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Contenuti del libro
Informazioni
“I 100 delitti della Sicilia” di Vincenzo Ceruso ti porta in un viaggio intenso attraverso la storia e la violenza che hanno segnato questa terra. Non è solo un elenco di omicidi, ma un racconto che scava nelle radici profonde della mafia in Sicilia, partendo da leggende come i Beati Paoli e eventi storici come i Vespri siciliani, per mostrare come il potere criminale si sia intrecciato con la politica e l’economia fin dall’Unità d’Italia. Attraverso le storie di figure come il brigante Angelo Pugliese o l’onesto direttore Emanuele Notarbartolo, assassinato per la sua integrità , il libro svela la costante lotta tra chi cerca giustizia e chi impone la paura. Vedrai come Cosa Nostra, con boss spietati come Salvatore Riina o Bernardo Provenzano, abbia usato la violenza contro sindacalisti come Placido Rizzotto, giornalisti coraggiosi come Mauro De Mauro o Giuseppe Fava, poliziotti come Boris Giuliano o Carlo Alberto Dalla Chiesa, giudici come Cesare Terranova, Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, e politici come Piersanti Mattarella o Pio La Torre, che ha voluto la legge sul reato di associazione mafiosa. Il libro non dimentica le vittime innocenti, come il piccolo Giuseppe Di Matteo, o chi si è opposto al pizzo in Sicilia come Libero Grassi, o la ribellione di Peppino Impastato. Esplora luoghi simbolo della mafia, da Palermo a Corleone, Trapani, Catania, e mostra come la violenza mafiosa e non solo, dal femminicidio alle stragi di migranti, continui a toccare la vita in Sicilia, mettendo in luce il prezzo altissimo pagato da chi non si piega e la complessità di una terra dove la lotta antimafia è una sfida quotidiana.Riassunto Breve
In Sicilia, la storia e le leggende mostrano un legame costante tra gruppi segreti, violenza e potere, come la figura dei Beati Paoli o eventi come i Vespri siciliani, che diventano miti politici usati anche per nobilitare le origini della mafia. La congiura dei pugnalatori anticipa dinamiche di complotto con mandanti potenti. Dopo l’Unità , il brigantaggio si lega a proprietari terrieri e mafiosi che lo usano per i propri scopi, e la mafia emerge da questo contesto, con un’osmosi tra criminalità e Stato. La paura è lo strumento principale della mafia per il controllo, organizzata in gruppi che puniscono i traditori. Chi sfida questo sistema, come riformisti, sindacalisti o giornalisti, viene isolato e colpito. La lotta per la terra e i diritti sociali si scontra con la violenza mafiosa e statale. Nel dopoguerra, movimenti come il separatismo si intrecciano con la criminalità , e figure come il bandito Giuliano vengono usate. La lotta per il rispetto delle leggi costa la vita a sindacalisti come Carnevale e Rizzotto. Negli anni Sessanta, Cosa Nostra mostra la sua brutalità con stragi come quella di Ciaculli e viale Lazio, e la cultura criminale si trasmette per educazione. Indagare sulla mafia è pericoloso, come dimostrano i casi di giornalisti e poliziotti uccisi. La mafia impone il proprio ordine con violenza extragiudiziale. L’ascesa dei Corleonesi, guidati da Riina, porta a un uso spregiudicato della violenza contro oppositori interni ed esterni. Capire la vera natura economica e organizzativa della mafia porta alla morte giudici e investigatori. Negli anni Ottanta, chi tenta di riformare lo Stato e colpire gli interessi mafiosi viene assassinato. La mafia si lega alla borghesia e alla politica, ma chi propone leggi antimafia fondamentali viene eliminato. La violenza colpisce professionisti onesti e rappresentanti dello Stato. La mafia usa elementi culturali per la sua unità e sacrifica le donne per le sue regole, controllando il mercato e riciclando denaro. La lotta ha un prezzo altissimo, con vittime tra le forze dell’ordine e i familiari dei collaboratori di giustizia, colpiti dalla vendetta trasversale. La mafia si espande in nuove province e si lega a finanza e massoneria. L’opposizione costa la vita a imprenditori e attivisti. Nuove associazioni criminali emergono in conflitto con Cosa Nostra, colpendo giudici. La mafia controlla spesa pubblica e appalti, imponendo il pizzo, e negli anni Novanta dichiara guerra allo Stato con stragi che uccidono Falcone e Borsellino, sollevando interrogativi su possibili trattative. La violenza colpisce figure politiche e giornalisti. La scomparsa di persone e il femminicidio sono altre manifestazioni di violenza. Omicidi legati a conflitti interni continuano a verificarsi. La violenza si manifesta in diverse forme sociali, inclusi atti individuali e la percezione distorta causata dai media. La strage di Lampedusa evidenzia la violenza subita dai migranti e l’indifferenza. Omicidi in contesti urbani mostrano la violenza legata a dinamiche sociali complesse. La reazione sociale a certi eventi rivela sentimenti xenofobi e l’etnicizzazione del reato. La morte ha molte facce, dalla violenza criminale a quella sociale, e scrivere su di essa serve a non dimenticare le vittime e a confrontarsi con il male.Riassunto Lungo
1. Trame Nascoste nella Storia Siciliana
In Sicilia, la storia e le leggende si intrecciano, mostrando un legame profondo tra gruppi segreti, atti di violenza e la gestione del potere. Questa costante presenza di forze occulte o semi-occulte che agiscono con violenza emerge spesso in risposta o in relazione a un vuoto di potere statale. Fin dai tempi antichi, l’isola è stata teatro di vicende che suggeriscono l’azione di forze nascoste che influenzano il corso degli eventi. Questi episodi, siano essi leggendari o storicamente documentati, contribuiscono a definire un’immagine complessa della Sicilia, dove la linea tra mito e realtà è spesso sfumata. Le narrazioni di questi eventi persistono nella memoria collettiva e vengono richiamate per scopi politici o criminali. Esplorare queste trame nascoste aiuta a comprendere le dinamiche di potere che hanno segnato l’isola attraverso i secoli.La Leggenda dei Beati Paoli
Un esempio potente di come il mito popolare si intrecci con la storia è la figura dei Beati Paoli. Questa setta leggendaria è vista come un gruppo di vendicatori che agivano contro i potenti, rappresentando un’idea di giustizia alternativa al potere costituito. La loro storia ha influenzato la percezione della giustizia popolare e ha servito a rappresentare la mafia quasi come un’espressione di una società tradizionale che si fa giustizia da sé. Questa leggenda si lega anche a elementi concreti del territorio, come i cunicoli sotterranei di Palermo, che esistono realmente. Questi passaggi segreti sono stati usati nel corso del tempo, persino in tempi recenti, da latitanti mafiosi per nascondersi. L’eco dei personaggi del romanzo sui Beati Paoli si ritrova persino in contesti mafiosi reali, usati ad esempio come minacce tra boss rivali.I Vespri Siciliani: Un Mito Fondativo
Anche eventi storici di grande portata come i Vespri siciliani del 1282 mostrano questa dinamica di violenza e potere. Nati da un atto di violenza contro una donna, questi eventi sfociarono in una vasta rivolta popolare contro il potere dominante sull’isola. Questa rivolta è stata interpretata nel tempo come un “delitto fondativo”, trasformandosi in un vero e proprio mito politico per i siciliani. Questo mito è stato utilizzato nel corso dei secoli per legittimare posizioni politiche diverse e contrastanti, a seconda di chi lo richiamava. Ci sono stati persino tentativi di nobilitare le origini della mafia richiamando il mito dei Vespri come esempio di ribellione popolare. L’importanza di questa narrazione nella storia siciliana è tale che persino un’operazione militare antimafia degli anni ’90 ha preso il nome dai Vespri, mostrando come la storia venga richiamata anche dalle istituzioni nella lotta al crimine organizzato.La Congiura dei Pugnalatori
Un altro episodio che rivela un prototipo di complotto tipicamente siciliano è la congiura dei pugnalatori del 1862 a Palermo. Questo evento fu caratterizzato da una serie di accoltellamenti apparentemente casuali e senza motivo evidente, che seminavano il panico tra la popolazione. Dietro questi esecutori di basso livello, spesso reclutati tra la criminalità comune, si celavano in realtà mandanti potenti e occulti che agivano nell’ombra. L’obiettivo di questa congiura era chiaro: creare disordine e destabilizzazione nella società civile e politica dell’epoca. Questo caos serviva a giustificare e permettere il ristabilimento di un ordine politico o sociale desiderato dai mandanti, spesso legati a forze reazionarie. Questa dinamica di manipolazione del disordine per ottenere un vantaggio politico anticipa in modo sorprendente concetti moderni come la “strategia della tensione”.Ma davvero la storia siciliana si riduce a un eterno ritorno di “forze nascoste” e “vuoti di potere”, o questa visione non rischia di semplificare eccessivamente dinamiche ben più complesse?
Il capitolo propone una lettura affascinante, ma concentrarsi quasi esclusivamente sull’azione di “forze occulte” in risposta a un “vuoto di potere statale” potrebbe trascurare altri elementi fondamentali. Per comprendere appieno le radici profonde della violenza e della criminalità organizzata in Sicilia, è indispensabile allargare lo sguardo. Sarebbe utile approfondire la storia sociale ed economica dell’isola, le trasformazioni agrarie, i rapporti di classe e le specifiche dinamiche politiche locali che hanno interagito con (e non solo subito) l’azione dello Stato. Discipline come la storia sociale e la sociologia offrono strumenti essenziali. Per un’analisi più sfaccettata, si possono consultare le opere di autori come Salvatore Lupo o Pino Arlacchi.2. Intrecci di potere e criminalità nella Sicilia post-unitaria
Dopo l’Unità d’Italia, il fenomeno del brigantaggio in Sicilia si rivela una realtà molto complessa, ben lontana da una semplice contrapposizione tra ordine e illegalità . I briganti non agiscono isolatamente, ma sono profondamente inseriti in una fitta rete di relazioni e interessi. Vengono sfruttati dai grandi proprietari terrieri e dai notabili locali per consolidare il proprio potere e accaparrarsi risorse, e allo stesso tempo sono utilizzati dai nascenti gruppi mafiosi per guadagnare credibilità agli occhi del nuovo Stato, presentandosi come garanti di un ordine alternativo. La violenza brigantesca, lungi dall’essere casuale, viene spesso orientata dai poteri locali per colpire i propri avversari e mantenere il controllo sul territorio.La figura di Angelo Pugliese e la Legge Pica
Angelo Pugliese, noto come don Peppino il Lombardo, emerge come una figura centrale nel brigantaggio subito dopo l’unificazione. La sua banda opera nella Sicilia occidentale tra il 1863 e il 1865, e le sue azioni vanno oltre il semplice saccheggio. Le sue attività criminali sono strettamente legate agli obiettivi di latifondisti e mafiosi che gli offrono protezione e dirigono le sue forze per i propri scopi. Un esempio significativo di questa alleanza è l’assalto alla masseria dei fratelli Alessi, compiuto con la partecipazione attiva di proprietari terrieri rivali. Nonostante l’introduzione della legge Pica nel 1863, che impone uno stato d’assedio e misure repressive, il fenomeno del brigantaggio non scompare del tutto, ma si trasforma, con nuove bande che emergono guidate dagli ex luogotenenti di Pugliese, come quella di Vincenzo Capraro, dimostrando la resilienza del fenomeno e la sua capacità di adattarsi.La nascita della mafia moderna
La genesi della mafia nella sua forma moderna è strettamente connessa agli eventi del Risorgimento e al vuoto di potere seguito all’Unità . Elementi che avevano partecipato alle vicende del 1860, spesso descritti come “picciotti” o “mafiosi” fin da allora, non si integrano pacificamente nella nuova struttura statale. Al contrario, vengono impiegati da coloro che mirano a controllare la complessa situazione politica e sociale post-unitaria. Giovanni Corrao, un leader democratico che coltivava l’aspirazione a una rivoluzione popolare capace di cambiare radicalmente la società siciliana, rappresenta una figura chiave in questo contesto. Il suo assassinio nel 1863 segna un punto di svolta, ponendo fine a questa speranza di cambiamento dal basso e lasciando spazio all’affermazione di altri poteri.Il rapporto tra Stato e mafia
Il rapporto tra il neonato Stato italiano e la mafia in Sicilia si sviluppa in una forma di “osmosi”, dove i confini tra legalità e illegalità diventano sfumati. Funzionari pubblici e rappresentanti delle istituzioni adottano spesso metodi che ricordano quelli delle organizzazioni criminali per imporre il proprio controllo. La mafia stessa, a volte definita “mafia d’ordine”, gioca un ruolo ambiguo, contribuendo in parte a creare quell’insicurezza e quel disordine che poi si propone di gestire e risolvere a proprio vantaggio. In questo contesto, il reato assume la forma di una “transazione continua”, dove i cittadini e persino le autorità sono costretti a negoziare con gli stessi criminali per evitare danni maggiori, una situazione aggravata dal fatto che elementi criminali sono spesso infiltrati nelle forze dell’ordine e nelle istituzioni.Il caso Santi Termini e la denuncia di Tajani
Un esempio emblematico di questa compenetrazione tra Stato e mafia è l’omicidio di Santi Termini avvenuto nel 1869. Le indagini e le successive denunce rivelano il coinvolgimento diretto di un questore, un alto funzionario di polizia, che si serve di elementi mafiosi appartenenti alla Guardia nazionale, un corpo armato dello Stato, per portare a termine un’esecuzione extra-giudiziale. Questa vicenda drammatica mette in luce le profonde collusioni esistenti tra apparati statali e criminalità organizzata. Il procuratore Diego Tajani, con coraggio, denuncia pubblicamente questa situazione in Parlamento, affermando esplicitamente che la mafia, lungi dall’essere un fenomeno esterno e contrastato dallo Stato, è in realtà uno strumento utilizzato dal governo locale per mantenere il controllo e gestire il potere sul territorio siciliano, rivelando la sua natura intrinseca di sistema di potere parallelo e colluso.Se la mafia era uno strumento dello Stato, perché lo Stato non riuscì a controllarla o a farne a meno?
Il capitolo descrive efficacemente la compenetrazione tra apparati statali e criminalità organizzata e l’uso della mafia da parte di poteri locali per il controllo del territorio. Tuttavia, l’idea che la mafia fosse semplicemente uno “strumento” dello Stato o che il rapporto fosse una mera “osmosi” rischia di non spiegare a fondo le ragioni strutturali dell’incapacità statale di affermare il monopolio della forza legittima, né le dinamiche interne alla mafia che le permisero di sviluppare una propria autonomia e forza contrattuale nei confronti dello Stato stesso. Per approfondire questo aspetto critico, è essenziale studiare la storia delle istituzioni italiane post-unitarie, l’economia politica del Mezzogiorno e le prime analisi sociologiche del fenomeno mafioso. Autori come Salvatore Lupo o Diego Gambetta offrono chiavi di lettura fondamentali per comprendere la complessità di questo rapporto.3. La Sicilia tra paura e lotta: fine Ottocento
La mafia usa la paura come arma principale per dominare persone e territori. Questa paura blocca ogni reazione e diventa una condizione di vita quotidiana. Nonostante si parli spesso di segretezza assoluta, informazioni interne all’organizzazione erano conosciute fin dall’inizio. I mafiosi stessi usavano queste informazioni per colpire i rivali o per trattare. Già alla fine dell’Ottocento, la mafia era strutturata in gruppi e sezioni con dei capi, come documentato dal questore Sangiorgi. La sua forza non deriva da presunti codici d’onore, ma dalla certezza che chi tradisce viene eliminato. Purtroppo, lo Stato spesso non riesce a proteggere chi decide di collaborare o di opporsi. Salvatore D’Amico, un affiliato che si pentì mentre era in carcere per sfuggire ai suoi nemici, diede una delle prime descrizioni della struttura mafiosa prima di essere ucciso nel 1878.L’attacco ai riformisti e la giustizia difficile
Figure che cercavano di cambiare le cose, come Emanuele Notarbartolo, direttore del Banco di Sicilia, vennero isolate e colpite. Notarbartolo era già stato rapito nel 1882 e fu poi assassinato in modo brutale nel 1893. Questo omicidio fu collegato a politici potenti legati alle famiglie mafiose, come Raffaele Palizzolo, che aveva interessi nel Banco. I processi che seguirono mostrarono quanto fosse difficile ottenere giustizia. Gli imputati vennero assolti e un clima di complicità portò a proteste e mobilitazioni che si presentavano come una difesa dell'”onore della Sicilia” contro le condanne. In quel periodo, la mafia veniva vista anche come una specie di “esagerata coscienza di sé” dell’isola.La lotta per la terra e la violenza dello Stato
Le rivendicazioni sociali e la lotta per la terra si scontrarono con la violenza dello Stato. Il massacro di Caltavuturo nel 1893, in cui i carabinieri spararono su contadini disarmati che facevano parte dei Fasci siciliani, dimostrò che lo Stato era schierato contro le classi più povere. Questo accadeva mentre a Roma scoppiava lo scandalo della Banca Romana, mostrando la grande distanza tra il potere centrale e il Sud Italia. Alcune interpretazioni del Mezzogiorno, influenzate da idee razziste, condizionarono la visione dei problemi sociali.Strumenti di contrasto e il vero potere mafioso
Nonostante le difficoltà , la lotta contro la mafia e per i diritti dei contadini continuò. Vennero introdotte leggi importanti, come quella che permette la confisca dei beni ottenuti illegalmente. Questo strumento è fondamentale perché colpisce le organizzazioni criminali non solo nel loro desiderio di guadagno, ma soprattutto nel loro scopo principale: ottenere il controllo del territorio e il consenso delle persone.Davvero la tragedia di chi fugge dal mare, la violenza nelle periferie e la morte in un incidente stradale si possono semplicemente accostare per parlare del “valore della vita umana”?
Il capitolo mette insieme eventi molto diversi tra loro, suggerendo che siano tutti manifestazioni di come la società valuti (o non valuti) la vita. Tuttavia, la connessione logica tra queste situazioni non è sempre chiara. Per approfondire come diversi contesti sociali, economici e politici influenzino la percezione e la protezione della vita umana, è fondamentale studiare la sociologia delle disuguaglianze, la criminologia urbana e le politiche di sicurezza, oltre alle riflessioni dell’etica applicata.29. Le Molte Facce della Morte e la Reazione Sociale
Un duplice omicidio avvenuto a Palagonia nel 2015, che ha visto la morte di due anziani coniugi, ha attirato l’attenzione di tutto il paese. Il fatto che il sospettato fosse un ragazzo di diciotto anni proveniente dal CARA di Mineo ha scatenato immediate reazioni. Questo centro, uno dei più grandi in Europa per chi cerca asilo, accoglie migliaia di persone che spesso aspettano per anni una risposta alla loro richiesta. L’episodio ha acceso dibattiti sull’opportunità di mantenere aperto il centro e ha alimentato sentimenti di paura verso gli stranieri, spesso amplificati dai mezzi di informazione e da alcune forze politiche. Si è verificato un fenomeno chiamato “etnicizzazione del reato”, dove la colpa di una singola persona viene attribuita ingiustamente a un intero gruppo. Questo modo di pensare ignora completamente le storie personali di chi cerca asilo e le molte esperienze positive di integrazione, come quelle di persone che si impegnano attivamente nella vita della comunità .La Morte nella SocietÃ
Fatti come quello di Palagonia spingono a riflettere sulla morte, un aspetto della vita che nella società di oggi viene spesso messo da parte e poco considerato. Le persone muoiono per una grande varietà di motivi: a causa della natura, per eventi che non si possono controllare, per azioni criminali, in guerra, o anche nel tentativo di trovare un futuro migliore altrove. Nonostante queste molteplici cause e l’inevitabilità della morte, la nostra società sembra spesso volerla ignorare o nascondere, concentrandosi su altri aspetti dell’esistenza.Le Diverse Forme della Violenza
È importante riconoscere che la violenza e il male che portano alla morte violenta nascono quasi sempre da dentro le persone stesse, manifestandosi in modi diversi. Esempi di morte violenta si trovano in contesti diversi: possono essere omicidi avvenuti all’interno della famiglia, sul posto di lavoro, o anche all’estero. Ci sono poi i suicidi, spesso causati da una profonda disperazione, e le uccisioni legate alla criminalità organizzata, che mirano a mantenere il controllo del territorio e degli affari illeciti.Storie di Vittime
Tra le vittime della violenza criminale, un caso noto è quello di Don Giuseppe Puglisi, ucciso dalla mafia perché il suo lavoro pastorale nel quartiere Brancaccio a Palermo superava i limiti che i criminali volevano imporre, offrendo un’alternativa di vita ai giovani. Altre persone hanno perso la vita a causa del loro impegno nella gestione dei beni che erano stati confiscati alla mafia, dimostrando il pericolo che si corre nel contrastare il potere criminale e nel cercare di ripristinare la legalità e la giustizia sociale.Ricordare e Capire
Parlare e scrivere della morte e della violenza serve a mantenere vivo il ricordo delle vittime, a non dimenticarle mai e a onorare le loro vite interrotte. È anche un modo per cercare di comprendere la natura del male, per analizzare le sue cause e le sue manifestazioni, pur sapendo bene che capire non significa in alcun modo giustificare o assolvere chi compie atti violenti. Non possiamo decidere le circostanze o il motivo per cui moriremo, ma possiamo scegliere con consapevolezza le ragioni profonde che danno significato al nostro vivere ogni giorno, orientando le nostre azioni verso il bene e la giustizia.Ma un singolo episodio di cronaca nera, per quanto tragico e strumentalizzato, può davvero esaurire la complessità delle ‘molte facce della morte’ e della violenza nella società contemporanea?
Il capitolo prende spunto da un caso specifico legato alla migrazione per avviare una riflessione generale sulla morte e la violenza, ma il rischio è quello di non approfondire sufficientemente le cause strutturali e sociali che stanno dietro sia a certi atti criminali sia alle reazioni collettive che ne derivano. Per comprendere meglio come eventi specifici si inseriscono in contesti più ampi, è fondamentale studiare la sociologia della devianza e la criminologia, che analizzano i fattori sociali, economici e culturali della criminalità . È altrettanto importante esplorare la psicologia sociale e la sociologia delle migrazioni per capire i meccanismi di pregiudizio, paura e “etnicizzazione” che il capitolo accenna. Approfondire il pensiero di autori che hanno studiato la società contemporanea e le sue tensioni, come Bauman o Ulrich Beck, può offrire prospettive utili.Abbiamo riassunto il possibile
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