1. La Coscienza tra Vaghezza e Costruzione
Il concetto di coscienza si presenta come un’idea sfuggente, difficile da racchiudere in una definizione univoca. Assume significati diversi a seconda del contesto in cui viene analizzato, spaziando dalla scienza alla filosofia fino all’uso quotidiano nel linguaggio comune. Questa intrinseca vaghezza rende particolarmente complessa ogni discussione che tenti di affrontarla in modo definitivo o oggettivo, aprendo a molteplici interpretazioni e punti di vista che spesso non coincidono tra loro. La sua natura multiforme è il primo ostacolo alla piena comprensione.La coscienza come costrutto sociale e linguistico
Una prospettiva fondamentale suggerisce che la coscienza non sia semplicemente un fenomeno rigidamente biologico, ma piuttosto un costrutto che si è formato e continua a formarsi nel corso della storia e all’interno delle culture umane. Secondo questa visione, il linguaggio gioca un ruolo cruciale nel suo sviluppo, agendo come strumento essenziale che permette la creazione di quello “spazio mentale” in cui si articola il pensiero cosciente. La coscienza, quindi, emerge non solo da processi biologici innati, ma si apprende e si modella attraverso l’interazione sociale e la comunicazione con gli altri, risultando da una complessa miscela di meccanismi biologici e relazioni semantiche.Diverse prospettive di studio e la sfida della definizione
Diversi campi del sapere si dedicano allo studio della coscienza, ciascuno adottando angolazioni specifiche che ne illuminano aspetti differenti. Le neuroscienze, ad esempio, si concentrano prevalentemente sugli aspetti biologici e cerebrali legati a questa esperienza, cercando le correlazioni fisiche della consapevolezza. Parallelamente, la psicologia e la psicoterapia esplorano le esperienze soggettive individuali e gli stati alterati di coscienza, approfondendo la dimensione interna e personale. Questa varietà di approcci mette in discussione la tendenza a considerare la coscienza come un oggetto statico e oggettivo, dimostrando invece quanto sia influenzata dalla prospettiva dell’osservatore e dalla sua stessa natura dinamica.Manifestazioni complesse e la natura illusoria
Fenomeni complessi, come l’esperienza di udire voci, rappresentano manifestazioni della coscienza che sfidano le categorizzazioni tradizionali e mostrano la sua capacità di esprimersi in modi inattesi. Queste esperienze suggeriscono che la coscienza possa essere vista più come un artefatto o un costrutto, plasmato profondamente dal contesto in cui si manifesta e dalla prospettiva di chi la vive e cerca di comprenderla. Esiste perfino il dubbio, nel dibattito filosofico e scientifico, che la coscienza possa essere in una certa misura una sorta di illusione concettuale, poiché per sua natura un sistema non può definire o comprendere pienamente se stesso dall’interno.La coscienza come processo, non come entità fissa
In definitiva, la coscienza non è da intendersi come una “cosa in sé”, un’entità separata e immutabile, ma piuttosto come il risultato emergente di un insieme complesso di processi cognitivi e discorsivi. È il frutto dell’attività mentale in interazione con l’ambiente e le strutture linguistiche, un fenomeno dinamico che si manifesta attraverso le nostre capacità di pensiero, percezione e comunicazione.Ma se la coscienza è solo un “costrutto” o addirittura un’illusione, come si spiega l’esperienza soggettiva, quel “qualia” che sentiamo così innegabilmente reale?
Il capitolo sfiora l’idea che la coscienza possa essere un costrutto o persino un’illusione, ma non affronta in modo adeguato il problema centrale dell’esperienza soggettiva, ovvero cosa si prova ad essere coscienti. Ignorare questo aspetto lascia un vuoto argomentativo significativo. Per capire a fondo il dibattito sulla natura della coscienza e sulla sua presunta “illusorietà”, è indispensabile confrontarsi con le diverse posizioni della filosofia della mente. Autori come David Chalmers, noto per il suo “hard problem”, Daniel Dennett, un sostenitore di visioni più funzionaliste e anti-qualia, e John Searle, con il suo argomento della Stanza Cinese e la biologia, offrono prospettive fondamentali per esplorare questa complessità.2. La coscienza: un costrutto sfuggente tra reificazione e significato
Il concetto di coscienza viene spesso considerato come una specifica entità psichica, quasi fosse un oggetto concreto che si può definire e circoscrivere. Questo modo di vedere semplifica eccessivamente la sua natura complessa e ricca di significati. Ridurre la coscienza a qualcosa di definito porta a considerarla come una “cosa” esistente di per sé, un processo chiamato reificazione. Si tende così a generalizzare, applicando il concetto a vari fenomeni come se fossero fatti oggettivi e usando schemi di pensiero tipici del mondo fisico, ponendosi la domanda “che cos’è la coscienza?”.Coscienza e attività cerebrale
Una risposta diffusa identifica la coscienza con l’attività del cervello, considerandola un fenomeno secondario. Tuttavia, una descrizione puramente biologica non è sufficiente a spiegare l’esperienza che viviamo in modo soggettivo, il significato che attribuiamo alle cose o il contesto in cui avvengono. L’attività cerebrale, da sola, non riesce a distinguere tra un sorriso che esprime scherno e uno che esprime saluto, né tra l’atto di immaginare qualcosa e quello di meditare.La coscienza emerge dalle interazioni
La coscienza non è una proprietà isolata, ma emerge da un sistema di interazioni complesse. Genera proprietà che non si trovano nelle singole parti che la compongono. È un po’ come il senso di una sinfonia, che non si trova nelle singole note o nei singoli strumenti presi da soli. Il termine coscienza è profondamente legato all’intenzione, al contesto e al significato. È il risultato di interazioni che avvengono a diversi livelli, come quello neurobiologico (il funzionamento del cervello), quello semiotico (il modo in cui usiamo i segni e il linguaggio) e quello sociale (le relazioni con gli altri). Questi livelli sono tutti importanti e non possono essere ridotti l’uno all’altro.La difficoltà di una definizione unica
Cercare una definizione unica e oggettiva di coscienza è un compito arduo. Questo perché studiosi provenienti da discipline diverse la interpretano usando i propri strumenti e modi di pensare specifici. Il modo in cui pensiamo alla coscienza, configurandola come una “cosa”, deriva spesso da un approccio che si concentra sui fatti concreti, tipico di una visione scientifica basata solo sull’osservazione empirica. Questo porta a considerare concetti complessi come la personalità o l’autostima come entità reali presenti nella mente delle persone. In realtà, questi sono spesso costrutti, cioè modi di interpretare la realtà che abbiamo creato noi, ma che, se creduti veri, possono effettivamente produrre effetti reali nella vita delle persone.Diverse visioni sulla coscienza
Alcuni considerano la coscienza soggettiva un mistero profondo che non può essere studiato con i metodi scientifici tradizionali. Altri, invece, la vedono come una semplice illusione, qualcosa che può essere completamente spiegato e ridotto a processi fisici e chimici che avvengono nel cervello. Esiste anche una prospettiva diversa che la considera una sorta di invenzione o finzione creata dal linguaggio. In questa visione, la coscienza sarebbe un espediente utile per cercare di comprendere la nostra esperienza, che è in continuo cambiamento e basata sulla relazione con il mondo che ci circonda. Il modo in cui usiamo il linguaggio e i concetti per parlare della coscienza finisce per modellare la nostra stessa comprensione di essa.Coscienza come consapevolezza emergente
Anche se la ricerca biologica può identificare la coscienza con i processi che avvengono nel sistema nervoso, questi non riescono a spiegare il significato profondo o il valore estetico di un’esperienza, come l’emozione provata ascoltando musica o guardando un’opera d’arte. La coscienza affiora come consapevolezza attraverso un sistema complesso di interazioni. Si manifesta come un effetto che emerge dal sistema nel suo complesso e che non può essere localizzato in una sua singola parte. La consapevolezza di sé, in particolare, nasce dai significati che attribuiamo alle cose in base alle interazioni sociali e alle operazioni pratiche e linguistiche che compiamo. Appare come un dato di fatto nei discorsi e nel modo in cui percepiamo noi stessi e il mondo, anche se non possiede una sostanza materiale concreta.Il capitolo, nel criticare l’approccio biologico, non rischia di liquidare troppo frettolosamente i tentativi scientifici di spiegare l’esperienza soggettiva?
Il capitolo solleva un punto cruciale nel distinguere l’attività cerebrale dalla ricchezza dell’esperienza soggettiva e del significato. Tuttavia, il dibattito su come l’esperienza cosciente emerga dai processi fisici è uno dei nodi centrali della filosofia della mente e della neuroscienza contemporanea. Per approfondire questo aspetto e comprendere i tentativi di superare il riduzionismo senza ricadere in dualismi o spiegazioni vaghe, è utile esplorare le discipline della Filosofia della Mente e della Neuroscienza Cognitiva. Autori come Daniel Dennett, David Chalmers, Giulio Tononi o Bernard Baars offrono prospettive diverse e complesse su come affrontare il “problema difficile” della coscienza.3. La costruzione della realtà e della coscienza
Credere che esista una realtà esterna, separata dal nostro pensiero, è un atto di fiducia. La nostra conoscenza non tocca direttamente le cose fuori di noi, ma lavora con le informazioni che ci arrivano dai sensi o con le idee che formiamo. Costruiamo attivamente il mondo nella nostra mente, usando i dati dei sensi e i modi in cui li interpretiamo. È impossibile confrontare l’immagine che abbiamo dentro con la cosa esterna, perché quella cosa esterna non possiamo conoscerla direttamente. L’immagine del mondo che abbiamo in testa non è una copia, ma una creazione basata su come “traduciamo” le informazioni. L’ambiente che percepiamo è, in un certo senso, una nostra invenzione.Come ci mettiamo d’accordo sulla realtà
Il motivo per cui il mondo che percepiamo sembra stabile e lo condividiamo con gli altri dipende da diversi fattori. Primo, i nostri organi di senso sono simili. Secondo, diamo importanza a quello che fanno gli altri. Terzo, è utile per tutti essere d’accordo su come sono le cose. L’idea che ci facciamo del mondo si basa su modi innati di conoscere che abbiamo fin dalla nascita e su idee che concordiamo tra noi nella società. Le caratteristiche di ciò che consideriamo “reale” si fondano su questi accordi. Il modo e i motivi per cui cerchiamo di conoscere influenzano direttamente ciò che finiamo per conoscere.
Capire concetti astratti come la coscienza
La conoscenza di concetti astratti, come la coscienza, è più complicata. Questi non sono fatti esterni che possiamo toccare, ma processi mentali che costruiamo. Per questo, l’accordo tra le persone su cosa siano è meno definito. La coscienza è una realtà che esiste a livello di concetti, plasmata dalla società e dalla storia. Nasce dall’interazione con gli altri e dall’uso dei simboli, come il linguaggio. Il linguaggio è fondamentale perché ci permette di parlare della coscienza e di cercare di capirla.
Perché la coscienza sembra un mistero
L’idea che la coscienza di sé sia un mistero che la scienza non può spiegare nasce dal tentativo di usare metodi scientifici oggettivi per studiare qualcosa che è per sua natura soggettivo. Questo crea una specie di concetto misto, che poi viene dichiarato inspiegabile. In realtà, il “mistero” viene costruito proprio in questo modo.
Cos’è la coscienza: non una cosa, ma un’azione
La coscienza non è una cosa statica o uno stato in cui ci troviamo, ma qualcosa che facciamo continuamente. È un’azione, un “operatore”. Una definizione utile la descrive come “tutto ciò a cui possiamo guardare dentro di noi” (una descrizione di cosa fa) oppure come “una specie di ‘Io’ interno che racconta storie in uno spazio mentale dedicato” (una descrizione di come funziona). La coscienza lavora per analogia, creando uno spazio nella mente dove un “sé” interno osserva e narra.
I tanti modi di vedere la coscienza
La coscienza di sé è un punto cruciale per la psicologia, anche se a volte è vista come qualcosa di sfuggente o difficile da afferrare. È fondamentale per affrontare temi come l’identità, i ruoli nella società e le difficoltà della vita. Studi sulla neuropsicologia e sugli stati alterati della mente ci aiutano a capirla meglio, ma la coscienza può essere vista e descritta in molti modi diversi: come un’esperienza che percepiamo, un’esperienza personale, un effetto che deriva dal funzionamento del sistema, un concetto che costruiamo con il linguaggio o una funzione della mente. Non ci sono criteri unici e validi per tutti per definirla. La coscienza è sempre legata a qualcosa, a una situazione e a una relazione specifica. La sua apparente unità si divide nei molti concetti che incontra e a cui dà un nome.
Ma se le voci sono così intrusive e dolorose, è davvero sufficiente imparare a “conviverci”?
Il capitolo descrive un approccio terapeutico che mira alla convivenza con le voci interiori, interpretandole come parti non pienamente riconosciute della persona. Tuttavia, questa prospettiva potrebbe non considerare adeguatamente la sofferenza intensa che le voci possono causare e se la sola gestione della relazione sia sempre l’obiettivo più auspicabile o sufficiente. Per esplorare alternative o integrazioni a questa visione, sarebbe utile approfondire le ricerche nel campo delle neuroscienze e della psicofarmacologia, che studiano i correlati biologici e i trattamenti farmacologici delle allucinazioni. Inoltre, confrontare questo approccio con altri modelli terapeutici in psichiatria e psicologia potrebbe offrire una comprensione più completa delle opzioni disponibili per affrontare questo complesso fenomeno.21. La Strategia del Non Combattere
Il blocco della volontà e il conflitto interiore nascono dal tentativo di combattere o controllare pensieri e “presenze” interne che impediscono di agire. Questa lotta, chiamata “tentata soluzione”, non fa che mantenere e rafforzare il problema stesso. Un percorso terapeutico specifico, che si svolge in dieci sedute, mira a cambiare radicalmente questo meccanismo.Il cuore di questo approccio terapeutico è un principio fondamentale: si riesce a superare la difficoltà solo se si smette di combatterla direttamente. L’intervento inizia con la definizione chiara del problema, prosegue con dialoghi mirati e valuta attentamente le indicazioni date e le strategie usate.I Primi Passi
Le prime indicazioni pratiche fornite sono molto specifiche. Viene chiesto di non parlare affatto del problema durante la giornata, eccetto per un breve periodo di tempo stabilito la sera. Inoltre, si richiede di tenere un quaderno dove classificare i pensieri problematici in base all’ora in cui si presentano.Perché Non Combattere Funziona
Evitare di combattere attivamente le voci o le sensazioni interne porta a una diminuzione della loro forza e intensità. Chi segue questo percorso impara che proprio il tentativo di reprimere e controllare questi elementi interiori creava una reazione contraria, alimentando il conflitto. La strategia del non combattere diventa così una scelta consapevole per gestire la propria interiorità in modo più efficace.Usare la Resistenza a Proprio Vantaggio
Quando le “presenze” interne mostrano resistenza o cercano di ostacolare il processo, la terapia trasforma questa opposizione. A volte, in modo apparentemente paradossale, viene persino incoraggiata per toglierle forza, usando una metafora che ricorda l’idea di “uccidere il serpente con il suo stesso veleno”. Si impara anche a sfruttare gli esiti inattesi o negativi delle indicazioni terapeutiche, anticipandoli per disarmarli.Immaginare il Cambiamento
L’uso del “come se” è uno strumento potente: immaginare un futuro diverso aiuta a introdurre il cambiamento desiderato senza attivare le solite opposizioni interne. Questo processo aiuta anche a imparare a distinguere le diverse “presenze” interne e a usarle in modi costruttivi anziché subirle passivamente.Vecchi Schemi e Nuove Identità
Le resistenze che rimangono vengono analizzate per capire i vecchi modi di affrontare le difficoltà. I sintomi stessi vengono visti come qualcosa che ha avuto una sua utilità nel passato. Si anticipano i momenti in cui si potrebbe sentire di cedere emotivamente. Annotare i piccoli progressi quotidiani rafforza la consapevolezza dei cambiamenti positivi in atto.Azioni e Strumenti Concreti
Viene identificata una sorta di “identità artificiale” che blocca i desideri e le iniziative; non combattendola, essa si manifesta per quello che è realmente. Strategie come “creare dal nulla” e “mantenere la rotta” sono fondamentali nel percorso. Tecniche semplici come il respiro ritmato aiutano a gestire i momenti di crisi o ansia.La Risoluzione del Conflitto
Le “presenze” interne si integrano progressivamente, portando a una maggiore consapevolezza di sé e a un funzionamento interiore più armonioso. La persona supera il blocco cambiando il modo in cui percepisce il conflitto interno e reagisce ad esso, diventando protagonista attivo del proprio processo di cambiamento. La terapia usa un linguaggio capace di persuadere e metafore evocative per facilitare questa trasformazione, permettendo a quella che viene definita “identità parassita” di sciogliersi e perdere la sua influenza negativa.Questa “strategia del non combattere” è una panacea scientificamente provata per ogni conflitto interiore, o un approccio specifico con confini e validazione ancora da chiarire?
Il capitolo descrive un metodo terapeutico molto particolare, basato sull’idea che smettere di lottare contro i propri pensieri o “presenze” interne porti alla loro risoluzione. Tuttavia, il testo non specifica per quali tipi di “conflitti interiori” o “blocchi della volontà” questo approccio sia effettivamente indicato e, soprattutto, quali siano le prove empiriche a sostegno della sua efficacia generalizzata. Per valutare la solidità di tale strategia, sarebbe fondamentale confrontarla con i modelli terapeutici validati dalla ricerca scientifica e comprendere in quali contesti specifici (es. ansia, ossessioni, traumi) possa essere applicabile e con quali risultati documentati. Approfondire autori che si occupano di psicoterapia basata sull’evidenza può fornire il contesto necessario per posizionare criticamente l’approccio descritto nel capitolo.Abbiamo riassunto il possibile
Se vuoi saperne di più, devi leggere il libro originale
Compra il libro[sc name=”1″][/sc] [sc name=”2″][/sc] [sc name=”3″][/sc] [sc name=”4″][/sc] [sc name=”5″][/sc] [sc name=”6″][/sc] [sc name=”7″][/sc] [sc name=”8″][/sc] [sc name=”9″][/sc] [sc name=”10″][/sc]