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Informazioni
“La cena di Pitagora – Storia del vegetarianismo dall’antica Grecia a Internet” di Erica Mannucci ti porta in un viaggio incredibile attraverso secoli di dibattiti sul nostro rapporto con gli animali. Non è solo una storia di cosa mangiamo, ma di come abbiamo pensato l’etica animale e il confine tra noi e le altre creature. Si parte dall’antica Grecia con figure come Pitagora e le prime idee di vegetarianismo legate a purezza e trasmigrazione, contrapposte alla visione di Aristotele che metteva l’uomo al centro. Poi si passa per il cristianesimo, che per secoli ha visto gli animali solo per l’uso umano, nonostante qualche voce fuori dal coro. Il libro esplora come pensatori dal Rinascimento, tipo Montaigne, hanno iniziato a mettere in discussione la nostra presunta superiorità e come la rivoluzione scientifica, pur con idee strane come l’animale-macchina di Descartes, ha aperto la strada a riconoscere la sensibilità animale. Vedrai come l’idea di proteggere gli animali si è legata a grandi movimenti sociali, dalla lotta contro la schiavitù al femminismo, con personaggi come Bentham che parla di capacità di soffrire. Arrivando fino a figure più recenti come Gandhi o i filosofi dei diritti animali, capisci che il vegetarianismo non è una moda, ma una scelta con radici profonde, che mescola morale, salute e un desiderio di giustizia universale. È una storia affascinante che ti fa riflettere su quanto sia cambiata (o non cambiata) la nostra visione delle “bestie”.Riassunto Breve
La discussione sul rapporto tra esseri umani e animali e sulla possibilità di non mangiarli ha radici molto antiche. Nel mondo antico, pensatori come Pitagora e movimenti come l’orfismo sceglievano di non mangiare carne per ragioni legate alla purezza, al rifiuto dei sacrifici cruenti e all’idea che uomini e animali fossero in qualche modo collegati, magari per la trasmigrazione delle anime. Altri filosofi, come Aristotele e gli Stoici, credevano invece che l’uomo fosse nettamente separato dagli animali perché solo l’uomo ha la ragione. Per loro, gli animali esistevano per l’uso umano e non si poteva parlare di giustizia nei loro confronti. Alcuni, però, come Plutarco e Porfirio, mettevano in discussione questa separazione, dicendo che gli animali sono intelligenti e sentono, quindi meritano considerazione morale. La religione cristiana ha poi cambiato le cose, abbandonando i sacrifici animali ma permettendo e a volte incoraggiando il consumo di carne. La dottrina ufficiale, basata su interpretazioni bibliche e sistematizzata da Tommaso d’Aquino, ha ribadito la netta separazione: l’uomo ha un’anima razionale e immortale, l’animale no, e gli animali sono stati creati per l’utilità umana. Il comandamento “non uccidere” vale solo per gli uomini. Alcune visioni diverse, considerate eretiche o legate all’ascetismo, prevedevano il vegetarianismo, ma spesso per rifiuto della materia o per purificazione spirituale, non per rispetto dell’animale in sé. Anche se figure come San Francesco mostravano sensibilità, la Chiesa ha mantenuto una visione in cui gli animali sono per l’uso umano, con il limite di non farli soffrire inutilmente, ma senza riconoscere loro diritti o valore intrinseco. Nel Rinascimento, pensatori come Erasmo e Moro criticavano la crudeltà, e l’espansione europea portò a giustificare l’oppressione di popoli non europei paragonandoli ad animali. Montaigne mise in dubbio la superiorità umana, vedendo la crudeltà verso gli animali come superbia. Nel Seicento, la rivoluzione scientifica con Cartesio propose l’idea degli animali come macchine senza coscienza né dolore, giustificando pratiche come la vivisezione. Questa visione fu criticata da altri, come Bayle e Meslier, che riconoscevano la sensibilità animale. Medici iniziarono a promuovere diete vegetariane per motivi di salute, basandosi sull’anatomia umana. Nel Settecento, l’Illuminismo, con figure come Condillac e Maupertuis, riconobbe la continuità tra uomo e animale basata sulla capacità di sentire, includendo gli animali nella sfera morale. Nell’Ottocento, la sensibilità verso gli animali si legò a movimenti contro la schiavitù e per i diritti umani, vedendo la crudeltà come una forma di tirannia. Pensatori come Bentham introdussero il concetto di “sentience” (capacità di soffrire) come base per la considerazione morale, indipendentemente dalla ragione. Nacquero le prime società vegetariane, che univano ragioni etiche, sanitarie e sociali. Il movimento si intrecciò con il femminismo e le prime leggi per proteggere gli animali domestici furono introdotte in Gran Bretagna e Francia, anche se non riguardavano l’uccisione per cibo. Figure come Tolstoj adottarono il vegetarianismo per motivi spirituali e non-violenti. Nel Novecento, il vegetarianismo continuò a evolversi, influenzato dall’esempio indiano (Gandhi lo fece diventare un simbolo di resistenza etica e politica) e legandosi a movimenti sociali e politici. Geografi anarchici come Reclus vedevano la crudeltà verso gli animali legata all’oppressione umana. Filosofi come Martinetti riconoscevano intelligenza e coscienza negli animali per coerenza etica. Dagli anni Sessanta, il movimento per i diritti animali e il vegetarianismo hanno guadagnato visibilità, con argomenti etici basati sulla capacità di soffrire (Singer) o sui diritti intrinseci (Regan). Nonostante sia più diffuso oggi, anche per motivi di salute, il vegetarianismo etico basato sul rispetto per gli animali rimane una scelta importante, anche se persistono pregiudizi e indifferenza.Riassunto Lungo
1. Il Confine della Ragione Antica
Il vegetarianismo nel mondo antico affonda le sue radici in figure influenti come Pitagora e si lega a tradizioni spirituali come l’orfismo. Questa scelta di vita si basava spesso su un profondo desiderio di purezza e sul netto rifiuto dei sacrifici cruenti, pratiche comuni all’epoca. Alla base vi era anche una visione che percepiva una forte continuità tra gli esseri umani e gli animali, a volte sostenuta dalla credenza nella trasmigrazione delle anime da un corpo all’altro. Altri sostenitori vedevano semplicemente la possibilità di stabilire un rapporto più armonioso ed equilibrato con il mondo naturale e le creature che lo abitano. Queste idee rappresentavano una prospettiva minoritaria ma significativa nel panorama filosofico antico.La visione della separazione
Una posizione filosofica nettamente contrapposta a queste idee emerse e si consolidò nel pensiero di figure come Aristotele e successivamente negli Stoici. Questa corrente di pensiero stabiliva una divisione molto rigida e netta tra l’uomo e il mondo animale. Il criterio principale di questa separazione era la ragione, che veniva attribuita esclusivamente agli esseri umani e negata agli animali. Secondo questa visione, gli animali erano considerati privi di capacità razionali e quindi esistevano unicamente per servire i bisogni e i benefici dell’uomo. Di conseguenza, si riteneva che i principi di giustizia e moralità non potessero applicarsi nei confronti degli animali, giustificando così il dominio umano su di essi.Le voci che contestano il confine
Nonostante la predominanza della visione aristotelica e stoica, diversi pensatori nel corso del tempo contestarono questa rigida separazione e le sue implicazioni etiche. Figure come Plutarco e Porfirio misero in discussione l’idea che solo l’uomo possedesse intelligenza e sensibilità. Essi argomentarono a favore della capacità degli animali di provare dolore, piacere e persino di mostrare forme di intelligenza e legami sociali. Questi filosofi sostennero la possibilità e la necessità di estendere una forma di giustizia anche agli animali, mettendo in discussione il diritto umano di disporre arbitrariamente delle loro vite. In particolare, Porfirio fece notare l’incoerenza nel basare il criterio morale unicamente sulla razionalità, chiedendo cosa accadesse agli esseri umani con ridotte capacità cognitive. Se invece il criterio morale si fondasse sulla capacità di sentire dolore e sofferenza, allora questo includerebbe chiaramente una vasta gamma di esseri viventi, compresi molti animali. La discussione nel mondo antico ruotava dunque attorno a come definire il confine tra l’umanità e il resto del mondo animale e quali fossero le conseguenze etiche e morali di tale definizione per il modo in cui gli esseri umani si relazionavano con le altre creature.Ma se il confine morale si basa sulla capacità di sentire e non solo sulla ragione, come suggerito da Porfirio, la scienza moderna non ha forse reso insostenibile la vecchia separazione?
Il capitolo espone efficacemente il dibattito antico sul confine tra uomo e animale, ma lascia in sospeso la questione cruciale: come si collocano le scoperte scientifiche contemporanee in questo dibattito? L’argomentazione antica, pur illuminante, si basava su osservazioni e filosofie pre-scientifiche riguardo alle capacità animali. Per comprendere appieno la pertinenza di queste discussioni oggi, è fondamentale integrare le prospettive offerte dall’etologia e dalle neuroscienze, che studiano il comportamento e la cognizione animale con strumenti moderni. Approfondire autori che si occupano di etica animale contemporanea, come Peter Singer, o di cognizione animale, come Frans de Waal, può fornire gli strumenti per valutare criticamente le basi della separazione e le sue implicazioni etiche alla luce delle conoscenze attuali.2. La distanza tra uomo e bestia nella dottrina cristiana
La nuova religione cristiana segna un cambiamento rispetto alle antiche regole sacre che riguardavano gli animali. Pratiche come i sacrifici vengono abbandonate, e l’uccisione di un animale non è più vista come un atto sacro. Vengono anche rifiutate le prescrizioni ebraiche sul cibo e sul trattamento degli animali. La dottrina cristiana permette, e a volte incoraggia, il consumo di carne.La separazione tra uomo e animale
La teologia cristiana definisce una chiara differenza tra l’essere umano e l’animale. Questa distinzione si basa sull’idea che solo l’uomo possiede un’anima razionale e immortale, che è diversa dall’anima animale, considerata materiale e mortale. Interpretando testi biblici, figure importanti come Paolo e Agostino sostengono che Dio si preoccupa principalmente degli uomini e che gli animali esistono per essere utili all’umanità. Questa posizione viene poi sviluppata e resa sistematica da Tommaso d’Aquino nel XIII secolo. Secondo questa visione, il comandamento “non uccidere” si applica solo agli esseri umani.Visioni diverse e condannate
Esistono tuttavia visioni alternative, considerate eretiche dalla Chiesa, come quelle del manicheismo e del catarismo. Queste religioni dualiste credono che la materia, inclusi i corpi degli animali, sia legata al male. Il loro vegetarianismo e il rifiuto di uccidere gli animali derivano dal desiderio di non danneggiare eventuali particelle divine intrappolate nella materia o dal rifiuto del mondo materiale in generale. Queste pratiche non nascono quindi dal riconoscimento del valore intrinseco degli animali o dalla compassione per la loro sofferenza, e per questo motivo sono condannate dalla Chiesa ufficiale.L’ascetismo cristiano e gli animali
Anche all’interno dell’ascetismo cristiano ortodosso si pratica il vegetarianismo, ma con un significato diverso. Qui, il non mangiare carne è una forma di mortificazione del corpo, usata per la purificazione spirituale e per migliorare il rapporto con Dio. Non è una scelta motivata dalla compassione verso gli animali o dalla cura del proprio corpo fisico.La posizione ufficiale e le eccezioni
Nonostante la sensibilità mostrata da alcune figure, come San Francesco, la dottrina ufficiale mantiene una visione che pone l’uomo al centro. Questa posizione è confermata anche nel Catechismo del 1992. Gli animali sono considerati destinati all’uso umano, sia come cibo, che per vestiti, lavoro o esperimenti. L’unico limite posto è quello di non causare loro sofferenza inutile o di non disporre della loro vita in modo indiscriminato. Questo limite, però, non significa che agli animali venga riconosciuto un diritto o un valore morale proprio. La compassione verso gli animali è vista piuttosto come un modo per sviluppare la compassione verso gli altri esseri umani. Spendere troppi soldi per gli animali domestici, ad esempio, è considerato meno importante rispetto all’aiuto che si deve dare alle persone. Questa mentalità, profondamente radicata nella cultura, vede l’uomo come superiore e l’animale come subordinato alla sua utilità.Su quali basi concrete, al di là di assunti teologici non verificabili, si giustifica una distinzione così netta tra uomo e animale che nega a quest’ultimo ogni valore intrinseco?
Il capitolo fonda la netta separazione tra uomo e animale su una distinzione teologica riguardante la natura dell’anima, razionale e immortale per l’uomo, materiale e mortale per la bestia. Questa impostazione, pur coerente al suo interno, solleva interrogativi fondamentali sulla giustificazione di una gerarchia morale così rigida quando si esce dal perimetro di specifici assunti di fede. Per esplorare a fondo tali questioni, è essenziale confrontarsi con la filosofia morale, in particolare con le correnti che hanno messo in discussione l’antropocentrismo tradizionale. Autori come Peter Singer e Tom Regan offrono prospettive critiche che partono dal riconoscimento della sentienza animale, mentre lo studio di figure storiche come René Descartes aiuta a comprendere la profondità delle radici filosofiche di una visione meccanicistica degli animali.3. Uomini, animali e l’illusione della superiorità
Nel periodo del Rinascimento, alcuni pensatori iniziano a guardare con occhio critico la crudeltà e le ingiustizie diffuse nella società umana. Tra questi, Erasmo da Rotterdam, nella sua opera “Elogio della follia”, riflette sulla condizione degli animali. Suggerisce che gli animali trovano la loro felicità seguendo la loro natura, non sottomettendosi all’uomo. Erasmo condanna in particolare la caccia, vista come un’attività che rende brutali anche le persone di nobile estrazione. Un altro importante pensatore, Tommaso Moro, affronta temi simili nella sua “Utopia”. Anche lui rifiuta la caccia a causa della sua intrinseca crudeltà. Tuttavia, accetta la macellazione degli animali quando è necessaria per il sostentamento. Per evitare che questa pratica indurisca i cittadini liberi, Moro propone che sia affidata agli schiavi.La conquista del Nuovo Mondo e l’idea di superiorità
Con l’espansione degli europei verso il Nuovo Mondo, emerge un nuovo modo per giustificare l’oppressione delle popolazioni indigene. Queste vengono spesso paragonate ad animali o considerate “schiavi naturali”, riprendendo vecchie teorie filosofiche. Questo processo di disumanizzazione, che nega la piena umanità ai nativi, viene poi applicato anche agli schiavi africani portati nelle Americhe. In questo stesso periodo, però, inizia a farsi strada un pensiero critico. Si diffonde uno scetticismo crescente riguardo alla presunta superiorità della civiltà europea e, più in generale, alla superiorità dell’uomo su altre forme di vita. Questa messa in discussione apre la porta a nuove riflessioni sul rapporto tra esseri umani e animali.Le riflessioni di Montaigne
Uno dei pensatori più influenti a mettere in discussione queste idee è Michel de Montaigne, soprattutto nei suoi famosi “Saggi”. Montaigne critica apertamente la violenza e la brutalità con cui gli europei hanno trattato le popolazioni del Nuovo Mondo. Allo stesso tempo, attingendo anche al pensiero di autori classici come Plutarco, mette fortemente in dubbio la presunta superiorità dell’uomo sugli animali. Sostiene che la convinzione umana di dominare le altre creature nasce più dalla superbia e dall’arroganza che da una vera ragione o prova. Il fatto che gli esseri umani abbiano il potere fisico sugli animali, per Montaigne, non significa che siano intrinsecamente superiori nella loro essenza, paragonando questa dinamica alla schiavitù tra esseri umani. Montaigne mostra una notevole sensibilità verso gli animali, esprimendo disappunto per la pratica della caccia e affermando che gli uomini hanno un preciso dovere di rispetto e umanità nei loro confronti.Voci radicali nel Seicento inglese
Nel corso del Seicento, specialmente in Inghilterra, emergono posizioni ancora più radicali riguardo al rapporto tra uomo e animali. Figure come Roger Crab scelgono il vegetarianismo non solo per motivi religiosi, ma anche sociali. Vedono questa scelta alimentare come un ritorno a uno stato di vita più semplice e originario, un modo per rifiutare il lusso e le profonde disuguaglianze della società del tempo. Ancora più esplicito è Thomas Tryon, che stabilisce un legame diretto tra l’oppressione subita dagli schiavi neri e quella inflitta agli animali. Attraverso i suoi scritti, Tryon sembra quasi dare voce a queste vittime per denunciare l’ipocrisia e la crudeltà mostrata dai cristiani europei. Per Tryon, prendere le difese degli animali significa affrontare un aspetto cruciale della più ampia battaglia contro le ingiustizie fondamentali presenti nella società.Se gli ideali di fratellanza universale e la denuncia della tirannia erano così forti, perché il vegetarianismo e la protezione animale faticarono tanto a tradursi in pratica diffusa e leggi efficaci?
Il capitolo illustra efficacemente l’emergere di ideali morali e politici legati alla sensibilità verso gli animali e al vegetarianismo, collocandoli nel contesto dei movimenti rivoluzionari e riformisti. Tuttavia, pur riconoscendo che questi ideali non sempre si traducevano in azioni concrete o legislative incisive, non approfondisce a sufficienza i motivi di questa resistenza o lentezza nel cambiamento. Per comprendere meglio il divario tra l’elaborazione di principi etici avanzati e la loro effettiva adozione sociale e politica, sarebbe utile esplorare con maggiore dettaglio i fattori economici, culturali e sociali che ostacolavano la diffusione del vegetarianismo e l’introduzione di leggi significative per la protezione animale. Approfondire la storia delle pratiche alimentari, l’economia dell’allevamento e della macellazione, e le resistenze culturali e religiose al cambiamento può fornire un quadro più completo. Si consiglia di consultare autori che hanno studiato la storia del rapporto uomo-animale e i movimenti per i diritti animali, come Peter Singer o Keith Thomas.6. Sentimento, Etica e Rivolta Vegetariana
La pratica di non mangiare carne ha origini molto lontane nel tempo. In Europa se ne ebbe notizia soprattutto grazie all’esempio che arrivava dall’India e a pensatori come Pitagora. All’inizio, questa scelta veniva interpretata usando i riferimenti culturali europei, e non sempre si capiva a fondo il principio indiano di non-violenza, chiamato ahimsa. Con il passare del tempo, l’idea che mangiare carne rendesse più forti cominciò a essere messa in discussione, e si iniziò invece a considerare le popolazioni vegetariane come un esempio di buona salute.La Scelta Etica di Gandhi
Mohandas Gandhi, che era cresciuto senza mangiare carne, provò per un breve periodo a includerla nella sua dieta. Fece questa scelta perché era influenzato dall’idea che mangiare carne potesse dargli la forza necessaria per opporsi agli inglesi. Tuttavia, quando si trovò a Londra, scoprì un modo di vedere il vegetarianismo tipico del mondo occidentale. Leggendo autori come Henry Salt e Shelley, la sua adesione a questa pratica divenne una decisione basata sull’etica. Per lui, rispettare gli animali si legava strettamente alla lotta per liberare la sua nazione, trasformando il vegetarianismo in un vero e proprio simbolo di resistenza.Il Movimento Vegetariano a Londra nell’Ottocento
Alla fine dell’Ottocento, il movimento vegetariano conobbe una nuova fioritura a Londra. Aprirono diversi ristoranti dedicati a questa dieta e sempre più persone, soprattutto tra la classe media e gli intellettuali, iniziarono ad aderire. Questa scelta si legò presto a importanti movimenti sociali e politici dell’epoca, come il socialismo fabiano e il femminismo. Figure note come George Bernard Shaw, i coniugi Webb e molte attiviste per i diritti delle donne (suffragiste) scelsero di essere vegetariani per ragioni che andavano dall’etica alla volontà di affermare nuovi principi sociali o l’indipendenza femminile.Voci di Coscienza: Reclus e Martinetti
Elisée Reclus, un geografo che seguiva idee anarchiche, raccontò che la sua decisione di non mangiare carne nacque dall’orrore che provò da bambino assistendo alla macellazione degli animali. Lui vedeva un legame profondo tra la crudeltà verso gli animali e la stessa logica di dominio e ipocrisia usata per opprimere gli esseri umani, come accadeva nei massacri durante il colonialismo. Per Reclus, diventare vegetariani era un modo per rendere la propria vita e il mondo più belli, nutrendosi senza dover togliere la vita ad altre creature. Anche il filosofo italiano Piero Martinetti considerava il vegetarianismo una parte essenziale di un comportamento etico coerente. Martinetti riconosceva che gli animali possiedono una forma di intelligenza e coscienza, criticando le correnti filosofiche che negavano questa continuità tra esseri umani e animali. La sua profonda compassione per gli animali nasceva da un forte sentimento di vicinanza, vedendo la loro sofferenza e la loro perdita come un dolore che toccava in qualche modo anche una parte di sé.Dal Novecento alle Battaglie per i Diritti Animali
Nel corso del Novecento, pensatori come Rudolf Steiner promossero la dieta vegetariana non solo per i suoi benefici sul corpo, ma anche per l’equilibrio interiore. Tuttavia, Steiner la considerava una scelta personale che non andava imposta agli altri. Dagli anni Sessanta in poi, il vegetarianismo si è spesso associato ai movimenti di controcultura e a quelli che lottano per i diritti degli animali. Figure come Ruth Harrison hanno portato l’attenzione sulle crudeli condizioni degli allevamenti intensivi. Filosofi come Peter Singer e Tom Regan hanno sviluppato argomenti etici solidi, basati sulla capacità degli animali di provare dolore o sul loro diritto innato a vivere, dando nuove basi teoriche alla scelta vegetariana e vegana.Una Questione Complessa: Vegetarianismo e Nazismo
La questione del vegetarianismo di alcuni leader nazisti, tra cui Hitler, è un argomento difficile e controverso. Pensatori come Adorno e Horkheimer hanno analizzato questo aspetto, interpretandolo non come segno di vera compassione verso gli animali. Secondo loro, in questi casi, la scelta vegetariana era piuttosto un’altra manifestazione della loro mentalità basata sul dominio e sul disprezzo per chi era considerato debole, un atteggiamento molto diverso dalle motivazioni etiche che spingevano altri vegetariani nel corso della storia.Il Vegetarianismo Oggi
Oggi, la scelta di non mangiare carne è molto più diffusa e accettata nella società. Questo è dovuto in parte a una maggiore attenzione alla salute e alle tendenze del mercato alimentare. Nonostante questa maggiore visibilità, le ragioni etiche profonde che legano il vegetarianismo al rispetto per gli animali rimangono un aspetto centrale. Queste motivazioni si basano sia su argomenti razionali che su sentimenti di affinità verso le altre specie. Tuttavia, nonostante i progressi, permangono ancora molti pregiudizi e una diffusa indifferenza riguardo al benessere degli animali e alle scelte alimentari che ne derivano.Ma quando si parla di “etica” nel vegetarianismo, di quale etica stiamo parlando esattamente?
Il capitolo, pur riconoscendo l’importanza della svolta etica, non approfondisce le diverse basi filosofiche su cui questa scelta può poggiare. L’idea di “rispetto per gli animali” non è monolitica: può derivare dalla considerazione della loro capacità di provare dolore, dal riconoscimento di loro diritti intrinseci, o da un più ampio senso di connessione e cura verso le altre specie. Il capitolo cita figure chiave come Singer e Regan, ma non esplora a sufficienza le distinzioni tra le loro argomentazioni (basate rispettivamente su utilitarismo e diritti), né accenna ad altre prospettive etiche rilevanti. Per cogliere la profondità e le potenziali tensioni di queste motivazioni, è indispensabile esplorare la filosofia morale e l’etica animale, confrontando le posizioni di autori come Singer, Regan, e altri pensatori contemporanei.Abbiamo riassunto il possibile
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