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Informazioni
“Invertire la rotta. Disuguaglianza e crescita economica” di Joseph Stiglitz è uno di quei libri che ti aprono gli occhi su come funziona davvero il mondo, o meglio, su come non sta funzionando. Stiglitz, che è un economista premio Nobel, analizza in modo super chiaro come negli ultimi decenni la disuguaglianza economica, sia di reddito e ricchezza, sia esplosa, soprattutto negli Stati Uniti, ma non solo. Non si limita a dirti che i ricchi sono diventati più ricchi (con statistiche pazzesche sull’1% e lo 0,1%), ma ti fa capire perché è successo, mettendo in discussione teorie classiche e mostrando come fattori come la rendita (guadagni non legati alla produttività) e certe politiche economiche abbiano favorito questa concentrazione. La cosa più forte è che dimostra, con dati alla mano, che questa disuguaglianza non solo non aiuta la crescita economica, come a volte si sente dire, ma anzi la frena, crea instabilità e limita le opportunità per tutti, mettendo in crisi anche il famoso sogno americano. Non basta guardare solo il PIL per capire come sta andando un paese, serve guardare come sta la maggioranza delle persone. Per invertire la rotta, secondo Stiglitz, dobbiamo proprio riformare le regole del gioco economico, con investimenti pubblici, una tassazione progressiva più giusta e politiche che riducano lo sfruttamento e la discriminazione. È una lettura fondamentale per capire le sfide di oggi.Riassunto Breve
Negli ultimi trent’anni si osserva un forte aumento delle disuguaglianze economiche, specialmente negli Stati Uniti, dove i redditi e la ricchezza si concentrano sempre più nelle mani di una piccola percentuale della popolazione. Mentre l’1% e lo 0,1% più ricchi vedono i loro redditi crescere enormemente, la maggioranza della popolazione sperimenta una crescita salariale molto modesta, che non tiene il passo con l’aumento della produttività. Questa divergenza non è solo un problema di reddito, ma anche di ricchezza, con l’1% che detiene una quota sproporzionata della ricchezza nazionale. La disuguaglianza ha anche una dimensione etnica, colpendo in modo più duro le minoranze. Questo fenomeno globale mette in discussione la mobilità sociale e il concetto di pari opportunità. Le cause di questa crescente disuguaglianza non si spiegano solo con la produttività individuale. Fattori come lo sfruttamento, la discriminazione, il potere di monopolio e soprattutto la “ricerca di rendita” giocano un ruolo cruciale. La rendita, intesa come guadagno derivante dal controllo di risorse o posizioni di vantaggio piuttosto che dalla creazione di nuova ricchezza, è evidente nei compensi eccessivi dei dirigenti e nel settore finanziario, spesso non legati alla performance reale. Anche l’aumento del valore dei beni patrimoniali (come immobili) dovuto a politiche monetarie espansive contribuisce alla ricchezza improduttiva e alla disuguaglianza. Le istituzioni e le politiche pubbliche, come l’indebolimento dei sindacati e politiche fiscali che favoriscono i redditi da capitale, spesso amplificano queste disparità invece di correggerle. Contrariamente a un’idea diffusa, la disuguaglianza elevata non favorisce la crescita economica; al contrario, la danneggia. Non sono i ricchi a creare posti di lavoro, ma la domanda di beni e servizi. L’alta disuguaglianza deprime la domanda aggregata, limita le opportunità per molti e riduce gli investimenti in beni pubblici essenziali come istruzione e infrastrutture, orientando le risorse verso settori meno produttivi. Studi dimostrano che una minore disuguaglianza si associa a periodi di crescita più lunghi e a tassi di crescita medi più elevati. Per affrontare la disuguaglianza e migliorare l’economia, è necessario riformare le regole del gioco economico. Questo include intervenire sui compensi dei dirigenti, perseguire la piena occupazione attraverso investimenti pubblici mirati, garantire un accesso equo all’istruzione e riformare il sistema fiscale per renderlo più progressivo, tassando equamente i redditi da capitale e introducendo imposte di successione efficaci. Misurare il progresso economico non solo con il PIL, ma considerando anche il reddito mediano e il benessere generale (salute, equità, sicurezza), mostra che l’attuale modello economico non funziona per la maggioranza. Riscrivere le regole per promuovere maggiore uguaglianza porta a risultati economici migliori per tutti.Riassunto Lungo
1. L’Aumento Inarrestabile delle Disuguaglianze
Negli ultimi trent’anni, si è verificato un aumento molto rapido dei guadagni e della ricchezza, ma questa crescita è concentrata nelle mani di poche persone molto ricche, soprattutto negli Stati Uniti. Se si guarda all’1% più ricco degli americani, si nota che il loro reddito è aumentato del 169%. Di conseguenza, la parte di ricchezza nazionale che possiede questo gruppo è raddoppiata. La situazione è ancora più estrema se si considera lo 0,1% dei super-ricchi: per loro, il reddito è addirittura aumentato del 281%, e la loro fetta di ricchezza nazionale è quasi triplicata.Il Contrasto con il Reddito Medio e i Salari
Al contrario di questa crescita per i più ricchi, il reddito medio delle famiglie è cresciuto molto poco, solo dell’11% in trentaquattro anni. Anche i salari medi orari sono aumentati di poco, solo del 9%, anche se la quantità di lavoro prodotta, la produttività, è cresciuta molto di più, del 72,2%. Questa differenza tra aumento della produttività e aumento dei salari dimostra che le condizioni economiche della maggior parte delle persone sono peggiorate. Le politiche economiche che sono state messe in pratica, come il “trickle down” (la teoria che i benefici economici per i ricchi si diffondano al resto della società) e l'”allentamento quantitativo” (una politica monetaria che aumenta la quantità di moneta in circolazione), non hanno funzionato per distribuire i benefici della crescita economica a tutti. Queste politiche hanno invece favorito soprattutto chi si trova al vertice della società.La Disuguaglianza nella Distribuzione della Ricchezza
La ricchezza è distribuita in modo ancora più ineguale rispetto ai guadagni. Infatti, l’1% più ricco possiede più del 40% di tutta la ricchezza nazionale, mentre un gruppo ancora più ristretto, lo 0,1% più ricco, ne controlla più del 22%. Questa crescente disuguaglianza ha anche un aspetto legato all’etnia. Le famiglie di origine afroamericana e ispanica hanno perso ricchezza in proporzione maggiore rispetto alle famiglie bianche. Questo significa che le possibilità che una persona ha nella vita dipendono sempre di più dal reddito e dal livello di istruzione dei genitori. Questa situazione mette in dubbio l’idea del “sogno americano”, cioè la possibilità di migliorare la propria condizione partendo da zero, e fa sì che le disuguaglianze si trasmettano di generazione in generazione.Un Fenomeno Globale
Questo problema della disuguaglianza non riguarda solo gli Stati Uniti, ma è presente anche in altri paesi sviluppati, anche se in modo diverso a seconda dei paesi. L’indice di Gini, che serve a misurare quanto è disuguale la distribuzione dei guadagni, è aumentato in molti paesi dell’OCSE, cioè l’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico, che comprende i paesi più industrializzati. Quindi, l’aumento della disuguaglianza è un fenomeno che riguarda tutto il mondo, e ha conseguenze importanti per la società e per la possibilità delle persone di migliorare la propria situazione economica.“Trickle down” e “allentamento quantitativo” sono davvero gli unici colpevoli dell’aumento della disuguaglianza, o il capitolo semplifica eccessivamente dinamiche economiche più complesse?
Il capitolo sembra attribuire un peso eccessivo a specifiche politiche economiche, come il “trickle down” e l'”allentamento quantitativo”, come cause principali dell’aumento della disuguaglianza. Sebbene queste politiche possano certamente avere un impatto sulla distribuzione della ricchezza, è fondamentale considerare se il capitolo non stia trascurando altri fattori strutturali e di lungo periodo che contribuiscono a questo fenomeno. Per rispondere a questa domanda, sarebbe utile approfondire la storia economica e le teorie della distribuzione del reddito, studiando autori come Thomas Piketty e Daron Acemoglu, per acquisire una comprensione più ampia delle forze in gioco.2. Le molteplici facce della disuguaglianza
Le diverse teorie sulla disuguaglianza economica
La disuguaglianza economica è un tema complesso che ha generato molte domande sulle sue cause. Per cercare di capire meglio questo fenomeno, sono state sviluppate diverse teorie. Già nell’Ottocento, si confrontavano interpretazioni opposte. Da un lato, Karl Marx vedeva nello sfruttamento dei lavoratori l’origine principale della disuguaglianza. Dall’altro lato, economisti come Nassau Senior ritenevano che la disuguaglianza fosse una conseguenza naturale e giusta, una sorta di premio per i capitalisti che rinunciavano a spendere subito i loro guadagni, preferendo investirli.La teoria neoclassica, sviluppata successivamente, ha proposto un’altra spiegazione. Secondo questa teoria, il reddito di ciascuno dipende da quanto contribuisce alla società con il proprio lavoro. In altre parole, chi produce più valore guadagna di più, e questo giustificherebbe le differenze di reddito.
I limiti della teoria neoclassica e altri fattori determinanti
Nonostante la sua diffusione, la teoria neoclassica non riesce a spiegare completamente la disuguaglianza. Infatti, la disuguaglianza non dipende solo da quanto una persona è produttiva. Entrano in gioco anche altri fattori, come lo sfruttamento, la discriminazione e il potere di alcune aziende di dominare il mercato e imporre i prezzi. Inoltre, le regole e le istituzioni di un paese hanno un ruolo fondamentale nel definire come viene distribuita la ricchezza, indipendentemente dalla produttività dei singoli. Basta guardare paesi con un livello di sviluppo simile per notare che la disuguaglianza può variare molto, il che dimostra che la sola teoria economica tradizionale non basta a spiegare tutto.Il ruolo della rendita nell’aumento della disuguaglianza
Un elemento chiave per capire perché la disuguaglianza è aumentata è il concetto di rendita. In origine, la rendita era legata al guadagno che si otteneva dalla terra posseduta. Oggi, il concetto di rendita si è ampliato e comprende anche i profitti ottenuti grazie a posizioni di monopolio o, più in generale, al controllo di risorse o posizioni di vantaggio. La rendita, quindi, non è legata alla creazione di nuova ricchezza, ma piuttosto all’appropriazione di ricchezza già esistente. Questo meccanismo è ben visibile nell’aumento dei guadagni di chi lavora nella finanza e nel management. In questi settori, spesso gli stipendi non sono proporzionati al reale contributo dato all’azienda o alla produttività, ma sono influenzati da meccanismi di controllo poco efficaci e dalla possibilità di sfruttare rendite di posizione.Patrimonio, salari e redditività del capitale
L’aumento della disuguaglianza è legato anche ad altri fenomeni economici. Uno di questi è la crescita del rapporto tra il valore dei patrimoni e i redditi. In altre parole, la ricchezza accumulata nel tempo è diventata sempre più grande rispetto ai redditi che vengono prodotti ogni anno. Allo stesso tempo, i salari medi sono rimasti sostanzialmente fermi, mentre il capitale continua a generare profitti elevati. Questo significa che chi possiede patrimoni, comeCase o terreni, ha visto aumentare il valore dei propri beni, anche senza che ci sia stato un reale aumento della produzione economica. Questo aumento di valore è spesso dovuto alle rendite, che possono derivare da diverse fonti, come i brevetti sui prodotti tecnologici o il controllo di un mercato da parte di una sola azienda. Anche le politiche monetarie che favoriscono l’aumento dei prezzi e le bolle speculative possono contribuire a gonfiare il valore dei patrimoni e ad aumentare la disuguaglianza, creando ricchezza che non deriva da un aumento della produzione di beni e servizi.Istituzioni e politiche pubbliche che amplificano la disuguaglianza
Infine, un ruolo cruciale è giocato dalle istituzioni e dalle scelte politiche dei governi. Negli ultimi decenni, si è assistito a un indebolimento dei sindacati, che hanno meno forza nel difendere i salari dei lavoratori. La globalizzazione, inoltre, ha portato a una maggiore concorrenza tra i lavoratori di diversi paesi, spingendo verso il basso i salari in alcuni settori. Le politiche economiche, spesso concentrate sulla lotta all’inflazione, hanno finito per favorire la stabilità dei prezzi a scapito della crescita dei salari. Anche la discriminazione, che continua a persistere in molti ambiti lavorativi, contribuisce ad aumentare le disuguaglianze economiche, e spesso non si fa abbastanza per contrastarla. Invece di ridurre le disuguaglianze generate dal mercato, le politiche pubbliche attuali rischiano spesso di peggiorarle, alimentando una spirale di crescente disparità economica.Ma se la teoria neoclassica è così evidentemente limitata, perché continua ad essere così influente nel dibattito economico e nelle politiche pubbliche?
Il capitolo evidenzia correttamente i limiti della teoria neoclassica nel spiegare la disuguaglianza, aprendo la strada a considerazioni più ampie sui fattori in gioco. Tuttavia, non approfondisce le ragioni per cui tale teoria, pur incompleta, mantenga un ruolo centrale. Per rispondere a questa domanda, sarebbe utile esplorare le dinamiche del pensiero economico, studiando autori come Thomas Kuhn per comprendere come i paradigmi scientifici evolvono e persistono, e indagare il ruolo delle istituzioni accademiche e dei centri di potere nella diffusione e nel mantenimento di determinate teorie economiche.3. Il Paradosso della Disuguaglianza
La disuguaglianza non favorisce la crescita economica
È sbagliato pensare che la disuguaglianza sia indispensabile per far crescere l’economia. Non è vero che se i ricchi hanno più soldi, l’economia va meglio perché investono e risparmiano di più. Oggi, infatti, c’è fin troppo risparmio nel mondo. Per far crescere il risparmio di una nazione, è più utile usare le tasse sui redditi alti per finanziare investimenti pubblici o privati. Così si aiuta l’economia senza aumentare le differenze sociali.La disuguaglianza non crea lavoro
Non sono le persone ricche a creare posti di lavoro grazie alla loro ricchezza. Il lavoro nasce quando c’è richiesta di prodotti e servizi. Se la domanda aumenta, le aziende assumono per soddisfarla. Invece, quando c’è troppa disuguaglianza, l’economia diventa instabile e cresce meno a lungo. Diversi studi dimostrano che quando la disuguaglianza è minore, l’economia cresce in modo più duraturo e anche più velocemente nel tempo. I paesi con molta disuguaglianza sono cresciuti meno di quanto avrebbero potuto se avessero distribuito meglio la ricchezza.Gli effetti negativi della disuguaglianza sull’economia
La disuguaglianza danneggia l’economia in vari modi. Prima di tutto, riduce la domanda di beni e servizi perché le persone meno ricche spendono di più rispetto ai ricchi, in proporzione a quanto hanno. Se la domanda è bassa e non si gestisce bene la situazione con politiche economiche adatte, possono crearsi bolle speculative e poi crisi economiche. Inoltre, la disuguaglianza di reddito porta a una disuguaglianza di opportunità. Questo vuol dire che chi nasce in famiglie svantaggiate ha meno possibilità diRealizzare il proprio potenziale, e questo frena la crescita economica futura. Infine, le società con molte differenze sociali tendono a investire meno in servizi pubblici importanti per l’economia, come strade, scuole e ospedali. Questo succede perché i ricchi spesso preferiscono investire in settori meno utili per la collettività, come la finanza, dove hanno più potere. Le leggi fiscali attuali, che favoriscono chi vive di rendita finanziaria e chi porta i capitali all’estero, peggiorano la situazione economica. Per migliorare sia la giustizia sociale sia l’economia, bisognerebbe cambiare le regole per limitare la ricerca di guadagni facili e rendere le tasse più eque. Le ricerche dimostrano che l’idea che le grandi differenze di reddito siano giuste perché chi guadagna tanto se lo merita e fa bene alla società è sbagliata. Se fosse vero, dovremmo vedere che più disuguaglianza significa più crescita economica, ma i dati ci dicono il contrario.Affermare che gli investimenti pubblici possano stimolare l’economia e ridurre la disuguaglianza senza necessariamente aumentare il debito pubblico rispetto al PIL, non è una semplificazione eccessiva della complessa realtà macroeconomica?
Il capitolo sembra presentare una visione eccessivamente ottimistica degli investimenti pubblici. Ignora le sfide legate all’attuazione efficace di tali investimenti, come il rischio di sprechi, corruzione, e la difficoltà di selezionare progetti realmente produttivi. Inoltre, la gestione del debito pubblico è una questione complessa, e mantenere il rapporto debito/PIL stabile mentre si aumentano gli investimenti pubblici richiede politiche fiscali molto attente e spesso impopolari. Per approfondire queste tematiche, è utile studiare autori come F. Hayek o M. Friedman, che hanno analizzato criticamente gli interventi statali nell’economia.5. Oltre il PIL: Misurare il Vero Progresso Economico
La necessità di superare la visione tradizionale del PIL
Si pensava che fosse inevitabile scegliere tra maggiore uguaglianza e crescita economica, ma questa idea è sbagliata. Molti paesi ricchi hanno dimostrato che si possono raggiungere sia più uguaglianza sociale sia una migliore economia. Questi due obiettivi possono essere raggiunti insieme, soprattutto se si cambiano gli strumenti con cui si misura la crescita. Usare indicatori sbagliati porta a concentrarsi su obiettivi sbagliati. Il PIL, ad esempio, non è sufficiente per capire se un’economia sta andando bene per tutti. La crescita economica più importante è quella che dura nel tempo e che migliora la vita della maggior parte delle persone.I limiti del PIL come indicatore di benessere
Negli Stati Uniti e in altri paesi sviluppati, l’economia non è cresciuta in modo soddisfacente negli ultimi vent’anni. I guadagni reali delle persone sono fermi da circa trent’anni. Negli Stati Uniti, gli stipendi non aumentano da quarant’anni, anche se la produzione è cresciuta. La disuguaglianza sempre maggiore è una delle cause principali dei problemi economici che i paesi ricchi stanno vivendo oggi. Guardare solo al PIL, che mostra un valore medio dell’economia, non dà un quadro completo. È più importante capire come sta andando l’economia per la persona comune, guardando al reddito disponibile medio. Aspetti come la salute, l’equità e la sicurezza sono fondamentali per il benessere delle persone, ma il PIL non li considera abbastanza. Se si guarda al benessere sociale in modo più ampio, si nota che la situazione economica recente dei paesi ricchi è ancora più critica di quanto sembri guardando solo al PIL.Politiche per un progresso economico più inclusivo
Per cambiare questa situazione, servono politiche economiche nuove e mirate. È fondamentale investire di più nei servizi pubblici per tutti, migliorare il modo in cui le aziende sono gestite, applicare leggi contro i monopoli e le discriminazioni, controllare meglio il sistema finanziario, dare più diritti ai lavoratori e usare sistemi fiscali che aiutino di più chi ha meno e diano meno vantaggi a chi ha di più. Se si cambiano le regole dell’economia seguendo questi principi, si può avere una distribuzione del reddito più equa e si possono ottenere risultati economici migliori per tutti.Ma è davvero così semplice sostituire il PIL con altri indicatori, senza rischiare di complicare ulteriormente la misurazione del progresso economico?
Il capitolo sembra suggerire una transizione lineare verso nuovi indicatori di benessere, sottovalutando le sfide metodologiche e politiche legate alla definizione e all’implementazione di tali misure alternative. Per comprendere appieno la complessità di questo dibattito, è utile esplorare il lavoro di autori come Amartya Sen, che ha approfondito le problematiche legate alla misurazione del benessere e dello sviluppo umano, evidenziando come la scelta degli indicatori non sia mai neutrale e implichi sempre delle precise scelte di valore.Abbiamo riassunto il possibile
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