“Il lamento di Portnoy” di Philip Roth è un libro che ti sbatte in faccia la storia di Alexander Portnoy, un ragazzo ebreo di Newark, New Jersey, che riversa tutte le sue nevrosi e ossessioni sul lettino di uno strizzacervelli. È un viaggio pazzesco dentro la sua testa, dominata dalla figura ingombrante della madre, che lo soffoca con le sue ansie e il suo controllo maniacale, e da un padre frustrato e pieno di paure. Tutta questa pressione familiare gli ha lasciato addosso un peso enorme di sensi di colpa, soprattutto legati alla sua sessualità. Portnoy è ossessionato dalle “shikses”, le ragazze non ebree, che vede come simbolo di libertà e ribellione contro l’educazione repressiva ricevuta, ma le sue esperienze sono spesso goffe e umilianti, piene di disfunzioni e insicurezze. Il libro esplora a fondo il conflitto tra il desiderio di liberarsi dalle “catene della colpa” ebraica e l’incapacità di farlo, un tema che emerge potentemente anche nel suo viaggio in Israele, dove cerca (e non trova) una connessione autentica con la sua identità. È una storia cruda, divertente e dolorosa sulla ricerca di sé, sulla famiglia, sulla sessualità maschile e sul tentativo disperato di diventare un uomo libero dalle paure ereditate.
Riassunto Breve
Una figura materna onnipresente e capace di trasformarsi suscita nel figlio rispetto e timore, esaltando la sua intelligenza a discapito della sorella. Il padre, sofferente e frustrato dal lavoro, si sente incompreso, con un tentativo fallito nel baseball che simboleggia la sua inadeguatezza. La madre è ossessionata da perfezione, controllo, igiene e salute del figlio, generando sensi di colpa. L’adolescenza è segnata da masturbazione compulsiva vissuta con vergogna in un ambiente familiare ansioso. I genitori, nevrotici e timorosi, proiettano le loro ansie sul figlio, specialmente riguardo malattie e pericoli. Da adulto, il protagonista esprime frustrazione per l’eredità familiare di sensi di colpa e paure, desiderando liberarsi da questo peso per cercare virilità e forza, rifiutando il ruolo di “bravo ragazzo ebreo” intrappolato nelle nevrosi familiari per diventare un uomo completo, libero dalle paure indotte. Un testicolo ribelle nell’infanzia causa ansie sull’integrità fisica e sessuale. Il padre, ansioso e inefficace, sfoga frustrazioni e antisemitismo sul figlio, mentre la madre, possessiva, oscilla tra affetto e comportamenti imbarazzanti. La figura paterna è oppressa, incapace di imporsi, con disprezzo latente verso il figlio. L’adolescenza vede desiderio di ribellione e fantasie violente verso il padre, bilanciate da tenerezza materna. La storia del cugino Heshie, campione sportivo ebreo morto in guerra dopo una relazione con una non ebrea, diventa un monito familiare. Il conflitto generazionale emerge con il rifiuto della religione ebraica e l’ateismo, scatenando liti con il padre. La malattia della madre acuisce le tensioni. La sessualità nascente, tra masturbazione e fascino per donne non ebree, si scontra con restrizioni e sensi di colpa. Le leggi kosher e le ossessioni materne per la purezza simboleggiano un’educazione repressiva. Il baseball offre un rifugio metaforico di controllo. Nonostante le difficoltà, emergono lampi di affetto. C’è una riflessione ambivalente sull’infanzia e il desiderio di liberarsi dalle dinamiche familiari oppressive, pur riconoscendo un legame affettivo profondo. L’ossessione per la morte del padre e i suoi problemi intestinali rivelano un’ansia profonda legata alla figura paterna. C’è una riflessione sui genitori ebrei, visti come figure ambivalenti che instillano grandiosità e inadeguatezza. Il suicidio di Ronald Nimkin incarna questa dinamica disfunzionale. L’infanzia è segnata da un’educazione ebraica oppressiva, con genitori che oscillano tra lodi e critiche severe, generando colpa e difficoltà a ribellarsi. La sessualità è problematica, attratto dalle “shikses” idealizzate come simbolo di un’America desiderabile ma irraggiungibile. Le fantasie sessuali sono contaminate da sensi di colpa e inadeguatezza, con esperienze goffe e fallimentari con le donne. Il tentativo di sedurre una “shiksa” si conclude con un infortunio. L’incontro sessuale con Bubbles Girardi è un disastro comico e umiliante. Nonostante le fantasie di libertà, il protagonista rimane intrappolato nelle “catene della colpa” ereditate dall’educazione ebraica e dal rapporto familiare conflittuale. L’incapacità di vivere pienamente la sessualità e di relazionarsi in modo sano con le donne riflette insicurezza e persistente senso di colpa. La scrittura della Langur genera turbamento; la calligrafia infantile contrasta con l’attrazione fisica, scatenando un conflitto tra desiderio e disprezzo. Un viaggio attenua temporaneamente questo conflitto, facendo emergere tenerezza, ma la relazione rimane ambigua. Si analizza il saggio freudiano sulla degradazione nella vita erotica, indagando se la sensualità sia vincolata a fantasie incestuose e se la degradazione dell’oggetto sessuale sia condizione per il desiderio. L’attrazione per le “shikses” è posta in relazione a questa dinamica. Il weekend in Vermont sembra un’eccezione, ma si dubita della genuinità dei sentimenti. La relazione ha una forte componente sessuale ma persistono dubbi sulla natura affettiva e sulla compatibilità. Si riflette su relazioni passate, evidenziando un modello di ricerca di donne “goy” e un’analisi critica delle dinamiche di classe, religione e identità americana nelle scelte sentimentali. Si esplora il tema della “shiksa” come oggetto di desiderio complesso, carico di significati culturali e personali. C’è una riflessione sulla difficoltà di conciliare desiderio e rispetto, attrazione fisica e compatibilità. Alexander Portnoy giunge in Israele, ma l’arrivo lo riporta ai ricordi d’infanzia nel quartiere di Weequahic, dove le domeniche di softball rappresentavano un mondo semplice e soddisfacente, popolato da figure maschili robuste, simboli di una virilità ebraica idealizzata. Questi uomini rappresentavano un modello di vita desiderabile. In Israele, si confronta con una realtà ebraica diversa e inattesa, onnipresente, che inizialmente lo affascina. Tuttavia, l’esperienza si incrina rapidamente. Un incontro notturno sulla promenade lo turba, insinuando un senso di minaccia inaspettato. La sua permanenza è segnata da incontri femminili fallimentari. Con una tenente israeliana e poi con Naomi, una kibbutznik, sperimenta disfunzione erettile, metafora della sua impotenza esistenziale e incapacità di connettersi autenticamente con l’identità ebraica e figure femminili forti. Naomi lo critica aspramente, vedendo in lui il prodotto corrotto della diaspora, auto-deprecante e privo di vera virilità. Il confronto con Naomi culmina in uno scontro fisico e verbale, dove emergono i temi dell’esilio, della colpa e della difficoltà di sentirsi adeguato e “abbastanza ebreo”. Il viaggio in Israele, inteso come ricerca di identità, si trasforma in una dolorosa presa di coscienza della sua alienazione e del suo profondo senso di inadeguatezza. Il ricordo idealizzato dell’infanzia contrasta con l’incapacità di vivere pienamente il presente, intrappolato in un ciclo di auto-sabotaggio e ricerca insoddisfatta.
1. Prigioniero delle Nevrosi Familiari
Da bambino, il narratore percepisce la madre come una figura dominante, che incute timore e rispetto. La madre, a differenza della sorella, elogia la sua intelligenza. Il padre, agente assicurativo, soffre di stitichezza e vive il lavoro come una fonte di frustrazione, sentendosi costantemente svalutato. Un episodio in cui tenta di giocare a baseball evidenzia il suo senso di inadeguatezza. La madre è ossessionata dal controllo e dalla perfezione, soprattutto per quanto riguarda la salute e l’igiene del figlio, facendolo sentire spesso in colpa. Durante l’adolescenza, il narratore sviluppa una compulsione per la masturbazione, vissuta con vergogna e paura in un ambiente familiare carico di ansia. I genitori, nevrotici e pieni di paure, riversano le proprie ansie sul figlio, in particolare riguardo alle malattie e ai pericoli. Diventato adulto, il narratore si confida con un dottore, esprimendo la sua frustrazione per il peso delle nevrosi familiari, fatte di sensi di colpa e paure. Il suo desiderio è di liberarsi da queste catene, cercando forza e virilità, per allontanarsi dal ruolo di “bravo ragazzo ebreo” intrappolato. Aspirando a diventare un uomo libero dalle paure che gli sono state trasmesse.
2. Anatomia e Affetti: Un Corpo in Rivolta
Un testicolo che, durante l’infanzia, si sposta in modo anomalo all’interno del corpo, suscita preoccupazioni sul proprio corpo e sulla propria identità sessuale. Questo piccolo evento si lega a dinamiche familiari intricate. Il padre, figura piena di ansie e incapace di azioni concrete, riversa sul figlio il proprio antisemitismo e la propria insoddisfazione. La madre, al contrario, è possessiva e invadente, alternando gesti di affetto a comportamenti che creano imbarazzo, come chiedere al figlio undicenne di comprarle degli assorbenti. Il padre appare come una figura oppressa, incapace di affermarsi, che sfoga le proprie frustrazioni attraverso pregiudizi religiosi e un velato disprezzo verso il figlio. L’adolescenza è un periodo di desideri di ribellione e fantasie di violenza contro il padre, controbilanciate da inattesi momenti di dolcezza da parte della madre. La storia del cugino Heshie, un campione sportivo ebreo, aggiunge un ulteriore livello di complessità. La sua tragica storia d’amore con una ragazza non ebrea, culminata con la sua morte in guerra, diventa un avvertimento familiare contro i legami con persone esterne al gruppo. Il conflitto tra le generazioni si manifesta in modo evidente quando il protagonista, ormai adolescente, rifiuta la religione ebraica. Questo provoca litigi con il padre, incapace di accettare il suo ateismo. La malattia della madre, vissuta con grande preoccupazione, aumenta in modo paradossale le tensioni in famiglia, fino a un acceso confronto durante la festa di Rosh Hashanah. La scoperta della sessualità, tra la masturbazione adolescenziale e l’attrazione per le donne non ebree, avviene in un ambiente familiare e religioso pieno di divieti e sensi di colpa. Le regole alimentari ebraiche e le ossessioni della madre per la purezza rappresentano un’educazione che reprime i desideri. Il baseball, e in particolare il ruolo di esterno centro, diventa un rifugio, uno spazio di controllo e di regole chiare in contrasto con il disordine emotivo della famiglia. Anche nelle difficoltà, emergono momenti di affetto e di condivisione con entrambi i genitori, mostrando una complessità di sentimenti che va oltre il rancore. L’infanzia è un periodo ambiguo, segnato dal desiderio di allontanarsi dalle dinamiche familiari opprimenti, ma anche da un legame affettivo profondo.
La scrittura di Langur, con la sua calligrafia infantile, l’assenza di punteggiatura e gli errori ortografici, crea un profondo turbamento. Questo contrasto stridente con l’attrazione fisica e sessuale che suscita, scatena un conflitto interiore, un’oscillazione tra un desiderio intenso e un sentimento che sfiora il disprezzo. Un viaggio in Vermont sembra attenuare questa tensione, facendo emergere tenerezza e affetto, ma la vera natura del legame rimane avvolta nell’ambiguità. L’amore, nella sua forma più completa, dovrebbe armonizzare tenerezza e sensualità, come teorizzato da Freud. Ma qui, la sensualità appare indissolubilmente legata a fantasie incestuose, e la degradazione dell’oggetto del desiderio sembra quasi una condizione necessaria per l’eccitazione. L’attrazione per le “shikses” si inserisce in questa complessa dinamica. Il fine settimana nel Vermont, con i suoi colori autunnali e l’atmosfera romantica, potrebbe rappresentare un’illusione, una parentesi in cui tenerezza e sensualità sembrano convergere. Ma forse è solo una risposta effimera al contesto, una proiezione di desideri. La forte componente sessuale del legame non dissipa i dubbi sulla sua profondità affettiva, né sulla reale compatibilità intellettuale e culturale tra i due. Le relazioni passate, come quelle con Kay Campbell e Sarah Abbott Maulsby, rivelano un modello ricorrente: la ricerca di donne “goy”, un’attrazione che si intreccia con dinamiche di classe, religione e identità americana. La “shiksa” diviene un oggetto di desiderio carico di significati culturali e personali, un simbolo che incarna la difficoltà di conciliare desiderio e rispetto, attrazione fisica e una vera connessione emotiva e intellettuale.
5. Esilio e Ricordi
Alexander Portnoy arriva in Israele, e questo viaggio lo riporta ai ricordi delle domeniche nel quartiere di Weequahic. Il softball era un rito per la comunità, un mondo semplice e felice, pieno di uomini forti e chiassosi, simboli di un’ideale mascolinità ebraica. Il dentista-arbitro e il macellaio erano per il giovane Portnoy modelli di una vita desiderabile, un futuro fatto di competizione e umorismo. In Israele, Portnoy scopre una realtà ebraica diversa. L’aeroporto, la spiaggia, le strade, tutto è pieno di un’identità ebraica, un’esperienza che all’inizio lo affascina. Ma questo sogno si rompe presto. Un incontro di notte lo spaventa, facendo nascere un senso di pericolo in un contesto ebraico. I suoi incontri con le donne sono fallimentari. Prima con una tenente dell’esercito israeliano, poi con Naomi, una giovane del kibbutz, Portnoy non riesce ad avere rapporti, simbolo della sua incapacità di connettersi con l’identità ebraica e con donne forti. Naomi lo critica, vedendo in lui un uomo della diaspora, senza vera forza. Il confronto con Naomi diventa scontro fisico e verbale, dove emergono i temi dell’esilio, del senso di colpa e della difficoltà di Portnoy di sentirsi “abbastanza ebreo”. Il ricordo dell’infanzia è in contrasto con la sua incapacità di vivere il presente, bloccato in un ciclo di auto-sabotaggio e ricerca di significato.
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