1. Il Volto del Potere ad Atene: Pericle e la Democrazia Reale
Pericle è la figura dominante nella politica ateniese nel V secolo a.C. Tucidide lo descrive come il “primo cittadino”, un capo forte per prestigio e giudizio, capace di guidare il popolo senza esserne sottomesso. Secondo Tucidide, Atene era una democrazia solo di nome, governata di fatto dal primo cittadino. Platone, invece, critica Pericle, sostenendo che abbia corrotto il popolo assecondando l’assemblea e introducendo il pagamento per le cariche pubbliche, un aspetto fondamentale del sistema democratico ateniese. Il potere di Pericle si basa proprio sulla sua capacità di ottenere e mantenere il consenso popolare. Questo avviene attraverso una grande politica di lavori pubblici, come la costruzione del Partenone, che dà lavoro a molti cittadini e distribuisce salari. Un altro elemento essenziale è l’espansione aggressiva dell’impero. Il controllo di altre città porta tributi e risorse che finanziano il sistema e soddisfano i cittadini.
Una Riforma Cruciale
Un momento decisivo è la riforma del 462 a.C., voluta da Efialte e Pericle. Questa riforma toglie poteri giudiziari all’Areopago, un organo controllato dalle famiglie ricche, e li trasferisce ai tribunali popolari. Questi tribunali sono formati da cittadini comuni scelti a sorte, inclusi marinai e nullatenenti (teti), il cui peso nella società è cresciuto grazie alla potenza della flotta ateniese. Questo cambiamento sposta il centro delle decisioni verso un gruppo sociale diverso e meno privilegiato, dando voce e potere a fasce della popolazione prima marginali.
Strategia e Durata del Potere
Pericle riesce a farsi rieleggere come stratego, la carica più alta, per trent’anni di fila. Questa rielezione continua gli permette di non dover rendere conto del suo operato alla fine di ogni mandato. La sua strategia militare principale, ad esempio chiudersi dentro le mura durante la guerra del Peloponneso, punta sulla forza della flotta. Sebbene Tucidide dica che Pericle non volesse allargare l’impero con la guerra, la sua politica include azioni militari, come l’attacco all’Egitto, per ottenere risorse e mantenere il sostegno popolare. In Atene, il potere, anche in un sistema che si definisce democratico, è spesso esercitato da gruppi ristretti che riescono a ottenere l’approvazione e il consenso dei cittadini.
Ma se il capitolo descrive riforme cruciali che diedero potere ai cittadini comuni e meccanismi di consenso popolare, come si può sostenere che Atene fosse una “democrazia solo di nome” sotto Pericle?
Il capitolo presenta la visione di Tucidide su Atene come una democrazia solo formale, governata di fatto da Pericle. Tuttavia, descrive anche riforme significative, come quella del 462 a.C., che trasferirono poteri giudiziari a tribunali popolari composti anche da classi meno abbienti, e sottolinea come il potere di Pericle si basasse proprio sul consenso ottenuto tramite politiche attive come i lavori pubblici e l’espansione imperiale. Questa apparente contraddizione solleva interrogativi sulla reale natura del sistema politico ateniese e sulla validità delle diverse interpretazioni, già presenti tra gli antichi come Tucidide e Platone. Per comprendere meglio questa complessità, è fondamentale approfondire lo studio delle istituzioni democratiche ateniesi, il ruolo delle diverse classi sociali e il dibattito storiografico sulla figura di Pericle. Autori come Moses Finley o Luciano Canfora offrono prospettive utili per navigare queste acque.2. Augusto: La Forma del Potere e la Sua Eredità
La natura del potere di Augusto si presenta complessa e si comprende studiando documenti come le Res Gestae. Augusto non si definiva “imperatore” nel senso moderno che diamo oggi a questa parola. Il titolo imperator era in origine un riconoscimento dato dai soldati per vittorie militari. Augusto lo adottò come parte del suo nome personale, ma questo non indicava un ruolo di sovrano ereditario o assoluto. Nel 27 a.C., dichiarò di aver restituito la repubblica al senato e al popolo romano. Mantenendo un’autorità (auctoritas) superiore rispetto ad altri, non possedeva una potestas (potere legale) maggiore di quella degli altri magistrati eletti. Questa posizione di leadership, basata su un insieme di poteri delegati e grande prestigio, non veniva definita da Augusto come “impero” o “principato”, ma come respublica, la cosa pubblica. La sua guida si fondava su questa influenza e su poteri specifici, senza stabilire una chiara regola per la successione.L’uso della figura di Augusto nell’epoca fascista
Molti secoli dopo, nel 1937, per celebrare il bimillenario della nascita di Augusto, il regime fascista organizzò a Roma la Mostra Augustea della Romanità. Questa esposizione fu pensata per presentare la cultura romana antica e per associare i valori di quel tempo a quelli che il fascismo considerava propri. Roma stessa divenne un punto focale per ammirare i monumenti e la grandezza romana, che veniva collegata direttamente alla grandezza che il fascismo voleva rappresentare. L’uso di simboli antichi divenne centrale nella propaganda del regime, come il trasporto di obelischi o l’utilizzo di monumenti iconici come il Colosseo e l’Arco di Costantino per ospitare celebrazioni e parate. La statua di Augusto di Prima Porta, in particolare, divenne un’immagine potentissima della propaganda fascista, diffusa ampiamente per creare un legame visivo e ideale tra Mussolini e la figura di Augusto. Si voleva così enfatizzare l’idea di forza, autorità e capacità militare, anche se la fama militare di Augusto nella storia non era paragonabile a quella di figure come Cesare o Scipione.Ma davvero il fascismo ha capito qualcosa di Augusto, o ha solo usato un simbolo svuotato di significato?
Il capitolo descrive con precisione la complessa architettura del potere augusteo, basata su un delicato equilibrio tra autorità e poteri specifici, e non su una semplice monarchia assoluta. Tuttavia, quando si passa all’uso che ne fece il fascismo, emerge un’immagine molto più diretta e semplificata, focalizzata sulla forza e l’autorità. Questo solleva il dubbio se la propaganda fascista abbia realmente compreso o volutamente ignorato le sfumature del principato, preferendo un’icona potente ma forse distorta. Per approfondire questo scarto, sarebbe utile studiare più a fondo la storia del periodo augusteo, analizzando non solo le fonti ufficiali come le Res Gestae ma anche l’interpretazione storiografica moderna (si pensi agli studi di R. Syme). Parallelamente, è fondamentale esaminare le tecniche e gli obiettivi della propaganda fascista (per cui si possono consultare autori come E. Gentile), per capire come e perché un regime totalitario manipola la storia e i suoi simboli per legittimarsi.3. Santi, Sultani e Storie Riscritte
La figura di Francesco d’Assisi e la sua evoluzione
La figura di Francesco d’Assisi, inizialmente legata a un’idea forte di povertà e lontananza dal potere, cambiò nel tempo. Le prime storie sulla sua vita, come quella raccontata da Tommaso da Celano, lo descrivono in modo più semplice e umano. Con la crescita e la trasformazione dell’Ordine francescano, nacque una versione ufficiale della sua storia, soprattutto nella Leggenda Maggiore scritta da Bonaventura da Bagnoregio. Questa nuova narrazione, visibile anche negli affreschi della Basilica Superiore di Assisi, modificò alcuni episodi importanti della sua vita.Un esempio è la predica agli uccelli: in origine, questo gesto simboleggiava il suo rivolgersi ai poveri e a chi, pur avendo potere nella Chiesa, aveva il cuore indurito. Nella nuova versione, diventa un semplice miracolo rivolto a piccoli animali innocui. Anche il suo rapporto con i musulmani, che prima era basato sul dialogo e sul dare il buon esempio, venne raccontato come una sfida in cui umiliava l’altro. L’attenzione si spostò sulla sua santità, vista come qualcosa di miracoloso e unico, impossibile da imitare. Le Stimmate furono molto enfatizzate per mostrare questa unicità e distinguere Francesco. In questo modo, il suo modello di vita, fatto di povertà estrema, diventava difficile da seguire per l’Ordine, che nel frattempo era diventato più legato al clero e allo studio. Per questo motivo, figure come Antonio da Padova divennero più importanti e preferite.L’Impero Ottomano visto dall’Europa
Nello stesso periodo, l’Impero Ottomano, guidato da Solimano il Magnifico, era visto in Occidente con sentimenti contrastanti: da una parte paura per la sua forza militare, dall’altra un certo fascino per alcuni aspetti del suo sistema di governo. Nonostante fosse percepito come una minaccia, alcuni elementi della società ottomana colpivano gli osservatori europei.La giustizia ottomana, ad esempio, era nota per essere veloce ed efficace, un forte contrasto rispetto alla lentezza dei tribunali nei paesi cristiani. La società ottomana si basava sulla capacità delle persone, non sulla nobiltà di nascita. Questo significava che anche chi veniva da famiglie umili poteva fare carriera e arrivare a posizioni importanti nell’esercito o nell’amministrazione. Un sistema come il devşirme, che reclutava ragazzi cristiani per formarli e farli salire ai vertici, ne è un esempio. L’impero mostrava anche una certa apertura verso le diverse religioni, permettendo a cristiani ed ebrei di praticare la loro fede in pubblico, cosa che non accadeva in Occidente, dove spesso si costringeva alla conversione o si espellevano le minoranze religiose. Nonostante questi aspetti, l’impero ottomano aveva anche dei limiti, come la mancanza di tecnologie importanti per l’epoca (ad esempio, non usavano la stampa) e un sistema politico dove la volontà del sultano era legge assoluta. Questo potere illimitato poteva portare a decisioni costose e a pratiche molto crudeli, come l’uccisione dei fratelli per evitare lotte per la successione.Presentare la democrazia degasperiana come il semplice “volto diverso” del potere rispetto al nazismo non ignora forse le sue intrinseche fragilità, le scelte politiche controverse (come l’esclusione delle sinistre) e il peso determinante del contesto internazionale nella sua formazione?
Il capitolo offre un contrasto netto tra il potere totalitario nazista e la democrazia italiana post-bellica, ma nel fare ciò rischia di sorvolare sulle complessità e sulle tensioni che caratterizzarono la transizione e il consolidamento della Repubblica in Italia. La “Repubblica dei partiti”, pur non essendo autoritaria, presentò dinamiche di potere e problemi specifici che meriterebbero maggiore analisi per comprendere appieno il suo “volto”. Per approfondire questi aspetti, è utile studiare la storia politica italiana del secondo dopoguerra, con particolare attenzione al ruolo dei partiti, alle dinamiche di governo e all’impatto della Guerra Fredda. Autori come Paul Ginsborg, Silvio Lanaro ed Elena Aga Rossi offrono prospettive fondamentali su questi temi.7. Volti del potere: maschile e femminile nella storia
Giovanni Paolo II è una figura molto importante della fine del Novecento. La sua elezione nel 1978 avviene in un momento difficile per la Chiesa dopo il Concilio Vaticano II. Viene dalla Polonia, un paese che ha sofferto sotto il nazismo e il comunismo, e porta nel suo ruolo di Papa una forte identità nazionale e un modo di vedere il mondo basato sulla geopolitica. La sua esperienza personale con la violenza e i regimi totalitari influenza la sua opposizione al marxismo e il suo impegno per i diritti umani e i cambiamenti pacifici. Questo si vede nel suo ruolo nella caduta del comunismo in Europa dell’Est e nei suoi rapporti con i governi autoritari in America Latina. Il suo tempo come Papa è caratterizzato da un modo di governare carismatico, da tantissimi viaggi e incontri in tutto il mondo, e dalla promozione del dialogo tra diverse religioni, come negli incontri di Assisi.Il potere e le donne nella storia
Da sempre, il potere, soprattutto quello politico, è stato visto come qualcosa di maschile. Le donne sono state quasi sempre tenute fuori dalla vita pubblica e associate a un potere di “influenza” che potevano esercitare solo nella vita privata o nella società, ma non nelle decisioni importanti. Le donne che sono riuscite a raggiungere posizioni di autorità, come regine o leader politiche oggi, sono state spesso guardate con sospetto e spinte ad assumere caratteristiche considerate tipiche degli uomini. Le ragioni di questa divisione tra generi nel potere affondano le loro radici in idee molto antiche e sono state rafforzate dalla religione, dalla filosofia e dalla scienza nel corso dei secoli. Anche se la democrazia promette uguaglianza, all’inizio ha escluso le donne dal diritto di voto e dalla possibilità di essere elette. Il cammino verso l’uguaglianza politica è stato lento, grazie alle lotte dei movimenti femministi e ai cambiamenti nella società, ma raggiungere una vera parità nell’accesso e nell’uso del potere resta ancora una sfida aperta.Affermare che il potere sia “sempre stato visto come maschile” non rischia di semplificare eccessivamente la complessità storica e culturale?
Il capitolo, nel descrivere la storica esclusione delle donne dal potere politico formale, afferma che il potere è “sempre stato visto come qualcosa di maschile”. Questa affermazione, pur cogliendo un aspetto prevalente nella storia occidentale, rischia di semplificare eccessivamente la complessità delle dinamiche di potere nelle diverse culture e nei vari periodi storici. Esistono forme di potere non strettamente politiche o pubbliche che le donne hanno esercitato, e le ragioni e le modalità della loro esclusione (o inclusione in ruoli diversi) variano notevolmente. Per approfondire questa tematica e comprendere meglio le sfaccettature del rapporto tra genere e potere, sarebbe utile esplorare la storia sociale e l’antropologia, considerando diverse definizioni di potere. Autori come Michel Foucault o Joan Scott offrono prospettive critiche sul potere e su come il genere sia stato costruito storicamente.Abbiamo riassunto il possibile
Se vuoi saperne di più, devi leggere il libro originale
Compra il libro[sc name=”1″][/sc] [sc name=”2″][/sc] [sc name=”3″][/sc] [sc name=”4″][/sc] [sc name=”5″][/sc] [sc name=”6″][/sc] [sc name=”7″][/sc] [sc name=”8″][/sc] [sc name=”9″][/sc] [sc name=”10″][/sc]
