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Contenuti del libro
Informazioni
“Il patto sporco” di Saverio Lodato ti porta dritto negli anni più bui d’Italia, quelli delle stragi di mafia dei primi ’90, un periodo segnato dalla violenza di Cosa Nostra e dalla vita sotto protezione costante di magistrati come quello che si intuisce essere Nino Di Matteo, minacciato da figure come Totò Riina e Matteo Messina Denaro. Ma il vero cuore del libro è la trattativa Stato-Mafia, quella “favola nascosta” che la verità processuale ha finalmente svelato a Palermo. Non una lotta tra nemici, ma un dialogo segreto tra pezzi dello Stato e boss mafiosi, un patto sporco per fermare le bombe, che però ha solo rafforzato la mafia. Lodato non si ferma qui, denuncia il “muro di gomma” contro la verità, le resistenze che ancora oggi ostacolano chi cerca di fare luce su questi legami perversi tra Stato e mafia, mostrando quanto sia difficile la lotta all’antimafia vera, quella che non si accontenta delle commemorazioni, ma cerca giustizia e verità, anche quando scomoda e pericolosa.Riassunto Breve
La realtà dei rapporti tra Stato e mafia in Italia è più complessa di una semplice lotta. Fin dai primi anni ’90, magistrati che indagano sulla mafia vivono sotto protezione costante a causa di minacce concrete, come quelle rivelate da intercettazioni e pentiti. Questa protezione, sebbene necessaria, limita la vita personale e familiare, ma rinunciarvi non è possibile data la persistenza del pericolo, legato anche a figure come Matteo Messina Denaro. Tuttavia, la narrazione di uno Stato sempre in conflitto con la mafia non racconta tutta la verità. Emergono prove di una trattativa segreta tra apparati dello Stato e Cosa Nostra, un patto nascosto per decenni. Questa negoziazione non fu uno scontro, ma un dialogo in cui le parti cercavano un accordo. La strategia delle stragi del 1992-93, con gli attentati a Falcone e Borsellino, si inserisce in questo contesto: la mafia usava la violenza per ricattare lo Stato e ottenere concessioni, come l’attenuazione del carcere duro o la revisione delle leggi sui pentiti. La trattativa si sviluppò attraverso canali non ufficiali, con uomini delle istituzioni che parlavano con esponenti mafiosi come Vito Ciancimino, a volte all’insaputa di altri settori dello Stato e dell’autorità giudiziaria. Il processo sulla trattativa Stato-Mafia ha portato alla luce questa verità scomoda. La sentenza della Corte d’Assise di Palermo ha accertato l’esistenza di questa negoziazione, iniziata quando ufficiali del ROS contattarono Ciancimino per arrivare a Riina. La Corte ha stabilito che questa trattativa rappresentò un riconoscimento implicito della mafia da parte dello Stato e che, invece di fermare la violenza, la incoraggiò, dando a Riina la convinzione che le stragi funzionassero. La ricostruzione processuale evidenzia anche anomalie, come la mancata perquisizione del covo di Riina, che suggeriscono una volontà di alcuni esponenti statali di gestire i rapporti con la mafia in modo autonomo e non trasparente. Nonostante la sentenza sia un passo importante, la ricerca della verità su questi eventi incontra ancora oggi resistenze, silenzi e tentativi di nascondere i fatti. In Italia, la ricerca della verità su temi delicati come i legami Stato-mafia è spesso ostacolata. Quando le indagini si avvicinano a punti cruciali, emergono resistenze da settori politici e giudiziari per proteggere figure potenti. Magistrati che hanno cercato questa verità, come Falcone, Borsellino e Nino Di Matteo, hanno subito attacchi e isolamento. L’inchiesta sulla trattativa ha incontrato ostacoli, come le reazioni alle indagini che hanno coinvolto il Presidente Napolitano e la distruzione di registrazioni. La distinzione netta tra Stato e mafia appare superata; si osserva una convergenza, una simbiosi che porta a parlare di “Stato-Mafia” e “Mafia-Stato”. La criminalità organizzata è integrata nel tessuto sociale e istituzionale, alimentata da corruzione diffusa e commistione di interessi tra politici, imprenditori, funzionari e criminali. L’antimafia stessa affronta divisioni interne e il tentativo da parte di alcuni settori di minimizzare il problema o negare l’esistenza di trattative. Esiste una differenza tra chi, definito “Loro”, apprezza i magistrati solo dopo la loro morte o minimizza il problema, e chi, definito “Noi”, rifiuta la convivenza con la mafia e sostiene attivamente la lotta, cercando la verità anche sui mandanti occulti. La vicenda di Nino Di Matteo, minacciato e isolato, è emblematica di questa contrapposizione. Il processo Stato-Mafia, nonostante le difficoltà e la scarsa attenzione mediatica, ha rappresentato una svolta storica, portando alla condanna di alti funzionari e politici per aver negoziato con Cosa Nostra. Questa decisione giudiziaria mostra la capacità dello Stato di confrontarsi con le proprie verità scomode, offrendo giustizia alle vittime e aprendo un nuovo capitolo nella comprensione di quegli anni drammatici.Riassunto Lungo
1. Il Peso della Protezione
L’inizio della protezione
La storia di un magistrato antimafia inizia nei primi anni ’90, un periodo buio per l’Italia a causa delle stragi mafiose e degli attacchi alle istituzioni. In questo contesto di grande tensione, la vita professionale del magistrato si intreccia rapidamente con la necessità di essere protetto. TuttoComincia quando alcune intercettazioni rivelano piani di attentati contro di lui, organizzati da gruppi criminali come la Stidda e Cosa Nostra.La scorta: da simbolo a prigione
Inizialmente, la scorta viene quasi vista come un riconoscimento dell’importanza del ruolo del magistrato nella lotta alla mafia. Presto, però, la protezione diventa una condizione permanente e pesante da sopportare, durando per oltre venticinque anni. La presenza costante di uomini armati, le restrizioni alla libertà personale e la paura per la propria sicurezza diventano elementi fissi nella vita quotidiana del magistrato e della sua famiglia. Nonostante le difficoltà e il desiderio dei familiari di tornare a una vita normale, rinunciare alla scorta non è mai possibile, perché le minacce rimangono sempre concrete e pericolose.Le minacce di morte
Le minacce contro il magistrato diventano reali e concrete attraverso diverse fonti. Intercettazioni di boss mafiosi come Totò Riina rivelano chiaramente l’intenzione di ucciderlo. Allo stesso modo, le confessioni di pentiti come Vito Galatolo forniscono dettagli sui piani per attentati, inclusa la disponibilità di esplosivo e il coinvolgimento di persone esterne a Cosa Nostra. Queste rivelazioni portano le autorità a disporre un livello di protezione altissimo, paragonabile a quello utilizzato in zone di guerra, per garantire la sicurezza del magistrato.Matteo Messina Denaro e la persistenza della minaccia
In questo scenario complesso, emerge la figura di Matteo Messina Denaro. Erede della strategia violenta di Riina e custode di segreti che collegano mafia e settori corrotti dello Stato, Messina Denaro rappresenta una minaccia costante. La sua lunga latitanza e la continua attività di Cosa Nostra dimostrano quanto sia difficile sconfiggere la mafia. Per questo motivo, la protezione del magistrato rimane indispensabile e prolungata nel tempo, una conseguenza inevitabile della lotta contro un fenomeno criminale radicato e pericoloso.Se la protezione personale è una risposta inevitabile alla minaccia mafiosa, quali strategie a lungo termine possono ridurre la necessità di misure così estreme, affrontando le radici del potere mafioso invece di limitarsi a contenerne i sintomi?
Il capitolo descrive efficacemente la drammatica realtà della protezione forzata, ma implicitamente accetta la protezione personale come unica risposta possibile e prolungata nel tempo. Tuttavia, concentrarsi esclusivamente sulla protezione individuale potrebbe trascurare l’importanza di strategie più ampie e preventive. Per comprendere meglio come superare la logica della protezione permanente, sarebbe utile approfondire studi sociologici sulle dinamiche del potere mafioso, come quelli di Diego Gambetta, o analisi storiche delle politiche antimafia che hanno cercato di smantellare le strutture criminali alla radice, piuttosto che limitarsi a proteggere i singoli.2. La Favola Nascosta
Ormai è chiaro che la storia di uno Stato sempre in lotta contro una mafia criminale e indipendente non era vera. Le indagini hanno dimostrato che c’è stata una trattativa tra lo Stato e la mafia, un accordo segreto i cui dettagli sono rimasti nascosti per molti anni. Questa trattativa non è stata un vero scontro tra nemici, ma un gioco complicato in cui le due parti si trovavano a volte a collaborare, anche se pubblicamente si mostravano come avversari.La strategia delle stragi
In questo contesto si inserisce la strategia delle stragi del 1992-93, che ha visto gli attentati a persone importanti come Falcone e Borsellino. Cosa Nostra, sentendosi tradita dai politici che di solito la appoggiavano, ha iniziato ad usare la violenza per ricattare lo Stato e ottenere favori. I mafiosi chiedevano di rendere meno dura la prigione per i boss, di cambiare le leggi sui pentiti e sul sequestro dei beni, promettendo in cambio di fermare le stragi.La trattativa è avvenuta in segreto, con persone dello Stato che parlavano di nascosto con mafiosi come Vito Ciancimino, senza che altri membri dello Stato lo sapessero. Quindi, da una parte lo Stato si mostrava duro contro la mafia, ma dall’altra parte cercava segretamente un accordo per fermare le stragi.Le indagini sulla trattativa Stato-Mafia hanno cambiato le cose, facendo emergere verità difficili da accettare e mettendo in discussione quello che si credeva vero. Nonostante le bugie e i tentativi di screditare le indagini, è stato provato che c’è stato davvero un dialogo nascosto tra pezzi dello Stato e Cosa Nostra. Questo ha fatto capire come la convivenza e gli accordi segreti abbiano prevalso sulla lotta aperta alla mafia, con conseguenze molto gravi per chi si è opposto a questo sistema. La sentenza del processo ha stabilito che la trattativa non è stata inventata, ma è una realtà storica con persone responsabili, azioni precise e conseguenze concrete.Se lo Stato ha negoziato con la mafia, chi esattamente all’interno dello Stato ha preso questa decisione, e con quale mandato? Non rischia questa narrazione di personificare eccessivamente lo “Stato”, oscurando le dinamiche di potere interne e le responsabilità individuali?
Il capitolo presenta una ricostruzione dei fatti in cui lo “Stato” agisce come un’entità monolitica capace di negoziare segretamente. Tuttavia, è fondamentale interrogarsi sulla reale natura dello Stato come apparato complesso e non unitario. Per rispondere a questa domanda, sarebbe utile approfondire le dinamiche interne alle istituzioni statali, studiando la sociologia delle organizzazioni e la scienza politica. Autori come Weber, con i suoi studi sulla burocrazia, o Ostrom, con le sue analisi sui sistemi complessi, potrebbero offrire strumenti concettuali utili per decostruire la nozione di “Stato” come attore singolo e comprendere le interazioni tra diverse componenti statali. Inoltre, una lettura critica delle sentenze del processo sulla trattativa Stato-Mafia, analizzando le motivazioni dei giudici e le diverse posizioni emerse, potrebbe fornire un quadro più articolato e meno semplificato della vicenda.3. La Trattativa Stato-Mafia: Verità Processuale e Omertà Istituzionale
La sentenza della Corte d’Assise di Palermo
La Corte d’assise di Palermo ha depositato le motivazioni della sentenza. Questa sentenza ricostruisce gli anni delle stragi e il passaggio tra la Prima e la Seconda Repubblica. Frutto di un’analisi approfondita e dettagliata, la sentenza afferma che ci fu una trattativa tra Stato e mafia. Questa trattativa iniziò quando ufficiali del Ros contattarono Vito Ciancimino. L’obiettivo era dialogare con Riina e capire le richieste di Cosa Nostra per fermare le stragi.L’inizio e gli sviluppi della trattativa
La Corte ha accertato che la trattativa ci fu davvero. Questa trattativa rappresentò un riconoscimento implicito di Cosa Nostra da parte dello Stato. Questo riconoscimento di fatto rafforzò l’organizzazione mafiosa. Nonostante l’avvio della trattativa, Riina continuò a colpire lo Stato con nuove stragi, come quella di via D’Amelio. La sentenza evidenzia che la trattativa non solo non fermò il sangue, ma anzi ne provocò altro. Infatti, la trattativa diede a Riina la convinzione che la violenza fosse il modo giusto per piegare lo Stato.Anomalie e silenzi nelle indagini
La ricostruzione processuale ha messo in luce diverse anomalie. Tra queste anomalie spiccano la mancata perquisizione del covo di Riina e la mancata cattura di Provenzano e Santapaola. Questi comportamenti fanno pensare che alcuni membri dello Stato fossero insofferenti alle regole. Sembra che ci fosse la volontà di gestire i rapporti con la mafia in autonomia, senza informare la magistratura. Per questi motivi, la sentenza condanna sia mafiosi che uomini delle istituzioni per minaccia a corpo politico dello Stato. La Corte riconosce la gravità del danno che è stato arrecato alle istituzioni democratiche.La difficile ricerca della verità
Nonostante questa sentenza sia fondamentale per cercare la verità, fare piena luce su questi eventi è molto difficile. Questa difficoltà dipende da reticenze, silenzi e tentativi di nascondere la verità, che ancora oggi persistono. La sentenza della Corte d’Assise di Palermo è quindi un punto di partenza importante. Serve un rinnovato impegno per cercare la verità sulle stragi e sulle complicità tra Stato e mafia. È necessario che le istituzioni e chi ha informazioni utili abbiano un sussulto di orgoglio e responsabilità.Ma è davvero utile e accurato dividere il mondo in “Noi” contro “Loro” quando si parla di lotta alla mafia, o questa divisione così netta rischia di semplificare eccessivamente una realtà ben più complessa?
Il capitolo presenta una distinzione binaria tra chi lotta attivamente contro la mafia e chi, invece, ne è complice o la minimizza. Questa divisione, sebbene efficace a livello retorico, potrebbe non rendere giustizia alla complessità delle dinamiche sociali e individuali che influenzano l’atteggiamento verso la criminalità organizzata. Per comprendere meglio queste sfumature, sarebbe utile approfondire studi di sociologia e psicologia sociale sulla polarizzazione dei gruppi e sui meccanismi di giustificazione e negazione di fenomeni sociali complessi. Autori come Erving Goffman, con i suoi studi sulla costruzione sociale della realtà, o Albert Bandura, con le sue ricerche sui meccanismi di disimpegno morale, potrebbero offrire strumenti concettuali utili per analizzare criticamente questa dicotomia.7. La Verità Scomoda del Processo Stato-Mafia
L’indagine di Nino Di Matteo
Il magistrato Nino Di Matteo ha scelto di affrontare un percorso molto difficile e solitario, indagando sulla trattativa tra Stato e Mafia. Nonostante le minacce e l’ostilità incontrate negli anni, ha continuato con determinazione la sua ricerca della verità. Il processo, che all’inizio era stato screditato e ostacolato, ha poi dimostrato la sua validità giuridica, portando alla luce un periodo oscuro della storia italiana.La sentenza storica
La sentenza pronunciata dalla corte di Palermo ha segnato un momento storico molto importante. Alti funzionari delle forze dell’ordine e importanti figure politiche sono stati giudicati colpevoli di aver negoziato con Cosa Nostra durante gli anni delle stragi. Tra le persone condannate c’è anche Marcello Dell’Utri, noto per essere legato a Silvio Berlusconi.Un punto di non ritorno
Questa decisione della giustizia rappresenta un punto di svolta fondamentale. Dimostra che lo Stato è capace di giudicare sé stesso e di affrontare verità scomode riguardo ai rapporti tra le istituzioni e la criminalità organizzata. Nonostante il processo non abbia ricevuto molta attenzione dai media, è riuscito a far emergere la realtà della trattativa Stato-Mafia. In questo modo, è stata fatta giustizia per le vittime delle stragi e si è aperto un nuovo modo di capire quegli anni drammatici.Se la sentenza rappresenta un “punto di non ritorno”, come mai l’eco mediatico è stato così limitato, e questa scarsa risonanza non rischia di depotenziare la portata storica di tale svolta?
Il capitolo presenta la sentenza come uno spartiacque nella lotta alla mafia, ma evidenzia una contraddizione: la limitata attenzione mediatica. Per comprendere se si tratti realmente di un punto di non ritorno, è fondamentale analizzare il ruolo dei media nel plasmare la percezione pubblica di eventi giudiziari e storici. Approfondimenti in sociologia della comunicazione e storia del giornalismo potrebbero fornire strumenti utili per valutare criticamente l’impatto reale di processi giudiziari complessi come quello Stato-Mafia, e per capire se la scarsa risonanza mediatica ne mini la portata trasformativa.Abbiamo riassunto il possibile
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