Contenuti del libro
Informazioni
ti porta subito nel cuore della filosofia politica, ma in un modo che non ti aspetti. Non è la solita roba su come funziona lo stato, ma un viaggio alle origini del disaccordo politico stesso. Rancière sostiene che la politica nasce proprio perché non c’è un ordine naturale o divino che ci dica come vivere insieme. Tutto parte dall’idea di uguaglianza, che invece di unire, crea un conflitto fondamentale: chi è davvero uguale a chi? Questo libro esplora come questo “torto” originario, l’esclusione di chi non ha una “parte” nella società (i “senza-parte”), sia la vera scintilla della politica, mettendola in contrasto con l’ordine stabilito, la “polizia”. Vedrai come pensatori come Platone (archi-politica), Aristotele (para-politica) e Marx (meta-politica) hanno affrontato questo problema, dalla ricerca di un ordine perfetto alla critica radicale. Rancière critica la democrazia consensuale di oggi, che sembra aver ucciso la vera politica appiattendo tutto sulla gestione e sul consenso, trasformando il conflitto politico in un problema tecnico o in una questione umanitaria. È un libro che ti fa pensare a cosa significa davvero fare politica oggi, partendo dall’idea che il disaccordo e il conflitto non sono errori, ma l’essenza stessa della nostra vita comune.Riassunto Breve
La politica non ha un fondamento naturale o divino, nasce proprio perché manca un ordine prestabilito per la società umana. Emerge quando le persone contestano l’ordine esistente e introducono l’idea di uguaglianza, che però diventa subito motivo di disaccordo su chi sia uguale e in che modo. La politica si sviluppa in questo spazio di conflitto, lontano da un accordo pacifico. Non è solo gestione di interessi, ma sorge da un “torto” fondamentale: un errore nel calcolare le “parti” della comunità, dove alcuni sono esclusi o non pienamente riconosciuti. Aristotele identifica l’uomo come animale politico per la sua capacità di parola che distingue giusto e ingiusto, ma la politica non nasce dall’armonia, bensì da questo “torto” originario, come quando il popolo, i “senza-parte”, rivendica uguaglianza con chi ha ricchezza o virtù, identificandosi con l’intera comunità per un’ingiustizia subita. La politica è l’istituzione di questo conflitto tra chi ha una parte e chi non ce l’ha, non un errore da correggere, ma la sua essenza. Questo conflitto si manifesta come una lotta sul diritto di parola: chi è riconosciuto come parlante e chi è ridotto a rumore. L’ordine esistente, chiamato “polizia”, organizza la società distribuendo ruoli e visibilità, decidendo chi ha voce. La politica irrompe quando i “senza-parte” rompono questo ordine, affermando la loro uguaglianza e rendendo visibile ciò che era invisibile, creando una scena politica dove si contesta la distribuzione dei ruoli. Questo disaccordo politico non è irrazionalità, ma una logica legata alla complessità del linguaggio, che deve rendere visibile una realtà plurale. La razionalità politica non è solo scambio comunicativo, ma emerge dallo scarto tra capire un problema ed eseguire un ordine. L’argomentazione politica mette in discussione la partecipazione stessa al linguaggio comune, costruendosi sulla separazione tra linguaggio dei problemi e linguaggio degli ordini. L’opinione pubblica politica è un giudizio su come si usa e interpreta la parola nell’ordine sociale, e ogni discussione politica nasce da un conflitto sull’intesa linguistica. La politica moderna non abbellisce la realtà, ma rivela la sua natura dove la parola si inserisce in una configurazione sensibile, creando mondi di comunità conflittuali e soggetti che vanno oltre le categorie stabilite. La filosofia politica, riconoscendo che la politica non ha un fondamento proprio e che esiste grazie all’uguaglianza che destabilizza ogni ordine, ha cercato di affrontare questo scandalo in modi diversi: l’archi-politica (Platone) che cerca di eliminare la politica identificandola con l’ordine, la para-politica (Aristotele) che cerca di gestire il conflitto democratico all’interno delle istituzioni, e la meta-politica (Marx) che critica la politica come falsa rappresentazione della realtà sociale. La democrazia consensuale contemporanea, purtroppo, sembra annullare l’essenza politica, riducendo la politica a gestione statale e mediazione di interessi. Il consenso sopprime il conflitto e l’apparenza del popolo come “parte dei senza-parte”. Questa post-democrazia realizza un programma antico di una comunità governata dalla scienza, dove il conflitto politico diventa problema tecnico e il diritto legittima il potere statale. L’esclusione non è più relegazione, ma invisibilità in un consenso onnicomprensivo che sopprime ogni autentica soggettivazione politica, con razzismo e xenofobia che emergono come sintomi di questa soppressione. La politica contemporanea è intrappolata tra logiche gestionali e imperativo umanitario, oscillando tra frammentazione identitaria e universalismo astratto della vittima. La vera politica, invece, crea connessioni inaspettate tra mondi diversi, costruendo comunità sulla condivisione di ciò che è incommensurabile, universalizzando localmente il torto subito, distinguendosi sia dal particolarismo identitario che dalla globalizzazione indifferenziata della vittima.Riassunto Lungo
1. Alle Origini del Disaccordo Politico
La filosofia politica non ripete semplicemente le argomentazioni sulla democrazia e sul diritto utilizzate da chi governa. Affronta invece una contraddizione fondamentale: la politica non ha un fondamento autonomo. La politica nasce proprio perché manca un ordine sociale naturale o una legge divina in grado di guidare le società umane.L’origine del dissenso: dalla contestazione dell’ordine naturale all’uguaglianza
Questa idea ha radici antiche, che risalgono a Platone. La politica nasce quando le persone mettono in discussione un sistema di potere visto come naturale e introducono l’idea di uguaglianza nella legge. Però, l’uguaglianza stessa diventa il centro del dissenso. Inizia così una discussione sulla natura e sui limiti dell’uguaglianza, e su chi debba essere considerato uguale agli altri.La filosofia politica e l’evoluzione del concetto di verità
La filosofia politica si sviluppa proprio in questo spazio di disaccordo, lontano da un accordo pacifico e da posizioni totalmente sbagliate. Accetta la difficoltà tipica della politica, i suoi paradossi e il disagio che la caratterizza. Inizia con la critica di Platone alle apparenze e alle dispute tipiche della democrazia, proponendo invece una politica basata sulla verità. Da qui, si pone la questione di come l’idea di verità politica si sia trasformata, passando dall’archi-politica di Platone alla meta-politica di Marx, e quali conseguenze questi cambiamenti abbiano avuto sulla politica di oggi.Se il capitolo afferma che la filosofia politica si evolve da Platone a Marx, non rischia di trascurare secoli di pensiero politico intermedio, semplificando eccessivamente la complessa evoluzione del concetto di verità politica?
Il capitolo, concentrandosi sul passaggio da Platone a Marx, potrebbe dare l’impressione di una linea di sviluppo troppo diretta. Per comprendere appieno l’evoluzione del concetto di verità politica, è fondamentale considerare il ricco panorama del pensiero politico intermedio. Approfondire la storia della filosofia politica, studiando autori come Aristotele, i pensatori medievali, i filosofi del Rinascimento e dell’Illuminismo, può fornire un quadro più completo e sfumato delle trasformazioni che hanno portato alle concezioni politiche moderne.2. Il Torto Originario della Politica
La Politica e la Parola
Aristotele spiega che l’essere umano è un animale politico perché possiede la capacità di parlare, il ‘logos’. Questa capacità non serve solo a esprimere piacere e dolore, come fanno gli altri animali. La parola umana ha una funzione più alta: permette di distinguere ciò che è utile da ciò che è dannoso, ciò che è giusto da ciò che è ingiusto. Proprio questa capacità di usare la parola per definire il giusto e l’ingiusto è ciò che crea la comunità politica.L’Origine del Conflitto Politico
La politica non nasce da una situazione di armonia o di equilibrio. Al contrario, nasce da un ‘torto’ fondamentale, da un errore che si presenta quando si cerca di dividere la comunità in ‘parti’. Secondo Aristotele, ci sono tre criteri principali per definire queste ‘parti’: la ricchezza, la virtù e la libertà popolare. Tuttavia, la libertà del popolo ha una caratteristica particolare. Non è una qualità che si può definire in modo preciso, ma è semplicemente una condizione di fatto: chi nasce in una città libera, come Atene, partecipa alla vita politica anche se non ha ricchezza o particolari virtù.L’Errore di Calcolo e l’Affermazione del Popolo
Proprio qui nasce un errore di calcolo. La libertà del popolo non è vista come un pregio specifico, ma come un modo per affermare l’uguaglianza con chi possiede ricchezza e virtù. Il popolo, cioè coloro che non hanno una ‘parte’ riconosciuta, si identifica con l’intera comunità proprio a partire da questo torto subito, da questa esclusione. Quindi, la politica non nasce da un desiderio di equilibrio o di giusta divisione delle risorse. Nasce invece da questo conflitto originario, dalla lotta tra chi ha una ‘parte’ e chi è considerato ‘senza-parte’.La Politica come Conflitto Essenziale
La politica non è quindi solo un modo per gestire interessi diversi o per risolvere problemi sociali già esistenti. È qualcosa di più profondo: è la creazione stessa di un conflitto fondamentale, la lotta tra chi si sente incluso e chi si sente escluso. Questo conflitto non è un errore da eliminare, ma è l’essenza stessa della politica. La politica nasce quando si rompe un ordine naturale e si afferma un’uguaglianza che è sempre parziale e conflittuale. In conclusione, la politica esiste proprio a causa di questo ‘torto’, di questa impossibilità di trovare una misura perfetta e un’armonia totale all’interno della comunità.Ma se la politica nasce da un ‘torto originario’, non rischiamo di cadere in un determinismo conflittuale che ignora la possibilità di evoluzione e cambiamento nelle dinamiche politiche?
Il capitolo descrive la politica come intrinsecamente legata a un conflitto primordiale, derivante da una divisione imperfetta della comunità. Tuttavia, questa visione rischia di presentare un quadro eccessivamente statico e pessimistico. Per comprendere appieno la natura dinamica della politica, sarebbe utile esplorare le teorie che si concentrano sulla trasformazione del conflitto, sulla negoziazione e sulla costruzione del consenso, approfondendo autori come John Rawls e Jürgen Habermas, che hanno offerto importanti contributi alla filosofia politica contemporanea.3. La Scena del Torto: Politica contro Polizia
La nascita della politica: il conflitto per il diritto di parola
La politica nasce da una divisione fondamentale, da un contrasto che riguarda chi ha il diritto di parlare e di essere ascoltato in politica. Non si tratta di distinguere tra chi è razionale e chi non lo è. La politica nasce proprio quando si crea un conflitto tra chi viene considerato capace di esprimersi e chi invece è visto solo come rumore. Questa lotta diventa evidente quando gruppi di persone che non sono considerate parte della comunità politica si fanno sentire, mettendo in discussione le regole stabilite.L’ordine esistente: la “polizia” e la distribuzione dei ruoli
L’organizzazione sociale esistente, definita “polizia”, stabilisce come funziona la società. Distribuisce compiti e posizioni, decide chi è importante e chi no, chi può parlare e chi viene ignorato. Questo sistema stabilisce chi fa parte della comunità e chi ne è escluso, basandosi su un’idea di ordine che viene considerato normale o giusto.L’irruzione della politica: la contestazione dell’ordine
La politica entra in gioco quando questo ordine viene rotto. Le persone che sono escluse, quelle che non hanno una “parte” riconosciuta, si fanno avanti dicendo di essere uguali a tutti gli altri che possono parlare. Con questa azione nasce uno spazio politico in cui si contesta il modo in cui sono distribuiti i ruoli e si rende visibile chi prima era nascosto.L’esempio storico: la secessione dei plebei romani
Un esempio di questo è la ribellione dei plebei nell’antica Roma. I plebei chiedevano di essere riconosciuti come persone che potevano parlare e avere voce in capitolo, mentre i patrizi pensavano che la loro voce non contasse nulla. Allo stesso modo, la figura del proletario diventa un soggetto politico quando afferma la propria esistenza e denuncia l’ingiustizia che subisce, contestando l’ordine sociale che lo mette in una posizione inferiore.La politica come conflitto per l’uguaglianza
Quindi, la politica non è un accordo pacifico o un modo per gestire gli interessi comuni. È piuttosto un conflitto che nasce da un “torto”, dall’ingiustizia di non essere considerati uguali. È proprio attraverso questo conflitto che si realizza l’uguaglianza. La politica mette in discussione l’ordine stabilito e apre la strada a una comunità più inclusiva, dove tutti possono essere visti e ascoltati come persone capaci di esprimersi.Ma è davvero il consenso politico sempre e solo un male, e il conflitto sempre e solo un bene per la democrazia, o questa visione non rischia di semplificare eccessivamente la complessa realtà delle società contemporanee?
Il capitolo sembra presentare una visione piuttosto netta e dicotomica tra consenso e conflitto, quasi fossero due poli opposti e inconciliabili, dove il primo è sempre negativo e il secondo sempre positivo per la democrazia. Tuttavia, la realtà politica è spesso più sfumata e complessa. Per rispondere a questa domanda, potrebbe essere utile approfondire le teorie sulla democrazia deliberativa, che cercano di conciliare consenso e conflitto, e autori come Habermas o Rawls, che hanno riflettuto sul ruolo del consenso nella società democratica. Inoltre, sarebbe interessante considerare le diverse forme di conflitto politico e se tutte siano ugualmente costruttive e democratiche.7. L’Età Umanitaria: La Politica tra Consenso e Impensabile
La politica e la rottura dell’ordine sociale
La politica nasce quando l’ordine sociale esistente viene disturbato dall’arrivo di persone che non hanno un ruolo definito nella società. Invece di accogliere questo cambiamento, il sistema basato sul consenso cerca di annullare questa novità. Come fa? Riduce la comunità a un semplice insieme di individui, escludendo chiunque non rientri in questo schema.Il paradosso dei diritti umani e la centralità della vittima
Questo sistema celebra i diritti umani, ma allo stesso tempo crea una situazione paradossale. Si entra in un’epoca umanitaria in cui la figura principale diventa la vittima. Questo rischia di indebolire la forza dirompente dei diritti stessi, che nascono invece per contestare lo status quo.Il revisionismo e i limiti della ragione storica
Chi vuole negare eventi storici gravi, come lo sterminio degli ebrei, sfrutta le debolezze della pretesa di verità della storia e del diritto. Questi negazionisti mettono in luce come la ragione storica, nel tentativo di comprendere a fondo un evento, si blocchi di fronte a ciò che è impensabile. Cosa significa impensabile? L’assoluta mancanza di una ragione sufficiente per spiegare un orrore simile.La legge, l’etica e il rischio di un vicolo cieco
La legge cerca di fermare il revisionismo, sostituendosi a una storia che non riesce a rispondere pienamente alle provocazioni di chi nega la verità. Questo mostra i limiti di un sistema che crede di poter ridurre la verità solo a ciò che è considerato possibile e accettabile. In questo contesto, l’etica prova a riflettere su ciò che è impensabile, sul crimine assoluto. Però, così facendo, rischia di diventare un vicolo cieco, bloccando il pensiero in una spirale di impotenza.La politica contemporanea tra gestione statale e imperativo umanitario
La politica di oggi si trova quindi in difficoltà, divisa tra la necessità di gestire gli stati e l’urgenza umanitaria globale. Oscilla tra il rischio di chiudersi in piccole identità separate e un’idea universale e astratta di vittima, che non tiene conto delle differenze reali.L’essenza vera della politica: creare legami
La vera essenza della politica è invece la capacità di creare spazi di incontro, collegamenti inattesi tra persone e gruppi diversi. In questo modo, si costruisce una comunità che non si basa sull’essere tutti uguali o sull’avere tutti la stessa origine, ma sulla condivisione di ciò che è diverso e difficile da misurare con criteri comuni.La politica come pratica locale e sempre attuale
La politica è quindi l’arte di intrecciare relazioni complesse e uniche, capaci di far sentire a tutti, anche a livello generale, il torto subito da una persona o da un gruppo in particolare. Si distingue sia dalla difesa di interessi particolari di un singolo gruppo, sia da una globalizzazione che appiattisce e rende tutti uguali. In questo senso, la politica non è seguire un ordine già stabilito né rispondere in modo etico a qualcosa di impensabile. È invece un’azione concreta, sempre legata a un luogo e a un momento specifici, che si manifesta nello spazio che si crea tra identità e modi di vivere diversi.Ma è davvero paradossale che l’epoca umanitaria porti alla centralità della vittima, o è piuttosto una conseguenza logica e prevedibile dell’attenzione crescente verso i diritti umani e le ingiustizie?
Il capitolo presenta la centralità della vittima come un paradosso, quasi fosse un effetto collaterale inatteso e negativo dell’umanitarismo. Tuttavia, si potrebbe argomentare che l’emergere della figura della vittima come soggetto politico centrale sia una diretta conseguenza dell’espansione dei diritti umani e della maggiore sensibilità verso le sofferenze altrui. Per rispondere a questa domanda, sarebbe utile approfondire gli studi sulla vittimologia e le teorie sociologiche che analizzano il ruolo della sofferenza nella sfera pubblica contemporanea, ad esempio autori come René Girard e Slavoj Žižek.Abbiamo riassunto il possibile
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