Contenuti del libro
Informazioni
“Il Corporativismo. Dall’economia liberale al corporativismo. I fondamenti dell’economia corporativa. Capitalismo e corporativismo” di Ugo Spirito è un libro che ti fa riflettere un sacco su come funziona (o non funziona) l’economia. Dimentica l’idea che l’economia sia solo numeri e grafici; Spirito dice che per capirla davvero, devi partire dalla filosofia, altrimenti ti perdi in astrazioni come l’homo oeconomicus, che per lui non esiste proprio. Il punto centrale è una critica radicale all’economia liberale, quella basata sull’individuo che pensa solo al suo tornaconto, e propone invece il corporativismo come la vera scienza economica. Immagina la nazione non come un insieme di persone separate, ma come un unico organismo economico, dove l’individuo e lo Stato corporativo coincidono. Non è solo teoria, eh, perché parla di come superare le crisi economiche con la programmazione economica e la collaborazione, non la solita concorrenza sfrenata. È un viaggio attraverso le idee economiche e politiche dell’epoca, soprattutto in Italia, che cerca di trovare una via d’uscita dalle contraddizioni del capitalismo e del socialismo, puntando a un sistema organico e gerarchico dove la proprietà diventa proprietà corporativa e il lavoro e il capitale collaborano davvero.Riassunto Breve
La scienza economica tradizionale, legata al liberalismo, si basa sull’idea sbagliata che l’individuo agisca solo per interesse personale, l’homo oeconomicus, e che l’economia sia separata dalla filosofia e dallo Stato. Questa visione è considerata un’illusione perché l’uomo vive nella società e il suo benessere dipende da quello collettivo. L’economia non può esistere senza la filosofia, che aiuta a definirne i limiti e i presupposti; ogni scienza, compresa l’economia, ha una base filosofica. La distinzione tra scienze pure e applicate, o tra scienze diverse, è relativa e dipende dalla complessità. L’economia liberale, concentrandosi sull’individuo isolato e sulla concorrenza, crea contraddizioni e non riesce a comprendere la realtà sociale. Anche l’uso della matematica in economia è limitato, perché non può catturare la complessità dei fenomeni umani e sociali. Si propone una rivoluzione scientifica che superi il liberalismo e l’idea dell’individuo atomistico. Questa rivoluzione porta all’economia corporativa, che nega l’homo oeconomicus e vede l’individuo identificato con lo Stato, inteso come organismo sociale unitario. L’economia corporativa si basa sulla collaborazione e sull’organizzazione guidata dallo Stato, superando la concorrenza e mirando a un equilibrio economico voluto e razionale. In questo sistema, l’individuo trova la sua libertà partecipando al fine collettivo dello Stato. La proprietà privata non è un diritto assoluto, ma funzionale all’interesse nazionale, e il rapporto tra capitale e lavoro si basa sulla collaborazione e sulla cointeressenza obbligatoria, superando la lotta di classe. Il corporativismo si presenta come una sintesi che supera sia il liberalismo individualista che il socialismo statalista, creando un ordine gerarchico dove ognuno contribuisce secondo le proprie capacità a un programma economico unitario e consapevole, che si estende dalla nazione al piano internazionale, promuovendo l’organizzazione e la collaborazione tra gli stati. L’industrializzazione è vista come un passaggio necessario per il progresso e la competitività della nazione in questo nuovo ordine economico mondiale.Riassunto Lungo
1. Scienza e Filosofia Economica: Un Dialogo Necessario
Scienza, filosofia ed economia
Per superare le incertezze che la caratterizzano, la scienza economica ha bisogno di ridefinire i suoi principi fondamentali. Questo processo deve partire dalla comprensione dei concetti di scienza e filosofia. La scienza si manifesta nella sua natura astratta quando il pensiero identifica il concreto nella storia e nella filosofia. La filosofia ha la funzione di unire ciò che è molteplice, mentre la scienza si concentra sulla definizione del particolare. Quindi, scienza e filosofia sono legate tra loro: la scienza è una fase essenziale della filosofia, e viceversa.La filosofia è implicita nella scienza
Ogni scienza specifica, inclusa l’economia, contiene in sé la filosofia. Questo perché, per costruire la sua conoscenza, chi fa scienza deve definire i contenuti, i presupposti e i limiti della materia che studia. Questo processo richiede una consapevolezza filosofica. Non ha senso quindi pensare che uno scienziato debba ignorare la filosofia. Anzi, una scienza rigorosa nasce proprio da una filosofia rigorosa e consapevole. La filosofia di chi fa scienza si dimostra nel momento in cui vengono stabiliti i confini della propria disciplina, un processo che è parte integrante della scienza stessa.La distinzione tra i tipi di scienza
La differenza tra scienze esatte, naturali e sociali è concreta e dipende dalla complessità, cioè dalla quantità di elementi presupposti. Le scienze sociali, in particolare, sono caratterizzate da una maggiore relatività e da confini meno definiti. Questo spiega perché ci sono diverse interpretazioni e incertezze in questo campo. Anche la distinzione tra scienza pura e applicata è relativa. Ogni scienza è pura perché è astratta, e allo stesso tempo applicata perché nasce con lo scopo di essere utile alla vita reale. Voler separare in modo netto scienza pura e scienza applicata è sbagliato dal punto di vista filosofico. La scienza dimostra la sua validità proprio nel suo legame con la vita concreta.L’economia e l’etica
L’economia non è un concetto filosofico assoluto, ma una definizione concreta. Considerare l’economia come una categoria filosofica è un errore fondamentale, come dimostra l’idea di “homo oeconomicus”, che è un’astrazione scientificamente sbagliata. Dal punto di vista filosofico, l’economia si risolve nell’etica. Non esiste infatti una separazione netta tra l’agire economico e l’agire etico. Di conseguenza, l’economia deve riconoscere i propri limiti pratici e abbandonare la pretesa di basarsi su concetti filosofici astratti e dogmatici. Per essere più efficace, l’economia deve fondarsi su una più profonda consapevolezza filosofica e storica. Solo in questo modo la scienza economica può diventare più concreta e rilevante.Se l’economia si “risolve” nell’etica, come afferma il capitolo, perché persistono teorie economiche che sembrano ignorare o minimizzare le implicazioni etiche delle decisioni economiche?
Il capitolo presenta una visione interessante del rapporto tra economia ed etica, suggerendo una confluenza inevitabile. Tuttavia, questa affermazione appare in contrasto con la realtà di molte teorie e pratiche economiche contemporanee, che spesso sembrano operare in una sfera separata da considerazioni etiche. Per comprendere meglio questa apparente contraddizione, sarebbe utile esplorare il dibattito sulla natura normativa o positiva dell’economia, approfondendo autori come Amartya Sen, che ha dedicato la sua ricerca al collegamento tra etica ed economia, e studiando le critiche mosse all’approccio dell’homo oeconomicus da diverse scuole di pensiero economico e filosofico.2. L’Organismo Corporativo: Unità e Superamento dell’Economia Liberale
La Necessità di Giustificare l’Economia Corporativa
L’economia corporativa si presenta come una disciplina scientifica nuova. Per affermarsi, deve dimostrare la sua validità di fronte all’economia tradizionale, quella liberale, che è ancora la più accettata e studiata. Questa necessità nasce soprattutto da due aspetti importanti: da un lato, le persone che sostengono l’economia corporativa sono spesso viste con sospetto; dall’altro lato, questa nuova economia propone idee scientifiche molto diverse da quelle tradizionali. L’economia liberale, quella tradizionale, si basa sull’idea dell’homo oeconomicus. Secondo questa idea, l’uomo agisce solo per il proprio interesse personale. Anche se si presenta come una scienza oggettiva e senza politica, in realtà questa idea è tipica di una visione politica liberale che ormai è superata.Critica all’Economia Liberale: L’Errore dell’Homo Oeconomicus
L’errore più grande dell’economia liberale è pensare che le persone agiscano solo per interesse personale. Questa idea non tiene conto che l’uomo vive in una società e ne fa parte. Se si guarda più attentamente, si capisce che l’interesse personale, se isolato dalla società, non ha un vero significato. L’uomo esiste e vive insieme ad altri, e il suo benessere è legato a quello di tutti. Quindi, un’economia che si basa sull’homo oeconomicus, cioè su un’idea che nega l’importanza della vita sociale, diventa una scienza sbagliata, piena di contraddizioni.L’Economia Corporativa come Alternativa
L’economia corporativa si oppone completamente a questa visione sbagliata. Infatti, rifiuta l’idea dell’homo oeconomicus e dell’economia liberale pura. Al contrario, afferma che la cosa più importante è la società, cioè lo Stato, e la collaborazione tra le persone. L’economia corporativa vuole essere una scienza oggettiva, ma riconosce di avere anche un ruolo politico. Il suo scopo è liberare l’economia dalle idee politiche del liberalismo. In questa nuova visione, il singolo cittadino si identifica con lo Stato, e studiare il cittadino diventa come studiare lo Stato stesso. Si cambia completamente modo di vedere l’economia: non più un equilibrio dato dalla somma degli interessi individuali, ma un sistema organico, basato sull’unità e sulla creazione consapevole di un’economia razionale, senza egoismi individuali. Perciò, l’economia corporativa si presenta come la vera scienza economica. Essa riconosce che l’economia è sempre legata alla politica e si impegna a costruire un sistema economico statale forte, superando i problemi e gli aspetti negativi dell’economia liberale.Se l’economia liberale è così semplicisticamente basata sull’egoismo individuale e quindi intrinsecamente sbagliata, come si spiega la sua persistenza e la sua capacità di generare prosperità in diverse società nel corso della storia?
Il capitolo critica l’economia liberale riducendola all’idea dell’homo oeconomicus e all’egoismo individuale, ma non approfondisce le ragioni per cui, nonostante queste critiche, i sistemi economici con elementi liberali hanno dimostrato una certa efficacia. Per rispondere a questa domanda, sarebbe utile studiare la storia del pensiero economico, confrontando le diverse scuole di pensiero e analizzando i risultati concreti delle diverse politiche economiche. Approfondire autori come Hayek o Friedman potrebbe offrire una prospettiva più articolata sui benefici e i limiti dei mercati liberi e dell’iniziativa individuale.3. L’Ascesa e le Antinomie del Pensiero Economico Liberale
La nascita del pensiero economico liberale
La scienza economica nasce nel Settecento. In questo periodo, si dà molta importanza ai principi naturali e alla libertà delle persone. Si pensa che lo Stato debba intervenire il meno possibile nell’economia e si considera l’individuo come il protagonista principale delle attività economiche. Il liberalismo nasce in questo contesto culturale moderno, dove la libertà del singolo è fondamentale. Dal punto di vista politico, questo si traduce in documenti che affermano i diritti delle persone, dando priorità a un governo che non metta troppi vincoli e alla proprietà privata.Le contraddizioni interne del liberalismo
Nonostante questi principi, il liberalismo ha delle contraddizioni interne. Queste contraddizioni portano inevitabilmente a un aumento dell’intervento dello Stato nell’economia e a mettere in discussione la proprietà privata. Questo favorisce la crescita della democrazia e del socialismo. Per cercare di risolvere questi problemi, viene proposto il corporativismo. L’obiettivo del corporativismo è far andare d’accordo la volontà del singolo e quella dello Stato, creando una società unita e ben organizzata.La filosofia di Hegel e la comprensione delle tensioni
La filosofia di Hegel ci aiuta a capire queste tensioni interne al liberalismo. Hegel analizza come interagiscono tra loro l’individuo, la famiglia, la società e lo Stato. Secondo Hegel, la proprietà privata è qualcosa di complesso e bisogna trovare un equilibrio tra la libertà del singolo e l’organizzazione della società. Questo equilibrio è in continua evoluzione, sia nell’economia che nella vita di tutti i giorni. Tutto questo processo storico ci allontana da un liberalismo che mette al centro solo l’individuo, per andare verso una società e uno Stato più uniti e organizzati.Ma è davvero razionale pensare che un’economia pianificata centralmente, che mette da parte la “ricerca del profitto personale”, possa funzionare meglio di un’economia di mercato, considerando la complessità dei sistemi economici moderni e la storia dei fallimenti delle economie pianificate?
Il capitolo sembra presupporre che l’abbandono dell’iniziativa individuale e l’adozione di una “volontà comune della nazione” espressa da un “organo centrale” siano la chiave per superare le contraddizioni dell’economia moderna. Tuttavia, questa visione ignora le sfide pratiche e teoriche di una pianificazione economica centralizzata. Per rispondere adeguatamente a questa domanda, è necessario approfondire la storia del pensiero economico, studiando le critiche al pianificazionismo mosse da autori come Hayek, e analizzare comparativamente i risultati delle diverse economie pianificate nella storia del XX secolo.13. L’Alba dell’Economia Corporativa
Il superamento del sindacalismo e l’avvento del corporativismo
Il corporativismo rappresenta un’evoluzione del sindacalismo statale. Non bisogna pensare al corporativismo con timore, ma come a un miglioramento necessario per rendere l’economia più semplice e funzionante. Il sindacalismo, anche se ha risolto i problemi iniziali di disordine, è ancora legato all’idea della lotta tra classi, che non va bene per il mondo di oggi.La collaborazione tra le classi
Per far funzionare bene l’economia, le diverse classi devono collaborare. Le classi sociali sono solo una divisione interna del lavoro. Il fascismo ha capito questo problema e ha spinto per la collaborazione, in modo da unire gli obiettivi e gli interessi di tutti, con lo scopo finale di superare le divisioni di classe. Fino a quando ci saranno le classi, anche se in accordo tra loro, avranno comunque interessi diversi. Per questo motivo, lo Stato rischia di essere lontano dalla realtà concreta della produzione.La corporazione come unione di politica ed economia
La corporazione è la soluzione a questo problema, perché mette insieme l’organizzazione economica e quella politica. Va oltre la semplice collaborazione tra sindacati, perché unisce imprenditori, lavoratori e altre categorie professionali. In questo modo, si crea un dialogo continuo e tutti condividono gli stessi obiettivi per la produzione. Questo sistema permette di includere anche quelle categorie che non rientrano facilmente nelle classi tradizionali e di concentrare tutti sull’obiettivo principale: produrre.Il nuovo significato del salario e la “cointeressenza obbligatoria”
Anche il salario cambia significato. Nel sistema capitalista, il salario minimo dipende dalla concorrenza, ma questo crea disinteresse e conflitto tra chi investe e chi lavora. Soluzioni intermedie come aumentare i salari o dare un “salario equo” non sono abbastanza. La vera novità è la “cointeressenza obbligatoria”. Con questo sistema, lavoratori e imprenditori diventano più vicini, perché il lavoratore partecipa attivamente all’azienda. Questo aumenta la produzione, la responsabilità di tutti e rende l’economia e l’ambiente di lavoro più sereni.L’industrializzazione come obiettivo nazionale
L’economia corporativa sposta l’attenzione dal benessere del singolo all’interesse di tutta la nazione. Quindi, bisogna decidere qual è la strada economica da seguire: puntare sull’agricoltura o sull’industria? Sviluppare l’industria è fondamentale per una nazione moderna. La storia ci insegna che il progresso e la civiltà sono legati all’industria. Un’economia basata solo sull’agricoltura è superata e non permette di competere con gli altri paesi. L’Italia deve quindi industrializzarsi, cercando di non dipendere troppo dalle materie prime, specializzandosi in prodotti di alta qualità e organizzandosi in modo efficiente. L’aumento delle città, che è una conseguenza inevitabile dell’industria, non deve essere visto come un problema, ma va gestito per migliorare la vita in città. L’obiettivo finale è creare un modello industriale italiano originale e competitivo in tutto il mondo, senza copiare gli altri paesi, ma valorizzando le nostre capacità e caratteristiche.Ma è davvero superato il concetto di “lotta tra classi”, o il corporativismo non rischia di essere solo una nuova forma di controllo statale sull’economia, come la storia del XX secolo ci insegna?
Il capitolo presenta il corporativismo come una soluzione ai problemi del sindacalismo e delle divisioni di classe, ma non affronta criticamente i rischi di un sistema che concentra potere economico e politico. Per comprendere meglio le dinamiche del corporativismo e i suoi potenziali pericoli, è fondamentale approfondire la storia del XX secolo, in particolare le esperienze dei regimi corporativi, e studiare autori come Hannah Arendt che hanno analizzato i totalitarismi e le loro basi ideologiche.Abbiamo riassunto il possibile
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