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Contenuti del libro
Informazioni
“Il conflitto sociale” di Luca Baccelli è un viaggio pazzesco nel cuore della politica e della società. Non è solo roba da manuale, ma un modo per capire perché il mondo è come è, pieno di scontri e tensioni. Il libro parte da lontano, esplorando come i grandi pensatori occidentali, da Aristotele a Hobbes e Machiavelli, hanno visto il conflitto sociale: una malattia da curare, una guerra da domare, o addirittura una forza che può portare libertà e cambiamento. Poi scava nelle diverse facce della lotta: non solo quella economica tra classi (ciao Marx!), ma anche quella per le idee (ideologia) e per sentirsi riconosciuti (riconoscimento). Baccelli ci fa vedere come il conflitto sia stato fondamentale per costruire la democrazia moderna e i nostri diritti, ma poi ci porta ai giorni nostri, nell’era della globalizzazione e delle disuguaglianze crescenti. Qui il quadro si complica: i vecchi schemi sembrano saltare, emergono nuovi movimenti sociali (ambientalisti, femministi, LGBTQ+), e il conflitto si frammenta, a volte degenerando in populismo o xenofobia. Il libro non nasconde la difficoltà di trovare oggi quel “conflitto virtuoso” che spingeva al progresso, ma ci invita a cercare nuove strade per affrontare le sfide enormi, dalla crisi ecologica alle disuguaglianze globali, dimostrando che capire il conflitto è il primo passo per provare a cambiare le cose.Riassunto Breve
Il pensiero occidentale guarda al conflitto sociale in modi diversi. Alcuni pensatori vedono l’ordine sociale come naturale e il conflitto come una malattia da evitare per mantenere la stabilità, come nell’idea che le differenze tra le persone creino legami. Altri partono dall’idea che gli esseri umani siano naturalmente portati al conflitto per via dei desideri illimitati e della scarsità di risorse, e che quindi l’ordine debba essere imposto artificialmente da un potere forte per garantire la sicurezza, neutralizzando ogni divisione interna. Una terza prospettiva riconosce il conflitto come inevitabile, nato dalle divisioni tra gruppi con interessi diversi, ma sostiene che, se gestito attraverso leggi e istituzioni, possa essere una forza positiva che porta a cambiamento, inclusione e libertà, come si vede nelle lotte storiche che hanno prodotto diritti e progresso.Il conflitto si manifesta in diverse forme: come scontro tra valori e idee (conflitto ideologico), come lotta per interessi materiali legati alle disuguaglianze e alla produzione (conflitto di interesse, come la lotta di classe), e come ricerca di riconoscimento e affermazione della propria identità. Queste dimensioni spesso si mescolano, specialmente nella storia moderna.Nella modernità, il conflitto, in particolare quello legato ai rapporti di produzione, ha avuto un ruolo creativo. Le lotte dei lavoratori hanno portato all’inclusione sociale e alla creazione del welfare state. Il conflitto è essenziale per la democrazia, perché permette la contestazione e stimola l’innovazione sociale e giuridica; i diritti stessi nascono spesso da rivendicazioni e lotte.Dagli anni Sessanta, i conflitti si sono ampliati e diversificati, includendo movimenti studenteschi, per i diritti civili, ambientalisti e femministi. La globalizzazione e le politiche neoliberiste hanno trasformato il quadro, aumentando le disuguaglianze economiche e la precarietà del lavoro, e creando nuove forme di sfruttamento. Nonostante la frammentazione, sono emersi movimenti globali contro la globalizzazione neoliberale, dimostrando la possibilità di resistenza.Oggi, la crisi economica e le crescenti disuguaglianze alimentano nuove tensioni, inclusi razzismo e xenofobia, e portano alla ribalta lotte di precari, migranti, movimenti ecologisti e per i diritti LGBTQ+. Si assiste a mobilitazioni globali contro il capitalismo finanziario e l’austerità, che a volte cercano sbocchi politici, ma anche all’ascesa di populismi che sfruttano il malcontento.La teoria sociale fatica a interpretare la complessità di questi conflitti frammentati. Alcuni pensano che non esistano più soggetti sociali stabili, mentre altri vedono ancora una lotta di classe globale guidata dal capitale. Una prospettiva più ampia considera il capitalismo come un ordine sociale che genera crisi interconnesse (oppressione, crisi ecologica, crisi della cura, crisi politica) e che superarlo richiede di affrontare tutte queste forme di dominio. Altre teorie si concentrano sulla lotta per il riconoscimento, sulla “moltitudine” come nuovo soggetto globale, o sulla costruzione politica del “popolo”.Nella società attuale, mancano forme di conflitto virtuoso capaci di generare inclusione e cambiamento come in passato. C’è una forte classe capitalistica globale, ma non una classe lavoratrice o di subalterni altrettanto organizzata. Le disuguaglianze aumentano e le crisi (ecologica, democratica) si aggravano. Le classi sociali non nascono da sole, richiedono organizzazione e lavoro politico, reso più difficile dalla frammentazione sociale. I partiti progressisti faticano a rappresentare gli interessi dei subalterni.Non esiste una teoria completa per i conflitti del XXI secolo, ma diverse prospettive offrono spunti. È fondamentale riconoscere le molteplici dimensioni del conflitto, che vanno oltre l’economia e includono lo sfruttamento della natura, il patriarcato e le varie discriminazioni, considerandole tutte con pari importanza. La lotta alle disuguaglianze è centrale e si lega strettamente a temi come l’ecologismo e il femminismo intersezionale. Il cambiamento non è automatico, richiede lotte e mobilitazioni per ricomporre soggetti antagonistici. L’analisi dello sfruttamento nel lavoro resta importante, anche con le nuove tecnologie. L’azione politica è decisiva per costruire forze capaci di contrastare il potere economico-finanziario, e i movimenti globali mostrano capacità di immaginazione politica e organizzazione dei subalterni. Anche il diritto può aiutare a creare condizioni per un conflitto sociale strutturato.Riassunto Lungo
1. Visioni del Conflitto nel Pensiero Occidentale
Il pensiero occidentale ha visto il conflitto sociale e politico in modi diversi, che si possono raggruppare in tre visioni principali.Il Modello dell’Ordine Naturale (Aristotele)
Una prima visione, che risale ad Aristotele, immagina l’ordine sociale come qualcosa di naturale. Secondo questa idea, gli esseri umani sono diversi per natura e proprio questa diversità crea legami e complementarietà, portando le persone a vivere insieme in società in modo spontaneo. Il conflitto, in questa prospettiva, non è una parte normale della vita sociale, ma è visto come una specie di malattia del corpo politico, una deviazione da questo ordine naturale e armonioso. L’obiettivo principale è mantenere la stabilità e la concordia, evitando che si creino divisioni interne o fazioni che rompano l’unità. Questa visione si ritrova in pensatori antichi come Cicerone e Tommaso d’Aquino, e in epoche più recenti in figure che mettono al primo posto l’unità e l’equilibrio sociale, come Talcott Parsons, che paragona la società a un sistema biologico che cerca di mantenere un suo equilibrio interno.Il Modello della Guerra di Tutti contro Tutti (Hobbes)
Un secondo modo di vedere le cose, che si lega al pensiero di Hobbes, parte da un’idea opposta. Qui si pensa che gli esseri umani siano per natura uguali, spinti da desideri senza limiti e dal desiderio di essere riconosciuti dagli altri (vanagloria), e che vivano in un mondo dove le risorse sono limitate. Questa condizione iniziale, senza regole né autorità, porta inevitabilmente a un conflitto costante, una vera e propria “guerra di tutti contro tutti”. L’ordine sociale, quindi, non esiste in natura, ma deve essere costruito artificialmente. Questo compito spetta allo Stato, una potenza assoluta (il Leviatano) che ha il compito di annullare il conflitto garantendo la sicurezza dei cittadini attraverso un potere fortissimo. Ogni tentativo di limitare il potere di chi governa o ogni alleanza tra i cittadini viene vista come una minaccia diretta a questo ordine artificiale. Questo approccio si ritrova anche in pensatori come Kant, che pur parlando di una “insocievole socievolezza” tra gli uomini, non ammette la possibilità di resistere al potere politico, e in Carl Schmitt, che identifica l’essenza della politica nella distinzione tra amico e nemico, ma crede che sia la decisione di chi detiene il potere a neutralizzare il conflitto all’interno dello Stato.Il Modello del Conflitto Virtuoso (Machiavelli)
C’è poi una terza prospettiva, ispirata a Machiavelli, che accetta il conflitto come una parte inevitabile della vita politica. Questa visione riconosce che la società è divisa in gruppi con interessi diversi, come il popolo e i potenti (i “grandi”). Tuttavia, a certe condizioni, questo conflitto non è solo inevitabile, ma può anche essere utile e positivo. Se il conflitto viene gestito e incanalato attraverso leggi e istituzioni ben definite (i “modi ordinari”), allora non è una malattia da curare, ma può diventare una forza che spinge al cambiamento, favorisce l’inclusione di nuovi gruppi e aumenta la libertà, come dimostrano i disordini (i “tumulti”) dell’antica Roma, che portarono a nuove leggi e a una maggiore partecipazione del popolo. Cercare semplicemente di eliminare ogni forma di conflitto, secondo questa visione, porta inevitabilmente alla debolezza della società o alla tirannia. Questo modello ha influenzato il modo di vedere le rivoluzioni moderne, considerate momenti di profonda trasformazione, e si ritrova nella teoria di Marx, che vede la lotta di classe come il motore principale della storia. Anche pensatori liberali più recenti, come Ralf Dahrendorf, considerano il conflitto un elemento distintivo e positivo delle società libere, in contrasto con i regimi autoritari che cercano di imporre un’uniformità artificiale.Affermare che il conflitto, se ‘gestito’, possa essere ‘utile e positivo’ non rischia di banalizzare la sua potenziale distruttività?
Il capitolo, pur delineando la visione machiavelliana del conflitto virtuoso, non approfondisce sufficientemente i meccanismi precisi che dovrebbero incanalare le tensioni sociali in esiti positivi, né esplora adeguatamente i rischi intrinseci di tale processo. La storia è piena di esempi in cui il conflitto, anche se inizialmente “gestito”, è degenerato in violenza o oppressione. Per comprendere meglio questa complessità, sarebbe utile esplorare ulteriormente la teoria politica, in particolare gli studi sui limiti del potere e sulle dinamiche rivoluzionarie, e la sociologia dei movimenti sociali. Autori come Hannah Arendt possono offrire prospettive critiche sul rapporto tra potere, violenza e azione politica, aiutando a contestualizzare i pericoli insiti anche nel conflitto “virtuoso”.2. Le Diverse Dimensioni del Conflitto
Il conflitto nella società si presenta in molti modi diversi. Possiamo distinguerne tre tipi principali: quello che riguarda le idee e i valori (conflitto ideologico), quello legato agli interessi materiali e alle differenze economiche (conflitto di interesse), e quello che nasce dal bisogno di affermare la propria identità e di essere riconosciuti dagli altri (lotta per il riconoscimento).Il Conflitto Ideologico
Questo tipo di scontro nasce dalla diversità e, a volte, dall’incompatibilità dei valori. Già il sociologo Max Weber notava come nella società moderna convivano molte visioni del mondo e principi morali diversi, difficili da mettere d’accordo (li chiamava “politeismo dei valori”). Nella storia, questo si è visto nelle guerre di religione e poi negli scontri tra grandi idee politiche come il liberalismo, il socialismo, il nazionalismo e il fascismo. Nelle società di oggi, il conflitto ideologico riemerge negli scontri tra diverse identità culturali e nel dibattito su come gestire società con tante culture, mettendo in discussione l’idea di diritti umani validi per tutti. Pensiamo alle discussioni nate da documenti come la Dichiarazione di Bangkok o alle teorie sullo “scontro delle civiltà”. Tuttavia, l’antropologia ci mostra che le culture non sono mondi separati e chiusi. Le persone spesso appartengono a più gruppi contemporaneamente, e le idee e i simboli culturali vengono continuamente cambiati e reinterpretati. Anche il diritto, che dovrebbe aiutare a risolvere questi scontri di valore, è a sua volta attraversato da tensioni e visioni diverse.Il Conflitto di Interesse
Questo conflitto nasce dalle differenze all’interno della società, dalle ingiustizie e dal modo in cui vengono prodotti i beni. Adam Smith aveva già osservato che dividere il lavoro rende la produzione più efficiente, ma può anche peggiorare la condizione di chi lavora. Karl Marx ha analizzato in profondità il lavoro nel sistema capitalista. Secondo lui, la collaborazione tra i lavoratori e l’uso della scienza, che dovrebbero essere forze positive, diventano invece strumenti di potere contro i lavoratori stessi. La causa principale del conflitto, per Marx, è il modo in cui i capitalisti guadagnano profitto (il “plusvalore”) e la divisione della società in classi, basata su chi possiede gli strumenti necessari per produrre (come fabbriche e macchinari). Ralf Dahrendorf ha criticato l’idea di Marx, spostando l’attenzione dalla proprietà all’autorità come base della divisione in classi. Le classi, per Dahrendorf, si formano in base a chi esercita l’autorità e chi ne è escluso. La forza e la violenza di questo scontro tra classi dipendono da quanto è facile cambiare classe, da quanto le classi sono organizzate e da come la società riesce a gestire e regolare il conflitto.La Lotta per il Riconoscimento
Un altro tipo di conflitto riguarda il desiderio di affermare la propria identità e di essere riconosciuti dagli altri. Già pensatori come Machiavelli e Hobbes vedevano nella reputazione e nel voler sentirsi superiori agli altri una causa di scontro. Rousseau pensava che il desiderio di essere riconosciuti dagli altri, nato nelle prime comunità umane, fosse l’inizio delle disuguaglianze. Georg Hegel ha sviluppato l’idea della lotta per il riconoscimento con il suo famoso esempio del rapporto tra signore e servo. In questa relazione, è proprio il lavoro del servo, e il suo rischio della vita, che porta alla formazione della coscienza e all’indipendenza. Marx ha ripreso questo concetto, notando come la forte consapevolezza dei lavoratori della propria condizione ingiusta potesse diventare una forza decisiva contro il sistema capitalista.Spesso, nel corso del Novecento e oltre, queste tre dimensioni del conflitto si sono intrecciate. Lo scontro tra lavoratori e capitalisti, che è un tipico conflitto di interesse, è diventato spesso il punto centrale attorno a cui si sono sviluppati gli scontri basati sulle idee e le lotte per il riconoscimento di gruppi e identità diverse.Se il conflitto si manifesta in così tante forme, perché il capitolo non affronta minimamente il tema di come le società cercano di gestirlo o risolverlo?
Il capitolo offre una tassonomia dei conflitti, ma trascura completamente l’aspetto cruciale della loro gestione, risoluzione o trasformazione. Descrivere le cause e le forme del conflitto senza analizzare i meccanismi sociali, politici e legali messi in atto per contenerlo o indirizzarlo lascia un vuoto significativo nella comprensione del fenomeno. Per colmare questa lacuna, sarebbe utile approfondire gli studi sulla pace e sui conflitti, esaminando le diverse strategie e istituzioni per la risoluzione delle controversie. Autori come Johan Galtung o Roger Fisher e William Ury offrono prospettive fondamentali su questi temi.3. Il Conflitto, Forza Creativa della Modernità
Il conflitto sociale è una caratteristica centrale della modernità. Si manifesta in primo luogo nei rapporti di produzione, come nello scontro tra il movimento operaio e il capitale. Questa lotta ha portato a importanti conquiste, inclusa l’integrazione dei lavoratori nella vita sociale e la nascita del Welfare State. Accanto a queste dinamiche economiche, il conflitto si presenta anche in altre forme, come le lotte per l’indipendenza nazionale e l’emancipazione dai domini coloniali. Le idee e la cultura non sono semplici riflessi della realtà economica, ma giocano un ruolo attivo nella formazione delle classi sociali e nella creazione dell’egemonia, intesa come la capacità di un gruppo di dirigere la società civile. Le ideologie diventano così strumenti concreti nella lotta politica.Il conflitto come forza costruttiva
Il conflitto non è solo sinonimo di disordine. Svolge funzioni essenziali per la società. Contribuisce a stabilire e mantenere l’ordine sociale, rafforzando l’identità dei gruppi che vi prendono parte. Al tempo stesso, stimola l’innovazione, portando alla creazione di nuove norme e istituzioni. Quando il conflitto viene riconosciuto e gestito attraverso meccanismi istituzionali, la violenza diminuisce e si favorisce una maggiore integrazione sociale tra le diverse componenti della società.Il ruolo del conflitto nella democrazia
In ambito politico, il conflitto è fondamentale per il funzionamento della democrazia. Le teorie che descrivono la democrazia non solo in termini di consenso, ma soprattutto come un processo di continua contestazione, sottolineano come lo scontro tra posizioni diverse sia una condizione necessaria per la sua esistenza e vitalità. La possibilità per i cittadini di mettere in discussione le decisioni pubbliche è cruciale per garantire la libertà individuale e per assicurare che lo Stato agisca in modo responsabile.Il legame tra conflitto e diritto
Anche il diritto è profondamente connesso al conflitto. Non si limita a regolarlo, ma viene plasmato dalle dinamiche conflittuali. Le rivendicazioni che emergono dalla società guidano la creazione e l’evoluzione degli ordinamenti giuridici. I diritti soggettivi, in particolare, sono strettamente legati all’atto di rivendicare e nascono storicamente dalle lotte per l’emancipazione e per la difesa contro i poteri costituiti. Il conflitto rappresenta quindi un motore essenziale per l’evoluzione sociale, politica e giuridica.Se le teorie sociali faticano a cogliere la complessità dei conflitti e si concentrano su aspetti parziali, come possiamo sperare di comprenderli davvero o di trovare un terreno comune per l’azione?
Il capitolo evidenzia giustamente la difficoltà della teoria sociale nel dare senso alla frammentazione dei conflitti contemporanei e la tendenza degli approcci esistenti a isolare dimensioni specifiche, siano esse economiche, culturali o politiche. Questa frammentazione teorica rischia di lasciare irrisolto il problema di come queste diverse lotte si intersechino, si influenzino reciprocamente e, potenzialmente, possano convergere. Per affrontare questa sfida, è cruciale approfondire le teorie che cercano di superare queste dicotomie, esplorando come le rivendicazioni di riconoscimento si leghino a quelle di redistribuzione e come l’azione politica possa costruire legami tra soggetti apparentemente diversi. Autori come Nancy Fraser, Ernesto Laclau e Chantal Mouffe offrono strumenti concettuali per analizzare l’intersezione tra classe, identità e politica, e la costruzione discorsiva del “popolo” o di blocchi sociali. Approfondire la sociologia politica e la teoria critica può fornire ulteriori chiavi di lettura per comprendere come le diverse dimensioni del conflitto si articolino nel contesto del capitalismo contemporaneo.6. La Ricerca del Conflitto Virtuoso
Oggi non si vedono forme di conflitto virtuoso come quelle del passato. Al contrario, prevalgono forme che non portano all’inclusione o al cambiamento per i gruppi svantaggiati. Manca un conflitto di classe organizzato come quello del Novecento. Esiste una classe capitalistica globale molto efficace, ma non c’è una classe lavoratrice o di subalterni altrettanto unita. Questo porta a un aumento delle disuguaglianze, con una grande distanza tra l’1% più ricco e il restante 99%. Il capitalismo globale non controllato causa gravi problemi come catastrofi ecologiche e minacce nucleari, ma manca un soggetto globale capace di opporsi a queste tendenze negative.Le difficoltà della lotta sociale oggi
La vecchia dinamica tra chi comanda e chi è sottomesso non funziona più come motore di cambiamento. I subalterni non generano più quel tipo di “paura” che in passato spingeva verso nuove condizioni sociali. È difficile che una massa di persone con interessi comuni si trasformi in un gruppo consapevole e organizzato senza una lotta strutturata. L’ordine sociale attuale tende a rompersi o a chiudersi su se stesso. La democrazia è in crisi e i diritti delle persone diminuiscono. Le classi sociali non nascono da sole; hanno bisogno di un lavoro politico e sociale per unirsi, come è successo con i movimenti operai o le lotte anticoloniali. Oggi, però, questo compito è più complicato a causa di processi sociali che tendono a dividere le persone. Anche i partiti che un tempo rappresentavano gli interessi dei lavoratori hanno smesso di farlo e hanno abbandonato l’idea del conflitto sociale.Nuove prospettive sul conflitto
Non esiste ancora una teoria completa che spieghi il conflitto sociale nel ventunesimo secolo. Tuttavia, alcune idee possono essere utili. Tra queste, ci sono la comprensione di come le persone e i gruppi cercano riconoscimento reciproco, l’analisi approfondita del capitalismo di oggi e l’importanza di costruire un consenso (egemonia) che possa contrastare il potere dominante. Il conflitto sociale non riguarda solo il mondo del lavoro e dell’industria. Include anche lo sfruttamento della natura, le disuguaglianze tra uomini e donne, l’oppressione dei popoli e altre forme di discriminazione. Tutte queste forme di sottomissione hanno la stessa importanza. È fondamentale creare un quadro chiaro che unisca queste diverse battaglie. La lotta contro le disuguaglianze economiche è centrale e si lega strettamente a temi come la difesa dell’ambiente e il femminismo che considera le diverse forme di oppressione che si intersecano.Le sfide del capitalismo globale
La crisi ambientale è causata dallo sfruttamento aggressivo della natura da parte del sistema capitalistico. Le discriminazioni basate sul genere e sulla sessualità hanno radici profonde nel patriarcato, che a sua volta è utile al capitalismo globale. Le lotte per la libertà dei popoli si scontrano con le disuguaglianze economiche e le logiche di dominio dei paesi più potenti. Il capitalismo globale, quando non è controllato, porta a disastri e povertà diffusa.La necessità di lotta e organizzazione
Il cambiamento non avviene da solo; richiede lotte e mobilitazioni per riunire i gruppi che si oppongono al sistema dominante. L’analisi fatta da Marx sullo sfruttamento e sul lavoro è ancora importante per capire la realtà di oggi. Il lavoro è fondamentale per l’esperienza umana e per trasformare la società. Tuttavia, lo sviluppo della tecnologia rischia di creare scenari negativi, con nuove forme di disuguaglianza legate al lavoro. L’azione politica è cruciale per costruire un’influenza (egemonia) che possa opporsi al potere dell’economia e della finanza, anche se questo potere ha ormai condizionato profondamente il sistema politico. Esiste una questione di volontà e di capacità di progettare un futuro diverso. Alcuni movimenti globali dimostrano di avere l’immaginazione politica e la capacità di organizzare i gruppi svantaggiati. Anche le leggi possono aiutare a creare le condizioni per un conflitto sociale più strutturato e capace di produrre cambiamenti.Affermare che tutte le lotte hanno “la stessa importanza” basta a creare quel “quadro chiaro” necessario per unirle contro il potere dominante?
Il capitolo identifica correttamente la frammentazione delle lotte sociali e la difficoltà di costruire un soggetto unitario capace di opporsi al capitalismo globale. Tuttavia, l’affermazione che diverse forme di sottomissione (economiche, ambientali, di genere, ecc.) abbiano “la stessa importanza” è una posizione etica o politica, non un’analisi strategica di come queste lotte possano effettivamente convergere e acquisire forza. Il capitolo non spiega in modo approfondito quali meccanismi o quale lavoro politico sia necessario per trasformare questa pari importanza teorica in una pratica unitaria efficace, superando le divisioni e le specificità che spesso caratterizzano i diversi movimenti. Per approfondire questa complessa dinamica, è utile esplorare la sociologia dei movimenti sociali, la teoria politica contemporanea e gli studi critici sul potere. Autori come Foucault o Butler offrono prospettive che possono aiutare a comprendere le molteplici forme di potere e resistenza, e le sfide nel costruire coalizioni efficaci in contesti frammentati.Abbiamo riassunto il possibile
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