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RISPOSTA: “Il Novecento. Interpretazioni e bilanci” di Mariuccia Salvati ci porta in un viaggio affascinante attraverso un secolo di trasformazioni radicali, esplorando come l’uomo, tra sogno e realtà, abbia navigato un’epoca di cambiamenti epocali. Il libro analizza il Novecento non solo come un periodo storico, ma come un progetto culturale, nato in Italia, che ha messo in discussione il mondo liberale e borghese, dando vita a termini come “Futurismo” e “Fascismo”. Dalla critica alla modernità industriale e alla paura della massa, fino all’impatto della globalizzazione e alla frammentazione dell’identità, Salvati ci guida attraverso le interpretazioni di questo “secolo breve”, evidenziando il passaggio da una speranza nel progresso a un timore del futuro. Si esplora la modernità vista tra ragione e frammentazione, con un occhio critico verso l’unicità occidentale e le conseguenze paradossali della razionalità. Il bilancio del Novecento viene tracciato attraverso le visioni di storici come Hobsbawm e Barraclough, analizzando l’ascesa e la caduta delle ideologie, il totalitarismo, i campi di concentramento come Auschwitz, e il ruolo della memoria collettiva. L’Europa è il palcoscenico principale di queste vicende, ma il libro allarga lo sguardo al mondo, mostrando la de-occidentalizzazione e il ritorno di conflitti. Un’opera che invita a riflettere sul legame tra passato, memoria e azione, fondamentale per comprendere il nostro presente e le sfide del futuro.Riassunto Breve
L’essenza dell’uomo risiede nella sua capacità di sognare, un tratto distintivo che lo spinge a cercare di trasformare la realtà circostante. Il Novecento, in particolare in Italia, è stato un secolo di profonde trasformazioni, inizialmente caratterizzato da movimenti d’avanguardia che criticavano il mondo liberale e borghese. Termini come “Futurismo”, “Fascismo” e “Totalitarismo” sono nati in questo contesto, riflettendo una crisi del liberalismo e una critica radicale alla cultura e al sistema politico. La modernità, fin dalla fine dell’Ottocento, è stata vista sia come un’opportunità che come una minaccia, con opere che anticipavano aspetti tecnologici ma anche l’oppressione morale e culturale dell’uniformità imposta dal progresso. Walter Benjamin, ad esempio, rifletteva sulla nostalgia per un mondo travolto dalla modernità, legata all’applicazione forzata di principi uniformanti.Il connubio tra modernità e massa è un tratto distintivo delle prefigurazioni del Novecento, accompagnato dalla paura di un andamento demografico incontrollato e da critiche alla modernità e alla democrazia borghese, influenzate da pensatori come Nietzsche. Il successo di opere come “Il tramonto dell’Occidente” di Spengler testimonia un clima culturale preparato da decenni di critica alla modernità industriale. L’anti-modernità, la rivolta contro la civiltà della tecnica e la previsione di “degenerazione” caratterizzano lo spirito *fin-de-siècle*, con il pessimismo e l’emozionalismo che denunciano la crisi di un’epoca e il declino della *Kultur* a favore della *Zivilisation*. La metropoli diventa simbolo della modernità contestata, con la sua mescolanza di classi ed etnie, ma anche con la paura della promiscuità e della perdita di controllo.Il confronto tra l’inizio e la fine del Novecento rivela un passaggio da una visione di speranza nel progresso a un timore del peggio. La volontà politica ha sostituito le proiezioni futurologiche, e la globalizzazione è percepita come un evento inarrestabile. L’uomo nuovo, un tempo meta culturale, è ora fonte di paura, mentre la fantascienza esplora la compenetrazione tra uomo e macchina. La filosofia, la letteratura e l’arte di fine secolo sono intrise di pessimismo e nostalgia, in contrasto con l’eccesso di volontà di inizio secolo. Ciò che distingue le due “fine secolo” è la visione della storia e la fiducia nel prevedere il futuro basandosi sul passato. Il XX secolo si apre con una rottura voluta, un volontarismo che spinge a differenziarsi dal secolo precedente, soprattutto nello sviluppo economico. La rivoluzione diventa un termine applicabile a scienza, economia e rigetto del mondo borghese, sia a sinistra che a destra. L’energia di inizio secolo, fonte di speranza, contrasta con la crisi attuale. La filosofia del futuro rifiuta il determinismo positivista, ancorando l’individuo all’azione e al fatto sociale.Il XXI secolo, a differenza del XX, non vuole essere diverso, lo è. La globalizzazione è un processo subìto, non voluto. L’uomo nuovo, un tempo obiettivo, è ora fonte di timore, e l’ambizione di plasmare la storia è fallita. La paura della compenetrazione uomo-macchina e dell’emergere di sentimenti nelle macchine domina la fantascienza. L’idea di futuro è invecchiata, legata alla crescita anziché al completamento. La fine del Novecento vede una distinzione tra minoranze intellettuali e cultura di massa, con il dibattito sul postmodernismo e la diffusione di movimenti esoterici. La post-modernità, condizione sociale del tardo capitalismo, si distingue dal postmodernismo, forma di pensiero. Nonostante il progresso scientifico, si osserva un diffuso irrazionalismo e un rifiuto del progresso scientifico. La fiducia nel futuro e nella razionalità economica si è spostata verso l’Asia, mentre l’Oriente torna ad essere un polo di seduzione, ma in modo diverso rispetto alla fine dell’Ottocento. Il controllo dello spazio mondiale è centrale, ma in termini di “geoeconomia” e gestione dei flussi.La modernità è vista come un fenomeno complesso, dove la ragione, pur essendo un elemento centrale, non è l’unico fattore determinante. Si evidenzia una tensione tra la razionalizzazione dei sistemi economici e sociali e la sfera dell’azione individuale e dei valori. La globalizzazione porta a una frammentazione culturale ed economica, separando il comportamento personale e la vita politica dalla sfera economica, creando un mondo non unificato, ma diviso, dove il mondo della strumentalità si scinde da quello dell’identità. La modernità, quindi, non è solo ragione, ma anche la capacità dell’individuo di resistere alle pressioni collettive e di affermare la propria libertà. Si contesta l’idea di unicità dell’Occidente e della sua razionalità specifica, sottolineando come la modernità abbia radici profonde anche nelle civiltà orientali. La storia del Novecento mostra come la ragione, pur essendo un motore di progresso, possa anche portare a conseguenze paradossali, come la meccanizzazione della vita e la subordinazione alla tecnica. La fine della storia, intesa come un percorso predeterminato verso la vittoria della democrazia liberale, viene messa in discussione. Si osserva una crescente sfiducia nella società come fonte di salvezza, con un passaggio dalla ricerca di benessere collettivo alla protezione individuale contro l’incertezza. Questo porta a una frammentazione dell’identità, vista come risposta alla crisi della comunità. La scienza, pur offrendo strumenti sofisticati per comprendere l’universo, non riesce a fornire risposte sul “perché” delle cose, sulle loro cause o finalità. La ragione, quindi, è vista come un intelletto che necessita di guida, e l’opzione illuministica invita a valorizzare la ricerca della verità attraverso la scienza, pur mantenendo la consapevolezza dei suoi limiti.Il Novecento è stato un secolo di grandi cambiamenti, segnato da profonde trasformazioni economiche, politiche e sociali. Geoffrey Barraclough ha parlato di un “rimpicciolimento dell’Europa”, evidenziando come il continente, dopo aver diffuso il suo sapere, abbia dovuto accettare un ruolo meno centrale sulla scena mondiale. Eric Hobsbawm, nel suo “Secolo Breve”, ha invece posto l’accento sull’ascesa e la caduta del comunismo come elemento centrale per comprendere l’intero periodo. Jürgen Habermas ha evidenziato come il Novecento sia stato caratterizzato da violenza e barbarie, ma ritiene che il 1945, con la sconfitta del fascismo, rappresenti una cesura fondamentale. Nel corso del secolo, si è assistito anche a un dibattito sul ruolo dello Stato nell’economia, contrapponendo collettivismo e liberalismo. La globalizzazione ha ulteriormente complicato il quadro, portando a una crescente separazione tra le decisioni economiche sovranazionali e quelle politiche nazionali. La Prima Guerra Mondiale è considerata da molti un evento spartiacque, non solo per l’inizio del secolo ma anche per il suo impatto sulla memoria collettiva e sulla “democratizzazione” della memoria stessa.Il Novecento è stato un secolo segnato profondamente dal legame tra politica e ideologia. L’ideologia, intesa in senso “debole” come dottrina o dogmatismo, ha caratterizzato movimenti come il nazionalismo e il socialismo. La tesi del “declino delle ideologie” suggeriva che i presupposti che le avevano generate venissero a mancare. Tuttavia, queste ideologie hanno trovato nuova linfa nella fusione con nazionalismo e totalitarismo, ricongiungendo la frattura tra politica e società. Hannah Arendt ha evidenziato come il totalitarismo sia un fenomeno radicalmente nuovo, basato sulla forza dell’ideologia che pretende di spiegare ogni cosa attraverso una logica interna. Il concetto di totalitarismo, sviluppato in particolare da Arendt, Friedrich e Brzezinski, è stato fondamentale per comprendere regimi come il nazismo e il comunismo. I campi di concentramento, in particolare Auschwitz, sono visti come simbolo di una rottura tra progresso e umanità. Il genocidio ebraico è considerato un “fatto sociale totale” che rivela le strutture profonde di un sistema ideologico moderno, il razzismo biologico, dimostrando come il progresso industriale possa entrare in conflitto con quello umano. La memoria di questi eventi, specialmente quella dei sopravvissuti, diventa essenziale per comprendere la radicalità di tali ideologie e il valore del singolo individuo di fronte a progetti totalizzanti.Il Novecento è stato un secolo di grandi trasformazioni, segnato da conflitti mondiali e dall’ascesa di nuove potenze, ma anche da un’evoluzione verso una “storia universale” dovuta alla diffusione di tecnologie e modelli economici simili. Raymond Aron ha definito questo periodo come una “guerra dei trent’anni” che ha visto l’Europa passare da un mondo di diplomazie conosciute a una realtà di guerra totale e totalitarismo, innescati dalla “sorpresa tecnica”. Nonostante l’aspirazione a una “società industriale” comune, il secolo è rimasto diviso da disuguaglianze di sviluppo e differenze culturali. Pierre Hassner ha evidenziato come il XX secolo sia stato caratterizzato da scontri per il dominio globale, ma anche da una crescente frammentazione, con un’impressione di un universo più unificato ma anche più diviso. Si osserva una de-occidentalizzazione del mondo, con il primato asiatico e il ritorno di conflitti in Europa. Il nazionalismo è emerso come un fenomeno chiave, evolvendosi dall’Ottocento, dove era legato alla libertà, al Novecento, dove è stato strumentalizzato dalle classi dominanti e associato a teorie razziali. Le guerre balcaniche hanno riacceso l’attenzione sul Trattato di Versailles e sui problemi irrisolti legati alle minoranze e all’appartenenza etnica, evidenziando il fallimento dell’autodeterminazione wilsoniana. Edward H. Carr ha analizzato il nazionalismo in una prospettiva post-nazionalista, distinguendo tra nazionalismo ottocentesco e “nazionalismo economico” del primo dopoguerra. Dopo il 1945, Carr ha posto l’accento sulla “giustizia sociale” e sulla necessità di organismi internazionali per garantire sicurezza e sviluppo. Isaiah Berlin ha sottolineato come il nazionalismo sia una risposta a bisogni profondi, specialmente nei paesi decolonizzati. La globalizzazione, emersa con il crollo del comunismo, viene vista come un ritorno al capitalismo, ma solleva interrogativi sul futuro del welfare e dello Stato nazionale. La visione del futuro è meno eroica e più pragmatica, concentrata sul presente. L’idea di progresso nel Novecento è stata segnata da una “nozione volontaristica”, che ha visto il suo culmine con la caduta del Muro di Berlino. La fine dell’impero sovietico ha segnato la fine di un’utopia nata in Europa, separando l’aspettativa del futuro dall’esperienza del passato. Le risposte ai quesiti sul futuro del mondo si orientano verso etica e religione, con l’ecologia e l’umanitarismo, ma la tendenza prevalente è il ritorno a valori stabili come famiglia, religione e Stato. Il fondamentalismo, definito come una “moderna utopia giacobina anti-moderna”, rappresenta una continuità pericolosa con le ideologie del passato, unendo politica e religione. Samuel Huntington prevede un futuro di “scontro delle civiltà”, basato sulla religione, suggerendo l’isolazionismo come soluzione, una conclusione contestata da chi promuove l’interdipendenza. Il dibattito tra comunitaristi e liberali riflette queste tensioni. La consapevolezza del declino europeo e l’emergere di nuove concezioni dell’uomo e della società guidano le sintesi storiche italiane sulla seconda metà del Novecento. La globalizzazione, vista come un ritorno al “mainstream” dello sviluppo capitalistico, pone interrogativi sul ruolo dello Stato nazionale e sulla coincidenza tra mercato, democrazia e pace. La visione del futuro è pragmatica, come sottolineato da Daniel Bell: “Il futuro non è un salto verso un obiettivo remoto, ma inizia nel presente”. L’eredità del Novecento, con la sua “history as usual” e il dramma degli imperi, continua a influenzare la comprensione del presente.L’ingresso di masse sempre più ampie di cittadini nella storia ha modificato la percezione del futuro e, di conseguenza, la dimensione storica. Questo fenomeno rende meno inattuale la critica di Nietzsche agli “abusi della storia”, poiché l’invito a liberarsi dal peso del passato per costruire il futuro, rivolto a un’élite intellettuale, assume un carattere paradossale quando i destinatari sono milioni di persone consapevoli del legame tra eventi storici e memoria personale. La sfida per lo storico rimane quella di creare un ponte tra la memoria individuale e le rappresentazioni collettive, ovvero i valori condivisi che orientano l’aspettativa del futuro. Nelle società democratiche europee della seconda metà del Novecento, la conservazione della memoria è una rivendicazione di identità comunitaria e un desiderio di partecipazione democratica. Essa nasce anche dalla paura che il passato possa ripetersi e dalla sfiducia negli storici ufficiali, soprattutto in un contesto segnato da stragi e migrazioni di massa. In queste circostanze, alla memoria non si chiede critica, ma identificazione, offrendo una sorta di pausa consolatoria a individui che si sentono spaesati. Il “gigantismo delle fonti” nell’età contemporanea, lamentato da storici come Braudel e Labrousse, si confronta ora con il “gigantismo della memoria”. Questo solleva la questione di come la storia possa rispondere al divario tra sensibilità soggettiva e realtà oggettiva, tra *Erlebnis* ed *Erfahrung*. La tendenza a colmare questa frattura, saltando le evoluzioni storiche, ha portato all’affermazione di ideologie messianiche all’inizio del Novecento, i cui effetti tragici e paradossali si sono manifestati nel corso del secolo. Per l’Europa, lo storico può al massimo “prevedere il passato”, come suggerisce Koselleck, sottolineando che il tempo storico cambia con la storia stessa, modificando il coordinamento tra esperienza e aspettativa. L’idea di “tempo nuovo” si è affermata solo alla fine del Settecento, quando la storia è diventata un concetto di azione, orientato alla pianificazione sociale e politica. Dopo la sconfitta dei totalitarismi, il pensiero storico-filosofico si è separato dalla politica. Emerge la consapevolezza che, sebbene la storia a breve termine sia fatta dai vincitori, a lungo termine la conoscenza storica progredisce grazie ai vinti. Si apre una nuova congiunzione tra “spazio di esperienza” e “orizzonte di aspettativa”, che richiede una ricerca corale e priva di pretese di spiegazioni totalizzanti. La storia, abbandonando il “demone della totalità”, si colloca umilmente tra le scienze sociali e umane, affiancata da discipline come l’economia, la sociologia e l’antropologia. La ricerca sul futuro è aperta, ma non spetta più esclusivamente allo storico definire le conclusioni.Riassunto Lungo
L’Uomo tra Sogno e Realtà: Un Secolo di Trasformazioni
La Capacità di Sognare come Essenza Umana
L’essere umano si distingue per la sua capacità di sognare, un tratto che lo spinge a cercare di trasformare la realtà che lo circonda. Questa continua ricerca di superare il proprio stato attuale, alimentata dai sogni, definisce l’essenza stessa dell’umanità.Il “Novecento” come Progetto Culturale e Politico
Il termine “Novecento” nacque in Italia per indicare movimenti culturali d’avanguardia che si opponevano a quelli ottocenteschi. Non era una semplice previsione, ma un vero e proprio progetto culturale critico nei confronti del mondo liberale e borghese. L’illusione di estendere questa critica alla sfera politica portò però a un rapido abbandono del termine. L’Italia, in particolare, ebbe un ruolo pionieristico nel coniare parole come “Futurismo”, “Fascismo” e “Totalitarismo”, termini che riflettevano la profonda crisi del liberalismo e una critica radicale della cultura verso il sistema politico. Il passaggio dal futurismo al Novecento, specialmente nelle arti, segnò un compromesso tra la cultura d’avanguardia e la politica, un legame evidente nella pittura, nella letteratura e nell’architettura.La Modernità: Tra Anticipazione e Timore
Fin dalla fine dell’Ottocento, la modernità è stata immaginata e, al tempo stesso, temuta. Opere come “Parigi nel XX secolo” di Jules Verne anticipano aspetti tecnologici, ma mettono anche in luce l’oppressione morale e culturale derivante dall’uniformità imposta dal progresso. Walter Benjamin, studiando i frammenti del passato nei passages di Parigi, riflette questa nostalgia per un mondo travolto dalla modernità. L’idea di progresso, che collegava passato e futuro, si lega all’applicazione forzata di principi uniformanti.Modernità, Massa e Critica Sociale
Il legame tra modernità e massa è un tratto distintivo delle prime visioni del Novecento. Emergeva con forza la paura di un andamento demografico incontrollato e si moltiplicavano le critiche alla modernità e alla democrazia borghese. Figure come Nietzsche influenzarono questa critica, sottolineando l’importanza dell’oblio del passato per poter agire. Il successo di opere che denunciavano la crisi della civiltà, come “Il tramonto dell’Occidente” di Spengler, testimoniava un clima culturale già preparato da decenni di critica alla modernità industriale.L’Ombra della Modernità: Anti-modernità e Pessimismo
In Europa, la modernità è sempre stata accompagnata dalla sua ombra, l’anti-modernità. La rivolta contro la civiltà della tecnica, che coinvolse tutti gli strati sociali, si espresse nella previsione di una “degenerazione”. Il pessimismo e l’emozionalismo caratterizzarono lo spirito fin-de-siècle, con la denuncia della crisi di un’epoca e il declino della Kultur a favore della Zivilisation. La metropoli divenne il simbolo della modernità contestata, luogo di mescolanza tra classi ed etnie, ma anche fonte di paura per la promiscuità e la perdita di controllo.Due Fine Secolo: Speranza contro Timore
Il confronto tra l’inizio e la fine del Novecento rivela un passaggio da una visione di speranza nel progresso a un profondo timore del peggio. La volontà politica ha gradualmente sostituito le proiezioni futurologiche, e la globalizzazione è diventata un evento percepito come inarrestabile. L’uomo nuovo, un tempo un ideale culturale, è ora fonte di paura, mentre la fantascienza esplora la crescente compenetrazione tra uomo e macchina. La filosofia, la letteratura e l’arte di fine secolo sono profondamente permeate da pessimismo e nostalgia, in netto contrasto con l’eccesso di volontà che caratterizzava l’inizio del secolo.Volontarismo e Rivoluzione all’Inizio del Secolo
Ciò che distingue le due “fine secolo” è la diversa visione della storia e la fiducia nel poter prevedere il futuro basandosi sul passato. Il XX secolo si aprì con una volontà di rottura, un volontarismo che spingeva a differenziarsi dal secolo precedente, soprattutto nello sviluppo economico. Il concetto di rivoluzione divenne applicabile alla scienza, all’economia e al rigetto del mondo borghese, sia da destra che da sinistra. L’energia manifestata all’inizio del secolo, fonte di speranza, contrasta nettamente con la crisi attuale. La filosofia del futuro rigettò il determinismo positivista, ancorando l’individuo all’azione e al fatto sociale.Il XXI Secolo: Un Cambiamento Subìto
Il XXI secolo, a differenza del XX, non desidera essere diverso, lo è. La globalizzazione è un processo subìto, non voluto. L’uomo nuovo, un tempo un obiettivo, è ora fonte di timore, e l’ambizione di plasmare la storia è fallita. La paura della compenetrazione uomo-macchina e dell’emergere di sentimenti nelle macchine domina la fantascienza. L’idea di futuro appare invecchiata, legata più alla crescita che al completamento.Postmodernità, Irrazionalismo e Nuovi Poli di Seduzione
La fine del Novecento vede una chiara distinzione tra minoranze intellettuali e cultura di massa, con il dibattito sul postmodernismo e la diffusione di movimenti esoterici. La post-modernità, intesa come condizione sociale del tardo capitalismo, si distingue dal postmodernismo, una forma di pensiero. Nonostante il progresso scientifico, si osserva un diffuso irrazionalismo e un rifiuto della razionalità scientifica. La fiducia nel futuro e nella razionalità economica si è spostata verso l’Asia, mentre l’Oriente ritorna ad essere un polo di seduzione, ma in modo diverso rispetto alla fine dell’Ottocento. Il controllo dello spazio mondiale diventa centrale, interpretato in termini di “geoeconomia” e gestione dei flussi.Dalla Guerra al Mercato: L’Europa nel Duemila
Il passaggio da una ricerca di dominio militare a una contrattazione basata sul mercato e sull’economia segna l’apertura del Duemila per l’Europa. La modernità, iniziata in Occidente, si identifica ancora con la razionalizzazione, ma questo legame è sempre più messo in discussione. La scienza sociale, nata per rispondere ai problemi europei, risente dei processi di decolonizzazione e della presa di coscienza del mondo non europeo. Il conflitto tra modernisti e anti-modernisti si ripropone, con la sinistra che si affianca alla destra nella resistenza a una modernità considerata “deviata”. L’atteggiamento verso la modernità è ambiguo, consapevole dei rischi ecologici, umani e sociali. La visione della storia e la fiducia nel prevedere il futuro dividono nettamente le due “fine secolo”.Se la modernità è intrinsecamente legata a un timore del futuro e a un’anti-modernità, come si concilia questa visione con la spinta all’innovazione tecnologica e al progresso che il capitolo stesso sembra riconoscere come motore del XX secolo?
Il capitolo dipinge un quadro complesso e a tratti contraddittorio della modernità, oscillando tra la capacità umana di sognare e trasformare la realtà e un’ombra costante di timore e anti-modernità. Se da un lato si sottolinea la volontà di rottura e il volontarismo all’inizio del secolo, dall’altro si evidenzia un crescente pessimismo e una nostalgia per un passato travolto dalla modernità. Questa dicotomia solleva interrogativi sulla coerenza interna dell’argomentazione: la spinta all’innovazione e al progresso, elementi cardine della modernità, non sembra pienamente integrata con la pervasiva critica e il timore che caratterizzano la visione presentata. Per approfondire questa tensione, sarebbe utile esplorare le opere di pensatori che hanno analizzato la dialettica tra progresso e regressione, o tra utopia e distopia, come ad esempio Karl Popper con la sua critica alle utopie e la difesa della società aperta, o Jürgen Habermas per una riflessione sulla razionalità della modernità e le sue patologie. Inoltre, un’analisi più approfondita del concetto di “progresso” in diverse epoche storiche e contesti culturali potrebbe fornire il contesto chiave mancante per comprendere appieno questa apparente contraddizione.1. La Modernità tra Ragione e Frammentazione
La complessità della modernità
La modernità si configura come un fenomeno articolato, in cui la ragione gioca un ruolo fondamentale, ma non è l’unico elemento a determinarne le caratteristiche. Esiste una costante tensione tra la tendenza a razionalizzare i sistemi economici e sociali e la sfera dell’azione individuale, legata ai valori personali. La filosofia di Weber, ad esempio, esplora questo dualismo focalizzandosi sull’individuo e sulle sue convinzioni religiose, senza proporre un principio unitario che le leghi.Frammentazione culturale ed economica nella globalizzazione
La globalizzazione, con la sua crescente interconnessione, porta a una frammentazione sia culturale che economica. Questo fenomeno tende a separare il comportamento individuale e la vita politica dalla sfera strettamente economica, creando un mondo non omogeneo, ma diviso. In questo scenario, il mondo dell’uso degli strumenti si distingue da quello della ricerca della propria identità. La modernità, dunque, non si esaurisce nella sola ragione, ma include anche la capacità di ogni persona di resistere alle influenze collettive e di affermare la propria libertà.Critica all’unicità occidentale e alle conseguenze della ragione
Si mette in discussione l’idea che l’Occidente e la sua specifica razionalità siano unici, evidenziando come la modernità abbia radici profonde anche nelle civiltà orientali. La storia del Novecento dimostra come la ragione, pur essendo un motore di progresso, possa generare conseguenze inaspettate e paradossali. Tra queste, la tendenza a meccanizzare la vita e a subordinare l’esistenza alla tecnica.La fine della storia e la sfiducia nella società
L’idea di una “fine della storia”, intesa come un percorso obbligato verso il trionfo della democrazia liberale, viene messa in discussione. Si osserva una crescente diffidenza nei confronti della società come fonte di benessere collettivo. Questo porta a un cambiamento, un passaggio dalla ricerca di un benessere comune alla protezione del singolo individuo di fronte all’incertezza. Tale situazione favorisce una frammentazione dell’identità, che si presenta come una risposta alla crisi della comunità.I limiti della scienza e il ruolo della ragione
Infine, si sottolinea come la scienza, nonostante offra strumenti sempre più sofisticati per comprendere l’universo, non sia in grado di fornire risposte definitive sul “perché” delle cose, sulle loro origini o sui loro scopi. La ragione, quindi, viene vista come un intelletto che necessita di una guida. L’approccio illuministico suggerisce di valorizzare la ricerca della verità attraverso la scienza, pur mantenendo la consapevolezza dei suoi intrinseci limiti.Se la modernità è caratterizzata da una tensione irrisolvibile tra razionalizzazione e sfera dell’azione individuale, e la globalizzazione accentua la frammentazione, come si può sostenere che la ragione, pur con i suoi limiti, sia ancora la guida principale per affrontare l’incertezza, senza cadere in un nichilismo paralizzante?
Il capitolo presenta una visione della modernità come un complesso intreccio di ragione e frammentazione, evidenziando come la globalizzazione esacerbi queste tensioni. Tuttavia, la conclusione che la ragione necessiti di una guida, pur valorizzando la ricerca scientifica, lascia aperte questioni cruciali sulla natura di tale guida e sulla possibilità di conciliare la razionalità con la sfera dei valori personali in un mondo sempre più diviso. Per approfondire, sarebbe utile esplorare le filosofie che hanno indagato il rapporto tra etica e razionalità, come quelle di Emmanuel Lévinas, che pone l’accento sull’alterità e sulla responsabilità verso l’altro come fondamento etico, o le analisi di Jürgen Habermas sulla comunicazione e sull’agire strategico, che potrebbero offrire spunti su come ricostruire un senso di comunità e di orientamento condiviso. Inoltre, un’analisi più approfondita delle dinamiche psicologiche legate alla frammentazione identitaria, magari attingendo alla psicologia sociale o alla psicoanalisi, potrebbe illuminare le risposte individuali e collettive all’incertezza moderna.Il Secolo Breve e le sue Interpretazioni
Un Secolo di Trasformazioni Profonde
Il Novecento è stato un periodo di grandi cambiamenti, caratterizzato da profonde trasformazioni economiche, politiche e sociali. Inizialmente, si pensava che il futuro avrebbe visto una leadership globale americana, come suggerito da molti scritti dell’epoca. Tuttavia, eventi come le guerre degli anni ’90 dell’Ottocento, in particolare quelle tra Giappone e Cina e tra Stati Uniti e Spagna, hanno fatto presagire un cambiamento epocale, un declino dell’influenza europea.Diverse Visioni dell’Evoluzione Globale
Diversi storici hanno cercato di interpretare questo secolo con approcci differenti. Geoffrey Barraclough, ad esempio, ha parlato di un “rimpicciolimento dell’Europa”, evidenziando come il continente, dopo aver diffuso il suo sapere, abbia dovuto accettare un ruolo meno centrale sulla scena mondiale. Questo processo è stato visto come un “salto” nella storia umana, influenzato da fattori come l’evoluzione demografica, la tecnologia, l’imperialismo e i conflitti sociali.L’Ascesa e la Caduta del Comunismo
Eric Hobsbawm, nel suo “Secolo Breve”, ha invece posto l’accento sull’ascesa e la caduta del comunismo come elemento centrale per comprendere l’intero periodo. Ha diviso il secolo in diverse fasi: l’età della catastrofe, l’età dell’oro e l’età della crisi, tutte legate alla presenza e all’influenza del comunismo. La sua analisi, sebbene influente, ha suscitato dibattiti, con altri studiosi che hanno sottolineato l’importanza di fattori come lo Stato-nazione, la socialdemocrazia e le dinamiche culturali.Violenza, Barbarie e Universalismo
Altri studiosi, come Jürgen Habermas, hanno evidenziato come il Novecento sia stato caratterizzato da violenza e barbarie, con l’invenzione di strumenti di distruzione di massa e genocidi. Tuttavia, Habermas ritiene che il 1945, con la sconfitta del fascismo, rappresenti una cesura fondamentale, segnando una vittoria dell’universalismo illuministico e aprendo la strada alla decolonizzazione e alla costruzione dello stato sociale.Il Ruolo dello Stato nell’Economia
Nel corso del secolo, si è assistito anche a un dibattito sul ruolo dello Stato nell’economia, contrapponendo collettivismo e liberalismo, o Stato e mercato. Figure come Keynes hanno promosso l’intervento statale e la concertazione, in contrasto con l’individualismo metodologico. Più recentemente, si è tornati a parlare di “neocorporativismo” per descrivere il rapporto tra Stato e organizzazioni di interessi privati.La Sfida della Globalizzazione
La globalizzazione ha ulteriormente complicato il quadro, portando a una crescente separazione tra le decisioni economiche sovranazionali e quelle politiche nazionali. Questo ha sollevato interrogativi sulla capacità degli Stati di garantire stabilità e sulla necessità di nuove forme di organizzazione, forse anche “imperi” nel senso di entità sovranazionali.La Prima Guerra Mondiale come Spartiacque
La Prima Guerra Mondiale è considerata da molti un evento spartiacque, non solo per l’inizio del secolo ma anche per il suo impatto sulla memoria collettiva e sulla “democratizzazione” della memoria stessa. La guerra ha generato una nuova comprensione della politica di massa e ha accelerato processi di massificazione sociale, con conseguenze psicologiche profonde sui protagonisti. L’eredità della guerra e dei trattati post-bellici, come quello di Versailles, continua a essere oggetto di studio, evidenziando come la cultura della violenza e le tensioni tra nazionalità abbiano plasmato il corso del secolo.Se il nazionalismo, come suggerito, risponde a bisogni profondi, specialmente nei paesi emergenti dal colonialismo, come si concilia questo con la sua “moderna utopia giacobina anti-moderna” e il fondamentalismo religioso, che sembrano invece rappresentare una regressione piuttosto che un’espressione di bisogni evolutivi?
Il capitolo presenta una visione complessa e a tratti contraddittoria dell’evoluzione del nazionalismo nel XX secolo. Da un lato, ne sottolinea le radici nei bisogni di identità e autodeterminazione, specialmente in contesti post-coloniali, citando Berlin. Dall’altro, lo lega a teorie razziali, sfruttamento da parte delle élite e, in una fase più recente, al fondamentalismo religioso, descritto come una “moderna utopia giacobina anti-moderna”. Questa apparente dicotomia tra bisogni profondi e derive ideologiche necessita di un’analisi più approfondita. Per comprendere meglio questa tensione, sarebbe utile esplorare le opere di pensatori che hanno analizzato la psicologia delle masse e i meccanismi di radicalizzazione, come Gustave Le Bon, o approfondire studi specifici sull’intersezione tra nazionalismo, religione e modernità in contesti non occidentali, magari consultando autori come Ernest Gellner o Benedict Anderson. La questione centrale rimane: come possono bisogni legittimi di appartenenza e riconoscimento sfociare in forme di chiusura e conflitto, e quali sono i fattori storici e sociali che mediano questa trasformazione?3. Il Passato tra Memoria e Azione
L’Impatto della Memoria Collettiva sulla Percezione Storica
L’accesso di un numero crescente di persone agli eventi storici ha cambiato il modo in cui guardiamo al futuro e, di conseguenza, alla storia stessa. Questo rende attuale la critica di Nietzsche agli “abusi della storia”. Il suo invito a liberarsi dal passato per costruire il futuro, rivolto a pochi intellettuali, diventa paradossale quando riguarda milioni di persone che sentono il legame tra gli eventi storici e la propria memoria. Lo storico ha il compito di creare un legame tra la memoria delle singole persone e le idee comuni, cioè i valori condivisi che guidano le aspettative per il futuro.Memoria come Rivendicazione e Sfida Democratica
Nelle democrazie europee della seconda metà del Novecento, il desiderio di conservare la memoria è legato alla rivendicazione di un’identità collettiva e alla volontà di partecipare alla vita democratica. Questa esigenza nasce anche dalla paura che il passato possa ripetersi e dalla sfiducia nei confronti degli storici ufficiali, specialmente in periodi segnati da violenze e spostamenti di massa di persone. In queste situazioni, alla memoria non si chiede un’analisi critica, ma un senso di appartenenza, offrendo un conforto a chi si sente smarrito.Il Confronto tra Fonti e Memoria
Il problema del “gigantismo delle fonti” nell’epoca moderna, segnalato da storici come Braudel e Labrousse, si scontra ora con il “gigantismo della memoria”. Questo solleva la domanda su come la storia possa affrontare la differenza tra ciò che si sente a livello personale e la realtà oggettiva, tra l’esperienza vissuta (Erlebnis) e l’esperienza elaborata (Erfahrung). Il tentativo di colmare questo divario, saltando le trasformazioni storiche, ha portato all’affermazione di ideologie che promettevano un futuro migliore all’inizio del Novecento, con conseguenze tragiche e inaspettate nel corso del secolo.Il Tempo Storico e la Nuova Prospettiva
Per l’Europa, lo storico può al massimo “prevedere il passato”, secondo l’idea di Koselleck. Questo significa che il tempo storico cambia con la storia stessa, modificando il legame tra ciò che si è vissuto e ciò che ci si aspetta. L’idea di un “tempo nuovo” si è affermata solo alla fine del Settecento, quando la storia è diventata uno strumento di azione, orientato alla pianificazione sociale e politica.La Storia tra Vincitori, Vinti e Scienze Sociali
Dopo la sconfitta dei regimi totalitari, il pensiero storico e filosofico si è separato dalla politica. Si è compreso che, sebbene la storia a breve termine sia scritta dai vincitori, nel lungo periodo la conoscenza storica migliora grazie ai vinti. Si crea così un nuovo legame tra lo “spazio di esperienza” e l'”orizzonte di aspettativa”, che richiede un lavoro di ricerca collettivo, senza la pretesa di offrire spiegazioni definitive. La storia, rinunciando alla “pretesa di totalità”, si colloca umilmente tra le scienze sociali e umane, affiancata da discipline come l’economia, la sociologia e l’antropologia. La ricerca sul futuro rimane aperta, ma non spetta più solo allo storico definirne le conclusioni.Se la storia è scritta dai vincitori ma migliorata dai vinti, come si concilia la presunta oggettività storica con le inevitabili narrazioni parziali che emergono da entrambe le prospettive, soprattutto quando la memoria collettiva, come suggerito, cerca più un senso di appartenenza che un’analisi critica?
Il capitolo accenna alla dicotomia tra memoria individuale e realtà oggettiva, e al ruolo dei vinti nel migliorare la conoscenza storica. Tuttavia, non approfondisce a sufficienza le implicazioni metodologiche di questa tensione. Come può lo storico, operando tra le scienze sociali, garantire che la ricerca collettiva non sia semplicemente una somma di narrazioni parziali, ma un vero e proprio processo di avvicinamento a una comprensione più completa del passato, specialmente quando la memoria, come indicato, rischia di privilegiare il conforto sull’analisi? Per esplorare queste questioni, potrebbe essere utile approfondire il lavoro di storici che si sono confrontati con la memoria e la narrazione, come ad esempio Paul Ricoeur, e le metodologie delle scienze sociali che cercano di integrare diverse prospettive, come la microstoria o la storia orale.Abbiamo riassunto il possibile
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