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Informazioni
“Il caso Facio. Eroi e traditori della Resistenza” di Luca Madrignani non è la solita storia della Resistenza in bianco e nero, ma scava nelle sue zone d’ombra, mostrando quanto fosse complessa e piena di contraddizioni. Il libro si concentra sul tragico “Caso Facio”, la morte di Dante Castellucci “Facio”, un carismatico comandante del Battaglione “Picelli”, ucciso non dai nazifascisti, ma da altri partigiani. La vicenda si svolge principalmente nei monti della Lunigiana, un territorio di confine conteso tra i comandi partigiani di Parma e La Spezia. Al centro della narrazione, oltre a “Facio”, c’è la figura ambigua di Antonio Cabrelli “Salvatore”, un partigiano con un passato difficile e grandi ambizioni, che gioca un ruolo chiave nella sua fine. Attraverso l’analisi di documenti storici, il libro esplora i conflitti interni, le lotte territoriali, le ambizioni personali e il tradimento che segnarono la Resistenza italiana, offrendo uno sguardo crudo e realistico sulla violenza interna e sulle verità spesso nascoste di quel periodo cruciale. È una lettura che ti fa riflettere su cosa significasse davvero essere un partigiano.Riassunto Breve
La Resistenza italiana presenta complessità e zone d’ombra che vanno oltre una visione semplice, includendo violenza interna e percorsi individuali non lineari. Il battaglione garibaldino «Guido Picelli», inizialmente guidato da Fermo Ognibene e poi da Dante Castellucci «Facio», opera in un’area di confine tra diverse province, diventando un punto di riferimento militare ma anche oggetto di contese territoriali tra i comandi partigiani di Parma e La Spezia. Figure come Antonio Cabrelli «Salvatore», un militante comunista con un passato travagliato segnato da accuse di collaborazionismo e dissidenza, emergono in questo contesto. «Salvatore», dopo esperienze all’estero e problemi con il Partito Comunista Italiano (Pci) che lo aveva espulso, rientra in Italia e si unisce al «Picelli», diventando commissario politico di un distaccamento. Contemporaneamente, lavora per la federazione del Pci della Spezia con l’obiettivo di organizzare una divisione ligure e spostare il battaglione «Picelli» sotto la sua giurisdizione. Questa ambizione personale di «Salvatore» si scontra con la leadership carismatica di «Facio», legato ai comandi di Parma. La contesa territoriale e la gestione dei rifornimenti, come i materiali dagli aviolanci alleati, diventano pretesti per le tensioni. «Salvatore» trama per eliminare «Facio», convincendo altri partigiani e sfruttando le assenze del comandante. «Facio» viene attirato con l’inganno, sottoposto a un processo sommario e condannato a morte, eseguita nel luglio 1944. Le accuse formali riguardano la gestione dei materiali e presunte minacce, ma la motivazione reale risiede nel conflitto di potere e nell’ambizione di «Salvatore». Dopo la morte di «Facio», «Salvatore» assume un ruolo di rilievo nella Divisione Liguria, ma il suo comportamento autoritario e le indagini sul suo passato portano alla sua emarginazione e a una nuova espulsione dal Pci all’inizio del 1945. La vicenda di «Facio» evidenzia le difficoltà nella ricostruzione storica, poiché i documenti sono spesso incompleti o redatti a posteriori con intenti giustificativi. Non esiste una strategia unica di insabbiamento da parte del Pci, ma piuttosto versioni contrastanti e tentativi di nascondere le dinamiche interne, come dimostra la falsa motivazione per la medaglia d’argento assegnata postuma a «Facio». Il caso rivela come le ambizioni personali e i conflitti interni abbiano giocato un ruolo significativo nella Resistenza, al di là delle motivazioni ideali.Riassunto Lungo
1. La Mappa del Battaglione Picelli
Il battaglione garibaldino «Guido Picelli» si è organizzato attorno ai suoi capi. Fermo Ognibene, conosciuto come «Alberto», lo ha guidato fin dalla nascita, fino alla sua morte nel marzo 1944. Dopo di lui, il comando è passato a Dante Castellucci, detto «Facio», che è rimasto in carica fino a luglio 1944. Quando il battaglione si è trasformato nella Brigata «Matteotti/Picelli», la guida è stata affidata a Nello Quartieri, soprannominato «Italiano». I commissari politici che hanno affiancato i comandanti erano Alceste Bertoli ed Enrico Gatti, chiamato «Musiari».L’Organizzazione Interna
Il battaglione era diviso in vari gruppi, chiamati distaccamenti. Il distaccamento «Fermo Ognibene» era guidato da Ennio Vecchi, detto «Ennio», con Vittorio Marini, detto «Vito», come responsabile politico. Il distaccamento «Gramsci» aveva Nello Quartieri, «Italiano», come capo e Antonio Cabrelli, soprannominato «Salvatore», come responsabile politico. Il distaccamento «Frigau» era sotto la guida di Giorgio Giuffredi, «Giorgio», affiancato da Antonio Pocaterra, «Antonio», come responsabile politico. Il distaccamento «Toma» era comandato da Jolando Simonazzi, detto «Eros».Figure Rilevanti e il Loro Ruolo
Accanto ai capi e ai responsabili dei distaccamenti, altre persone hanno avuto un ruolo importante. Tra queste c’è Laura Seghettini, «Laura», che ha combattuto nel «Picelli» ed era la compagna di «Facio». In seguito, è diventata vice-comandante di un’altra brigata garibaldina a Parma, la XII Brigata. Altri partigiani che si sono distinti nel battaglione sono Enrico Gatti, Vittorio Marini, Antonio Pocaterra, Emilio Pellistri e Jolando Simonazzi. Alcuni di loro, come Giorgio Giuffredi, hanno partecipato a momenti importanti come la battaglia di Lago Santo, combattendo al fianco di «Facio». Altri ancora hanno avuto un ruolo nel processo contro «Facio», offrendo la loro testimonianza. Antonio Cabrelli, «Salvatore», ha fatto parte del tribunale di guerra che ha giudicato «Facio». Con lui nel tribunale c’erano Renato Jacopini, detto «Marcello», e altri partigiani come Nello e Luciano Scotti, Primo Battistini, chiamato «Tullio», e Giovanni Albertini, detto «Luciano».Contesto e Fonti
Il battaglione ha operato all’interno di un quadro più ampio di organizzazioni della Resistenza, come il Comitato di Liberazione Nazionale (CLN) e il Corpo Volontari della Libertà (CVL). Era anche legato a partiti politici attivi nella lotta di liberazione, tra cui il Partito Comunista Italiano (Pci) e il Partito d’Azione (Pd’A). Le informazioni su come era organizzato il battaglione, sulle persone che ne facevano parte e sul contesto in cui agiva provengono da diverse fonti storiche. Tra queste ci sono archivi importanti come l’Archivio Centrale dello Stato (Acs), il Casellario Politico Centrale (Cpc) e gli archivi degli istituti che studiano la storia della Resistenza.Si menziona un processo a un comandante, ma perché non si spiega il motivo?
Il capitolo elenca i partecipanti al tribunale che giudicò “Facio”, ma non fornisce alcuna informazione sul perché questo processo sia avvenuto, quali fossero le accuse, come si sia svolto e quale sia stato l’esito. L’omissione di un evento così significativo, che coinvolge un comandante del battaglione, rappresenta una lacuna fondamentale nella comprensione delle dinamiche interne e delle eventuali tensioni o conflitti che caratterizzarono l’unità o il contesto più ampio della Resistenza. Per approfondire questo aspetto cruciale, è indispensabile consultare studi specifici sulla storia della Resistenza, in particolare quelli che affrontano le questioni della giustizia partigiana e dei rapporti interni alle formazioni. Opere di autori come Claudio Pavone possono fornire un quadro generale, ma per i dettagli specifici è necessario ricercare negli archivi storici menzionati nel capitolo, che potrebbero conservare documenti relativi al processo.2. Ombre e Percorsi Individuali nella Resistenza
La Resistenza ha avuto aspetti morali complessi e momenti difficili. Un esempio è la condanna a morte di un partigiano chiamato “Patata” per aver preso dei viveri senza permesso. Questo episodio fa capire che all’interno del movimento c’erano regole severe che non venivano perdonate. Col tempo, il modo in cui gli storici hanno raccontato la Resistenza è cambiato. All’inizio si tendeva a vederla in modo semplice, come una lotta tra bene e male. Poi, anche a causa delle critiche che hanno messo in luce le violenze commesse dai partigiani, si è iniziato a riconoscere le diverse sfumature e le contraddizioni che c’erano.Guardare alle vite delle singole persone aiuta a capire meglio la Resistenza, mostrando percorsi che non erano sempre facili o prevedibili. Due esempi sono le storie di Dante Castellucci, detto “Facio”, e Antonio Cabrelli, detto “Salvatore”. Entrambi sono andati via dall’Italia e si sono trasferiti in Francia negli anni Venti, ma per motivi diversi. La famiglia di Castellucci ha lasciato la Calabria per una lite personale del padre, mentre Cabrelli è emigrato dalla Lunigiana, una zona povera, a causa di problemi di carattere e per cercare lavoro.La storia di Antonio Cabrelli, “Salvatore”
Arrivato a Montreuil, Cabrelli si è avvicinato ai gruppi sindacali e a chi era contro il fascismo. È diventato un attivista comunista conosciuto come “Salvatore”. La sua attività politica lo ha portato in Tunisia nel 1939, dove è diventato un capo dell’Unione Popolare Italiana (Upi). Qui, le autorità francesi lo hanno accusato di essere una spia fascista, dicendo di avere delle foto come prova. Questa accusa non è mai stata chiarita del tutto, né dalla polizia fascista né dal suo stesso partito. Ha creato confusione tra gli antifascisti in Tunisia e ha reso difficile la posizione di Cabrelli.Storie individuali come queste mostrano quanto sia stata complessa la lotta contro il fascismo e la Resistenza. I percorsi personali, con le loro incertezze e difficoltà, si legano ai grandi eventi della storia e rivelano la Resistenza in tutta la sua realtà, andando oltre le visioni troppo semplici.Come si può accettare che una figura cruciale come ‘Salvatore’ resti avvolta nel mistero di un’accusa non chiarita?
Il capitolo evidenzia l’accusa di spionaggio contro Antonio Cabrelli come un punto cruciale per comprendere la complessità della sua storia individuale e le difficoltà interne all’antifascismo. Tuttavia, lasciare questa accusa non chiarita, pur sottolineandone l’impatto, crea una lacuna significativa. Per colmare questa mancanza e comprendere appieno il contesto, sarebbe necessario approfondire la storia dei servizi di sicurezza fascisti e antifascisti all’estero, le dinamiche interne ai gruppi di esuli politici e le fonti documentarie disponibili su figure come Cabrelli. Approfondire gli studi di storici dell’antifascismo e dell’emigrazione politica può fornire gli strumenti necessari per valutare la credibilità di tali accuse e le loro conseguenze reali.3. Percorsi divergenti nella lotta antifascista
Si incontrano le storie di due antifascisti italiani che si trasferirono in Francia: Antonio Cabrelli, chiamato «Salvatore», e Dante Castellucci, chiamato «Facio». Nonostante entrambi fossero vicini al movimento comunista, le loro vite e le loro azioni nella lotta contro il fascismo presero direzioni molto diverse e segnate da difficoltà uniche per ciascuno.La storia di Salvatore
«Salvatore» era un militante che partecipava alla lotta da più tempo. Fu espulso dal Partito Comunista Italiano (Pcd’I) mentre si trovava in Francia. Questa decisione arrivò dopo accuse di aver collaborato con le autorità fasciste in Tunisia e per problemi legati al suo comportamento e alla sua moralità. Il partito fece un’indagine interna per verificare questi sospetti, esaminando anche la questione di una donna che lui presentava come sua moglie. Quando fu internato nel campo francese di Le Vernet, «Salvatore» mostrò di non essere d’accordo con la linea del partito, criticandola apertamente. Si avvicinò così a idee trotskiste, il che portò alla sua espulsione definitiva dal partito. Tornato in Italia nel 1940, fu arrestato. Per evitare guai peggiori, firmò una dichiarazione in cui diceva di essere fedele al regime fascista. Nonostante questo, continuò una certa attività antifascista durante il periodo di confino. Le autorità e anche i suoi vecchi compagni rimasero sempre sospettosi nei suoi confronti.Il percorso di Facio
«Facio» era più giovane di «Salvatore» e crebbe in Francia. Tuttavia, tornò in Italia con la sua famiglia poco prima che scoppiasse la guerra. Fu chiamato a fare il militare nell’esercito italiano e dovette combattere, vivendo un forte disagio interiore per questa esperienza. L’esperienza militare, specialmente la campagna di Russia, fu importante per la sua crescita politica. In Italia, entrò in contatto con la famiglia Sarzi e si unì ai fratelli Cervi in Emilia. Questo era un gruppo di partigiani che agiva in modo autonomo, senza aspettare ordini dal partito, e questo creò tensioni con i capi comunisti della zona. «Facio» partecipò a scontri armati e dimostrò di avere idee chiare, per esempio quando impedì che un giovane fascista venisse picchiato a morte. Dopo che i Cervi furono arrestati e uccisi, «Facio» riuscì a scappare. Una parte del partito iniziò a sospettare che fosse una spia. Fu mandato in Lunigiana e tenuto sotto stretto controllo. Lì iniziò la sua vera esperienza come partigiano che combatteva sul campo.Le differenze e i sospetti
Nonostante avessero in comune l’esperienza dell’emigrazione e un legame con il movimento comunista, le vite di «Salvatore» e «Facio» presero strade molto diverse e complesse. Si differenziano nettamente per l’età, per il tipo di esperienze formative vissute prima e durante la guerra, per le motivazioni profonde che li spingevano all’azione e, forse in modo più significativo, per il modo in cui gestirono le difficoltà e i continui sospetti che sia le autorità fasciste sia, a volte, i loro stessi compagni nutrivano nei loro confronti. Mentre uno affrontò l’espulsione dal partito e una dichiarazione di fedeltà al regime per sopravvivere, l’altro si ritrovò a lottare sul campo dopo aver evaso la cattura. Queste esperienze divergenti mostrano la grande varietà e la complessità dei percorsi individuali all’interno della vasta e difficile lotta antifascista.Il “processo interno partigiano” che portò alla morte di “Facio” fu un atto di giustizia o l’esito di una lotta di potere interna camuffata da giudizio?
Il capitolo descrive la tragica fine di “Facio” a seguito di un “processo interno partigiano”, ma i dettagli forniti suggeriscono una trama di intrighi e ambizioni che solleva dubbi sulla legittimità di tale giudizio. Per comprendere appieno la complessità di questi eventi e la natura dei conflitti interni alla Resistenza, è fondamentale approfondire la storia del movimento partigiano, le sue dinamiche politiche interne e le forme di giustizia sommaria praticate in quel contesto. Autori come Claudio Pavone o Santo Peli offrono prospettive essenziali su questi temi.6. Documenti, ambizioni e verità contrastanti nella Resistenza
La morte del partigiano Dante Castellucci, conosciuto come «Facio», ucciso da altri partigiani, fa sorgere molti dubbi sulla storia della Resistenza e sui rapporti tra le persone che ne facevano parte. I documenti che parlano di questo caso, come i resoconti dei processi o le testimonianze, non sono sempre chiari. Spesso sono copie o sono stati scritti molto tempo dopo i fatti. A volte, sembrano scritti per giustificare certe azioni o per raccontare le cose in modo diverso da come sono andate. Per questo motivo, si è pensato che il Partito Comunista Italiano (PCI) o le associazioni dei partigiani avessero cercato di nascondere la verità.Le diverse versioni dei fatti
Guardando attentamente i documenti e le discussioni che ci sono state dopo la guerra, si capisce che non c’è stata una sola strategia per nascondere i fatti. C’erano diverse versioni di quello che era successo, raccontate da persone diverse. L’affidabilità dei documenti cambia molto: alcuni sembrano veri e scritti subito, come le lettere tra «Facio» e Antonio Cabrelli, chiamato «Salvatore». Altri, invece, come le parole che si dice abbia detto «Facio» durante il processo, non sono chiare e probabilmente sono state modificate o scritte da altri.Le vere cause della morte: territorio e ambizione
La morte di «Facio» non è successa solo per una lotta di potere politico tra partigiani. Le ragioni principali sono due: un conflitto per il controllo del territorio tra il battaglione «Picelli», che era legato a Parma, e il comando partigiano della Spezia che voleva unirlo al suo gruppo. Ma soprattutto, la morte è legata all’ambizione personale di Antonio Cabrelli. Cabrelli era una figura complicata, con un passato difficile e lontano dal PCI (che lo aveva già allontanato). Ha usato la situazione per eliminare «Facio», che vedeva come un ostacolo per i suoi piani. L’accusa di aver rubato del materiale ricevuto dagli aerei alleati è stata usata solo come scusa per fare un processo molto veloce e senza garanzie.Il ruolo del PCI e la medaglia
Il PCI, anche se non ha subito raccontato pubblicamente la verità, non ha nascosto in modo organizzato le azioni di Cabrelli. Anzi, il partito ha continuato a fare indagini su di lui e non lo ha più fatto rientrare tra i suoi membri. La storia della medaglia d’argento data a «Facio» nel 1963, con un motivo falso che diceva fosse morto combattendo contro i nazifascisti, è un fatto diverso dai problemi interni tra i partigiani. Questa medaglia è stata una falsificazione fatta dalle istituzioni. Il caso di «Facio» dimostra che nella Resistenza c’erano ricordi diversi dei fatti, violenza interna e le ambizioni personali di alcuni.Come si concilia l’affermazione che il PCI non abbia “nascosto in modo organizzato” la verità con l’evidenza di documenti manipolati, versioni contrastanti e una successiva “falsificazione istituzionale” della causa di morte di “Facio”?
Il capitolo, pur illuminando le cause profonde della morte di “Facio” al di là della mera lotta politica, solleva interrogativi sulla gestione della memoria e della verità storica da parte delle forze in campo. La distinzione tra un “nascondere organizzato” e la presenza diffusa di documenti inattendibili e versioni di comodo merita un approfondimento critico. Per meglio comprendere le dinamiche di costruzione del racconto sulla Resistenza e le sue contraddizioni interne, è essenziale esplorare la storiografia che ha analizzato le “zone grigie” e i conflitti non edulcorati del periodo. Approfondire studi sulla memorialistica della Resistenza e sul ruolo dei partiti nel plasmare la narrazione post-bellica può fornire il contesto necessario. Autori come Claudio Pavone, Santo Peli o Gianni Oliva hanno offerto contributi fondamentali in questa direzione.Abbiamo riassunto il possibile
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