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Contenuti del libro
Informazioni
“In battaglia, quando l’uva è matura. Quarant’anni di Afghanistan” di Valerio Pellizzari non è solo un libro sulla guerra, ma un viaggio intenso attraverso la storia recente di un paese che non si è mai piegato. Dalle telecamere straniere che scrutano Kabul, simbolo dell’intrusione esterna, alla secolare resistenza afgana contro ogni invasore, il libro esplora il contrasto tra la vita quotidiana, fatta di tradizioni antiche e giardini nascosti, e il caos della guerra. Si parla del fallimento delle spedizioni militari straniere, dal ritiro sovietico a quello occidentale, e di come la corruzione diffusa e il disprezzo per le vite dei civili afgani abbiano alimentato l’ostilità. Vengono raccontate storie di persone, la complessità dei Talebani, le dinamiche del confine con il Pakistan e l’importanza dell’istruzione come speranza. È un racconto che mostra come, nonostante droni, kamikaze e miliardi sprecati, la vera forza stia nella determinazione del popolo afgano e nella sua capacità di resistere e adattarsi.Riassunto Breve
Un grande pallone grigio con telecamere sorveglia Kabul, simbolo di una presenza straniera che osserva un paese con ritmi antichi, dove la vita quotidiana si svolge tra giardini nascosti e forni tradizionali, ma anche tra campi profughi e degrado. Questa terra ha una lunga storia di resistenza contro eserciti stranieri, con sconfitte inflitte agli inglesi nel XIX secolo che sono motivo di orgoglio. Le recenti spedizioni militari, sovietica prima e occidentale poi, mostrano similitudini preoccupanti: entrambe sono durate circa dieci anni e si sono concluse senza una vittoria chiara, con un ritiro. Gli occidentali, arrivati dopo l’11 settembre, hanno commesso errori strategici, come isolarsi in una “zona verde” a Kabul o organizzare elezioni in un paese dominato dal narcotraffico. L’uso di aerei e droni, nonostante la tecnologia avanzata, si scontra con la determinazione dei combattenti locali e non porta stabilità. La guerra si evolve con l’aumento degli attacchi kamikaze afgani.La presenza straniera mostra spesso una mancanza di rispetto per la popolazione locale. Le compensazioni per le vittime civili e i danni materiali sono minime, umilianti e non tengono conto del valore di una vita umana, a volte equiparate a quello di bestiame perduto. I controlli di sicurezza sono invasivi e non considerano le usanze locali. La corruzione è diffusa a tutti i livelli, dai piccoli pagamenti per ottenere servizi ai grandi contratti gonfiati per miliardi di dollari destinati alla ricostruzione e al supporto, spesso gestiti da società straniere e figure potenti afgane. Questo sistema di disprezzo, compensazioni inadeguate e corruzione alimenta l’ostilità verso le forze straniere e il governo supportato dall’esterno, rafforzando l’insurrezione.La memoria culturale afgana si preserva in modi unici, come la memorizzazione di libri da parte di librai analfabeti, che contrasta con rappresentazioni esterne che a volte alimentano stereotipi. La presenza straniera ha avuto forme diverse, da imprenditori audaci a figure religiose rispettate, ma il paese è segnato da cicli di violenza e difficoltà di comprensione da parte degli stranieri. L’identità afgana è complessa e sfugge alle analisi superficiali.Nonostante le sfide, l’amore per la natura e le tradizioni di ospitalità persistono, anche se la modernizzazione e l’influenza straniera portano all’adozione di abitudini importate e a una disconnessione, specialmente tra i giovani. Le priorità occidentali, come palestre e internet, non sempre corrispondono ai bisogni reali locali, come l’elettricità stabile. L’istruzione rappresenta una speranza, e le scuole costruite dalle comunità locali sono più protette di quelle realizzate da governi stranieri, percepite come esterne. L’investimento nell’istruzione è considerato più efficace della soluzione militare. Il paese possiede immense ricchezze minerarie, ma il loro sfruttamento è spesso affidato a potenze straniere, richiamando vecchie dinamiche di influenza esterna, senza beneficio per la popolazione locale e con corruzione diffusa. Le tradizioni di resistenza e adattamento persistono, e la forza della comunità locale nel difendere le proprie iniziative è più efficace della protezione armata esterna.L’Afghanistan è un paese di ingegno e adattabilità, visibile negli esuli che hanno successo all’estero o nella scaltrezza quotidiana. La regione di confine con il Pakistan è complessa e volatile, con una rete commerciale e finanziaria legata ai talebani che sfrutta il confine poroso. L’influenza dei servizi segreti pachistani è forte e ambigua. I sequestri sono una tattica usata per ottenere prigionieri o denaro. Le azioni militari straniere nella regione mostrano limiti e incomprensioni, portando a tensioni con gli alleati. La ricerca di figure chiave rivela la complessità e l’opacità della situazione locale. La storia del paese è costellata di violenza e tradimenti.La guerra è vista da molti afgani come un mestiere essenziale. I Talebani hanno mostrato un’evoluzione strategica, riducendo la brutalità contro i civili e fornendo servizi per guadagnare supporto locale. La loro strategia militare si concentra su attacchi spettacolari contro obiettivi stranieri o legati al governo afgano per avere risonanza internazionale. I tentativi di riconciliazione si scontrano con la fermezza degli insorti, che chiedono il ritiro completo delle forze straniere, mentre gli USA sono interessati a mantenere le basi aeree strategiche. Il Pakistan esercita un’influenza significativa sui Talebani. Nonostante la superiorità tecnologica, le potenze straniere ripetono errori strategici e sottovalutano il contesto locale. La guerra non può essere vinta militarmente; gli occidentali hanno orologi precisi, ma i Talebani possiedono il tempo.Riassunto Lungo
1. L’Occhio Straniero e la Terra Indomita
Un grande pallone grigio con telecamere sorveglia Kabul, scrutando ogni dettaglio della vita quotidiana dall’alto, senza che venga data alcuna spiegazione sulla sua presenza. Questo strumento di sorveglianza, simbolo dell’intrusione straniera, osserva un paese dove la maggior parte della popolazione è composta da contadini, pastori e commercianti. Qui, anche se pochi hanno accesso all’istruzione formale, molti percepiscono chiaramente questa sorveglianza come un’ingerenza esterna. La vita di ogni giorno scorre seguendo ritmi antichi, visibili nei forni tradizionali che lavorano instancabilmente dall’alba a notte fonda e nei giardini privati, protetti da alte mura di fango e paglia, che nascondono al loro interno rigogliosi alberi da frutto e fiori colorati, descritti come immutati da secoli. Questa quiete tradizionale contrasta nettamente con la guerra che da tempo affligge il paese.La Doppia Realtà di Kabul
Kabul stessa mostra aspetti profondamente contrastanti. Da un lato, c’è una vitalità evidente, con aquiloni colorati che riempiono il cielo e insegne vivaci che animano le strade, segno di una vita che cerca di andare avanti nonostante tutto. Dall’altro lato, la città rivela un degrado diffuso, con campi profughi che ospitano persone in condizioni di vita estremamente difficili e aree dove si concentra un alto numero di tossicodipendenti. Questa dualità si manifesta in modo acuto anche nelle zone dei posti di blocco, dove la paura costante e le misure di sicurezza rigorose si scontrano con il caos del traffico quotidiano, creando un’atmosfera di tensione perenne.Un Popolo dalla Lunga Storia di Resistenza
L’Afghanistan possiede una storia ricca e orgogliosa di resistenza contro gli eserciti stranieri che hanno tentato di conquistarlo. Le sconfitte inflitte agli inglesi nelle battaglie di Gandamak e Maiwand nel XIX secolo sono episodi che ancora oggi alimentano l’orgoglio nazionale. Figure leggendarie come Malalai, una donna celebrata per aver ispirato con il suo coraggio una vittoria decisiva contro gli invasori britannici, sono parte integrante dell’identità afgana. L’arrivo di forze militari straniere è percepito dalla popolazione locale come un’invasione, un sentimento chiaramente espresso dai cartelloni affissi all’aeroporto di Kabul che definiscono il paese “terra degli uomini coraggiosi”, un monito per chi arriva dall’esterno.Le Spedizioni Straniere Recenti e i Loro Errori
Le spedizioni militari più recenti, quella sovietica e quella occidentale, mostrano similitudini sorprendenti e allarmanti. Entrambe le occupazioni sono durate circa un decennio e si sono concluse con un ritiro delle truppe senza che fosse raggiunta una vittoria definitiva. Le forze occidentali, arrivate in Afghanistan dopo gli attacchi dell’11 settembre, hanno commesso diversi errori strategici. Tra questi, l’isolamento nella “zona verde” di Kabul, che li ha scollegati dalla realtà del paese, e l’organizzazione di elezioni in un contesto nazionale profondamente segnato dal narcotraffico e dalla corruzione. L’ampio uso di aerei e bombardamenti, una tattica che non aveva portato risultati positivi per i sovietici, si è dimostrata inefficace anche per le forze occidentali nel tentativo di stabilizzare il paese.L’Evoluzione dello Scontro e la Sconfitta Riconosciuta
Il conflitto si è trasformato nel tempo, con l’introduzione da parte delle forze straniere dei droni, velivoli senza pilota capaci di colpire a distanza, una tecnologia che si scontra con la determinazione dei combattenti locali, molti dei quali ricorrono ad attacchi suicidi. Questa guerra condotta a distanza si confronta con una resistenza radicata nel territorio e nella cultura. Molti esperti e militari stranieri hanno riconosciuto apertamente il fallimento delle strategie militari adottate, sottolineando quanto fosse fondamentale una maggiore comprensione del popolo afgano e della sua complessa realtà. La ritirata delle forze straniere, iniziata in modo graduale, segna l’ennesima sconfitta storica subita da potenze esterne su queste terre.Ma la “sconfitta” straniera ha davvero significato una “vittoria” per il popolo afgano, o il capitolo ignora le complessità interne post-ritiro?
Il capitolo si concentra molto sulla narrazione delle spedizioni straniere e della resistenza afgana, descrivendo il ritiro come l’ennesima sconfitta esterna. Tuttavia, questa prospettiva rischia di semplificare eccessivamente la realtà, tralasciando di esplorare cosa accade dopo il ritiro e quali dinamiche interne (politiche, sociali, umanitarie) emergono o si aggravano. Per ottenere un quadro più completo, sarebbe fondamentale approfondire la storia afgana recente dal punto di vista interno, analizzando il ruolo dei diversi attori locali, le conseguenze del conflitto prolungato sulla popolazione civile e le sfide della governance e della stabilità nel paese dopo l’uscita delle forze straniere. Utile leggere autori che si occupano di storia contemporanea dell’Afghanistan o analisti politici specializzati sulla regione.2. Il valore di una vita e la giostra dei soldi
La compensazione per le vittime civili e i danni materiali in Afghanistan è spesso minima e molto variabile. Il valore di una vita umana può essere considerato pari a quello di bestiame perduto. I rimborsi non fanno distinzione tra una o più persone uccise nella stessa famiglia, offrendo la stessa cifra indipendentemente dal numero delle vittime. Spesso i pagamenti non sono in denaro, ma in kit di materiali il cui valore dichiarato non corrisponde alla realtà. Le procedure per ottenere questi aiuti sono complicate e umilianti per chi le affronta. Questa situazione si inserisce in un contesto più ampio dove la presenza straniera mostra una chiara mancanza di rispetto verso la popolazione locale. Controlli di sicurezza invasivi, come la scansione biometrica effettuata in pubblico, e una scarsa considerazione per le usanze e lo status sociale afgano creano un forte risentimento. Anche figure di rilievo afgane vengono trattate con diffidenza e sottoposte a procedure umilianti, minando la loro dignità.La Corruzione Diffusa
Accanto a questi problemi, la corruzione è un fenomeno dilagante che tocca ogni livello della società. Si manifesta in tangenti richieste per ottenere incarichi lavorativi, nel coinvolgimento della polizia nel traffico di droga e in processi giudiziari corrotti che portano a rivolte carcerarie e fughe di massa. C’è anche l’appropriazione illegale di terreni e risorse minerarie, che arricchisce pochi a discapito della comunità. A un livello superiore, la corruzione riguarda contratti per forniture militari, infrastrutture e servizi di sicurezza, spesso gonfiati e gestiti da società straniere o da potenti figure afgane vicine al governo. Miliardi di dollari destinati alla ricostruzione e al supporto del paese vengono così sprecati o rubati. Questo diffuso disprezzo per le vite afgane, unito a compensazioni inadeguate e alla corruzione pervasiva, alimenta l’ostilità della popolazione verso le forze straniere e il governo afgano supportato dall’esterno. Tutto ciò contribuisce in modo determinante a rafforzare l’insurrezione e a minare la stabilità dell’intero paese.Il capitolo descrive con efficacia la corruzione e il disprezzo, ma omette il contesto cruciale: come possiamo davvero comprendere le radici profonde dell’insurrezione e l’instabilità afgana limitandoci a questi aspetti?
Il capitolo, pur offrendo una panoramica efficace dei problemi legati alla compensazione e alla corruzione, non scava a sufficienza nelle cause storiche, politiche ed economiche che hanno reso il terreno fertile per tali fenomeni e per il rafforzamento dell’insurrezione. Per colmare questa lacuna, è fondamentale approfondire la storia recente dell’Afghanistan, le dinamiche interne del potere, l’impatto delle precedenti invasioni e l’economia politica della guerra e della ricostruzione. Discipline come la storia, la scienza politica e l’antropologia possono offrire strumenti utili. Per una comprensione più completa, si possono consultare autori come Barnett Rubin, Thomas Barfield o Sarah Chayes, che hanno analizzato a fondo le complessità afgane.3. Storie afgane e sguardi stranieri
La memoria culturale dell’Afghanistan si conserva in modi inaspettati. Abdul Samad, un libraio di Kabul che non sapeva leggere né scrivere, riusciva a memorizzare i libri che vendeva. Il suo sapere ha contribuito a creare collezioni importanti, alcune delle quali si trovano oggi all’estero, come l’archivio di May Schinasi a Nizza. Accanto a queste forme di memoria, ci sono voci locali che raccontano il paese dall’interno. Il poeta afgano Abdul Jahani, per esempio, ha scritto opere come Il comandante, offrendo una prospettiva che descrive le complessità dei combattenti afgani.Sguardi esterni e percezioni
Queste narrazioni interne si confrontano con le rappresentazioni che arrivano dall’esterno. Libri come Il cacciatore di aquiloni hanno avuto un successo enorme in tutto il mondo. Tuttavia, alcuni afgani li considerano una visione che non rispecchia la realtà del paese. Sostengono che questi libri alimentino stereotipi su gruppi etnici specifici, in particolare sui Pashtun. Questo mostra quanto sia diversa la percezione del paese vista da dentro rispetto a quella diffusa fuori dai suoi confini.Presenze straniere e tentativi di integrazione
Nel corso del tempo, diverse figure straniere hanno vissuto in Afghanistan, tentando a volte di integrarsi o di avviare attività. Un italiano, Tonino De Feo, aprì una cantina vinicola a Kabul negli anni Sessanta. Fu un progetto coraggioso che incontrò molti ostacoli, dalle differenze culturali alle difficoltà burocratiche e politiche, fino alla nazionalizzazione dell’impresa. Un altro esempio è padre Angelo Panigati, un sacerdote italiano vissuto nel paese per venticinque anni. Era molto rispettato dalla gente del posto, che lo chiamava “mullah sahib”. La sua presenza è stata un segno di tolleranza e integrazione, mantenendo un legame con l’Italia anche quando molti diplomatici avevano lasciato il paese.Violenza, incomprensione e identità complessa
La storia recente del paese è segnata da cicli di violenza che rendono difficile la comprensione per chi viene da fuori. Episodi come la distruzione dei vigneti, avvenuta per motivi militari, o tragedie come il massacro di Panjwai, mostrano come certi schemi storici si ripetano. Spesso, le strategie pensate dall’esterno sono molto distanti dalla vita di tutti i giorni della popolazione. L’identità afgana è un insieme complicato di tradizioni antiche, conflitti recenti e spostamenti di persone. Si manifesta in modi che non sempre possono essere analizzati o capiti con gli strumenti di chi guarda da lontano.Ma come si può pretendere di comprendere il ‘caos’ al confine se il ruolo cruciale, ma ‘spesso poco chiaro’, di attori esterni come l’ISI pachistano non viene adeguatamente sviscerato?
Il capitolo, pur riconoscendo l’influenza “molto forte e spesso poco chiara” dei servizi segreti pachistani (ISI) nella regione di confine, non offre gli strumenti per comprenderne la natura e le specifiche modalità operative. Questa lacuna rende difficile afferrare appieno le dinamiche del “caos” descritto. Per colmare questa mancanza di contesto, è indispensabile approfondire la storia complessa delle relazioni tra Afghanistan e Pakistan, il ruolo dei servizi segreti nella geopolitica regionale e le diverse interpretazioni storiche del conflitto. Approfondire il lavoro di autori come Ahmed Rashid o Anatol Lieven può fornire prospettive essenziali su questi temi cruciali.6. La guerra come mestiere e il tempo dei Talebani
In Afghanistan, la guerra è vista come un’attività fondamentale, paragonabile alle necessità quotidiane come fare il pane o distribuire l’acqua. Per chi, come Farhad, ha vissuto decenni di conflitto, non esistono vittorie o sconfitte definitive, ma solo pause tra una battaglia e l’altra, in attesa che il ciclo ricominci. Questa prospettiva è molto diversa dalla concezione occidentale di vittoria militare e segna profondamente l’approccio al conflitto nel paese. I Talebani, emersi dall’unione tra principi islamici e tattiche di guerriglia, hanno mostrato nel tempo una notevole capacità di adattamento strategico, nonostante le divisioni interne e il predominio del gruppo di Kandahar.L’evoluzione delle tattiche e il supporto locale
A partire dal 2009, sotto la guida del mullah Omar, i Talebani hanno modificato le loro azioni per ridurre la brutalità verso i civili, vietando pratiche come mutilazioni e incendi di scuole. Hanno iniziato a costruire un rapporto di collaborazione con la popolazione locale, offrendo servizi essenziali e agendo come una sorta di stato parallelo. Questo ha incluso la risoluzione di dispute e la garanzia di un certo ordine, guadagnando così un supporto significativo tra la gente comune che cercava stabilità in un contesto di conflitto prolungato.La strategia degli attacchi spettacolari
Parallelamente a questo approccio più “morbido” verso la popolazione, la strategia militare dei Talebani si è concentrata su attacchi di grande impatto. Questi colpiscono obiettivi legati al governo afgano o alle presenze straniere, come hotel, basi militari, ambasciate e figure politiche di spicco. Lo scopo principale di queste azioni è causare vittime tra gli occidentali per ottenere visibilità internazionale e influenzare l’opinione pubblica nei paesi che schierano truppe in Afghanistan. L’uso di simboli tradizionali, come il turbante, per nascondere esplosivi, rappresenta una profanazione che mira anche a un impatto psicologico e culturale.Tentativi di negoziato e influenze esterne
I tentativi di avviare una riconciliazione nazionale e i negoziati con i Talebani si sono spesso scontrati con la loro posizione inflessibile. Spesso, questi colloqui sono stati condotti direttamente dagli Stati Uniti, aggirando di fatto il governo di Kabul. I Talebani hanno costantemente rifiutato di cedere quote di potere o di espellere i combattenti stranieri presenti tra le loro fila, chiedendo invece il ritiro completo di tutte le forze internazionali. L’interesse principale degli Stati Uniti nei negoziati sembra concentrarsi sul mantenimento di quattro basi aeree considerate strategicamente cruciali per i propri interessi regionali. L’influenza del Pakistan sui Talebani rimane forte, data l’ospitalità offerta alla loro leadership. Incidenti gravi, come il rogo di copie del Corano o massacri commessi da soldati stranieri, hanno esacerbato la rabbia popolare e complicato ulteriormente ogni tentativo di dialogo e pacificazione.La prospettiva occidentale e il fattore tempo
Nonostante la superiorità tecnologica e militare, le potenze straniere hanno ripetutamente commesso errori strategici, spesso sottovalutando la complessità del contesto locale e la resilienza degli insorti. L’esperienza sul campo ha dimostrato che il conflitto in Afghanistan non può essere risolto solo con mezzi militari. Mentre gli occidentali operano con scadenze precise e “orologi” che segnano il tempo delle missioni, i Talebani possiedono un vantaggio decisivo: il controllo del tempo stesso, la capacità di aspettare e resistere in un conflitto che per loro è una condizione esistenziale e non una campagna a termine.Ma come si conciliano la ricerca di supporto locale con l’efferatezza degli attacchi “spettacolari”?
Il capitolo descrive un’evoluzione strategica dei Talebani che, da un lato, cercano il supporto della popolazione locale riducendo la brutalità, e dall’altro, continuano a colpire con attacchi di grande impatto. Questa apparente dicotomia merita un’analisi più approfondita. Per capire la logica dietro strategie così diverse, è fondamentale studiare la teoria della controinsurrezione e le dinamiche dei conflitti asimmetrici, che esplorano come gli attori non statali gestiscono il rapporto con la popolazione civile e l’uso della violenza. Approfondimenti su autori come David Kilcullen o Stathis Kalyvas possono offrire strumenti concettuali per analizzare queste complessità.Abbiamo riassunto il possibile
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