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RISPOSTA: “La finestra sul male. Temi di etica kantiana nell’opera di Hitchcock” di Ermanno Bencivenga è un viaggio affascinante nel cinema di un maestro come Alfred Hitchcock, visto attraverso la lente della filosofia morale di Immanuel Kant. Il libro esplora come film iconici come “La finestra sul cortile”, “Il sospetto”, “L’ombra del dubbio”, “Psycho” e “Complotto di famiglia” siano un terreno fertile per indagare concetti kantiani come il sospetto perpetuo, la difficoltà di raggiungere la certezza morale e l’ambiguità della natura umana, spesso incline al “male radicale”. Bencivenga ci porta a scoprire come la “coscienza critica”, quell’occhio che non dorme e scruta senza sosta, sia un tema ricorrente, capace di svelare il male nascosto nelle abitudini quotidiane, ma anche di mostrare l’impotenza della ragione di fronte agli istinti e alle pulsioni. Attraverso l’analisi di personaggi indimenticabili e situazioni cariche di tensione, il libro ci invita a riflettere sulla responsabilità di fronte al caos, sulla costruzione della realtà e su come, anche di fronte all’imprevedibile, possiamo scegliere di agire secondo principi morali, scoprendo che la bellezza può essere un tramite verso una realtà ideale.Riassunto Breve
Il cinema di Alfred Hitchcock, analizzato attraverso la filosofia morale di Immanuel Kant, rivela una profonda connessione tra il sospetto perpetuo e l’indagine sulla natura umana presente nei suoi film e i principi kantiani sull’etica e la difficoltà di raggiungere la certezza morale. In opere come “La finestra sul cortile”, il protagonista Jefferies incarna questo sospetto, interpretando ogni azione dei vicini come potenzialmente criminale, riflettendo la posizione kantiana secondo cui la morale non può basarsi solo sulla razionalità o sulla probabilità, ma deve considerare anche la remota possibilità del male. Kant stesso sottolinea l’impossibilità di essere certi della purezza delle proprie motivazioni, poiché impulsi segreti possono sempre celarsi. L’incapacità di provare l’innocenza al di là di ogni ragionevole dubbio e la continua ricerca di “errori” si traducono nel sospetto incessante di Jefferies. Nei film “Il sospetto” e “L’ombra del dubbio”, il tema del sospetto si estende alle relazioni familiari e all’ambiguità dei personaggi, mostrando come le apparenze possano ingannare e come persone apparentemente buone possano nascondere lati oscuri. Questo si lega all’idea kantiana del “male radicale” nella natura umana, che richiede un costante esame di sé e degli altri per evitare di essere ingannati dalle apparenze o dalle proprie debolezze morali.La coscienza morale, vista come un “occhio che non dorme”, scruta senza sosta per cogliere il pattern complessivo e la logica sottostante delle azioni, andando oltre le semplici intenzioni. Per Kant, la moralità si fonda sul comportamento effettivo, analizzato nella sua totalità, in un processo di auto-osservazione continuo e mai completo. Questa “coscienza critica” può apparire eccentrica, come dimostra la reazione di Lisa a Jefferies ne “La finestra sul cortile”, la cui insistenza nel voler scoprire la verità, anche a costo di infrangere le convenzioni sociali, riflette una ricerca di realtà che va oltre l’apparenza. Sebbene questo sguardo possa apparire spaventoso, è necessario per svelare il male nascosto nelle abitudini quotidiane. Tuttavia, la ragione, pur essendo lo strumento di questa coscienza critica, si rivela spesso impotente nel determinare l’azione. Le decisioni umane sono guidate da fattori naturali, istinti e pulsioni, piuttosto che da principi razionali. Anche il sistema giudiziario mostra questa impotenza, con decisioni influenzate da passioni e circostanze esterne. La ragione, pur potendo giudicare, non ha la capacità di “muovere” o influenzare concretamente il corso degli eventi, lasciandola come un osservatore inerme di fronte alla realtà.La ragione, pur essendo fondamentale per il giudizio morale, necessita di “esecutori materiali” come inclinazioni, sentimenti e abitudini per agire. Kant riconosce che questi sentimenti, pur non avendo autorità assoluta, guidano le nostre azioni. Nei film di Hitchcock, questo si manifesta in personaggi come Jefferies in “La finestra sul cortile”, che osserva senza poter intervenire direttamente, mentre altri, mossi da motivazioni più terrene, compiono le azioni necessarie. L’ossessione di Jefferies diventa una motivazione empirica per la sua indagine. Il tema del “doppio” in film come “L’altro uomo” e “La donna che visse due volte” esplora come una parte di noi possa agire indipendentemente o come una persona possa essere vista come un riflesso di un’altra, mettendo in luce la complessità del giudizio morale e dell’autocoscienza. In “Psycho”, Hitchcock crea un’esperienza immersiva che sottolinea come la coscienza possa “allucinare” un crimine dalla suggestione. In “Caccia al ladro”, la responsabilità morale si estende all’imitazione dello stile altrui, sollevando interrogativi sulla nostra responsabilità e sul nostro legame con le azioni passate o l’esempio che diamo. La bellezza, come in Platone e Kant, diventa un simbolo del bene, un tramite verso una realtà ideale che guida, anche quando chi agisce nel mondo concreto è mosso da motivazioni più terrene.La libertà e la moralità kantiana implicano che un’azione veramente libera e morale derivi da una pura ragione logica, universale e non influenzata da inclinazioni personali. Non si può mai essere certi di aver compiuto un atto del genere, ma si sa cosa significherebbe. La libertà, per Kant, è la capacità di agire secondo la ragione, che comanda solo il bene; fare il male è una debolezza, un “venire meno” del proprio potere. Il male, in questa prospettiva, non ha principi propri, ma è il risultato del silenzio della ragione e del concatenarsi di cause naturali. Questo concetto si riflette nei film di Hitchcock, dove personaggi innocenti si ritrovano coinvolti in situazioni più grandi di loro. In “La congiura degli innocenti”, persone innocenti si assumono la responsabilità di un evento, semplicemente perché non riescono a mostrarsi indifferenti. In “Intrigo internazionale”, Roger Thornhill, un uomo comune, viene travolto da un intrigo e decide di farsi carico della situazione, trasformando la storia altrui nella propria. In “L’uomo che sapeva troppo”, Jo McKenna interviene per salvare una situazione, mettendo in pericolo il figlio ma agendo secondo un senso di responsabilità più ampio, mentre la canzone “Que sera, sera” sottolinea l’imprevedibilità del futuro e invita a un sacrificio del bene personale per un bene comune e razionale. In “Sabotatori”, Barry Kane, accusato ingiustamente, prende in mano la situazione per dimostrare la sua estraneità ai crimini, rischiando la vita per salvare il “cattivo”. “Il delitto perfetto” esplora l’idea del male come una serie di errori e progetti falliti, piuttosto che come un piano diabolico con una logica propria, definendolo “stupido”. In “Io confesso”, il contrasto tra la logica della morale e quella della natura evidenzia l’inconsistenza dell’istanza maligna, incarnata da Otto Keller, le cui azioni sono un groviglio di contraddizioni e debolezze.Per Kant, la realtà non è fatta di oggetti già pronti, ma è qualcosa che la mente costruisce. La nostra mente, attraverso concetti, dà forma alla realtà da un insieme disordinato di elementi. Se il concetto di “diamante” non viene attivato, anche se è lì, non lo vediamo. Questo concetto di “sintesi del molteplice” si ritrova in “Complotto di famiglia”, dove i diamanti nascosti nel lampadario dimostrano che, senza i concetti giusti, non vediamo le cose per quello che sono. Hitchcock usa questa idea per mostrare come i personaggi vivano in mondi diversi, interpretando gli stessi eventi in modi differenti. L’ambiguità finale del film, lasciando allo spettatore la libertà di interpretare un gesto, riflette l’idea che la realtà possa essere interpretata in modi diversi, proprio come suggerito dalla filosofia di Kant sulla costruzione della realtà.Riassunto Lungo
La morale kantiana nel cinema di Hitchcock: un’analisi del sospetto
Il sospetto come lente kantiana
Il cinema di Alfred Hitchcock, in particolare film come “La finestra sul cortile”, “Il sospetto” e “L’ombra del dubbio”, si presta a un’analisi attraverso la filosofia morale di Immanuel Kant. L’idea centrale è che la visione del mondo di Hitchcock, caratterizzata da un sospetto costante e da una profonda indagine sulla natura umana, trovi un parallelo nel pensiero kantiano, soprattutto per quanto riguarda l’etica e la difficoltà di raggiungere la certezza morale.“La finestra sul cortile”: il dubbio perpetuo
In “La finestra sul cortile”, il protagonista L.B. Jefferies incarna questo sospetto perpetuo. Ogni azione dei vicini viene interpretata come potenzialmente criminale, anche quando esistono spiegazioni razionali. Questo atteggiamento riflette la posizione kantiana secondo cui la morale non può basarsi solo su ciò che è ragionevole o probabile, ma deve considerare anche la possibilità, per quanto remota, del male. Kant stesso sottolinea come sia impossibile essere certi della purezza delle proprie motivazioni morali, poiché possono sempre celarsi impulsi segreti o influenze esterne. L’incapacità di provare l’innocenza al di là di ogni ragionevole dubbio, e la continua ricerca di “errori” o “note stonate”, come suggerito da Kant, si traduce nel sospetto incessante di Jefferies.Relazioni familiari e ambiguità: “Il sospetto” e “L’ombra del dubbio”
Nei film “Il sospetto” e “L’ombra del dubbio”, il tema del sospetto viene esplorato attraverso le relazioni familiari e l’ambiguità dei personaggi. In “Il sospetto”, la protagonista dubita del marito, temendo che sia un assassino. In “L’ombra del dubbio”, la nipote sospetta dello zio. Entrambi i film mostrano come le apparenze possano ingannare e come le persone, anche quelle apparentemente buone, possano nascondere lati oscuri. Questo si collega all’idea kantiana che la natura umana sia intrinsecamente incline al male, il cosiddetto “male radicale”. Di conseguenza, è necessario un costante esame di sé e degli altri, un “lavorare alla propria salvezza con timore e tremore”, per evitare di essere ingannati dalle apparenze o dalle proprie debolezze morali.Hitchcock e Kant: un’indagine morale senza fine
In definitiva, il cinema di Hitchcock, con la sua enfasi sul dubbio, sull’ambiguità morale e sulla complessità delle motivazioni umane, offre un terreno fertile per esplorare i principi kantiani. Sia nel cinema che nella filosofia, non esiste una fine definitiva o una certezza assoluta, ma piuttosto un continuo processo di indagine e un’apertura all’enigma morale.È davvero la morale kantiana, con la sua enfasi sulla ragione e sul dovere, la lente più adatta per analizzare il sospetto hitchcockiano, o non si rischia di forzare un’analogia che ignora la natura intrinsecamente irrazionale e viscerale delle paure rappresentate dal regista?
Il capitolo stabilisce un parallelo tra il sospetto nel cinema di Hitchcock e la filosofia morale kantiana, suggerendo che entrambi affrontano l’incertezza morale e la complessità della natura umana. Tuttavia, l’argomentazione potrebbe beneficiare di un’ulteriore esplorazione della potenziale dissonanza tra l’approccio razionale di Kant e le manifestazioni emotive e spesso irrazionali del sospetto nel cinema. Per approfondire, sarebbe utile considerare autori che esplorano la psicologia del sospetto e dell’angoscia, come Freud, o filosofi che analizzano la natura delle emozioni e dell’inconscio, come Bergson o Lacan, per comprendere se la struttura morale kantiana sia sufficiente a cogliere tutte le sfumature del sospetto hitchcockiano.1. L’Occhio Che Non Dorme e la Ragione Inerme
La Coscienza Morale come Osservazione Continua
La coscienza morale agisce come un occhio che scruta senza sosta, andando oltre le semplici intenzioni per cogliere la logica sottostante alle azioni. Questo sguardo interiore non si limita a osservare, ma cerca di comprendere il quadro generale, analizzando il comportamento nella sua interezza. Per Kant, la moralità si fonda su ciò che facciamo realmente, non solo su ciò che pensiamo di fare. Questo processo di auto-osservazione è un’indagine costante e graduale, un cammino di scoperta di sé che si sviluppa “poco a poco”.La Ricerca della Verità Oltre le Apparenze
Questa “coscienza critica” può apparire eccentrica o persino morbosa a chi non condivide questa visione penetrante, come dimostra la reazione di Lisa a Jefferies nel film “La finestra sul cortile”. La sua determinazione nel voler scoprire la verità, anche a costo di infrangere le convenzioni sociali, rivela una ricerca di autenticità che va oltre la superficie delle cose. Questo sguardo, sebbene possa incutere timore, è essenziale per smascherare il male che spesso si cela nelle abitudini quotidiane.L’Impotenza della Ragione di Fronte agli Istinti
Tuttavia, la ragione, pur essendo lo strumento principale di questa coscienza critica, si dimostra spesso impotente nel guidare l’azione. Come spesso accade nei film di Hitchcock, le decisioni umane sono influenzate da fattori naturali, istinti e pulsioni, piuttosto che da principi razionali. Anche il sistema giudiziario, che dovrebbe rappresentare la giustizia, manifesta questa stessa debolezza, poiché le sue sentenze sono frequentemente condizionate da passioni e circostanze esterne, piuttosto che da una logica morale pura. La ragione, quindi, pur avendo la capacità di giudicare, non possiede il potere di “muovere” o incidere concretamente sul corso degli eventi. La sua impotenza è tale che, anche quando le idee sono chiare, sono le forze innate a dirigere il comportamento, lasciando la ragione come un osservatore inerme di fronte alla realtà.Se la ragione è così inerme di fronte agli istinti, come può la coscienza morale, che si fonda su di essa, guidare efficacemente l’azione umana e smascherare il male quotidiano?
Il capitolo dipinge un quadro in cui la ragione, pur essendo lo strumento della coscienza critica, è impotente di fronte agli istinti, lasciando l’individuo in uno stato di osservazione passiva. Questo solleva un interrogativo fondamentale sulla capacità effettiva della moralità di incidere sulla realtà, se la sua stessa base razionale è così debole. Per colmare questa lacuna argomentativa, sarebbe utile esplorare le dinamiche psicologiche e filosofiche che permettono alla ragione di esercitare un’influenza, seppur limitata, sulle pulsioni. Approfondire le teorie sulla volontà e sull’autocontrollo, magari consultando autori come Spinoza o studiando le neuroscienze cognitive che indagano i meccanismi decisionali, potrebbe fornire un quadro più completo. È necessario comprendere come la “ragione inerme” possa, in determinate circostanze, trovare la forza per “muovere” l’azione, superando la mera osservazione passiva degli istinti.La Ragione e i Suoi Esecutori nel Cinema di Hitchcock
Il Limite della Ragione e il Ruolo delle Inclinazioni
La ragione, pur essendo fondamentale per formulare giudizi morali, si rivela spesso incapace di agire direttamente nel mondo concreto. Per trasformare un’idea in un’azione, la ragione ha bisogno di “esecutori materiali”, che sono le nostre inclinazioni, i sentimenti e le abitudini. Anche Immanuel Kant, pur basando la sua filosofia morale sull’imperativo categorico e sulla supremazia della ragione, riconosceva che i sentimenti, come il piacere che deriva da un’azione giusta o il disgusto per un’azione sbagliata, pur non avendo un’autorità assoluta, giocano un ruolo importante nel guidare il nostro comportamento.Motivazioni Terrene e Osservazione Passiva
Nei film di Alfred Hitchcock, questo complesso rapporto tra ragione, sentimento e azione viene esplorato attraverso diversi personaggi e situazioni. In “La finestra sul cortile”, ad esempio, il protagonista Jefferies, pur rappresentando una sorta di “coscienza critica” che osserva gli eventi, non può intervenire direttamente a causa della sua condizione fisica. Sono altri personaggi, come Lisa, Stella e Doyle, mossi da motivazioni più concrete e terrene, a compiere le azioni necessarie per portare avanti l’indagine. Lo stesso Jefferies trova nella sua ossessione, una motivazione empirica che lo spinge a indagare, superando i limiti imposti dalla sua immobilità.Il Tema del Doppio e la Complessità del Giudizio Morale
Il concetto del “doppio” è un elemento ricorrente e centrale in molte opere di Hitchcock, come dimostrano film quali “L’altro uomo” e “La donna che visse due volte”. Queste pellicole analizzano come una parte di noi possa agire in modo autonomo, o come una persona possa essere vista come il riflesso di un’altra. Questo approccio mette in luce la profonda complessità del giudizio morale e del processo di autocoscienza. In “L’altro uomo”, il personaggio di Bruno incarna una parte oscura di Guy che quest’ultimo rifiuta, ma da cui è segretamente attratto, realizzando così i desideri inespressi di Guy. In “La donna che visse due volte”, la protagonista Judy assume le sembianze sia di Carlotta Valdes che di sé stessa, incarnando la scissione dell’io e la profonda riflessione della coscienza su sé stessa.Innovazione Narrativa e Immersione dello Spettatore
Con “Psycho”, Hitchcock rivoluziona il modo in cui lo spettatore interagisce con il film. La sua insistenza nel far vedere la storia dall’inizio e nel non rivelare il finale crea un’esperienza profondamente immersiva. Questo espediente narrativo sottolinea come la coscienza possa essere portata a “allucinare” un crimine, anche solo attraverso la suggestione di un racconto.Responsabilità Morale e Influenza Esterna
In “Caccia al ladro”, il tema della responsabilità morale viene ulteriormente approfondito, estendendosi all’idea di imitare lo stile altrui. Questo solleva interrogativi significativi su dove finisca la nostra responsabilità personale e quanto siamo influenzati dalle nostre azioni passate o dall’esempio che offriamo agli altri. La bellezza, in un’ottica che richiama sia Platone che Kant, diventa un simbolo del bene, un tramite verso una realtà ideale che ci guida, anche quando coloro che agiscono nel mondo concreto sono mossi da motivazioni più terrene.Se la ragione pura kantiana indica universalmente il bene e il male è solo debolezza, come si spiega la persistenza storica e la complessità del male nelle azioni umane, al di là di semplici “errori” o “mancanze di ragione”?
Il capitolo presenta una visione del male come pura assenza di ragione o debolezza, equiparando le azioni malvagie a “errori” o “progetti che falliscono”, come nel caso di “Il delitto perfetto”. Tuttavia, questa interpretazione potrebbe non cogliere la complessità del male, che in alcune correnti filosofiche e psicologiche viene analizzato come una forza autonoma, un’intenzionalità o persino una scelta radicata nella natura umana, piuttosto che una mera deficienza razionale. Per approfondire questa prospettiva, sarebbe utile esplorare le opere di autori che hanno indagato la natura del male da angolazioni diverse, come Hannah Arendt, che ha teorizzato la “banalità del male”, o Friedrich Nietzsche, che ha analizzato la volontà di potenza e le sue implicazioni morali. Un’analisi più approfondita delle dinamiche psicologiche e sociali che portano all’agire malvagio, al di là della semplice assenza di ragione, potrebbe fornire un quadro più completo e sfumato.2. La realtà come costruzione e i diamanti nel lampadario
La mente come costruttrice della realtà
Per Kant, la realtà non è un insieme di oggetti già pronti, ma qualcosa che costruiamo noi stessi. Tutto inizia da un disordine di elementi, una sorta di materiale grezzo. Da questo materiale, la nostra mente ha la capacità di creare mondi diversi, come il mondo della natura o, aspetto fondamentale, il mondo della morale. Questa prospettiva è essenziale per comprendere l’etica: se le nostre azioni fossero solo il risultato di cause naturali, non potremmo parlare di libertà o di scelte morali. Kant, con la sua “rivoluzione copernicana”, ha cambiato il modo di pensare. Non sono gli oggetti a determinare la nostra conoscenza, ma è la nostra mente che dà forma alla realtà attraverso i concetti che possiede.La sintesi del molteplice nel cinema di Hitchcock
Questo concetto di “sintesi del molteplice”, ovvero la capacità della mente di organizzare e dare senso a ciò che percepiamo, trova un interessante parallelo nel cinema di Alfred Hitchcock, in particolare nel suo ultimo film, “Complotto di famiglia”. La storia segue una medium, Blanche, e il suo amico tassista, George, che si ritrovano coinvolti con una coppia di criminali dediti a rapine per ottenere diamanti.I diamanti nel lampadario: un esempio kantiano
Il punto centrale del film, e il suo legame con il pensiero di Kant, è rappresentato dai diamanti nascosti nel lampadario. La loro “invisibilità” non deriva dalla loro materia, ma dal fatto che non vengono riconosciuti. Ci aspettiamo di trovare oggetti preziosi come i diamanti in luoghi specifici, ad esempio una cassaforte, e non in un lampadario. Questo dimostra chiaramente come, secondo Kant, senza i concetti appropriati, non riusciamo a vedere le cose per quello che sono. La nostra mente, utilizzando i concetti, costruisce il mondo a partire da un insieme di dati sensoriali. Se il concetto di “diamante” non è presente o attivo, anche se l’oggetto è lì, non lo percepiamo.Interpretazioni multiple della realtà
Hitchcock sfrutta questa idea per illustrare come i suoi personaggi vivano in mondi interpretativi differenti, dando un senso diverso agli stessi eventi. Il film si conclude lasciando un’ambiguità significativa riguardo al significato di un gesto finale compiuto da Blanche. Questa scelta narrativa lascia allo spettatore la libertà di interpretare se si tratti di un inganno premeditato o di un autentico contatto con l’aldilà. Questa incertezza finale riflette l’idea che la realtà possa essere percepita e interpretata in modi diversi, proprio come suggerito dalla filosofia kantiana sulla costruzione attiva della realtà da parte della mente umana.Se la mente costruisce la realtà attraverso i concetti, come possiamo essere certi che i concetti che utilizziamo siano quelli “giusti” per cogliere la realtà oggettiva, e non piuttosto un’illusione creata dalla nostra stessa mente?
Il capitolo stabilisce un parallelo tra la filosofia kantiana e il cinema di Hitchcock, suggerendo che la nostra percezione della realtà è filtrata dai concetti che possediamo, esemplificando questo con l’idea dei diamanti invisibili nel lampadario. Tuttavia, l’argomentazione non affronta adeguatamente la questione epistemologica fondamentale: se la nostra comprensione del mondo è intrinsecamente legata ai nostri concetti, come possiamo validare questi concetti stessi? L’idea che la mente “costruisca” la realtà, sebbene illuminante, potrebbe portare a un relativismo radicale dove ogni interpretazione è egualmente valida, senza un ancoraggio a una realtà esterna verificabile. Per approfondire questo aspetto, sarebbe utile esplorare le critiche al kantismo, in particolare quelle che mettono in discussione la possibilità di conoscere il “noumeno”, la cosa in sé. Autori come Friedrich Nietzsche, con la sua critica alla metafisica e al concetto di verità assoluta, o filosofi che si sono occupati di scetticismo e di teoria della conoscenza, come David Hume, potrebbero offrire prospettive utili per comprendere i limiti della nostra capacità conoscitiva e la natura della costruzione della realtà. Inoltre, un’analisi più approfondita delle neuroscienze cognitive potrebbe fornire spunti su come il cervello elabora le informazioni sensoriali e crea modelli della realtà, mettendo in luce sia le capacità che le potenziali distorsioni del processo percettivo.Abbiamo riassunto il possibile
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