Contenuti del libro
Informazioni
“Il sangue dei vinti. Quello che accadde in Italia dopo il 25 aprile” di Giampaolo Pansa non è il solito libro sulla Resistenza, ma scava in un pezzo di storia che spesso si preferisce dimenticare: cosa è successo ai fascisti vinti e a tanti altri nel dopoguerra italiano, subito dopo la Liberazione. Pansa ci porta nel Nord Italia, in un viaggio crudo attraverso province come Milano, Torino, Genova, Bologna, Modena e Reggio Emilia, ma anche in posti meno conosciuti dove la violenza post-liberazione ha lasciato ferite profonde. Il libro racconta la resa dei conti, gli eccidi e le esecuzioni sommarie che hanno segnato la fine della guerra civile, mostrando come la giustizia sommaria e la vendetta abbiano preso il posto del diritto. Non si parla solo di gerarchi, ma anche di militi, ausiliarie, civili, preti, vittime di un clima di odio e sospetto che si è protratto per mesi, se non anni. È un racconto dettagliato e doloroso di un capitolo rimasto troppo a lungo nell’ombra, che ti costringe a guardare in faccia la complessità e la brutalità di quel periodo.Riassunto Breve
Il periodo immediatamente successivo al 25 aprile 1945 nel nord Italia è caratterizzato da una violenta resa dei conti che si protrae fino alla fine del 1946 e oltre, concentrandosi sul destino dei fascisti sconfitti, un aspetto spesso trascurato dalla storiografia. Si cerca di ricostruire il clima di quegli anni attraverso le esperienze dei vinti, esaminando eventi lontani e poco documentati con attenzione ai dettagli. A Milano, fulcro del fascismo, la fine del regime porta al caos e a un’ondata di violenza incontrollata. Le forze partigiane e sedicenti tali affrontano i fascisti e gestiscono vendette, con esecuzioni sommarie e tribunali improvvisati. La città diventa un “mattatoio” con centinaia, forse migliaia, di vittime. A Pavia, capi fascisti vengono processati rapidamente da tribunali straordinari e fucilati. Molti fascisti che tentano di raggiungere un “Ridotto Alpino” in Valtellina vengono catturati e uccisi. A Brescia, Bergamo e Sondrio si verificano numerose eliminazioni senza processo. Episodi cruenti accadono a Rovetta e Urgnano. La colonna Morsero si arrende nel Novarese e subisce pesanti rappresaglie, con centinaia di prigionieri gettati nei canali come nel massacro di Greggio. Torino e Cuneo vivono giorni di terrore con tribunali partigiani ed esecuzioni brutali, colpendo anche donne e civili; Torino e provincia registrano il più alto numero di giustiziati. A Cuneo, la polizia partigiana conduce processi sommari con esiti fatali anche per fascisti di basso rango e civili. La violenza prosegue nelle province di Cuneo, Imperia e Savona, colpendo fascisti, militari della RSI e civili. Imperia registra un elevato numero di esecuzioni, con molte vittime civili. Savona ha il più alto numero di giustiziati e la violenza si protrae a lungo, colpendo civili e membri di milizie fasciste, con vendette che annientano intere famiglie. A Genova, centinaia di persone vengono giustiziate, con cadaveri abbandonati o gettati in mare; alberghi e depositi diventano luoghi di torture prima delle esecuzioni. In Veneto, la cartiera di Mignagola è un centro di detenzione illegale dove i prigionieri subiscono torture ed esecuzioni. A Oderzo, un tribunale militare sommario applica la “Legge della Montagna”, portando a fucilazioni di massa sull’argine del Piave. Nelle carceri di tutta Italia, come a Imperia, Cesena, Comacchio, Acqui Terme, Chioggia, Piangipane, Carpi e Schio, si verificano incursioni e massacri di detenuti fascisti; l’eccidio di Schio è uno degli episodi più cruenti. A Codevigo, una brigata partigiana intraprende una caccia spietata ai fascisti in fuga, con esecuzioni sommarie e corpi gettati nei fiumi. Nella Bassa Romagna, il ponte della Bastia è un punto di controllo dove chi è considerato nemico rischia la vita; ville e caserme diventano luoghi di prigionia e morte, colpendo preti, possidenti e figure legate al fascismo. A Voltana si consuma un’epurazione con decine di giustiziati, spesso per vecchi rancori. Bologna vive una “seconda guerra civile” o “guerra sotterranea”, con vendette che colpiscono fascisti e civili, inclusi funzionari, militi, donne; vengono assassinati anche figure come Leandro Arpinati e i sette fratelli Govoni. La violenza si estende per mesi, colpendo proprietari terrieri e sacerdoti percepiti come nemici. Le province di Modena e Reggio Emilia sono teatro di una violenta resa dei conti, definita “seconda guerra civile”, con omicidi politici che superano la semplice vendetta; a Modena si parla di “triangolo della morte”, dove ex partigiani comunisti colpiscono “nemici di classe”, inclusi sacerdoti e democristiani. Nel Reggiano, un gruppo clandestino interno al PCI continua una guerra politica occulta, proteggendo i responsabili degli omicidi; figure come Giorgio Morelli denunciano queste atrocità. Anche nelle province di Parma e Piacenza si verificano esecuzioni sommarie. Le ausiliarie del SAF e altre milizie fasciste sono colpite da questa violenza, giustiziate sommariamente in diverse regioni del Nord, spesso senza processi, vittime di vendette personali e logiche politiche; le cifre esatte delle ausiliarie uccise rimangono incerte. Questi eventi mostrano una prosecuzione della guerra civile, alimentata dal desiderio di punizione e dalla mancanza di ordine, lasciando un’eredità di enigmi irrisolti e un segno indelebile nella storia italiana.Riassunto Lungo
1. L’Alba di Sangue
L’interesse per questo argomento nasce da un ricordo personale: la visione dei processi contro i fascisti a Casale Monferrato nel maggio 1945. Quella esperienza infantile, vissuta come uno spettacolo carico di tensione e desiderio di giustizia, ha generato una profonda curiosità verso il destino di chi ha perso la guerra. Per questo motivo, la narrazione si concentra sull’atmosfera di liberazione e vendetta di quei giorni, descrivendo le reazioni della folla e le dinamiche dei processi sommari.Periodo storico e focus dell’indagine
L’indagine si svolge in diverse province dell’Italia del Nord, nel periodo che va dal 25 aprile 1945 fino alla fine del 1946 e oltre. L’attenzione è rivolta alle vicende dei fascisti dopo la fine della guerra civile, un aspetto storico spesso dimenticato. Si vuole quindi descrivere il clima di quegli anni attraverso le esperienze di coloro che sono stati sconfitti, ricostruendo fatti poco conosciuti con attenzione ai dettagli anagrafici e temporali.Collaborazione e intento narrativo
Per realizzare questa ricerca, è stata fondamentale la collaborazione con Livia Bianchi, una bibliotecaria incontrata a Firenze durante una ricerca. Livia, esperta di questo periodo storico, ha contribuito con le sue conoscenze e materiali utili. Affrontando un tema delicato e potenzialmente criticabile, l’obiettivo è raccontare questi eventi in modo sereno, portando alla luce una parte complessa e dolorosa della storia italiana, rimasta in ombra per troppo tempo. In conclusione, si vuole capire se il prezzo pagato dai vinti sia stato giusto o eccessivo, lasciando al lettore il compito diFormattazione.Concentrarsi esclusivamente sulle esperienze dei fascisti sconfitti rischia di offrire un quadro parziale e potenzialmente fuorviante del periodo storico?
Il capitolo sembra voler indagare se il prezzo pagato dai vinti sia stato giusto o eccessivo, partendo da un’esperienza personale legata ai processi contro i fascisti. Tuttavia, un’analisi focalizzata unicamente sulle “vicende dei fascisti dopo la fine della guerra civile” potrebbe tralasciare elementi cruciali per una comprensione equilibrata del contesto. Per rispondere adeguatamente alla domanda centrale del capitolo, sarebbe opportuno ampliare la prospettiva, includendo un’analisi delle cause che hanno portato alla sconfitta del fascismo, delle violenze perpetrate durante il regime e il conflitto, e delle ragioni che hanno motivato le reazioni popolari e le epurazioni post-belliche. Approfondimenti sulla storia del fascismo e della Resistenza, con autori come De Felice e Pavone, potrebbero arricchire notevolmente la trattazione, fornendo un quadro storico più completo e sfaccettato.2. La Mattanza di Milano
La caduta del fascismo e le prime vendette
La fine del regime fascista in Italia culmina con la morte dei suoi principali rappresentanti. Mentre Mussolini viene giustiziato, alcuni gerarchi importanti come Graziani e Borghese evitano la pena capitale grazie all’intervento delle forze alleate. Altri esponenti di spicco del regime, come Preziosi, Borsani e Farinacci, subiscono invece un destino diverso, venendo spesso giustiziati in maniera sommaria. Milano, città simbolo del fascismo e capitale della Repubblica Sociale Italiana, si trova in una situazione particolarmente critica dopo il 25 aprile 1945.Milano nel caos dopo la Liberazione
La città lombarda diventa il centro di una resa dei conti violenta. A Milano si concentrano sia le ultime forze militari fasciste sia il comando della Resistenza. Con il crollo definitivo del regime, la città sprofonda rapidamente nel caos. Le forze partigiane, a cui si uniscono anche persone che si dichiarano partigiane senza esserlo realmente, si trovano a dover affrontare militarmente i fascisti ancora presenti. Ancora più complesso è gestire l’ondata di violenza e vendetta incontrollata che si scatena in città.La spirale di violenza e le esecuzioni sommarie
Le Squadre di azione patriottica (SAP) prendono possesso delle sedi fasciste in tutta la città. Molti esponenti fascisti vengono catturati e subito giustiziati, spesso senza alcun processo regolare. Anche figure come Starace e Buffarini Guidi, che già si trovavano in disgrazia, vengono uccise per mano partigiana. La situazione precipita rapidamente, trasformando Milano in un luogo dove regnano il terrore e l’arbitrio. Tribunali improvvisati, sia popolari che di fabbrica, emettono condanne, spesso capitali, in un clima di giustizia sommaria e frettolosa.Milano “mattatoio” e l’appello alla calma
Milano diventa un vero e proprio “mattatoio”. Ogni giorno, cadaveri vengono ritrovati per le strade e nelle zone periferiche della città. Il numero esatto delle vittime è incerto, ma si stima che siano state centinaia, se non addirittura migliaia, le persone uccise nelle settimane immediatamente successive alla liberazione. Perfino membri attivi della Resistenza rischiano la vita in questo clima di sospetto e violenza generalizzata. Il sindaco Greppi stesso lancia un appello disperato per fermare le esecuzioni, evidenziando quanto sia grave la situazione e quanto sia difficile ristabilire l’ordine in una città profondamente segnata da venti mesi di occupazione e ora preda di una violenza cieca e incontrollata.Ma definire Milano un “mattatoio” è un’analisi storica esaustiva, o non rischia di oscurare le complesse dinamiche politiche e sociali che hanno condotto a tali tragici eventi?
Il capitolo dipinge un quadro drammatico, ma forse semplifica eccessivamente le cause della violenza. Per comprendere appieno la “mattanza di Milano”, è fondamentale approfondire il contesto storico e politico dell’Italia post-fascista. Studiare le dinamiche della violenza politica e le transizioni post-conflittuali può fornire una prospettiva più ampia. Autori come Enzo Traverso, che analizzano le dinamiche della violenza nel XX secolo, potrebbero offrire strumenti interpretativi utili.3. L’Ora dei Conti
La violenza immediata dopo la guerra nel Nord Italia
Il periodo subito dopo la fine della guerra nel nord Italia fu caratterizzato da una grande ondata di violenza e vendette sommarie. In diverse zone, si assistette a processi rapidi e condanne a morte eseguite subito dopo il verdetto, specialmente nei confronti di capi fascisti catturati.Esempi di giustizia sommaria
Un esempio di questa brutalità è la storia di Felice Fiorentini, un colonnello della Sicherheits. Dopo essere stato catturato, fu esposto in gabbia come una “belva” e poi giustiziato. Episodi simili avvennero in diverse località. A Rovetta, ad esempio, 43 giovani militi della GNR furono fucilati, mentre a Urgnano 9 fascisti furono condotti al cimitero e uccisi.Il miraggio del “Ridotto Alpino” e le conseguenze
L’idea di un “Ridotto Alpino” in Valtellina, pensato come ultimo rifugio fascista, si rivelò un’illusione. Molti fascisti che cercarono di raggiungerlo furono catturati e uccisi immediatamente. Eliminazioni sommarie si verificarono a Brescia, Bergamo e Sondrio dopo la Liberazione, spesso senza processi regolari.Le rappresaglie contro la colonna Morsero
La colonna Morsero, nel tentativo di raggiungere la Valtellina, si arrese ai partigiani nel Novarese e subì pesanti rappresaglie. Michele Morsero, il prefetto, fu fucilato insieme ad altri fascisti di spicco.Massacri e violenze estreme nel Novarese e Vercellese
Le violenze a Novara e Vercelli furono particolarmente gravi, con centinaia di prigionieri fascisti uccisi sommariamente e gettati nei canali, come nel massacro di Greggio.La fine tragica dei gerarchi fascisti: il caso di Enrico Vezzalini
La vicenda di Enrico Vezzalini, prefetto di Novara e convinto fascista, rappresenta la fine tragica di molti importanti esponenti del regime. Dopo un processo molto rapido, fu condannato a morte e fucilato, rimanendo fedele alle sue idee fino alla fine.Un periodo di resa dei conti spietata
Questi eventi mostrano un periodo di resa dei conti spietata e caotica. In questa fase, la giustizia sommaria e la vendetta personale presero il posto del diritto, segnando in modo drammatico la conclusione del conflitto civile.Ma è credibile che la complessità della violenza post-bellica nel Reggiano si riduca a una faida interna al PCI, ignorando il contesto sociale e le tensioni ereditate dal fascismo?
Il capitolo sembra presentare una narrazione eccessivamente focalizzata sul “Verminaio Rosso” interno al PCI, rischiando di semplificare un quadro storico ben più complesso. Per comprendere appieno le dinamiche di quel periodo, sarebbe utile approfondire studi sociologici e storici sulla violenza politica post-bellica in Italia, considerando anche le opere di autori come Guido Crainz o Nicola Labanca, che offrono interpretazioni più ampie e sfaccettate di quegli anni cruciali.13. Il Sangue Versato: Ausiliarie nella Resa dei Conti
Violenza contro le ausiliarie dopo la guerra civile
Dopo la fine della guerra civile in Italia, molte ausiliarie del Servizio Ausiliario Femminile (SAF) e di altre milizie fasciste furono coinvolte in un’ondata di violenza diffusa. Queste donne, descritte da fonti partigiane e antifasciste come partecipanti attive alla contro-guerriglia e non solo come semplici assistenti, subirono gravi conseguenze. In questo periodo caotico del dopoguerra, le informazioni sono spesso confuse e imprecise, rendendo difficile accertare la verità storica. Nonostante ciò, è evidente che numerose ausiliarie furono giustiziate sommariamente in diverse regioni del Nord Italia, tra cui Lombardia, Piemonte, Liguria ed Emilia-Romagna.Esecuzioni sommarie e incertezza sulle cifre
I casi documentati di esecuzioni sommarie rivelano una giustizia sommaria, spesso senza processi regolari. Tra le vittime si contano molte giovani donne, alcune ancora adolescenti, e madri. Anche se ufficialmente le motivazioni di queste condanne erano crimini di guerra o collaborazionismo, è probabile che abbiano influito anche vendette personali e dinamiche politiche complesse del dopoguerra. Il numero esatto di ausiliarie uccise rimane incerto, con stime che variano da decine a centinaia, a seconda delle fonti considerate.Memoria e riflessioni sulla giustizia post-bellica
Nonostante la violenza subita, molte ausiliarie affrontarono la morte con coraggio, rimanendo fedeli alle loro idee fasciste. Questi eventi drammatici pongono importanti interrogativi sulla natura della giustizia nel periodo immediatamente successivo alla guerra. In un contesto di profonda divisione e odio, diventa difficile applicare principi di clemenza e generosità. La guerra civile ha rappresentato un periodo in cui la vita umana ha perso valore e la violenza è diventata una pratica comune in entrambi gli schieramenti. La memoria di questi eventi rimane dolorosa e complessa, soprattutto per la difficoltà di stabilire con certezza il numero delle vittime e per la necessità di confrontare memorie opposte e inconciliabili.Se il capitolo riconosce l’incertezza sulle cifre e la difficoltà di accertare la verità storica, non rischia forse di presentare una narrazione parziale concentrandosi esclusivamente sulla violenza subita dalle ausiliarie, senza un’analisi più ampia del contesto storico e delle responsabilità individuali?
Il capitolo solleva questioni importanti sulla giustizia post-bellica, ma la focalizzazione sulla violenza contro le ausiliarie potrebbe risultare limitante. Per comprendere appieno la complessità di questi eventi, sarebbe utile approfondire la storia del periodo immediatamente successivo alla guerra civile, esaminando le dinamiche della violenza politica e le sfide della giustizia di transizione. Autori come Enzo Traverso, che ha studiato le guerre civili europee, o Norberto Bobbio, con le sue riflessioni sulla giustizia e la democrazia, potrebbero offrire spunti utili per ampliare la prospettiva.Abbiamo riassunto il possibile
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