che fisico, arrivano nel mesencefalo per aiutarci a capire meglio il mondo e a scegliere le azioni future.Davvero la coscienza si riduce a un ‘sentire’ legato alla sopravvivenza e a specifiche aree cerebrali inferiori?
Il capitolo propone una visione della coscienza fortemente legata al ‘sentire’ e a meccanismi cerebrali di base legati alla sopravvivenza, individuando nelle aree inferiori del tronco encefalico il suo fulcro. Tuttavia, il dibattito scientifico e filosofico sulla natura della coscienza è ancora molto aperto e complesso. Esistono numerose altre teorie che enfatizzano aspetti diversi, come l’integrazione delle informazioni, lo spazio di lavoro globale o i processi predittivi, e che considerano il coinvolgimento di aree cerebrali ben più estese e complesse rispetto a quelle inferiori. Per avere un quadro più completo, è fondamentale esplorare le diverse prospettive in neuroscienze e filosofia della mente, leggendo autori come Giulio Tononi, Stanislas Dehaene, Daniel Dennett o Christof Koch.7. La Coscienza: Un Affetto Radicato nell’Omeostasi
La coscienza ha le sue radici profonde negli affetti e nei meccanismi di base che mantengono in equilibrio gli organismi viventi, un processo chiamato omeostasi. I sistemi viventi che si auto-organizzano hanno un loro “punto di vista”, una forma di soggettività, perché percepiscono e registrano quando i loro parametri vitali si discostano dall’equilibrio, avvertendoli come bisogni. Questi bisogni non sono neutri; gli affetti danno loro una qualità emotiva, piacevole o spiacevole, che spinge l’organismo ad agire per ristabilire l’armonia interna. Questa percezione delle variazioni interne e la spinta ad agire permettono di fare scelte, aumentando così le possibilità di sopravvivenza.La coscienza tra storia e filosofia
Nel corso della storia, la ricerca sulla mente ha visto opinioni diverse. Nell’Ottocento, c’era chi pensava che negli esseri viventi ci fossero elementi non solo fisici, mentre altri scienziati erano convinti che solo le leggi della fisica e della chimica fossero rilevanti. Anche un grande studioso come Freud cercò all’inizio di spiegare la mente solo con particelle materiali, ma poi abbandonò questa idea. Oggi, l’idea più diffusa è che la mente, e con essa la coscienza, nasca dall’attività del cervello. Questo porta a distinguere tra il problema “facile” della coscienza, che consiste nell’individuare quali aree del cervello sono attive quando siamo coscienti, e il problema “difficile”, che chiede come l’attività del cervello si trasformi nell’esperienza che proviamo, nel “cosa si sente a essere” un certo organismo. Tuttavia, chiedersi come qualcosa di “oggettivo” produca qualcosa di “soggettivo” non è forse il modo migliore di porre la questione; oggettività e soggettività potrebbero essere semplicemente due modi diversi di guardare allo stesso processo fondamentale, non una causa e un effetto distinti.Affetti: la forma primaria di coscienza
Molte funzioni del nostro corpo, anche quelle legate al pensiero o all’apprendimento, possono avvenire senza che ne siamo consapevoli. Il problema della coscienza sorge perché l’esecuzione di queste funzioni è accompagnata da un’esperienza interna. Ma c’è una differenza fondamentale: le funzioni affettive, i sentimenti, sono per loro stessa natura avvertiti. Non si può avere un sentimento senza sentirlo. La coscienza più elementare, quella che ci permette di “essere presenti” nel mondo, dipende in modo cruciale da una parte specifica del cervello: il sistema reticolare attivante che si trova nel tronco encefalico superiore. Un danno anche piccolo in quest’area può cancellare completamente la coscienza. La coscienza che nasce da questa parte antica del cervello ha un contenuto particolare: gli affetti. Sono gli affetti la forma più originaria di coscienza, quella che fonda l’esistenza stessa di un essere che sente e prova.Bisogni, azioni e previsioni
I bisogni che derivano dall’omeostasi vengono valutati e classificati per importanza in un’altra area del cervello, il mesencefalo. Questo innesca programmi di azione specifici. Le azioni che nascono dai bisogni più urgenti e dalle emozioni associate sono quelle che percepiamo come volontarie. Sono scelte che facciamo “qui e ora” per cercare di ridurre l’incertezza su come soddisfare al meglio quel bisogno. La coscienza sembra emergere proprio in relazione a queste previsioni sul futuro prossimo e alla loro precisione. Anche la percezione del mondo esterno, quella che chiamiamo coscienza esterocettiva, funziona come un processo continuo di previsione, cercando di rendere queste previsioni sempre più accurate e automatiche. Quando questo processo di automatizzazione fallisce o incontra ostacoli, possiamo provare sofferenza. Alla base di molti comportamenti e della spinta ad agire c’è un sistema fondamentale chiamato RICERCA, che ci spinge all’esplorazione e all’azione preventiva per eliminare l’incertezza, manifestandosi spesso come curiosità.La coscienza come fenomeno naturale
I meccanismi che spiegano perché la coscienza esiste e come funziona, sia dal punto di vista oggettivo che soggettivo, possono essere ricondotti alle leggi naturali. Queste leggi governano processi come l’auto-organizzazione degli esseri viventi e la loro capacità di resistere al disordine (entropia). Questo significa che la coscienza non è qualcosa di mistico o separato, ma è parte integrante della natura stessa e, in linea di principio, può essere studiata e compresa anche attraverso modelli matematici. C’è un punto importante da notare: tutti i sistemi che finora conosciamo come coscienti sono organismi viventi, ma non tutti gli organismi viventi sono considerati coscienti. Questa osservazione suggerisce che un sistema, anche non biologico, che fosse capace di “auto-verificarsi”, cioè di monitorare il proprio stato interno in relazione all’equilibasi omeostatica o a un principio simile, potrebbe teoricamente essere dotato di coscienza artificiale. La creazione di una coscienza artificiale è quindi una possibilità concreta, che realizzerebbe aspirazioni antiche, ma è un percorso che richiede estrema cautela per le profonde implicazioni e le potenziali conseguenze.Ma l’esperienza soggettiva, il “cosa si prova”, si riduce davvero alla sola percezione di bisogni omeostatici e affetti primari?
Il capitolo propone una visione affascinante, radicando la coscienza nei meccanismi di base della vita e negli affetti. Tuttavia, l’argomento non affronta a fondo il nodo cruciale: come la semplice percezione di uno stato interno o un impulso affettivo si trasformi nell’esperienza qualitativa che proviamo, nel ‘rosso’ del rosso o nel ‘dolore’ del dolore. Questo è il cosiddetto ‘problema difficile’ della coscienza, un tema su cui il dibattito scientifico e filosofico è ancora apertissimo e lontano dal trovare un consenso unanime. Per esplorare a fondo questa lacuna, è utile confrontarsi con le diverse posizioni nel campo della filosofia della mente e delle neuroscienze cognitive, approfondendo autori che hanno esplicitamente formulato il problema difficile (come David Chalmers) e le varie teorie che cercano di affrontarlo (come la Global Workspace Theory o l’Integrated Information Theory), che offrono prospettive alternative o complementari a quella basata primariamente sugli affetti.Abbiamo riassunto il possibile
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