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Contenuti del libro
Informazioni
“Il confino fascista. L’arma silenziosa del regime” di Camilla Poesio ti porta dentro uno degli strumenti più subdoli usati dal regime fascista per schiacciare gli oppositori politici. Non era una vera pena decisa da un giudice, ma una misura amministrativa, una specie di esilio forzato, basata solo sul sospetto e non su reati provati, che violava un sacco di diritti fondamentali. Il libro spiega come questa pratica, ereditata dal passato ma potenziata, colpisse non solo gli antifascisti dichiarati, ma chiunque fosse considerato pericoloso dalla polizia fascista e dalla Milizia, spesso per motivi futili. Scoprirai i luoghi di confino, scelti apposta in posti isolati, come isole o paesini del Sud Italia, per rendere la vita più dura e l’evasione impossibile. Vedrai la vita quotidiana dei confinati, le condizioni disumane, la mancanza di lavoro, ma anche la loro capacità di organizzarsi, resistere silenziosamente e mantenere vivi i contatti con l’esterno, nonostante le divisioni interne. Non mancano le storie delle famiglie, che subivano l’isolamento e l’ostracismo. Il libro mette anche a confronto il confino con la Schutzhaft nazista, mostrando le somiglianze e la crescente collaborazione tra polizia fascista e Gestapo nella lotta contro gli oppositori. È un viaggio nella repressione, nell’arbitrio del regime e nella resistenza di chi non si piegava.Riassunto Breve
Il confino di polizia è uno strumento di repressione politica che il regime fascista eredita e potenzia dal domicilio coatto dell’Italia liberale. Non si basa su reati commessi, ma su sospetti e giudizi sulla pericolosità sociale o politica di un individuo, violando il principio di legalità formale che richiede una legge precedente al reato. Il fascismo lo trasforma in uno strumento centrale per colpire gli oppositori senza processo e senza garanzie di difesa, conferendo poteri arbitrari alla polizia. I luoghi scelti sono spesso isole o paesi isolati del Sud Italia, per ragioni economiche, di sorveglianza e per rendere più difficile la vita e l’organizzazione degli antifascisti. Le assegnazioni avvengono per motivi vari, non solo politici, decise da commissioni dominate dalle autorità di polizia e Milizia, con ricorsi inefficaci e arresti preventivi comuni. Le interruzioni del confino sono rare e arbitrarie.Il confino si inserisce in un sistema che, pur mantenendo formalmente il principio di legalità nel Codice Rocco, introduce misure di sicurezza basate sulla pericolosità sociale, creando un “doppio binario”. Il confino, misura amministrativa, è criticato per l’arbitrarietà e la mancanza di garanzie, ma è mantenuto per la sua efficacia repressiva. Le teorie positiviste influenzano questa attenzione alla pericolosità del reo. Il confino colpisce oppositori politici, ma anche individui considerati devianti, come gli omosessuali. La gestione è affidata a Commissioni provinciali e polizia, con l’uso dell’atto di sottomissione per ottenere la rinuncia alle idee politiche.La vita nel confino è caratterizzata da condizioni dure: alloggi sovraffollati, sussidi insufficienti, cibo scarso, igiene pessima e malattie diffuse. La legge impone il lavoro, ma le opportunità sono quasi nulle, portando all’ozio forzato, salvo rari casi di sfruttamento lavorativo organizzato. Nonostante l’isolamento, i confinati si organizzano per migliorare la vita quotidiana e mantenere l’attività politica, comunicando clandestinamente con l’esterno, ma le divisioni politiche interne sono profonde.Il sistema impone controllo e sofferenza, con la presenza di informatori e la convivenza forzata tra politici e criminali comuni voluta dal regime per delegittimare gli antifascisti. Le donne subiscono persecuzioni specifiche, con alloggi inadatti, restrizioni arbitrarie, censura della posta e un conflitto tra impegno politico e vita familiare. Le mogli che raggiungono i confinati vivono in isolamento, mentre quelle rimaste a casa subiscono ripercussioni economiche e sociali. La violenza si manifesta in abusi di potere, maltrattamenti, arresti traumatici e soprusi da parte delle autorità, in particolare della Milizia. Le sofferenze psicologiche sono profonde, legate all’isolamento, all’incertezza sulla durata del confino e al senso di impotenza. Il reinserimento dopo il confino è difficile a causa della sorveglianza e dell’isolamento sociale.Nei luoghi di confino operano principalmente i militi della Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale, che assumono il ruolo principale nella sorveglianza, riflettendo la natura politica del confino. Si verificano tensioni tra le diverse forze di vigilanza. Il regime controlla anche la popolazione locale per impedire contatti con gli antifascisti, ma l’atteggiamento dei locali varia tra indifferenza, opportunismo e, a volte, solidarietà.La *Schutzhaft* nazista, o custodia preventiva, è una misura di polizia simile al confino, usata per reprimere l’opposizione politica senza processo e garanzie legali. I detenuti sono rinchiusi in varie strutture, con condizioni difficili, ma riescono a organizzarsi politicamente. Le analogie con il confino includono le ragioni storiche, l’uso come strumenti permanenti di controllo e gli scopi di isolamento e intimidazione. Le differenze principali sono la maggiore violenza fisica e l’uso sistematico del lavoro forzato nella *Schutzhaft*. Entrambe le misure rappresentano un attacco allo Stato di diritto, basandosi sulla presunta pericolosità sociale.Le polizie fascista e nazista sviluppano una collaborazione, intensificatasi dopo il 1936, basata sulla lotta comune contro il comunismo. Un protocollo prevede lo scambio di informazioni, assistenza nelle indagini e la possibilità di arrestare emigrati pericolosi. La Gestapo usa la *Schutzhaft* contro esuli italiani, e la polizia italiana adotta misure simili. Nonostante critiche interne italiane alla Gestapo, la cooperazione continua con scambi di liste e informazioni. La consegna reciproca di oppositori avviene solo in casi eccezionali. Gli accordi vengono ribaditi e intensificati, portando a scambi di dati e incontri periodici. La collaborazione si intensifica ulteriormente con le visite di stato, portando all’arresto preventivo di sospetti da entrambe le parti.Riassunto Lungo
1. La Macchina del Sospetto e il Confino di Polizia
Il confino politico, noto in epoca liberale come domicilio coatto, non nasce con il fascismo ma viene ereditato e potenziato. Già nell’Italia liberale, in situazioni di emergenza, si usa il domicilio coatto per reprimere il dissenso politico, spesso mascherandolo come lotta alla criminalità comune. Si trattava di uno strumento amministrativo, applicato a persone considerate sospette, non per reati effettivamente commessi, ma basandosi su semplici giudizi e non su fatti oggettivi. Questa pratica violava il principio fondamentale di legalità formale, che vuole che non ci sia reato senza una legge che lo preveda chiaramente prima. Il regime fascista avrebbe poi preso questo strumento esistente e lo avrebbe reso molto più severo e diffuso.Il confino sotto il Fascismo: uno strumento di repressione
Il regime fascista, sfruttando eventi come gli attentati a Mussolini, trasforma il domicilio coatto in confino di polizia. Questo diventa uno strumento centrale e potente per colpire gli oppositori politici. Le persone potevano essere mandate al confino anche per motivi futili o basati su semplici sospetti, senza un processo giudiziario vero e proprio e senza la possibilità di difendersi. La polizia acquisisce poteri enormi, agendo spesso in modo arbitrario e senza controlli. Il confino funziona di fatto come una pena detentiva o una misura di sicurezza, ma senza nessuna delle garanzie legali che dovrebbero proteggere i cittadini.I motivi e la procedura per l’assegnazione
Le assegnazioni al confino potevano avvenire per una vasta gamma di motivi, non solo strettamente politici. Anche atteggiamenti privati o il passato di una persona potevano portare a questa misura. La procedura prevedeva una commissione amministrativa provinciale, dominata dalle autorità di polizia e dalla Milizia fascista. Questa commissione decideva sulla base di denunce e rapporti, spesso compilati dagli stessi accusatori del sospettato. L’arresto preventivo diventa una pratica comune, e i ricorsi contro la decisione erano quasi sempre inefficaci, lasciando gli individui impotenti di fronte al sistema.Dove si veniva confinati
La scelta dei luoghi di confino ricade spesso su isole o paesi isolati, soprattutto nel Sud Italia. Questa scelta avviene in parte per ragioni economiche, sfruttando strutture esistenti e riducendo i costi di sorveglianza. Le isole rendono anche più difficili le evasioni, e l’isolamento stesso ha un forte effetto psicologico sui confinati. Mandare le persone al Sud, spesso in zone povere e con poche infrastrutture, rende la vita dei confinati ancora più dura. Si riteneva inoltre che al Sud fosse più difficile per gli antifascisti trovare appoggio politico tra la popolazione locale.La vita nel confino e i suoi effetti
Il confino non riesce a rieducare gli oppositori politici; al contrario, spesso diventa un luogo dove l’antifascismo si rafforza e si creano legami. Le interruzioni del confino, come le liberazioni condizionali decise da Mussolini, sono rare e spesso arbitrarie. Queste liberazioni riguardano di solito confinati considerati “apolitici” o avvengono per motivi economici e propagandistici, non certo per i veri oppositori del regime. All’interno del confino, le punizioni sono severe e applicate in modo arbitrario, costringendo spesso le persone a vivere in condizioni estremamente difficili e disumane.Se il confino ‘non nasce con il fascismo ma viene ereditato’, quanto è davvero una novità la ‘macchina del sospetto’ fascista?
Il capitolo giustamente sottolinea come il confino avesse radici nel domicilio coatto liberale. Tuttavia, concentrarsi solo sull’eredità e sul potenziamento potrebbe non esplorare a fondo la natura e la portata della “macchina del sospetto” fascista rispetto al suo predecessore. Per capire meglio questa distinzione e la continuità/discontinuità, sarebbe utile approfondire la storia del diritto e delle pratiche repressive nello stato liberale italiano, analizzando i contesti in cui veniva applicato il domicilio coatto e confrontandoli con l’uso sistematico e ideologico del confino sotto il regime. Studi sulla storia dello stato liberale e sulla repressione politica, ad esempio da autori come Christopher Duggan o Martin Clark, possono fornire il contesto necessario.2. La Rete del Controllo: Confino e Pericolosità Sociale
Il diritto penale sotto il regime fascista non abbracciò del tutto l’idea che ogni azione socialmente pericolosa fosse un reato, anche se non specificamente proibita dalla legge, un principio invece centrale nel diritto nazista. Mantenne formalmente alcuni pilastri legali, come il principio di legalità, che imponeva che un reato fosse definito dalla legge, e il divieto di applicare leggi penali a fatti avvenuti prima della loro entrata in vigore o per analogia. Tuttavia, la legalità divenne in gran parte un concetto astratto, poiché le leggi non nascevano da un libero dibattito parlamentare. Un esempio lampante di questa situazione è la repressione dell’omosessualità, che non era considerata un reato dal Codice Rocco ma veniva comunque contrastata attraverso misure amministrative, come il confino di polizia.La Pericolosità Sociale e le Misure di Sicurezza
Nel Codice Rocco fecero la loro comparsa le misure di sicurezza, fortemente influenzate dalle dottrine positivistiche che ponevano l’accento sulla pericolosità sociale dell’individuo per proteggere la collettività. Queste teorie, portate in Italia da studiosi come Ferri e Lombroso, spostavano l’attenzione dal reato commesso al potenziale di rischio del reo, cercando di individuare fattori sociali, psicologici e biologici alla base della criminalità. Proponevano una risposta penale non solo punitiva ma soprattutto preventiva, volta a difendere la società. Il Codice Rocco si posizionò così a metà strada tra questa scuola di pensiero e la Scuola classica, che si concentrava sul reato come offesa e sul concetto di libero arbitrio individuale. Questa fusione portò alla creazione di un “sistema a doppio binario”: la persona colpevole riceveva una pena per il reato commesso, ma se considerata socialmente pericolosa, le veniva applicata anche una misura di sicurezza, la cui durata era spesso indeterminata, legata alla persistenza della sua presunta pericolosità.Il Confino di Polizia: Applicazione e Critiche
Il confino di polizia rappresentò una di queste misure, una limitazione amministrativa della libertà personale. Veniva applicato non solo agli oppositori politici, ma anche a individui considerati devianti o pericolosi per l’ordine pubblico, inclusi, come visto, gli omosessuali. Le località di confino erano situate prevalentemente nel Sud Italia e nelle isole. La gestione di questa misura era affidata a Commissioni provinciali e alla polizia. Forti critiche furono mosse contro il confino per l’arbitrarietà con cui la polizia identificava i soggetti pericolosi e per la mancanza di garanzie legali per l’individuo, come l’assenza di un giudizio preliminare o del diritto alla difesa. Nonostante queste obiezioni, il confino fu mantenuto e ampiamente utilizzato per la sua rapidità e la possibilità di esercitare una repressione estesa. Misure di prevenzione come questa continuarono a sollevare serie preoccupazioni per la loro natura di mezzo alternativo che permetteva di aggirare il procedimento penale formale e le sue garanzie.Vita nelle Colonie e Resistenza
Nelle colonie di confino, le autorità tentavano talvolta di ottenere dai confinati la rinuncia alle loro idee politiche attraverso un “atto di sottomissione”, ma in molti casi i confinati resistevano. Il sistema del confino non era isolato, ma si intrecciava con il sistema carcerario e la giustizia straordinaria, segnando un’estensione delle misure di polizia nel campo tradizionalmente riservato al diritto penale. Le condizioni di vita nelle colonie di confino presentavano spesso problemi strutturali e disciplinari significativi.Ma quanto era “scientifica” la “pericolosità sociale” che il capitolo descrive come fondamento delle misure di sicurezza, se affondava le radici in teorie positivistiche oggi ampiamente superate?
Il capitolo correttamente evidenzia l’influenza delle dottrine positivistiche sulla nozione di pericolosità sociale nel Codice Rocco. Tuttavia, non si sofferma a sufficienza sulla validità scientifica di tali teorie, che, pur rappresentando un passo verso l’analisi del reo, affondavano spesso in determinismi biologici o sociali oggi insostenibili. Per comprendere appieno quanto fosse arbitraria la base di concetti come la pericolosità sociale, è essenziale approfondire la storia della criminologia, analizzando criticamente le opere di figure come Lombroso e Ferri e confrontandole con gli sviluppi successivi che hanno messo in discussione le pretese di oggettività e scientificità nella previsione della devianza.3. La vita forzata e la resistenza silenziosa
Il confino di polizia accoglie oppositori politici di diverse appartenenze, con una prevalenza di comunisti, anarchici e socialisti, ma include anche ex fascisti. La maggior parte di queste persone proviene dalle classi lavoratrici, come operai e contadini, e le regioni di origine più rappresentate sono Lombardia, Emilia Romagna, Toscana e Marche. Si tratta in genere di individui giovani. Una volta arrivati nelle colonie, tendono a formare gruppi basati sulle affinità regionali e politiche.Il viaggio verso l’esilio
L’esperienza del confino inizia con l’arresto, spesso improvviso e violento, un momento traumatico che segna l’inizio di un percorso difficile. Il trasferimento verso i luoghi di destinazione è un viaggio estenuante, che può durare giorni o settimane. I confinati vengono trasportati in vagoni cellulari o carrozze carcerarie, spesso incatenati e in condizioni igieniche inaccettabili. Le soste nei carceri di transito possono prolungarsi per mesi, un periodo durante il quale politici e criminali comuni sono mescolati. L’arrivo sull’isola o nel paese designato è spesso un momento di ulteriore umiliazione.Le dure condizioni di vita quotidiana
Una volta giunti a destinazione, le condizioni di vita si rivelano estremamente dure. Gli alloggi consistono spesso in cameroni comuni sovraffollati e inadatti, mentre le rare stanze private sono costose e comunque disagiate. Il sussidio giornaliero fornito dal governo è molto basso, insufficiente per molti, specialmente dopo la riduzione del 1929, costringendo alcuni a far venire le famiglie o a dipendere da aiuti esterni per sopravvivere. Il cibo è scarso e di pessima qualità, e l’acqua non potabile è causa di frequenti malattie. Le condizioni igieniche sono disastrose, con una diffusa presenza di insetti e latrine inadeguate, favorendo la diffusione di patologie come tubercolosi, febbri e disturbi psichici. L’assistenza sanitaria disponibile è del tutto carente. Nonostante la legge imponesse ai confinati di lavorare, le opportunità di impiego sono quasi inesistenti, portando a un forzato stato di ozio. Solo a partire dal 1939, in alcuni luoghi come Pisticci, si organizza lo sfruttamento del lavoro dei confinati in progetti agricoli e di bonifica, presentato come rieducazione ma di fatto vantaggioso economicamente per il regime e per privati.Organizzazione e forme di resistenza
Nonostante l’isolamento imposto, i confinati riescono a organizzarsi per migliorare la propria vita quotidiana e mantenere viva l’attività politica. Creano mense comuni per gestire meglio il cibo, spacci per l’acquisto di beni di prima necessità e biblioteche per l’accesso alla cultura e all’informazione. Riescono inoltre a stabilire e mantenere una comunicazione clandestina con l’esterno, rompendo l’isolamento fisico. Non mancano episodi di protesta esplicita contro le condizioni di vita e i divieti imposti dalle autorità, dimostrando un costante spirito di resistenza. Vengono tentate anche evasioni, sebbene spesso con esiti negativi.Divisioni interne e il ruolo degli ex fascisti
I rapporti all’interno delle colonie di confino sono segnati da profonde divisioni politiche e conflitti tra le diverse fazioni antifasciste presenti, rendendo difficile una coesione totale. Questa frammentazione interna rappresenta un’ulteriore sfida per i confinati. Parallelamente, i confinati ex fascisti godono di condizioni di vita nettamente migliori rispetto agli altri. Alcuni di loro arrivano persino a fungere da informatori per le autorità, creando un clima di sospetto e ulteriore tensione all’interno delle colonie.È sufficiente confrontare Schutzhaft e confino semplicemente come “strumenti di repressione politica”, o questa etichetta rischia di appiattire differenze qualitative cruciali?
Il capitolo, pur elencando differenze importanti tra le due pratiche, come la scala, l’uso della violenza e il lavoro forzato, potrebbe non aver esplorato a fondo le implicazioni di tali divergenze sulla natura stessa della repressione. Presentare entrambi come generici “strumenti” rischia di non cogliere la specificità e la radicalità della Schutzhaft nel contesto del sistema concentrazionario nazista e della sua ideologia. Per approfondire questa distinzione e comprendere meglio le diverse logiche repressive, sarebbe utile studiare la storiografia comparata sui regimi totalitari e autoritari, analizzando le loro strutture di potere e i loro obiettivi ultimi. Autori come Hannah Arendt o Emilio Gentile possono fornire prospettive fondamentali su questi temi.7. L’Intesa Segreta: Polizie Fascista e Nazista contro gli Oppositori
Un accordo di polizia tra Italia e Germania si stabilisce con un protocollo generale che ha come obiettivo principale la lotta contro il comunismo. Questo patto prevede uno scambio continuo di informazioni riguardo al comunismo e alla massoneria tra le due nazioni. Le polizie si impegnano a fornirsi assistenza reciproca nelle indagini e a condividere materiali e prove raccolte. L’accordo include anche la possibilità per entrambe le forze dell’ordine di arrestare e interrogare gli emigrati dell’altro paese che vengono ritenuti pericolosi. Le comunicazioni tra le polizie avvengono attraverso le rispettive ambasciate, con corrieri mensili e tramite telefonate che utilizzano nomi falsi per garantire la segretezza.Strumenti di Controllo e Repressione
La Gestapo, la polizia segreta tedesca, fa ampio uso della Schutzhaft, una forma di custodia preventiva, utilizzata in particolare contro gli esuli politici italiani che si trovano in Germania. Parallelamente, anche la polizia italiana adotta misure simili in occasioni specifiche, come durante la visita di Hitler in Italia. In quel periodo, vengono fermati cittadini tedeschi e austriaci che le autorità italiane considerano potenzialmente pericolosi. Questo dimostra come entrambi i regimi utilizzino strumenti legali o quasi-legali per neutralizzare gli oppositori politici.Intensificazione della Collaborazione
La collaborazione tra le polizie segrete di Italia e Germania si rafforza ulteriormente dopo la firma degli accordi di Berlino nel 1936. La Gestapo invia regolarmente al governo italiano materiale informativo dettagliato, che include segnalazioni su pubblicazioni considerate sovversive e informazioni sugli agenti comunisti attivi. La polizia italiana risponde a sua volta fornendo alla Gestapo dettagli precisi sui comunisti italiani che vivono all’estero. Queste informazioni comprendono pseudonimi utilizzati e dati su figure di spicco dell’antifascismo, come Palmiro Togliatti. Questo periodo vede anche un intenso scambio di liste di persone considerate sospette da entrambe le parti.Valutazioni Interne e Casi Specifici
Nonostante alcuni rapporti interni italiani esprimano critiche nei confronti della Gestapo, descrivendola come una forza di polizia poco preparata tecnicamente e incline alla corruzione e alla violenza, la cooperazione tra i due regimi prosegue senza interruzioni. Per facilitare questo scambio continuo e diretto, vengono nominati addetti di polizia specifici all’interno delle rispettive ambasciate a Roma e Berlino. Un caso che illustra le dinamiche di questa collaborazione è l’arresto in Germania dell’antifascista italiano Armando Antonini da parte della Gestapo. La polizia tedesca si offre di consegnarlo alle autorità italiane, ma l’Italia rifiuta il trasferimento. La motivazione ufficiale è che Antonini non è considerato una figura di sufficiente rilievo politico. La consegna di oppositori avviene infatti solo in “casi eccezionali” per figure di grande importanza, anche perché il confino in Italia è costoso e le strutture dedicate sono già piene.Rinnovo degli Accordi e Misure Tecniche
Gli accordi di collaborazione vengono ribaditi e precisati a Roma nell’ottobre del 1936, segnando un ulteriore passo nell’integrazione delle attività di polizia. Vengono stabilite misure tecniche specifiche per rendere più efficace la lotta comune. Tra queste, si decide lo scambio sistematico di elenchi e impronte digitali di individui identificati come comunisti. Viene prevista un’intensificazione generale della sorveglianza sugli oppositori e lo scambio di fotografie di sospetti agenti sovietici. Si concorda inoltre sulla creazione di servizi radio dedicati sia alla diffusione di propaganda anticomunista sia alle comunicazioni riservate tra le polizie. Per garantire il coordinamento e lo scambio di esperienze, vengono programmati incontri trimestrali tra rappresentanti delle due forze di polizia. Un appunto interno italiano redatto in quel periodo offre una prospettiva sulla delegazione della Gestapo presente a Roma, descrivendola come poco preparata dal punto di vista tecnico. Secondo l’autore dell’appunto, la polizia tedesca è mossa principalmente dal terrore nei confronti del comunismo e da un profondo odio verso ebrei e massoni. L’autore italiano ritiene la propria polizia più efficiente e giudica l’accordo complessivamente più vantaggioso per la Germania, che appare desiderosa di apprendere i metodi investigativi e repressivi italiani.La Collaborazione Durante le Visite Ufficiali
La visita di Mussolini in Germania nel settembre del 1937 rappresenta un momento di ulteriore intensificazione della collaborazione operativa tra le polizie. In preparazione e durante l’evento, la polizia italiana fornisce alle autorità tedesche liste dettagliate di antifascisti espatriati che potrebbero rappresentare una minaccia. La Gestapo, basandosi su queste liste e sulle proprie informazioni, applica la Schutzhaft contro sospetti italiani presenti sul territorio tedesco. Viene anche emessa una disposizione speciale che impone la registrazione e il controllo rigoroso di tutti gli italiani e gli stranieri in ingresso in Germania durante quel periodo. Le forze di polizia di entrambi i paesi si attivano nella ricerca attiva di anarchici, sospettati di poter organizzare attentati contro Mussolini e Hitler. Vengono emessi ordini di Schutzhaft preventivi anche per figure di spicco dell’antifascismo, come Don Luigi Sturzo e Alberto Tarchiani, nel caso in cui avessero tentato di entrare in Germania. Molti italiani vengono detenuti in via preventiva per la sola durata della visita ufficiale. Un episodio simile, ma con ruoli invertiti, si verifica durante la visita di Hitler in Italia nel maggio del 1938. In quell’occasione, la polizia italiana procede all’arresto di numerosi cittadini tedeschi e austriaci considerati pericolosi, basandosi sulle liste di sospetti scambiate in precedenza con la Gestapo. Durante questa visita, la polizia italiana dimostra un notevole zelo repressivo, arrivando ad arrestare persone che la stessa Gestapo avrebbe voluto solo tenere sotto sorveglianza, evidenziando l’impegno del regime fascista nel mostrare efficienza e allineamento con le politiche di sicurezza naziste.Se, come suggerisce il capitolo, la polizia italiana giudicava la Gestapo tecnicamente impreparata e mossa solo da terrore e odio, su quali basi si fondava realmente questa “intesa segreta” tra regimi così diversi?
Questo capitolo descrive con precisione i meccanismi della collaborazione di polizia tra Italia e Germania, ma lascia aperta la questione fondamentale delle motivazioni profonde e della natura del rapporto, specialmente alla luce delle critiche interne italiane alla Gestapo. Per comprendere meglio come due apparati repressivi con percezioni e forse priorità diverse abbiano potuto collaborare così strettamente, è essenziale approfondire lo studio comparato delle ideologie fascista e nazista, andando oltre la comune lotta al comunismo. Utile sarebbe leggere autori che hanno analizzato la struttura e le logiche dei regimi totalitari e dei loro apparati di sicurezza, come Hannah Arendt o Emilio Gentile.Abbiamo riassunto il possibile
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