Contenuti del libro
Informazioni
“Invasori, non vittime. La campagna italiana di Russia 1941-1943” di Thomas Schlemmer non è il solito racconto sulla sfortunata avventura dei soldati italiani sul fronte orientale. Questo libro smonta il mito diffuso del “bravo italiano” solo vittima del freddo e dei tedeschi, portandoti dritto nella cruda realtà della campagna italiana di Russia. Scoprirai perché Mussolini volle a tutti i costi mandare le nostre truppe, nonostante le enormi carenze dell’esercito, prima con il CSIR e poi con la grande ARMIR schierata sul fiume Don. Ma non si parla solo di battaglie: Schlemmer analizza a fondo l’ombra dell’occupazione italiana in Russia, mostrando come i nostri soldati non furono solo combattenti, ma parteciparono attivamente al sistema di controllo e repressione tedesco nei territori occupati, con episodi di sfruttamento della popolazione civile e condizioni dure per i prigionieri di guerra sovietici. Il libro esplora anche i rapporti complicati e pieni di diffidenza tra italiani e tedeschi sul fronte, fino ad arrivare al gelo dell’alleanza che portò alla disastrosa ritirata di Russia. È un viaggio necessario per capire davvero cosa accadde a quei soldati italiani in Russia, andando oltre la narrazione consolatoria e affrontando il loro ruolo di invasori in una guerra di sterminio.Riassunto Breve
La storiografia recente mette in discussione il mito del soldato italiano vittima sul fronte russo, evidenziando il carattere offensivo della guerra e le responsabilità italiane nella politica di occupazione, spesso ignorate dalla memoria collettiva che ritrae i soldati come vittime del regime, della natura o del presunto tradimento tedesco. Mussolini decide di partecipare alla guerra contro l’Unione Sovietica per ambizione, lotta ideologica e necessità di prestigio, inviando truppe nonostante l’Italia affronti la guerra con significative debolezze strutturali: economia non adeguata, mancanza di materie prime, industria arretrata, carenze di personale specializzato, basso livello di motorizzazione e armamenti obsoleti. Il Corpo di Spedizione Italiano in Russia (CSIR), inviato nel 1941 con circa 62.000 uomini, è un compromesso tra ambizioni politiche e limitate capacità militari, mostrando efficienza iniziale ma con problemi logistici e tensioni con i tedeschi. Nel 1942, per volontà di Mussolini, il contingente aumenta notevolmente con l’8ª Armata (ARMIR), raggiungendo circa 229.000 uomini, con equipaggiamento migliorato ma persistenti carenze di motorizzazione e mezzi corazzati. Le forze italiane sul fronte orientale, inizialmente per il combattimento, assumono progressivamente ruoli di occupazione e sicurezza, integrandosi nell’apparato tedesco. L’amministrazione militare italiana nella zona occupata implementa misure severe per il controllo della popolazione civile, la limitazione della circolazione e lo sfruttamento delle risorse locali, requisendo cibo e materiali. Le autorità italiane partecipano attivamente alla repressione, nominando capi locali responsabili, censendo la popolazione con attenzione a ebrei, comunisti e sospetti, arrestandoli e talvolta consegnandoli alle forze di sicurezza tedesche. Documenti attestano l’esecuzione di spie e prigionieri da parte italiana e la collaborazione in operazioni contro partigiani e sabotatori, anche con brutalità . Il morale dei soldati, influenzato dalla propaganda fascista e religiosa, riflette stereotipi negativi sui russi, contribuendo all’accettazione delle dure pratiche di occupazione e repressione. I rapporti tra soldati italiani e popolazione civile includono fame, miseria e paura per i civili, con comportamenti diversi dei soldati, dall’umanità all’indifferenza, fino all’opportunismo e all’egoismo, con episodi di razzie e sfruttamento, anche sessuale. Le requisizioni non autorizzate e i saccheggi sono diffusi a causa delle difficoltà di approvvigionamento italiane, danneggiando l’economia locale. I prigionieri di guerra sovietici sotto controllo italiano affrontano condizioni difficili, gestiti in campi di prigionia e utilizzati per lavori forzati, con razioni scarse che contribuiscono a malnutrizione e malattie; si registrano decessi e uccisioni durante tentativi di fuga o esecuzioni di prigionieri, anche durante la ritirata, alimentate dalla propaganda sulle presunte atrocità sovietiche. L’alleanza tra italiani e tedeschi sul fronte orientale è segnata da diffidenze e pregiudizi reciproci, non è una vera partnership ma una collaborazione basata su obiettivi separati e supporto opportunistico; i tedeschi mostrano scetticismo sull’efficienza italiana e limitano la condivisione di informazioni, mentre gli italiani sono sensibili riguardo al loro prestigio e si sentono svantaggiati, specialmente per i rifornimenti. I servizi di collegamento tedeschi si espandono per includere consulenza e controllo, incontrando difficoltà dovute a barriere linguistiche, sospetti reciproci e tentativi tedeschi di esercitare controllo. L’Armata Italiana in Russia (ARMIR) viene inviata sul fronte del Don nell’estate del 1942, inserita nell’offensiva tedesca “Blau”, coprendo un ampio settore esposto e vulnerabile, parte di un piano strategico modificato da Hitler che concentra le forze principali altrove, lasciando i fianchi coperti da armate alleate meno equipaggiate. Nonostante le richieste italiane di ridurre il fronte o ricevere rinforzi, la posizione rimane vulnerabile. Esistono contrasti tattici tra i comandi italiani e tedeschi riguardo la difesa, con gli italiani che preferiscono un sistema di capisaldi per carenza di uomini e ufficiali preparati. Le offensive sovietiche nel dicembre 1942 colpiscono i settori rumeno e ungherese, aprendo brecce e minacciando l’ARMIR; nonostante un’iniziale resistenza tenace, l’attacco provoca lo sfondamento e una ritirata caotica. Durante il ripiegamento, l’ordine militare si disgrega, emergono le debolezze strutturali dell’esercito italiano e i rapporti tra soldati italiani e tedeschi peggiorano drasticamente, con episodi di mancata assistenza, furti e violenze reciproche, alimentando un forte risentimento italiano verso gli alleati tedeschi. La disfatta causa perdite enormi per l’ARMIR, sia in uomini che in materiali, e le unità superstiti vengono ritirate dal fronte orientale. Questa esperienza segna profondamente la memoria collettiva in Italia, contribuendo a diffondere un’immagine dei tedeschi come responsabili del disastro e degli italiani come vittime, anche per ragioni politiche nel dopoguerra. Le truppe italiane mancano di addestramento tattico adeguato, il comando è centralizzato e schematico, l’equipaggiamento è insufficiente, in particolare per le armi controcarro, e i mezzi di trasporto e le comunicazioni presentano gravi lacune. La costruzione di posizioni difensive arretrate incontra resistenza italiana per percezione di scarso valore delle unità non combattenti e mancanza di materiali. I rifornimenti, dipendenti dalla rete ferroviaria, sono spesso inadeguati, creando attriti e limitando la mobilità . Nonostante queste difficoltà , alcune unità italiane dimostrano tenacia in combattimento. La collaborazione tra i comandi e le truppe tedesche e italiane è segnata da tensioni, con gli ufficiali di collegamento tedeschi che spingono per l’applicazione degli ordini e superano la diffidenza italiana. Attriti sorgono a causa di differenze di mentalità , percezioni di superiorità tedesca e incidenti legati alla gestione delle risorse durante la ritirata. La situazione dell’8ª Armata italiana sul fronte orientale presenta criticità determinate in larga parte dalle decisioni del comando tedesco, con un settore assegnato troppo esteso rispetto alle forze disponibili e rifornimenti insufficienti che impediscono l’accumulo di scorte e limitano la mobilità . Le difese sul Don vengono organizzate con impegno ma mancano materiali adeguati, l’artiglieria italiana ha gittata limitata e le riserve promesse dal comando tedesco non affluiscono tempestivamente. I rapporti con le unità tedesche e il nucleo di collegamento sono complessi, con il nucleo che esercita un controllo crescente e talvolta arbitrario. Durante la ritirata, la cooperazione si riduce, con episodi di tedeschi che danno priorità alle proprie necessità a scapito dei soldati italiani. Il comando tedesco tende ad attribuire le difficoltà italiane a presunte carenze, pur ammettendo la propria mancanza di riserve e l’impatto delle operazioni su Stalingrado sui rifornimenti. La ritirata avviene in condizioni estreme, causando perdite elevate. Nonostante il valore dimostrato, le deficienze logistiche e strategiche imposte dal comando tedesco determinano l’esito sfavorevole, mantenendo l’Armata italiana in una posizione di dipendenza.Riassunto Lungo
1. Dietro il Mito del Soldato Vittima
La Memoria e la Realtà della Campagna in Russia
Spesso, quando si pensa alla campagna militare italiana in Russia, si immagina che i soldati fossero solo delle vittime. Li si vede come persone colpite dalla crudeltà del regime fascista, dalla durezza del clima russo e, a volte, da un presunto tradimento da parte degli alleati tedeschi. Questa visione comune, però, tende a non considerare che la guerra condotta dall’Italia aveva un carattere aggressivo. Non si tiene conto delle responsabilità che le truppe italiane ebbero nei territori occupati. Gli studi storici più recenti, pur riconoscendo le enormi difficoltà affrontate, mettono in discussione l’idea del “bravo italiano” che non avrebbe colpe. Questi studi mostrano che i soldati italiani furono coinvolti nelle dinamiche della guerra di sterminio voluta dalla Germania, un aspetto che è ancora poco conosciuto e studiato.Perché l’Italia Entrò in Guerra
Per capire meglio la realtà di questa campagna, è fondamentale esaminare le ragioni che spinsero Mussolini a decidere di partecipare alla guerra contro l’Unione Sovietica. La sua decisione arrivò nel giugno del 1941. Tra i motivi principali c’erano la sua forte ambizione personale e la lotta ideologica contro il comunismo bolscevico. Voleva anche recuperare prestigio all’interno dell’alleanza con la Germania, soprattutto dopo alcune sconfitte subite in precedenza. Inoltre, l’Italia aveva un interesse strategico ed economico verso le risorse naturali presenti nei territori russi. Sebbene la Germania non avesse consultato l’Italia prima di attaccare, Mussolini insistette per inviare immediatamente un contingente di truppe italiane.Le Difficoltà dell’Esercito Italiano
Questa scelta di entrare in guerra fu fatta nonostante il Regio Esercito presentasse notevoli debolezze strutturali. L’economia italiana del tempo non era in grado di sostenere adeguatamente un grande sforzo bellico di lunga durata. Mancavano materie prime essenziali e l’industria militare era arretrata rispetto a quella delle altre potenze. L’esercito soffriva anche per la carenza di personale militare specializzato e per un basso livello di motorizzazione, cioè pochi mezzi di trasporto motorizzati. Gli armamenti erano spesso vecchi e non efficaci, in particolare l’artiglieria e i cannoni anticarro. C’erano inoltre problemi nell’addestramento delle truppe e nella definizione di come usare al meglio le diverse unità sul campo di battaglia.Il Primo Contingente: Il CSIR
Nel 1941, come primo contributo italiano al fronte orientale, fu inviato il Corpo di Spedizione Italiano in Russia (CSIR). Questo contingente rappresentava un compromesso tra le ambizioni politiche di Mussolini e le reali, limitate capacità militari dell’Italia in quel momento. Il CSIR contava circa 62.000 uomini. Includeva alcune unità che potevano muoversi rapidamente, ma disponeva di pochissimi mezzi corazzati veramente efficaci e di trasporti insufficienti per le necessità logistiche. Nonostante queste importanti limitazioni di equipaggiamento, il CSIR riuscì a mostrare una certa efficienza durante diverse operazioni iniziali. Tuttavia, i problemi legati alla logistica e le tensioni con i comandanti tedeschi per la gestione dei rifornimenti emersero fin da subito. Il generale Giovanni Messe, che comandava il CSIR, si distinse per la sua capacità di leadership in condizioni difficili.L’Espansione: L’ARMIR
Per volere di Mussolini, nel 1942 il contingente italiano in Russia fu aumentato in modo significativo. Si formò così l’8ª Armata, conosciuta come ARMIR, che arrivò a contare circa 229.000 uomini. Questo ampliamento fu motivato principalmente da ragioni politiche e dalla speranza di poter sfruttare le risorse economiche dei territori russi occupati. L’equipaggiamento dell’ARMIR era migliorato rispetto a quello del CSIR dell’anno precedente. Fu data una certa priorità all’artiglieria più moderna. Tuttavia, le carenze di mezzi di trasporto motorizzati e di carri armati adeguati ai combattimenti sul fronte orientale continuarono a essere un problema serio. Nonostante queste difficoltà persistenti, alcune divisioni italiane si presentarono al fronte nel 1942 in condizioni di preparazione e prontezza che erano paragonabili o addirittura superiori a quelle di diverse divisioni tedesche, che erano già logorate da un anno di combattimenti intensi sul fronte orientale.Se, come afferma il capitolo, la campagna di Russia ebbe un carattere aggressivo e le truppe italiane furono coinvolte nelle dinamiche della guerra di sterminio, perché persiste la narrazione del soldato italiano come mera vittima?
Il capitolo introduce una contraddizione fondamentale tra la memoria diffusa e le risultanze della storiografia più recente. Per comprendere come si sia formata e perché resista una memoria che tende a rimuovere o minimizzare le responsabilità , è necessario approfondire non solo la storia militare e politica del periodo, ma anche la storia della memoria e dell’elaborazione del passato in Italia nel dopoguerra. Lo studio delle fonti primarie relative all’occupazione italiana e le analisi di autori che hanno decostruito il mito del “bravo italiano” sono strumenti indispensabili per affrontare questa complessa questione.2. L’ombra dell’occupazione italiana sul fronte orientale
Le forze italiane sul fronte orientale, inizialmente concepite per il combattimento, assumono progressivamente ruoli di occupazione e sicurezza, integrandosi nell’apparato tedesco. La 8ª Armata (ARMIR), schierata sul fiume Don, controlla un vasto settore di fronte e una zona arretrata con centinaia di migliaia di abitanti. L’amministrazione militare italiana nella zona occupata si struttura con uffici dedicati agli affari civili, all’informazione e alla gestione delle retrovie, avvalendosi di unità come i Carabinieri e battaglioni territoriali. Questa struttura opera in linea con le direttive tedesche, puntando alla collaborazione. Vengono implementate misure severe per il controllo della popolazione civile, la limitazione della circolazione e lo sfruttamento delle risorse locali, requisendo cibo e materiali senza riguardo per gli abitanti.
Repressione e collaborazione con i tedeschi
Le autorità italiane partecipano attivamente alla repressione della popolazione locale per mantenere il controllo e prevenire resistenze. Vengono nominati capi locali (“starosty”) resi responsabili con la vita per la sicurezza e la segnalazione di elementi ostili. Si procede al censimento della popolazione, con particolare attenzione a ebrei, comunisti e sospetti, che vengono identificati, arrestati e talvolta consegnati alle forze di sicurezza tedesche (GFP, SD). Documenti attestano l’esecuzione di spie e prigionieri da parte italiana e la collaborazione in operazioni contro partigiani e sabotatori, spesso con brutalità .
Il morale dei soldati
Il morale dei soldati italiani, inizialmente elevato e influenzato dalla propaganda fascista e religiosa che dipingeva la guerra come una crociata contro il bolscevismo e il giudaismo, rifletteva spesso stereotipi negativi sui russi, descritti come barbari o inferiori. Questa mentalità diffusa contribuiva all’accettazione delle dure pratiche di occupazione e repressione messe in atto. Nonostante ciò, alcune testimonianze mostrano compassione o orrore da parte di singoli soldati per le atrocità tedesche. Le forze italiane furono quindi parte integrante del sistema di dominio e violenza messo in atto dalle potenze dell’Asse in Unione Sovietica.
La “collaborazione attiva” italiana fu solo esecuzione di ordini tedeschi o ebbe una sua autonomia repressiva?
Il capitolo descrive la partecipazione italiana alla repressione e alla violenza, ma la natura esatta della “collaborazione attiva” con l’apparato tedesco non è del tutto chiara. Si operava “in linea con le direttive tedesche”, ma si partecipava “attivamente”. Fino a che punto questa attività fu autonoma o semplicemente esecuzione di ordini? Comprendere il grado di autonomia decisionale e operativa italiana è fondamentale per valutare la responsabilità effettiva. Per approfondire questo aspetto controverso, è indispensabile consultare studi specifici sulla storia militare italiana sul fronte orientale e sull’amministrazione delle zone occupate, analizzando le fonti primarie relative agli ordini e alle operazioni. Autori come Giorgio Rochat o Filippo Cappellano possono offrire spunti cruciali.3. Convivenza, Prigionia e Alleanza sul Fronte Orientale
I rapporti tra i soldati italiani e la popolazione civile nei territori occupati sul fronte orientale non sono semplici e amichevoli come a volte si racconta. La vita quotidiana per i civili è segnata dalla fame, dalla miseria e dalla paura. I soldati italiani si comportano in modi diversi: alcuni mostrano umanità , altri indifferenza, opportunismo o egoismo. Ci sono episodi di razzie e sfruttamento, a volte anche sessuale, in cambio di cibo e beni essenziali. Le opinioni ufficiali sui civili cambiano nel tempo, passando da una iniziale cordialità mista a interesse a un crescente scetticismo e diffidenza, soprattutto quando i soldati si spostano in nuove aree.I comandi italiani danno ordini precisi per limitare i contatti con i civili, visti come possibili spie, e per evitare di stringere legami che potrebbero intaccare il prestigio militare. Nonostante questi divieti, le requisizioni non autorizzate e i saccheggi sono molto diffusi. Questo accade spesso perché l’esercito italiano ha difficoltà a ricevere i rifornimenti necessari. Le autorità tedesche si lamentano di questi episodi, perché danneggiano l’economia locale e rendono difficile ottenere la collaborazione della popolazione. I saccheggi riguardano cibo, ma anche materiali industriali, peggiorando ulteriormente le condizioni di vita dei civili.I prigionieri di guerra sovietici
I prigionieri di guerra sovietici che finiscono sotto il controllo italiano vivono in condizioni molto difficili. Contrariamente a quanto si potrebbe pensare, l’esercito italiano gestisce campi di prigionia e impiega i prigionieri in lavori forzati. Questi lavori servono soprattutto per la logistica e per costruire infrastrutture e fortificazioni. Le razioni di cibo per i prigionieri sono scarse, simili a quelle date dai tedeschi e inferiori a quelle che dovrebbero ricevere. Questo porta a malnutrizione e malattie diffuse tra i prigionieri.Molti prigionieri arrivano ai campi già in condizioni fisiche molto precarie. Non abbiamo dati completi su quanti prigionieri siano morti, ma i rapporti dell’epoca parlano di molti decessi causati da malattie. Ci sono anche casi di uccisioni durante i tentativi di fuga. La propaganda italiana, che diffonde storie sulle presunte atrocità commesse dai sovietici, alimenta l’odio e il desiderio di vendetta tra i soldati italiani. Questo clima porta a casi documentati di esecuzioni di prigionieri, avvenute anche durante la difficile ritirata.L’alleanza con i tedeschi
L’alleanza tra italiani e tedeschi sul fronte orientale è segnata da diffidenze e pregiudizi reciproci fin dall’inizio. Non si tratta di una vera partnership alla pari, ma piuttosto di una collaborazione basata su obiettivi diversi e su un supporto reciproco che avviene solo per convenienza. I tedeschi non si fidano completamente dell’efficienza militare italiana e limitano la condivisione di informazioni importanti. Gli italiani, dal canto loro, sono molto attenti al loro prestigio e si sentono spesso svantaggiati, specialmente per quanto riguarda i rifornimenti e le attrezzature.I servizi di collegamento, creati per coordinare le operazioni militari tra i due eserciti, incontrano molte difficoltà . Queste difficoltà sono dovute alle barriere linguistiche, ai sospetti reciproci e ai tentativi dei tedeschi di esercitare un controllo maggiore sulle truppe italiane. Eventi militari, come la battaglia difensiva sostenuta dalla Divisione “Sforzesca”, mettono in luce le debolezze dell’esercito italiano. Questo porta i tedeschi ad aumentare la loro supervisione, peggiorando ulteriormente i rapporti tra gli alleati. Anche se ci sono stati alcuni momenti di stima reciproca, l’alleanza tra italiani e tedeschi sul fronte orientale rimane fragile e si rompe definitivamente quando la situazione militare generale peggiora drasticamente.Se le difficoltà dell’Armata italiana erano così evidenti e fondamentali, perché il capitolo non chiarisce come si sia arrivati a schierare un corpo di spedizione in quelle condizioni disastrose?
Il capitolo descrive con precisione le carenze operative e logistiche, ma lascia in ombra il contesto politico e strategico che ha portato a un tale dispiegamento. Per comprendere appieno la tragedia, è necessario approfondire le decisioni prese ai vertici politici e militari italiani, l’effettiva capacità produttiva e organizzativa del paese, e le priorità (o le illusioni) che guidarono l’intervento sul Fronte Orientale. Approfondire la storia militare e politica del Ventennio può fornire le risposte mancanti. Si possono consultare autori che hanno studiato la preparazione militare italiana e le dinamiche del regime fascista in guerra.6. La Steppa, il Gelo e l’Alleanza Difficile
La situazione dell’8ª Armata italiana sul fronte orientale si presenta fin da subito con gravi difficoltà , in gran parte dovute alle decisioni prese dal comando tedesco. Il settore assegnato alle truppe italiane è eccessivamente vasto rispetto al numero di soldati disponibili per presidiarlo efficacemente. A ciò si aggiungono carenze critiche nei rifornimenti, specialmente per quanto riguarda i trasporti ferroviari e il carburante. Le quantità ricevute sono notevolmente inferiori al fabbisogno reale, impedendo di accumulare scorte essenziali per le operazioni e limitando drasticamente la mobilità delle unità . Questa mancanza di mezzi di trasporto contribuisce in modo significativo alle perdite di artiglierie e automezzi durante le fasi cruciali della ritirata.Le Difese sul Fiume Don
Nonostante le difficoltà logistiche, l’organizzazione delle difese lungo il fiume Don viene affrontata con grande impegno, cercando di sfruttare al meglio le risorse disponibili sul posto. Tuttavia, mancano i materiali adeguati per costruire fortificazioni solide e resistenti. Un altro punto debole è l’artiglieria italiana, che dispone di una gittata limitata, un problema particolarmente sentito dalle divisioni alpine schierate su fronti molto ampi che richiederebbero un supporto di fuoco a lunga distanza. Le riserve di truppe promesse dal comando tedesco per rinforzare il settore italiano non arrivano tempestivamente o vengono dirottate verso altri fronti, lasciando l’Armata priva del supporto essenziale in caso di un attacco nemico su vasta scala.I Rapporti con gli Alleati Tedeschi
I rapporti con le unità tedesche e, in particolare, con il nucleo di collegamento tedesco aggregato all’Armata italiana, si rivelano complessi e spesso problematici. Questo nucleo di collegamento esercita un controllo sempre maggiore e talvolta arbitrario, interferendo con le comunicazioni e le decisioni operative dei comandanti italiani. Durante la difficile fase della ritirata, la cooperazione tra i due eserciti si riduce ulteriormente. Si verificano episodi in cui i soldati tedeschi danno priorità alle proprie necessità di trasporto e riparo, spesso a scapito dei soldati italiani, già stremati dal freddo intenso e dai combattimenti incessanti.La Valutazione Tedesca e le Condizioni della Ritirata
Il comando tedesco tende ad attribuire le difficoltà incontrate dalle truppe italiane a presunte carenze nell’addestramento e nella preparazione dei quadri ufficiali, pur riconoscendo il valore e la tenacia dimostrati da alcune unità , come la divisione “Julia”. D’altra parte, i tedeschi ammettono anche le proprie mancanze, riconoscendo la scarsità di riserve disponibili e l’impatto negativo che le operazioni in corso a Stalingrado hanno avuto sulla disponibilità di rifornimenti per tutto il fronte. La ritirata si svolge in condizioni climatiche estreme, con temperature rigidissime che causano perdite elevatissime tra i soldati. Nonostante il coraggio e il valore dimostrati in battaglia, le gravi deficienze logistiche e le scelte strategiche imposte dal comando tedesco sono i fattori determinanti che portano all’esito sfavorevole delle operazioni. Il comando tedesco, mantenendo il controllo esclusivo sui trasporti e sui rifornimenti, di fatto rende l’Armata italiana dipendente dalle proprie decisioni e priorità .Il capitolo attribuisce la responsabilità del disastro quasi esclusivamente al comando tedesco; ma quali fattori interni all’esercito italiano potrebbero aver contribuito alle difficoltà ?
Il capitolo presenta una narrazione convincente delle gravi carenze logistiche e delle decisioni strategiche imposte dal comando tedesco, evidenziandole come cause primarie dell’esito sfavorevole. Tuttavia, per una comprensione completa della complessa situazione sul fronte orientale, sarebbe opportuno considerare anche eventuali debolezze strutturali, dottrinali o di addestramento proprie dell’esercito italiano dell’epoca, indipendenti dalle dinamiche con l’alleato tedesco. Approfondire la storia militare italiana del periodo e le specifiche condizioni delle forze armate prima e durante la campagna di Russia può offrire una prospettiva più sfaccettata. Per un’analisi più approfondita, si possono consultare le opere di storici come Giorgio Rochat.Abbiamo riassunto il possibile
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