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… è un libro che ti sbatte in faccia un sacso di domande sulla cultura e su chi la fa. Cesare Cases guarda all’Italia e non solo, smontando certi modi di pensare, tipo il Neopositivismo italiano che si crede l’unica via scientifica, contro il Materialismo dialettico che invece cerca una Concezione del mondo più completa. Non si ferma alla teoria, ma critica proprio gli Intellettuali italiani, da quelli opportunisti come Armando Plebe a chi si rifugia nel “piacere del testo” o cerca padri ideali. Parla di come l’Estetica marxista viene liquidata, di figure come Georg Lukács e Antonio Gramsci, e di come la Critica accademica a volte si perda in tecnicismi, allontanandosi dall’esperienza vera della lettura. Cases analizza anche personaggi complessi come Carl Schmitt o Walter Benjamin, e le polemiche sulla cultura degli Anni ’50 e ’60 Italia, o eventi assurdi come gli arresti per Terrorismo anni ’70 Italia (quelli di Torino), mostrando come spesso si preferisca la superstizione o la semplificazione alla Ragione. È una raccolta di Satire e polemiche che usa un linguaggio affilato per denunciare la superficialità, il “pensiero debole” e la fuga dalla realtà in questa “Civiltà delle immagini”, spingendoti a cercare una visione più solida e meno comoda.Riassunto Breve
La metodologia del neopositivismo, anche nella sua versione marxista, viene criticata perché si concentra solo sulle tecniche e rifiuta una visione complessiva della realtà e della storia. Questo approccio non riesce ad affrontare problemi complessi e pretende di essere l’unica via scientifica, usando l’intimidazione contro chi ha una concezione del mondo, come il materialismo dialettico, equiparandolo a dogmatismo. L’esperienza mostra invece che la metodologia non impedisce il dogmatismo e che una visione del mondo non implica fanatismo. La scienza e l’arte necessitano di una concezione del mondo che fornisca un fondamento oggettivo e un orientamento, altrimenti si riducono a pura tecnica o relativismo, incapaci di resistere al potere che semplifica i problemi a un “conto della serva”. Alcuni intellettuali evitano il confronto con la realtà sociale e politica, rifugiandosi nell’opportunismo, nel distacco o nella ricerca di figure autoritarie. Quando la ragione non basta a spiegare la realtà, si ricorre a schemi non razionali come la superstizione o l’astrologia. Anche le polemiche culturali possono diventare scandali fabbricati, guidati da logiche di mercato. Le critiche al passato, come quelle sui “tagli” nei testi, spesso nascono da insoddisfazioni presenti e complessi psicologici, non da analisi oggettive. Nelle università si diffondono metodi tecnici che scompongono il testo ma trascurano l’esperienza e il contesto, aggravando la mancanza di interesse per la letteratura. Questi approcci logotecnocratici sostituiscono l’esperienza con l’applicazione di metodi. La difficoltà nel comprendere fenomeni complessi porta a semplificazioni eccessive e distorsioni, come mostrato da eventi satirici. La ricerca di certezze e l’incapacità di affrontare la complessità si manifestano in vari ambiti, dalla giustificazione del potere alla ricerca di figure paterne infallibili. Anche l’interpretazione di figure controverse come Carl Schmitt mostra la tendenza a minimizzare aspetti scomodi e a cercare alibi per le scelte compiute.Riassunto Lungo
1. La metodologia contro la totalità
Il neopositivismo in Italia ha preso una forma particolare, influenzata dal pensiero marxista, come si vede nelle idee di Giulio Preti. Questo modo di pensare è apprezzato perché è molto acuto e cerca di non cadere in discorsi troppo astratti. Riesce a usare parole come “realtà” e “storia”, aprendo così un confronto con il materialismo dialettico.Le tattiche del neopositivismo
Questo confronto, però, è complicato dal modo in cui i neopositivisti si pongono: vogliono avere il monopolio della verità. Usano l’intimidazione, dicendo che il marxismo non è altro che un metodo e che avere una visione completa del mondo porta allo stalinismo o al fanatismo religioso. Ma la realtà dimostra che usare solo un metodo non protegge dallo stalinismo, e avere una visione del mondo non significa per forza essere fanatici. La vera rigidità nasce spesso da come la politica usa certe idee in momenti specifici. Un altro modo per intimidire è presentare il neopositivismo come l’unica interpretazione “naturale” e giusta della scienza moderna. Questa pretesa di essere “naturali” serve a mantenere posizioni di potere, come hanno spiegato Horkheimer e Adorno. Mentre il marxismo classico si vede come una teoria scientifica tra le altre, il neopositivismo si impone come l’unica strada scientifica possibile, etichettando chi la pensa diversamente come non scientifico o chiuso nelle proprie idee.L’estetica e la necessità della totalità
La critica neopositivista colpisce anche l’estetica, vista come una materia ormai superata. Per loro, conta solo analizzare il linguaggio dell’arte con un metodo preciso. Pensatori come Lukács e Gramsci vengono giudicati in base a quanto sembrano “moderni” o “provinciali”. Il lavoro di Lukács, ad esempio, viene liquidato come “vecchio”, legato a un’idea di “totalità” che considerano superata e incapace di andare oltre lo stalinismo. Questa critica, però, non esamina a fondo il pensiero di Lukács, ma si basa su idee metodologiche esterne e su un legame forzato tra materialismo dialettico e stalinismo. Il vero nodo dell’estetica, cioè come unire lo studio storico e sociale di un’opera con il giudizio sul suo valore artistico, chiede una visione d’insieme che il neopositivismo non dà. Rifiutano infatti l’idea che la realtà sia complessa e in continuo movimento. La risposta a questo problema si trova invece in Marx, che spiega perché l’arte greca è ancora attuale. Non lo fa con un metodo, ma con una visione completa di come si sviluppano la storia, la società e la mente umana. Il marxismo, mantenendo l’idea hegeliana di “totalità”, spiega come qualcosa che appartiene a un’epoca passata possa durare nel tempo. Anche Gramsci, sebbene si sia occupato più dell’organizzazione della cultura e del rapporto tra popolo e nazione che della teoria estetica pura, non era un neopositivista. Riconosceva l’importanza di avere una visione completa del mondo. I neopositivisti usano i limiti del suo approccio all’arte per farlo sembrare un anticipatore della loro metodologia, ignorando la sua grande sensibilità e la sua critica morale.I limiti della metodologia
Cercando un metodo “scientifico” per l’estetica, i neopositivisti guardano a Della Volpe e alle teorie nate nei paesi anglosassoni, considerate l’unica strada “moderna”. Spesso, però, queste idee non hanno una base teorica forte e finiscono per essere solo un’analisi formale o un insieme di spunti diversi. Non riescono a risolvere la questione centrale: come l’opera d’arte sia autonoma e allo stesso tempo legata al suo contesto storico e sociale. La metodologia neopositivista, pur presentandosi come superiore, non riesce ad affrontare questioni complesse che richiedono una visione più completa della realtà.Ma siamo proprio sicuri che il rifiuto della “totalità” da parte neopositivista sia la causa principale della sua presunta incapacità di affrontare questioni complesse come l’estetica?
Il capitolo lega strettamente la critica al neopositivismo alla sua rinuncia al concetto di “totalità”, suggerendo che solo con questa visione d’insieme si possa cogliere la complessità della realtà e dell’arte. Tuttavia, è legittimo chiedersi se esistano altri approcci filosofici o metodologici, diversi dalla “totalità” di matrice hegeliano-marxista, capaci ugualmente di analizzare fenomeni complessi senza cadere nella superficialità criticata. Per esplorare questa questione, sarebbe utile approfondire le diverse scuole di pensiero nella filosofia della scienza post-positivista e le teorie estetiche contemporanee che adottano prospettive alternative, magari leggendo autori che hanno criticato il neopositivismo da punti di vista diversi.2. Il Conto della Serva e la Necessità di una Visione del Mondo
Affidarsi solo ai metodi scientifici e sociologici, come suggeriscono alcune correnti di pensiero, non basta. Queste tecniche sono strumenti utili, specialmente dove mancano conoscenze di base. Tuttavia, non possono sostituire una visione completa del mondo. Questa visione è fondamentale perché offre una base solida e un orientamento chiaro per capire la realtà e agire di conseguenza. Senza di essa, le tecniche restano strumenti senza scopo.Tecnica e visione nella scienza e nell’arte
Anche l’arte dimostra questo concetto. La teoria del “trionfo del realismo”, per esempio quella di Lukács, spiega che creare arte non è solo una questione di tecnica. L’arte è profondamente legata a come l’artista vede il mondo. Allo stesso modo, la scienza ha bisogno di credere in una realtà oggettiva e conoscibile per avere un vero scopo. Non può limitarsi a essere solo la “coscienza” delle tecniche che creano una “seconda natura” artificiale e senza un legame forte con la realtà.Senza una visione: relativismo e “conto della serva”
Quando manca una visione del mondo solida, si cade nel relativismo. Questo rende le persone e la cultura indifese di fronte ai poteri. Ad esempio, il neocapitalismo tende a ridurre problemi complessi a un semplice “conto della serva”. In questo modo, nega l’esistenza di concetti fondamentali come l’alienazione, la classe lavoratrice o il ruolo dello Stato.Dare forma alla cultura e all’azione
La cultura, soprattutto in certi contesti, tende a essere troppo “aperta”. Evita di prendere posizioni precise, quelle che potremmo chiamare “chiusure” parziali, che sono invece necessarie per dare forma e direzione al pensiero e all’azione. Avere una visione del mondo, anche se non completa, offre una base su cui organizzare la cultura e affrontare i problemi concreti. Questo è diverso dal basarsi solo sulla tecnica o da un’apertura fine a sé stessa che non porta a risultati reali. Cercare una verità oggettiva e una visione d’insieme è un compito difficile. Tuttavia, è essenziale per dare un senso alla vita e non cadere nella banalità o nel conformismo.Se la “visione del mondo” è così indispensabile, come si distingue una visione solida e utile da una fuorviante o dogmatica?
Il capitolo sottolinea giustamente la necessità di una visione d’insieme, ma non chiarisce i criteri per valutarla. Non tutte le visioni sono uguali, e alcune possono essere tanto limitanti quanto la mancanza di visione stessa. Per approfondire, è utile esplorare la filosofia, in particolare l’epistemologia e l’etica, per comprendere come si costruiscono e si giustificano i sistemi di pensiero. Autori come Kant o Hegel hanno proposto visioni complesse, mentre pensatori più recenti hanno analizzato la natura delle ideologie e dei quadri concettuali che usiamo per interpretare la realtà.3. Intellettuali e la Fuga dalla Realtà
Armando Plebe è un esempio di come la cultura possa essere usata in modo scorretto. La sua carriera, segnata dal passaggio al fascismo, dimostra una mancanza di serietà e una tendenza a cambiare e distorcere idee filosofiche e linguistiche per i propri scopi politici. Questo modo di fare nasconde una profonda ignoranza dietro l’uso di parole difficili, un comportamento che si può definire come disonestà intellettuale. La sua “filosofia della reazione” serve a dire che i problemi reali sono irrazionali, giustificando così decisioni prese in modo arbitrario. Questo approccio piace a chi, come la “maggioranza silenziosa”, trova più semplice evitare scelte politiche complicate e preferisce non affrontare la realtà.La Saggezza che Evita il Confronto
Esiste una categoria di intellettuali chiamati Saggi, che affermano di conoscere una “Verità” superiore alle normali opinioni. Questa posizione li porta a non accettare critiche e a considerare certi autori quasi sacri. Anche se dicono di essere diversi dal mondo del mercato, finiscono per comportarsi in modo simile all’industria culturale, scoraggiando le persone a pensare con la propria testa. Le scelte politiche discutibili di alcuni di questi intellettuali, come l’adesione di Gottfried Benn al nazismo, suggeriscono un legame con le loro origini sociali e una difficoltà a capire come funziona davvero la società.Il Piacere del Testo come Rifugio
Anche l’importanza data da figure come Roland Barthes al “piacere del testo” può essere vista come un modo per gli intellettuali di isolarsi. È un rifugio nel mondo delle parole e delle idee quando altre parti della vita sembrano vuote. Queste diverse manifestazioni, dall’uso opportunistico della cultura alla saggezza distaccata e al piacere fine a sé stesso, hanno in comune l’evitare di confrontarsi con i problemi fondamentali della società e della politica, come il capitalismo e le disuguaglianze sociali. In questi casi, difendere la “cultura” diventa spesso una difesa della propria posizione o del proprio metodo, piuttosto che un vero impegno verso la conoscenza o il miglioramento della società.Affermare che il problema non sia il ‘pensiero debole’ ma la ‘grave situazione del mondo’ non rischia forse di eludere il dibattito filosofico, riducendo un intero filone di pensiero a una mera inadeguatezza pratica?
Il capitolo liquida rapidamente il “pensiero debole” come inadeguato di fronte alla realtà. Tuttavia, questa corrente filosofica ha radici e intenti specifici che vanno oltre la mera “forza” o “debolezza” nel senso comune. Per comprendere appieno la critica mossa dal capitolo e valutarne la fondatezza, è essenziale approfondire le origini e gli sviluppi del “pensiero debole” nel contesto della filosofia italiana post-heideggeriana. Si consiglia di esplorare il lavoro di autori come Gianni Vattimo e Pier Aldo Rovatti, e di studiare il dibattito filosofico italiano degli anni ’80 e ’90.10. L’ombra del genio e le scuse del destino
Carl Schmitt e il suo passato
Carl Schmitt scrisse il libro Ex Captivitate Salus tra il 1945 e il 1947, mentre era prigioniero degli americani. Il libro raccoglie diverse riflessioni nate in quel periodo: conversazioni avute, osservazioni su altri pensatori, saggi dedicati ad autori come Tocqueville e divagazioni su poeti, ma anche pensieri sulla saggezza e la salvezza che si possono trovare stando in prigione. Nonostante si riconosca il suo grande talento intellettuale, c’è una tendenza a non affrontare in modo critico la sua adesione al nazismo. Alcuni interpreti sembrano voler giustificare o minimizzare questo aspetto della sua vita. Gli scritti stessi di Schmitt mostrano un atteggiamento di superiorità e disprezzo verso gli altri, che usa spesso come pretesto per giustificare sé stesso. Alcune letture arrivano a paragonarlo a personaggi letterari per presentarlo quasi come una vittima, ingannata dal vero capo del nazionalsocialismo. La realtà storica, però, è diversa: Schmitt non si allontanò da Hitler per una questione di superiorità intellettuale, ma furono i nazisti stessi a metterlo da parte. Diffidavano di lui per vari motivi, compresa la sua intelligenza, e lui cercò attivamente di mantenere la sua posizione. Le difficoltà personali che ha vissuto, descritte da lui come “scavezzate del destino”, sembrano usate come una scusa per le scelte che aveva fatto.La riflessione sulla morte
Un’altra riflessione riguarda il tema della morte. La morte non viene vista come un evento naturale o facilmente comprensibile, ma piuttosto come un limite invalicabile. Questo limite ha il potere di porre fine alla vanità e all’esibizionismo umani. Mentre in futuro la scienza potrebbe puntare a raggiungere l’immortalità, oggi si cerca una forma di immortalità più rapida e accessibile attraverso la tecnologia. Nonostante queste aspirazioni, la morte mantiene un ruolo importante: quello di mettere fine allo squallore e alle chiacchiere inutili. Questo suggerisce che forse l’umanità dovrebbe concentrarsi prima sull’affrontare i bisogni fondamentali e le paure, invece di cercare di rendere eterna la situazione presente.Davvero le “scavezzate del destino” bastano a giustificare l’ombra del genio?
Il capitolo solleva un punto cruciale sulla difficoltà di confrontarsi con la figura di Carl Schmitt, in particolare riguardo al suo coinvolgimento nel nazismo. La tendenza a minimizzare questo aspetto, o a presentarlo come una vittima delle circostanze o della sua stessa genialità, viene qui messa in discussione, suggerendo che le sue stesse parole siano usate come scuse. Per comprendere appieno questa controversia e formarsi un’opinione informata, è indispensabile approfondire la biografia di Carl Schmitt, leggere direttamente i suoi scritti (inclusi quelli del periodo nazista e post-bellico), e studiare la storia del nazionalsocialismo e il ruolo degli intellettuali in quel contesto. Utile è anche confrontarsi con le diverse interpretazioni critiche del pensiero di Schmitt.Abbiamo riassunto il possibile
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