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Informazioni
ti porta in un viaggio super interessante che parte dalla lotta contro la pellagra, una malattia terribile che colpiva i poveri in posti come il Sud degli Stati Uniti e l’Italia, per arrivare al problema opposto di oggi: l’obesità. Il libro confronta come USA e Italia hanno sconfitto la pellagra – gli americani fortificando il cibo con vitamine come la niacina, gli italiani più con la dieta tradizionale – e si chiede perché oggi l’obesità sia così diffusa negli Stati Uniti ma molto meno in Nord Italia, nonostante mangino cibi “grassi”. Schatzker esplora l’idea che il nostro corpo abbia un punto prefissato per il peso e che il cervello usi il piacere per guidarci, ma poi scopre che la dopamina non è piacere, è solo “voglia”, un desiderio che i cibi processati e lo squilibrio nutritivo sfruttano, creando incertezza e spingendoci a mangiare di più senza vero gradimento. È come se il cibo moderno, pieno di additivi e vitamine aggiunte tramite fortificazione, ingannasse il nostro sistema metabolico, facendoci ingrassare come animali da allevamento. Ma c’è speranza: il libro suggerisce che riscoprire il vero piacere, il “gradimento” del cibo di qualità, come si fa nella cultura italiana che vede il cibo come esperienza e non solo nutrizione, potrebbe essere la chiave per spegnere le “voglie” e ritrovare un rapporto sano con quello che mangiamo.Riassunto Breve
Si osserva che la pellagra, una malattia da carenza legata a una dieta povera, è stata debellata in modi diversi negli Stati Uniti e in Italia. Negli Stati Uniti si è ricorsi all’arricchimento degli alimenti base con vitamine come la niacina, mentre in Italia si è promosso il consumo di cibi tradizionali. Oggi, nonostante la pellagra sia rara in entrambi i paesi, gli Stati Uniti presentano tassi di obesità molto più elevati rispetto all’Italia, in particolare al Nord, dove la dieta tradizionale include cibi ricchi di grassi e carboidrati. Questo paradosso suggerisce che le cause dell’obesità non si riducono semplicemente all’apporto di grassi o zuccheri. Il corpo umano possiede un sistema di autoregolazione che tende a mantenere il peso intorno a un punto prefissato, guidato da sensazioni di piacere e disagio legate allo stato interno. Tuttavia, il cervello distingue tra “voglia” (il desiderio di cercare cibo, legato alla dopamina) e “gradimento” (il piacere effettivo nel consumarlo). I cibi moderni, spesso processati e contenenti additivi come dolcificanti artificiali, creano uno “squilibrio nutritivo”: attivano la “voglia” imitando sapori gratificanti ma non forniscono le calorie o i nutrienti attesi. Questa discrepanza genera incertezza per il cervello, che reagisce aumentando la “voglia” per compensare una carenza percepita. L’arricchimento degli alimenti, fornendo vitamine essenziali per il metabolismo, permette al corpo di processare grandi quantità di calorie da cibi altrimenti poveri senza che si manifestino carenze evidenti, bypassando il meccanismo naturale che spinge a cercare una dieta varia per ottenere tutti i nutrienti. L’approccio statunitense, che tratta il cibo principalmente come fonte di nutrienti, contrasta con quello italiano, che lo considera un’esperienza culturale e di piacere. La capacità di provare “gradimento” per cibi di qualità, anche in piccole quantità, può contrastare la “voglia” incontrollata indotta dai cibi moderni, suggerendo che riscoprire il piacere autentico del cibo possa essere una strategia per gestire l’epidemia di obesità.Riassunto Lungo
1. Il paradosso del cibo: dalla pellagra all’obesità
La pellagra è una malattia grave che nel XVIII secolo si diffonde in Italia e all’inizio del XX secolo negli Stati Uniti, colpendo in particolare le persone povere. Questa malattia causa lesioni sulla pelle, diarrea e seri problemi neurologici, potendo portare anche alla morte. Le persone colpite si nutrono principalmente di mais, melassa e grasso di maiale, e per molto tempo circolano diverse teorie sulla causa della malattia, dall’infezione ai parassiti, ma nessuna si rivela corretta.Negli Stati Uniti, il dottor Joseph Goldberger dimostra che la pellagra non è una malattia contagiosa, ma è strettamente legata alla dieta. Attraverso esperimenti condotti su orfani e detenuti, riesce a provare che una dieta povera è la causa scatenante della malattia. Al contrario, l’aggiunta di alimenti nutrienti come latte e carne nella dieta previene l’insorgenza della pellagra. Queste ricerche portano alla scoperta che la pellagra è causata dalla mancanza di una sostanza essenziale, che in seguito viene identificata come niacina, nota anche come vitamina B3.Negli Stati Uniti, per debellare la pellagra, si adotta una strategia basata sull’arricchimento degli alimenti di base. Si decide di fortificare cibi comuni come farina, pasta e riso aggiungendo niacina e altre vitamine essenziali. Questa politica di fortificazione si dimostra estremamente efficace nel contrastare la malattia. Grazie a questo intervento mirato, i casi di pellagra diminuiscono drasticamente e rapidamente in tutto il paese.In Italia, l’approccio per combattere la pellagra è differente e più legato alle tradizioni alimentari. Il governo promuove il consumo di carne di coniglio e incoraggia la cottura del pane nei forni comuni, oltre al consumo di vino. Sebbene in modo più lento rispetto alla strategia americana, anche questi metodi contribuiscono significativamente a debellare la malattia. Questo avviene in parte perché alcuni degli alimenti promossi, come il lievito presente nel vino non filtrato, contengono naturalmente niacina, fornendo così la vitamina mancante nella dieta delle persone colpite.La situazione attuale: obesità e differenze tra paesi
Oggi, la pellagra è diventata una malattia rara sia negli Stati Uniti che in Italia, grazie alle misure adottate in passato. Tuttavia, emerge un nuovo e sorprendente contrasto legato alla salute e all’alimentazione. Il Sud degli Stati Uniti, che un tempo era conosciuto come la “fascia della pellagra” per l’alta incidenza della malattia, è ora tristemente noto come la “fascia dell’obesità”, registrando tassi estremamente elevati di persone in sovrappeso e obese.Parallelamente, il Nord Italia presenta tassi di obesità molto bassi, una situazione che appare sorprendente considerando che la dieta tradizionale di questa regione include molti alimenti ricchi di grassi e carboidrati. Cibi come burro, formaggio, lardo, pasta e dolci sono componenti abituali della cucina locale. Questa realtà contrasta fortemente con le teorie più diffuse sull’obesità, che tendono a incolpare principalmente l’eccessivo consumo di grassi, carboidrati e zuccheri come cause principali dell’aumento di peso.Non sembra esserci una spiegazione legata a presunti geni speciali degli italiani del Nord, né a una maggiore autodisciplina nel controllo del peso, né a un minor consumo di cibo poco salutare rispetto agli americani. Anche se la dieta tradizionale del Nord Italia è cambiata nel tempo, con un aumento del consumo di carne, formaggio e dolci rispetto al passato, l’apporto calorico totale pro capite è in realtà diminuito. Nonostante questi cambiamenti nella dieta, i tassi di obesità nella regione sono rimasti bassi, sfidando le aspettative basate sulle teorie nutrizionali convenzionali.La differenza fondamentale nel modo in cui i due paesi hanno affrontato e risolto il problema della pellagra potrebbe offrire un indizio cruciale per comprendere le attuali disparità nei tassi di obesità. Mentre gli Stati Uniti hanno puntato sull’arricchimento artificiale degli alimenti, l’Italia ha adottato un approccio più legato alla promozione di cibi tradizionali che contenevano naturalmente la vitamina necessaria. Questo suggerisce che le vitamine, considerate essenziali per la vita e la prevenzione di malattie da carenza, potrebbero avere un ruolo inatteso e complesso anche nei problemi legati al peso e al metabolismo.Ma è davvero così semplice collegare la soluzione di una malattia da carenza del passato all’epidemia di obesità di oggi, e puntare il dito sulle vitamine?
Il capitolo presenta un’ipotesi affascinante, ma il salto logico tra la sconfitta della pellagra e l’attuale problema dell’obesità, attribuendo un ruolo chiave alle vitamine nella prevenzione dell’aumento di peso, non trova ampio consenso nella comunità scientifica. L’obesità è un fenomeno complesso, influenzato da molteplici fattori metabolici, genetici, ambientali e comportamentali, ben oltre la semplice carenza o presenza di singole vitamine. Per approfondire la complessità di questi temi e valutare criticamente ipotesi come quella avanzata nel capitolo, è fondamentale studiare la nutrizione moderna, l’epidemiologia delle malattie croniche e il metabolismo umano. Autori come Walter Willett offrono prospettive basate su vaste ricerche epidemiologiche che evidenziano la multifattorialità dell’obesità.2. Il Punto Prefissato e la Spinta del Piacere
Il corpo umano possiede sistemi interni che lavorano per mantenere le cose stabili. Pensiamo alla temperatura corporea. La sensazione piacevole del caldo o del freddo non dipende solo dall’aria esterna, ma dallo stato interno del corpo. Il freddo è piacevole quando il corpo è troppo caldo, e il caldo è gradito quando il corpo è raffreddato. Questo meccanismo ci spinge naturalmente a cercare le condizioni che riportano la nostra temperatura al suo livello ideale. Questa capacità di autoregolazione si applica anche al peso corporeo. Il cervello sembra mantenere il peso intorno a un valore specifico, come un obiettivo interno, che possiamo chiamare punto prefissato.Come il Corpo Mantiene il Suo Equilibrio
Il corpo difende attivamente questo punto prefissato, usando diversi strumenti. Uno di questi è la percezione del piacere legata al cibo. La piacevolezza di un alimento cambia in base a quanto siamo affamati o sazi. Un piatto che sembra irresistibile a stomaco vuoto perde molto del suo fascino dopo aver mangiato abbastanza calorie. Questo segnale di piacere che diminuisce indica che il corpo ha ricevuto ciò di cui aveva bisogno per mantenere il suo equilibrio. Inoltre, il corpo regola anche il metabolismo, cioè la velocità con cui brucia energia.La Resistenza ai Cambiamenti di Peso
È per questo che il corpo oppone resistenza quando cerchiamo di cambiare il peso rispetto al suo punto prefissato. Le diete che portano a perdere peso attivano una reazione: il metabolismo rallenta e la fame aumenta. Questo rende molto difficile mantenere il peso perso e spesso porta a recuperare i chili. Allo stesso modo, cercare di ingrassare forzatamente viene contrastato dal corpo, che aumenta il dispendio di energia e riduce l’appetito. Questa forte difesa del punto prefissato si osserva sia nelle persone magre che in quelle obese.Il Piacere come Motore Principale
Il motore che guida tutti questi processi di regolazione è la ricerca del piacere. Il cervello usa le sensazioni di piacere e disagio per spingerci a comportarci in modi che riportano il corpo al suo stato ottimale. Ciò che ci dà piacere a livello fisiologico è spesso ciò che è utile per mantenere l’equilibrio interno. Il piacere funziona come una sorta di segnale universale per il cervello, trasformando le necessità fisiche, come la mancanza di energia, in azioni concrete, come cercare e mangiare cibo. Esperimenti scientifici hanno confermato l’esistenza di aree specifiche nel cervello legate al piacere, che gli organismi viventi cercano attivamente di stimolare.Se il corpo difende così strenuamente il suo “punto prefissato” attraverso il piacere, come si spiega l’epidemia globale di obesità?
Il capitolo descrive un sistema di autoregolazione basato su un punto prefissato e sulla spinta del piacere, ma non affronta adeguatamente come questo sistema possa essere aggirato o sopraffatto dall’ambiente moderno. La teoria del punto prefissato è un modello utile, ma la sua rigidità nel contrastare i cambiamenti di peso è oggetto di dibattito scientifico, specialmente di fronte a fattori esterni potentissimi come la disponibilità illimitata di cibi ultra-processati, le pressioni sociali e lo stile di vita sedentario. Per comprendere meglio questa apparente contraddizione, è fondamentale esplorare le ricerche sulla neurobiologia dell’alimentazione, l’impatto dell’ambiente obesogeno e le teorie che considerano il peso corporeo come il risultato di complesse interazioni tra genetica, ambiente e comportamento, piuttosto che un valore rigidamente difeso. Approfondire gli studi di autori che si occupano di metabolismo e comportamento alimentare nel contesto moderno può offrire una prospettiva più completa.3. Il desiderio inganna il corpo
Il Ruolo della Dopamina nel Desiderio
La dopamina è spesso vista come la sostanza che ci fa provare piacere, ma in realtà spinge a desiderare le cose, non a godersele davvero. Alcuni esperimenti sui ratti hanno dimostrato che la dopamina li porta a cercare e mangiare cibo in modo quasi ossessivo, anche se poi non provano un vero piacere nel farlo. Al contrario, i ratti a cui è stata bloccata la dopamina smettono di cercare cibo, ma mostrano comunque segni di piacere se gli viene dato da mangiare. Questo fa pensare che il piacere sia diviso in due parti distinte nel cervello: la “voglia”, legata alla dopamina e alla spinta a cercare, e il “gradimento”, legato ad altre sostanze chimiche e all’esperienza di godere di qualcosa. Le dipendenze, anche quelle dalle droghe, sembrano nascere da un desiderio eccessivo, una “voglia” che non si riesce a controllare, più che da un piacere esagerato.Come il Cervello Valuta il Cibo
Il cervello non decide quanto vale un cibo solo in base al suo sapore, ma impara quanto è nutriente (quante calorie ha) anche in base a cosa succede nel corpo dopo averlo mangiato. Studi sui ratti hanno mostrato che il cervello impara a preferire cibi che danno molte calorie, anche se il sapore non è buono, usando la dopamina per “ricordare” quanta energia ha dato quel cibo. Negli esseri umani, esperimenti con bevande dolci ma con diverse quantità di calorie hanno rivelato che il cervello reagisce di più alla bevanda che ha sia il sapore dolce atteso sia le calorie che si aspetta di trovare. Quando il sapore dolce non corrisponde alle calorie reali, il corpo si confonde e non usa bene le calorie, che restano in circolo nel sangue. Questa confusione può creare problemi, come il corpo che non risponde più bene all’insulina.Cibi Moderni e Desiderio Incontrollato
Nel corso dell’evoluzione, il nostro corpo ha imparato a cercare cibi ricchi di calorie e a “mettere da parte” le energie, ma anche a non mangiare subito tutto quello che trova. L’obesità non sembra dipendere dal troppo piacere che proviamo mangiando, ma da un desiderio eccessivo, da una “voglia” fuori controllo, che nasce quando certe parti del cervello non funzionano bene insieme. I cibi di oggi, pieni di zuccheri e dolcificanti artificiali, creano una grande confusione nel cervello. Il cervello non capisce più quante calorie sta davvero mangiando, perché il segnale dolce non corrisponde all’energia che arriva. Questo può aumentare il desiderio in modo esagerato, una “voglia” che non c’entra più con il piacere reale di mangiare e che rende difficile per il corpo gestire bene le energie.Ma davvero il “gradimento” può magicamente “spegnere” una “voglia” radicata in problemi cognitivi e meccanismi cerebrali complessi?
Il capitolo descrive la “voglia” come un problema serio, legato a difficoltà cognitive e meccanismi cerebrali complessi, peggiorato dall’industria alimentare. La soluzione proposta, basata sul “gradimento” sensoriale, sembra non affrontare adeguatamente la complessità del problema, in particolare gli aspetti cognitivi e neurologici profondi. Come può una semplice esperienza sensoriale contrastare meccanismi così radicati, soprattutto nei casi più seri menzionati all’inizio? Per capire meglio questo divario e valutare l’efficacia di tale approccio, sarebbe utile approfondire la neurobiologia delle dipendenze e dei comportamenti alimentari, le terapie cognitivo-comportamentali per i disturbi alimentari e gli studi sui sistemi cerebrali del “liking” e “wanting”. Autori come Kent Berridge hanno esplorato queste distinzioni a livello neurologico, ma la loro applicazione terapeutica in contesti clinici complessi richiede un esame più approfondito e basato su evidenze solide.7. Il Cibo come Esperienza
Negli Stati Uniti, il cibo viene spesso considerato dal punto di vista scientifico, come una fonte di nutrienti per il corpo, visto quasi come una macchina biologica. Le discussioni ruotano attorno a concetti come carboidrati, grassi e indici glicemici, portando alla creazione di prodotti artificiali come cibi fortificati o alternative alla carne. La preoccupazione principale sembra essere se il cibo possa fare male alla salute. In Italia, invece, prevale un approccio legato alla tradizione e all’esperienza. Il cibo è inteso come piacere e cultura. Le conversazioni riguardano ricette, ingredienti e modi di preparazione, come la giusta larghezza di una tagliatella o le diverse versioni del ragù e della polenta. È interessante notare come, nonostante una dieta spesso ricca, l’obesità sia meno diffusa che negli Stati Uniti.Nutrirsi o Mangiare?
La differenza fondamentale sta nel “nutrirsi” rispetto al “mangiare”. Nutrirsi è semplicemente fare rifornimento di energia e materiali, come si farebbe con una macchina. Mangiare, invece, è vivere un’esperienza completa. Questa distinzione si collega all’idea che gli esseri viventi non sono semplici macchine, ma organismi complessi in continua evoluzione. Come osservava Goethe, gli organismi possiedono una loro “interezza” e un “disegno” interno. Per un organismo, mangiare non è solo un atto meccanico, ma serve a mantenere un equilibrio interno dinamico e a partecipare attivamente a questo processo di trasformazione e crescita.
Il Piacere come Guida Naturale
Il piacere che si prova mangiando non è un errore o una distrazione da un obiettivo nutrizionale, ma è una guida naturale e fondamentale. Gli animali, per esempio, sanno istintivamente che ciò che è buono al gusto è anche benefico per il corpo. L’approccio italiano, che celebra la bontà e il piacere del cibo in tutte le sue forme tradizionali, riflette proprio questa comprensione profonda e intuitiva. Questo contrasta nettamente con l’approccio puramente scientifico, che tende a ridurre l’atto complesso e ricco del mangiare a una semplice e fredda astrazione di dati nutrizionali.
Ma siamo sicuri che la minor diffusione dell’obesità in Italia, rispetto agli Stati Uniti, dipenda solo da un approccio culturale basato sul piacere e la tradizione?
Il capitolo giustamente mette in risalto le differenze culturali nell’approccio al cibo, ma l’associazione diretta tra l’enfasi sul piacere/tradizione e una minore incidenza di obesità merita un’analisi più approfondita. L’obesità è un fenomeno estremamente complesso, influenzato da una miriade di fattori che vanno ben oltre la sola cultura alimentare percepita. Per comprendere meglio questa correlazione, sarebbe utile considerare discipline come l’epidemiologia nutrizionale, la sociologia dell’alimentazione e la salute pubblica, esplorando l’impatto di elementi quali i livelli di attività fisica, le dimensioni delle porzioni, la frequenza dei pasti fuori casa, le politiche agricole e alimentari, e i determinanti socio-economici che incidono sulle scelte e sugli stili di vita.Abbiamo riassunto il possibile
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