Contenuti del libro
Informazioni
“Guerre ed eserciti nel Medioevo” di Paolo Settia è un viaggio affascinante attraverso l’evoluzione della guerra e delle strategie militari in Italia e in Europa tra l’Alto e il Basso Medioevo. Il libro esplora come gli eserciti si sono trasformati, dai guerrieri franchi e carolingi fino alle compagnie di ventura e ai primi eserciti statali. Si analizzano le figure chiave che hanno plasmato la storia militare, da storici pionieri come Muratori e Pieri a condottieri italiani che hanno segnato il loro tempo. L’opera ci porta attraverso le campagne d’Italia, i conflitti tra comuni e impero, e le trasformazioni sociali legate alla figura del cavaliere. Dalle tattiche di assedio alle innovazioni tecnologiche nelle armi e nelle armature, Settia ci offre uno sguardo completo sull’arte della guerra medievale, evidenziando come la guerra non fosse solo distruzione, ma anche un motore economico e un fattore di cambiamento sociale. Un libro essenziale per chiunque voglia comprendere le dinamiche militari che hanno plasmato il nostro passato.Riassunto Breve
Lo studio della guerra in Italia, dall’epoca medievale fino al XV secolo, rivela un’evoluzione complessa sia nelle tattiche e nell’organizzazione degli eserciti, sia nell’impatto economico e sociale dei conflitti. Inizialmente, storici come Muratori, Ricotti e Pieri hanno gettato le basi per la comprensione di questo fenomeno, analizzando le forme del guerreggiare dal declino dell’Impero Romano fino al Rinascimento. Muratori si è concentrato sulla milizia medievale, esaminando armamenti e usi militari, mentre Ricotti ha studiato le compagnie di ventura, ponendo l’accento sulle virtù militari italiane. Pieri, invece, ha offerto una visione più ampia, dal mondo classico all’età moderna, criticando l’inefficienza della guerra medievale rispetto ai modelli successivi.L’evoluzione degli eserciti medievali è stata influenzata da stimoli storiografici europei e anglosassoni, che hanno spostato l’attenzione dall’analisi delle battaglie all’organizzazione, al ruolo sociale e al finanziamento degli eserciti. L’esercito merovingio, inizialmente composto da guerrieri franchi, si è arricchito di elementi eterogenei, con la cavalleria come nucleo d’élite. Con i Carolingi, si nota una maggiore professionalizzazione e un’efficacia militare accresciuta, con una cavalleria sempre più importante. Tuttavia, l’instabilità interna e le nuove minacce portarono a una frammentazione delle difese.Nei secoli XI e XII, l’incapacità dei sovrani di difendere i propri territori portò all’affidamento di responsabilità militari a figure come conti maggiori, mentre il potere regio si indeboliva. Il sistema feudale si consolidò, ma con il declino dell’impero, vassalli e potenti locali acquisirono maggiore autonomia. Il servizio militare del vassallo, in cambio del feudo, non era sempre definito con precisione. Eventi come la conquista normanna dell’Inghilterra e la Prima Crociata dimostrarono la mobilitazione di eserciti al di fuori del rigido schema feudale. Contemporaneamente, la cavalleria emerse come classe sociale distinta, con propri valori e codici di comportamento. Nel XII secolo, con lo sviluppo degli stati, i sovrani rafforzarono il loro potere, potendo contare su rendite maggiori e reclutando mercenari.All’inizio della Guerra dei Cent’anni, l’esercito francese si basava ancora su un sistema feudale, poco efficace contro le tattiche inglesi. Carlo V tentò di razionalizzare l’esercito, creando unità più piccole e introducendo un nucleo di soldati professionisti. Carlo VII realizzò una vera riforma con la creazione delle “compagnie de la grande ordonnance”, un esercito permanente. Parallelamente, l’Impero Romano d’Oriente riformò il suo sistema difensivo, introducendo una difesa su tre livelli e integrando arcieri a cavallo. L’esercito bizantino imparò ad adattarsi ai diversi nemici, privilegiando lo sfruttamento dei punti deboli avversari.Tra il X e il XV secolo, l’Impero Romano d’Oriente subì una crisi dovuta all’eccessivo sforzo bellico e a tagli alle spese militari, rendendosi vulnerabile a nuove minacce. Gli eserciti arabi si trasformarono grazie all’unità religiosa e a un’organizzazione più strutturata, sviluppando un esercito più regolare e integrando soldati-schiavi. L’ascesa dei Turchi, in particolare degli Ottomani, segnò un’ulteriore svolta, con un esercito permanente e professionale che divenne formidabile.La guerra greco-gotica e l’invasione longobarda segnarono un punto di svolta per l’Italia, portando devastazioni e frammentazione politica. Gli assedi divennero più frequenti, con entrambe le parti che adattavano le tattiche romane. L’organizzazione militare longobarda vide l’introduzione di pratiche militari franche, con l’estensione dell’eribanno e l’obbligo della *defensio patriae*. Le spedizioni carolinge dimostrarono una pianificazione logistica avanzata.Il periodo post-carolingio in Italia fu segnato da instabilità politica e minacce esterne. La risposta militare seguiva le tradizioni carolinge, con la mobilitazione di eserciti attraverso messaggeri e il reclutamento di uomini abili. La difesa locale, basata sui castelli, rimase operativa, imponendo agli abitanti il dovere di mantenere e vigilare le fortificazioni. La difesa costiera seguiva un modello simile, con le città che organizzavano la resistenza contro le incursioni marittime. Le tattiche di combattimento potevano includere imboscate e attacchi a sorpresa. Nel sud Italia, i Normanni emersero come conquistatori, distinguendosi per la loro abilità nell’assimilare tecniche militari altrui.Nei secoli XI e XII, l’Italia centrosettentrionale vide l’ascesa delle città comunali, che basavano la loro forza militare sulla mobilitazione dei propri cittadini. Nel Meridione, il Regno di Sicilia normanno sviluppò un modello militare basato su una “milizia del re”. L’ascesa di Federico I Barbarossa segnò il ritorno dell’Impero come attore militare di rilievo, culminando nella battaglia di Legnano. Durante l’età di Federico II, i conflitti tra l’Impero e i comuni continuarono, con i comuni che svilupparono tattiche difensive efficaci. Dopo la morte di Federico II, emersero dominazioni sovra-cittadine guidate da figure come Ezzelino da Romano. La polarizzazione tra guelfi e ghibellini caratterizzò il periodo successivo, con il crescente ricorso al mercenariato.Tra il XIV e il XV secolo, la guerra in Italia vide il passaggio dalle grandi compagnie mercenarie a un sistema più strutturato legato agli stati emergenti. L’emergere di figure come John Hawkwood segnò un passaggio verso unità più snelle e politicamente orientate. Gli stati italiani iniziarono a organizzare proprie forze armate, integrando mercenari con contingenti locali. Il XV secolo vide un’ulteriore evoluzione, con l’affermazione di una nuova generazione di capitani italiani e l’uso crescente dell’artiglieria. Si osservò una tendenza verso la professionalizzazione degli eserciti statali.Gli assedi medievali erano un mix di attacco e difesa, con strategie che si adattavano al contesto. Gli attaccanti usavano macchine come “gatti” o “testuggini” per proteggersi, arieti per sfondare, o minavano le mura. Le artiglierie come petriere, mangani e trabucchi bombardavano le fortificazioni. Le torri mobili erano strutture alte con più piani. La guerra si adattava anche all’ambiente, con Venezia che sviluppava tecniche di guerra anfibia. L’ingegno dei genieri militari era fondamentale, con maestranze italiane famose per la costruzione di macchine da assedio.Durante un assedio, la popolazione non combattente era composta da coloro che non venivano arruolati. Sebbene spesso considerati un peso, le fonti mostrano anche casi di partecipazione attiva. L’evoluzione delle tattiche e delle tecnologie militari portò a cambiamenti nelle strutture difensive, con l’introduzione delle armi da fuoco che richiese l’adeguamento delle fortificazioni. Le mura vennero abbassate e terrapienate, e furono costruiti bastioni. Le operazioni di “guasto” divennero una pratica comune.La produzione del ferro e la sua trasformazione in acciaio hanno subito un’evoluzione significativa nel corso del Medioevo, con il passaggio dal “metodo diretto” al “metodo indiretto” grazie a forni più alti e all’uso di ruote idrauliche. La lavorazione del ferro grezzo prevedeva la battitura a caldo e la cementificazione per migliorarne la durezza. Le spade medievali venivano prodotte unendo lamine di ferro con diverso contenuto di carbonio. La maglia di ferro veniva creata avvolgendo filo metallico attorno a bacchette. Le armature venivano temprate e rifinite.Le armi a disposizione dei fanti nel Medioevo italiano hanno subito una notevole evoluzione, con lo sviluppo di armi specifiche come la lancia lunga, lanceoni, giavarine, ronca inastata e berdica. Gli scudi si diversificarono, con la diffusione di rotelle, rotelline e pavesi. Le spade dei fanti subirono modifiche con l’introduzione di archetti sull’elsa. Tra le armi corte tipicamente italiane, si distingue la Cinquedea e la basilarda. Per quanto riguarda le armi da tiro, la balestra divenne l’arma predominante in Italia centro-settentrionale dal XIII secolo. Gli elmi videro l’ampia diffusione dello “spangenhelm”, seguito da elmi conici, barbuta ed elmetto.L’equipaggiamento difensivo nel Medioevo è partito da costose corazze di maglia di ferro, evolvendosi in usberghi, lamiera, protezioni in cuoio, brigantine e corazze a piastre. Le mani furono protette da guanti metallici sempre più complessi, fino all’armatura intera. Parallelamente, le macchine da guerra si sono evolute, con la diffusione di petriere, mangani e trabucchi. Torri mobili, arieti e macchine incendiarie furono impiegati negli assedi. Il XIV secolo vide l’introduzione delle armi da fuoco, che migliorarono rapidamente, diventando cruciali negli assedi e negli scontri campali.La cavalleria medievale non è solo un termine militare, ma racchiude anche una specifica classe sociale con un proprio stile di vita e una cultura distintiva. Le teorie sulle origini germaniche della cavalleria sono state superate, riconoscendo che il mondo romano aveva già sviluppato la cavalleria catafratta. È più corretto parlare di “radici” o “sementi” germaniche, con tracce embrionali della cavalleria nel mondo barbarico. L’impiego militare della cavalleria si diffuse a partire dal IV secolo, con influenze diverse. In Italia longobarda, dal VII secolo, combattere a cavallo divenne un segno di prestigio sociale. La teoria che lega la nascita del feudalesimo all’adozione della staffa è stata criticata. Con i Carolingi, la cavalleria acquista maggiore importanza, ma non costituisce ancora la parte più solida ed efficace dell’esercito.Intorno all’anno mille, si assiste a un cambiamento profondo nella struttura sociale, con la frammentazione del potere centrale e la crescente importanza dei guerrieri. La società si militarizza, dividendo gli individui tra i “milites” e gli “inermi”. In Italia, il termine “miles” indica principalmente chi possiede e sa usare un cavallo da combattimento, piuttosto che il cavaliere formalmente addobbato. Questo porta a un’élite economico-sociale più aperta, dove mercanti e artigiani possono ascrivere a questa condizione. L’habitat naturale dei cavalieri in Italia è la città.Le feste in armi, come i tornei e le giostre, erano praticate in Italia già dal XII secolo. I tornei erano combattimenti collettivi tra schieramenti, distinti dalla giostra che era uno scontro individuale. Nei secoli XIV e XV, le feste cavalleresche si moltiplicarono, includendo esercizi simulati riservati ai giovani aristocratici. La cultura cortese enfatizzava valori come fedeltà, lealtà e coraggio. In Italia, questa fedeltà poteva anche alimentare una “cultura dell’odio” e conflitti tra famiglie. La poesia d’armi non trovò un’eco significativa nella lirica italiana del Duecento. L’immagine del Medioevo come “età della cavalleria” è una semplificazione. La competenza militare derivava anche dallo studio di trattati sull’arte di combattere, sulla tattica e sulla strategia.L’opera di Vegezio, il *De re militari*, è stata una fonte fondamentale per la cultura militare occidentale, ma la sua influenza diretta sulla pratica bellica medievale è difficile da quantificare. La sua diffusione, promossa anche dal clero, è attestata dalla presenza di manoscritti presso laici e condottieri. In Occidente, dopo il XII secolo, la trattatistica militare si è basata principalmente sulla riproduzione di Vegezio e Frontino. In Italia, le riflessioni sull’arte della guerra si sono sviluppate nella letteratura politica e nei “progetti di crociata”. Un caso a parte è rappresentato dagli *Insegnamenti* di Teodoro di Monferrato, che propone una rielaborazione personale della pratica militare italiana.La progettazione e la costruzione di macchine da guerra nel Medioevo richiedevano conoscenze tecniche avanzate, spesso tramandate oralmente. Figure come Calamandrino dimostrano l’esistenza di ingegneri capaci di risolvere problemi d’assedio con macchine innovative. Il sapere militare medievale attingeva anche a fonti antiche, come l’opera di Vegezio, e si evolveva attraverso la pratica. Durante l’Umanesimo, l’interesse per gli studi classici rafforzò l’autorità di autori come Vegezio, ma alcuni autori iniziarono a rompere con questi schemi, valorizzando il mondo moderno e le sue innovazioni tecnologiche. La trasmissione del sapere militare si basava anche sull’esperienza pratica accumulata nei numerosi conflitti.La guerra nel Medioevo genera un acceso dibattito tra gli storici riguardo al suo impatto economico. Se da un lato viene vista come un’attività distruttiva che comporta ingenti costi, dall’altro si riconosce la sua capacità di rimettere in circolo ricchezze e stimolare settori produttivi. I costi della guerra si dividono in diretti e indiretti. I profitti sono più aleatori e difficili da quantificare. L’arruolamento e l’equipaggiamento degli uomini rappresentano la principale voce di spesa. La logistica di guerra, ovvero il rifornimento delle truppe, era un altro aspetto cruciale e costoso. Le continue guerre stimolarono la produzione di armi e armature.Le guerre hanno sempre rappresentato un enorme costo per la società, influenzando profondamente le finanze pubbliche e l’economia. Inizialmente, il finanziamento delle esigenze militari gravava direttamente sullo stato, ma con il tempo questo onere si è spostato. Nelle città comunali, la spesa bellica è tornata a essere una voce importante nei bilanci pubblici, portando all’introduzione di nuove forme di tassazione. Un altro sistema per sostenere le spese militari è stato quello delle “cavallate” o “imposte dei cavalli”. I conflitti con Federico II hanno ulteriormente aggravato la situazione finanziaria dei comuni. La spesa militare è continuata a crescere, assorbendo una quota sempre maggiore dei bilanci comunali. Il Regno di Sicilia ha visto il proprio sistema fiscale orientato a garantire un ingente gettito per finanziare l’esercito. La tendenza all’aumento dei costi militari è proseguita, con conflitti intercomunali che hanno drenato risorse. La “pace armata” ha reso la difesa ancora più costosa, con la creazione di truppe permanenti e fortificazioni avanzate. La difesa ha comportato costi significativi per la costruzione, manutenzione e custodia di fortificazioni. Le operazioni belliche paralizzavano l’attività agricola, lasciando le terre incolte e causando un aumento dei prezzi.Durante il Medioevo, la guerra non era solo uno scontro militare, ma anche un’attività economica complessa. Il bottino di guerra rappresentava una fonte di guadagno. Le questioni etiche e legali riguardanti il bottino erano dibattute da teologi e giuristi. I riscatti dei prigionieri costituivano un’altra importante fonte di reddito. Anche i cavalli persi o danneggiati in battaglia potevano essere oggetto di rimborso. L’arruolamento degli uomini comportava sempre un costo. La gestione dell’equipaggiamento e della logistica ricadeva sui combattenti stessi o sui loro signori. La guerra, pur potendo portare a conquiste territoriali e stimolare alcune attività economiche, generava un clima di insicurezza che ostacolava il commercio.Nel periodo che va dall’Alto al Pieno Medioevo, si osserva un cambiamento significativo nel modo in cui venivano organizzati gli eserciti, con l’uso di truppe mercenarie diventato una pratica comune. I Normanni emersero come guerrieri professionisti. Nel XII secolo, i mercenari normanni e le nobiltà locali erano impiegati da vari signori. Nel centro-nord Italia, le guerre tra città vedevano l’impiego di mercenari. La crescente monetizzazione dell’economia pose le basi per il ritorno del mercenariato su larga scala. La Chiesa, inizialmente critica, arrivò a scomunicare coloro che praticavano il mestiere delle armi per denaro. Diversi attori iniziarono ad assoldare uomini e mezzi. Nell’età comunale, l’assoldamento di mercenari divenne una prassi consolidata. La presenza di combattenti stranieri in Italia divenne comune. Il confine tra “alleati” e “mercenari” si fece sottile. Nei primi decenni del Trecento, la gestione di soldati professionisti da parte dei poteri cittadini o signorili divenne più strutturata.Nel Trecento, la politica militare degli stati italiani mostra chiari segnali di cambiamento, con un declino della milizia urbana e una crescente disaffezione dei cittadini verso il servizio armato. Contemporaneamente, aumenta la presenza di soldati stranieri nelle forze armate cittadine. Un fenomeno nuovo e dirompente è l’emergere delle compagnie di ventura, che iniziano a farsi più intraprendenti, sfruttando la frammentazione politica italiana. La formazione di compagnie segna il passaggio da soldati isolati a vere e proprie organizzazioni. La pace di Brétigny portò un nuovo afflusso di mercenari in Italia. Si assiste anche a un’evoluzione nelle tecniche di combattimento. La causa principale del successo delle compagnie fu la frammentazione politica italiana. Le compagnie generarono insicurezza e inquietudine sociale. La guerra divenne sempre più costosa, richiedendo ingenti risorse finanziarie.Alla fine del Trecento, il panorama militare italiano vede un cambiamento: i capitani stranieri iniziano a diminuire, mentre emergono figure italiane. Questo passaggio è spesso visto come una “riscossa nazionale”, con la nascita di una “scuola” italiana di condottieri. La ripresa della Guerra dei Cent’anni in Europa riduce l’afflusso di mercenari stranieri in Italia. Contemporaneamente, si assiste a una maggiore integrazione tra finanza, fiscalità e politica, con la formazione di stati territoriali più ampi. I nuovi condottieri italiani provengono spesso da aree dove il potere cittadino era debole. La carriera militare diventa anche un’opportunità di ascesa sociale. Il reclutamento di questi eserciti si basa ancora su legami di fedeltà personali. Con il consolidamento degli stati nella seconda metà del Quattrocento, i governi concedono feudi e territori ai condottieri per garantirne la lealtà.Nel corso del Quattrocento, gli eserciti dei principali stati italiani subiscono trasformazioni significative, orientandosi verso una maggiore stabilità e un legame più stretto con il territorio. Si osserva un aumento generale della consistenza delle forze, in particolare della cavalleria. I governi cercano di ottenere una maggiore disciplina e controllo sulla cavalleria. Venezia, ad esempio, istituzionalizza l’amministrazione militare. Anche il Ducato di Milano vede un cambiamento: i comandanti militari diventano sempre più signori e feudatari legati allo stato. Il Regno di Napoli intraprende una riforma radicale, creando una forza armata permanente dipendente dal re. Verso la fine del secolo, emergono nuovi reparti di combattenti permanenti a pagamento. Si assiste anche alla crescita di figure come i “provisionati”. Questo periodo vede anche una maggiore attenzione alla gestione complessiva degli apparati militari, con la produzione di nuove tipologie di fonti e la stesura di trattati teorici sulla milizia.La guerra navale nel Mediterraneo, a partire dall’epoca romana, ha subito profonde trasformazioni, distinguendosi dalla guerra di terraferma per caratteristiche proprie. La penisola italiana ha visto un susseguirsi di potenze marittime, da quella bizantina a quella saracena, fino all’affermarsi delle repubbliche marinare come Genova e Venezia. La competizione tra Genova e Venezia ha caratterizzato i secoli successivi al Mille. Parallelamente all’evoluzione delle strategie, si è assistito a un continuo sviluppo delle unità navali, dalla liburna al dromone bizantino, fino alla galea. L’introduzione delle armi da fuoco nel tardo Medioevo ha segnato un ulteriore cambiamento. La guerra navale, quindi, non è stata una semplice estensione della guerra terrestre, ma un campo di battaglia con dinamiche, strategie e tecnologie proprie.La guerra navale nel Medioevo comprendeva una vasta gamma di azioni, dalla guerra anfibia e le operazioni congiunte, alle incursioni di devastazione. Inizialmente, queste attività miravano a demoralizzare il nemico o a ottenere bottino. Per gran parte del Medioevo, gli scontri diretti tra flotte erano evitati. Con il tempo, si svilupparono tattiche più organizzate. L’introduzione dell’artiglieria segnò un cambiamento. L’evoluzione delle tecniche navali si intrecciò con i progressi della guerra terrestre. A partire dal Duecento, si assistette a un’articolazione più complessa del pensiero navale. La pirateria e la guerra di corsa si affiancarono alla ricerca di battaglie decisive. Le marinerie italiane, in particolare quelle genovesi e pisane, divennero centrali in questo sviluppo. Le grandi battaglie navali prevedevano formazioni complesse. La guerra di corsa era una tattica comune. La guerra navale, pur condividendo alcune tecniche con quella terrestre, possedeva specificità proprie, legate alla manovra di macchine complesse in un ambiente dinamico. La capacità di proiezione delle forze e l’autonomia logistica delle unità navali le distinguevano dalla guerra di terra.Riassunto Lungo
Lo studio della guerra in Italia: contributi storici
Ludovico Antonio Muratori: pioniere degli studi medievali
Ludovico Antonio Muratori, considerato il padre degli studi medievali in Italia, ha esplorato le forme della guerra dal declino dell’Impero Romano fino al 1500. La sua dissertazione sulla milizia medievale, pur offrendo una vasta gamma di esempi tratti da fonti diverse, a volte manca di un ordine chiaro. Muratori analizza l’impatto delle culture barbariche e romane sugli eserciti, le fortificazioni, le macchine d’assedio, i tipi di guerrieri e l’armamento. Nonostante alcune interpretazioni etimologiche possano essere discusse, il suo lavoro ha fornito spunti importanti e ha posto le basi per ricerche future, affrontando temi ancora aperti.Ercole Ricotti: le compagnie di ventura e le virtù militari
Nel XIX secolo, Ercole Ricotti si è concentrato sulla storia delle compagnie di ventura, con l’obiettivo di mettere in luce le qualità militari degli italiani. La sua opera, pur citando Muratori, evita un’analisi dettagliata della milizia medievale, preferendo concentrarsi sugli aspetti sociali e morali piuttosto che su quelli tattici o strategici. Ricotti racconta gli eventi bellici, esaltando i condottieri italiani e le loro imprese. Il suo scritto, sebbene con un linguaggio un po’ datato, rimane utile per la ricchezza di materiale raccolto.Piero Pieri: un’analisi critica della guerra medievale
Piero Pieri ha dominato il campo della storia militare italiana per circa quarant’anni, studiando la guerra dal periodo classico fino ai suoi tempi. Il suo interesse per il Medioevo era legato alla sua idea che la guerra di quel periodo fosse un preludio alla crisi militare del Rinascimento. Pieri ha criticato l’inefficienza e la lentezza della guerra medievale, considerandola inadeguata rispetto ai modelli più moderni. I suoi studi hanno aperto nuove strade e sono ancora un punto di riferimento, ma il suo modo di interpretare il passato con criteri attuali merita una lettura attenta e critica.Ma è davvero possibile valutare la guerra medievale con i criteri di efficienza e modernità del Rinascimento, ignorando il contesto socio-culturale e tecnologico dell’epoca?
Il capitolo presenta un’interessante evoluzione degli studi sulla guerra in Italia, evidenziando i contributi di Muratori, Ricotti e Pieri. Tuttavia, l’analisi di Pieri, che giudica la guerra medievale con criteri anacronistici, solleva interrogativi sulla validità di un tale approccio critico. Per comprendere appieno le dinamiche belliche medievali, sarebbe opportuno approfondire studi che analizzino il periodo attraverso le lenti della sua specificità storica, considerando le tecnologie, le strutture sociali e le mentalità dell’epoca, piuttosto che applicare giudizi basati su modelli successivi. Autori come Georges Duby o John Lynn potrebbero offrire prospettive utili per contestualizzare adeguatamente la guerra medievale.1. L’Evoluzione degli Eserciti Medievali: Dai Franchi ai Carolingi
La Storiografia Militare Italiana e le Nuove Prospettive
L’analisi della storia militare italiana medievale rivela un percorso di studi inizialmente ostacolato da tabù accademici, per poi aprirsi a un rinnovato interesse, soprattutto grazie agli stimoli provenienti dalla storiografia europea e anglosassone. Sebbene il convegno di Spoleto del 1967 avesse segnato un punto di partenza importante per una visione più ampia della storia militare, il clima politico degli anni successivi ne aveva frenato lo sviluppo in Italia. Nel frattempo, studi come quelli di John Keegan in Inghilterra e Philippe Contamine in Francia avevano introdotto nuovi approcci, spostando l’attenzione dall’analisi delle singole battaglie all’organizzazione, al ruolo sociale e al finanziamento degli eserciti. Queste nuove prospettive, che includevano anche un’analisi culturale della guerra, hanno gradualmente influenzato anche il panorama italiano, con opere di autori come Franco Cardini che hanno stimolato il dibattito. Nonostante un interesse crescente, la ricerca italiana sulla storia militare medievale ha sofferto per lungo tempo di una limitata riflessione metodologica e di un confronto insufficiente con gli studi internazionali. Solo negli anni Duemila si è assistito a una maggiore apertura, con un aumento degli studi, sebbene spesso frutto di iniziative individuali piuttosto che di progetti organici.L’Esercito Merovingio: Organizzazione e Caratteristiche
L’esercito merovingio, emerso dopo la caduta dell’Impero Romano d’Occidente, era inizialmente composto da guerrieri franchi, ma si è progressivamente arricchito di elementi eterogenei. La cavalleria costituiva il nucleo d’élite, ma erano presenti anche truppe a piedi. L’organizzazione militare, pur mantenendo alcune tradizioni romane, si basava su un sistema di reclutamento che privilegiava gli uomini liberi più abbienti, con una tendenza alla privatizzazione dei mezzi bellici.L’Esercito Carolingio: Professionalizzazione e Sfide
Con l’avvento dei Carolingi, si nota una maggiore professionalizzazione e un’efficacia militare accresciuta, con una cavalleria sempre più importante e un sistema di reclutamento che, pur basato sugli uomini liberi, prevedeva forme di mutualizzazione delle spese per garantire l’equipaggiamento. L’esercito carolingio si dimostrò uno strumento potente per le conquiste, ma la sua efficacia era legata alla solidità del potere centrale. La crescente instabilità interna e l’emergere di nuove minacce, come le incursioni normanne, misero in crisi questo sistema, portando a una frammentazione delle difese e a un indebolimento dell’autorità regia.Se la storiografia italiana ha gradualmente recepito gli stimoli europei e anglosassoni, come mai il capitolo evidenzia ancora una “limitata riflessione metodologica” e un “confronto insufficiente con gli studi internazionali” negli anni Duemila, suggerendo un’apertura più frutto di iniziative individuali che di progetti organici?
Il capitolo sembra proporre una narrazione di progresso e apertura nella storiografia militare italiana, ma al contempo ne sottolinea persistenti debolezze strutturali e metodologiche. Questa apparente contraddizione solleva interrogativi sulla reale profondità del cambiamento e sulle cause che potrebbero averne limitato un’integrazione più sistemica. Per comprendere appieno questa dinamica, sarebbe utile approfondire la storiografia militare italiana con un focus sulle metodologie di ricerca, confrontandola con gli approcci di studiosi come John Keegan e Philippe Contamine, e analizzando le opere di autori come Franco Cardini per cogliere le sfumature del dibattito interno. Un’ulteriore esplorazione delle pubblicazioni accademiche e dei convegni italiani degli ultimi decenni potrebbe fornire un quadro più chiaro delle ragioni di questa persistente “limitata riflessione metodologica”.2. Dalle Marche ai Sovrani: L’Evoluzione degli Eserciti Medievali
La Frammentazione del Potere Militare nei Secoli XI e XII
Nei secoli XI e XII, l’Europa vide un cambiamento profondo nel modo in cui venivano organizzate le difese territoriali. I sovrani, incapaci di proteggere da soli i loro regni, delegarono questa responsabilità a figure di spicco come i conti maggiori. Questi potenti locali guidavano ampi distretti, noti come “marche” o “ducati”, e spesso appartenevano a famiglie aristocratiche di lunga data. Un esempio di questo è Roberto il Forte, che divenne una figura chiave nella difesa contro le minacce esterne, pur con risultati militari non sempre costanti.L’Ascesa del Feudalesimo e l’Autonomia dei Vassalli
In questo periodo, il potere dei re si indebolì, aprendo la strada all’ascesa di personalità come Oddone, figlio di Roberto il Forte, che riuscì a diventare re. Il sistema feudale si rafforzò, basandosi su legami personali tra signori e vassalli, formalizzati tramite cerimonie. Tuttavia, con il declino dell’Impero, i vassalli e i potenti del tempo, sia laici che ecclesiastici, ottennero sempre maggiore indipendenza. Le loro clientele si trasformarono in vere e proprie forze autonome, e i poteri dei grandi signori vennero riconosciuti, portando alla trasformazione delle funzioni pubbliche in beni ereditari.Il Servizio Militare: Tra Obblighi e Contrattazione
Il servizio militare che i vassalli dovevano offrire in cambio del feudo non era sempre definito con chiarezza. Spesso, la sua entità dipendeva dal rapporto di forza tra il signore e il vassallo stesso. Solo in alcune zone, come la Normandia, si iniziarono a stabilire regole più precise, con elenchi di vassalli e servizi militari specifici. I vassalli costituivano la parte fondamentale degli eserciti, ma si faceva ricorso anche a combattenti assoldati, i cosiddetti “Brabançons”.Nuove Forme di Mobilitazione: Oltre il Feudalesimo
Eventi di grande portata come la conquista normanna dell’Inghilterra e la Prima Crociata mostrarono come gli eserciti potessero essere mobilitati al di fuori delle rigide strutture feudali. Queste mobilitazioni erano spesso guidate da motivazioni personali, religiose o legate all’interesse. Nelle nuove terre conquistate durante le crociate, come in Terrasanta, il sistema feudale venne applicato in maniera più severa, imponendo obblighi militari più gravosi.La Nascita della Cavalleria e la Gestione della Violenza
Parallelamente, emerse la cavalleria come una classe sociale ben distinta, con propri valori e codici di comportamento. Questi venivano promossi attraverso cerimonie come l’addobbamento e i tornei. Le guerre di quel tempo erano spesso caratterizzate da incursioni rapide e scontri minori, con l’obiettivo principale di saccheggiare ricchezze. I cavalieri tendevano a evitare grandi battaglie tra di loro. Movimenti come la “Pace di Dio” e la “Tregua di Dio” nacquero con lo scopo di limitare la violenza dei cavalieri, mentre i sovrani cercavano di imporre una propria forma di ordine e pace.Il Rafforzamento del Potere Sovrano e l’Evoluzione del Reclutamento
Nel corso del XII secolo, con lo sviluppo degli stati, i sovrani consolidarono il loro potere. Potevano contare su maggiori entrate e reclutare mercenari con maggiore facilità. L’uso di questi combattenti, sebbene efficace, portò a un aumento della violenza. Il XIII secolo fu un periodo di relativa stabilità, interrotto solo da crociate e conflitti locali. La crescita dello stato portò a un’evoluzione nel modo di reclutare gli eserciti: la “semonce des nobles” chiamava i nobili in base al loro rango, non solo al legame feudale. La proclamazione dell'”arrière ban” da parte di Filippo il Bello segnò un ulteriore passo verso uno stato centralizzato, in cui ogni suddito poteva essere chiamato a difendere il regno, legando sempre più il servizio militare al pagamento di tasse.Come si può conciliare l’apparente declino della marina romana nel III secolo con la ripresa delle capacità navali sotto Diocleziano e Costantino, senza considerare le specifiche dinamiche economiche e politiche che hanno reso possibile tale inversione di tendenza, e ignorando l’influenza delle nuove potenze emergenti nel Mediterraneo che potrebbero aver stimolato tale rinascita?
Il capitolo presenta una narrazione lineare del declino e della ripresa navale romana, ma manca un’analisi approfondita delle cause sottostanti e delle influenze esterne. Per comprendere appieno questo passaggio, sarebbe utile esplorare le opere di storici che si sono concentrati sull’economia tardo-imperiale e sulle relazioni internazionali del periodo, come ad esempio studi sull’impatto delle invasioni barbariche sulle infrastrutture e sulle finanze, o sull’evoluzione delle tattiche navali in risposta alle minacce emergenti. Un’analisi più dettagliata delle politiche fiscali e militari di Diocleziano e Costantino, e di come queste abbiano effettivamente sostenuto la ricostruzione navale, fornirebbe un quadro più completo.20. Il Mare come Campo di Battaglia: Evoluzione e Specificità della Guerra Navale Medievale
Le diverse forme della guerra navale nel Medioevo
La guerra navale nel Medioevo era un insieme complesso di azioni che includevano attacchi a terra, operazioni congiunte, incursioni per devastare, saccheggi e blocchi navali. All’inizio, queste attività servivano più a indebolire il morale del nemico o a ottenere bottino, piuttosto che a ingaggiare battaglie campali. Per gran parte di questo periodo, gli scontri diretti tra flotte venivano evitati, anche perché mancava una strategia navale ben definita. Le battaglie si riducevano spesso a duelli tra singole navi, con combattimenti corpo a corpo caotici.Sviluppo di tattiche e tecnologie
Col passare del tempo, emersero tattiche più organizzate, come il posizionamento strategico delle flotte e l’indebolimento del nemico prima dell’abbordaggio. L’introduzione dell’artiglieria, soprattutto dalla seconda metà del Quattrocento, cambiò le cose, riducendo la dipendenza dal combattimento ravvicinato. L’evoluzione delle tecniche navali, come l’uso del fuoco greco, si legò ai progressi della guerra terrestre, anche se le cronache spesso descrivevano i conflitti marittimi in modo simile a quelli combattuti a terra.L’ascesa delle marinerie italiane e la strategia navale
A partire dal Duecento, in particolare nella seconda metà, il pensiero navale divenne più articolato. La pirateria e la guerra di corsa si affiancarono alla ricerca di battaglie decisive, grazie all’emergere di ammiragli esperti. Le marinerie italiane, soprattutto quelle genovesi e pisane, ebbero un ruolo fondamentale in questo sviluppo. Non solo esportarono tecniche costruttive e macchine da guerra, ma anche personale qualificato. Città come Genova, Pisa e Venezia iniziarono a organizzare flotte imponenti e piani navali strategici, aumentando la specializzazione nei gradi di comando.Tattiche e fasi delle battaglie navali
La guerra di corsa era una tattica comune per danneggiare le risorse nemiche. Le spedizioni corsare venivano spesso pianificate e finanziate tramite prestiti specifici, con una ripartizione dei profitti tra armatori ed equipaggio. Le grandi battaglie navali prevedevano formazioni complesse, come la linea di fronte o la formazione a semicerchio, con un’importanza cruciale data al posizionamento tattico, ad esempio rispetto al sole o al vento. Le fasi iniziali includevano scambi di insulti, lancio di proiettili contro vele e scafi, e l’uso di arcieri e balestrieri. L’avvicinamento alle navi nemiche comportava l’uso di misture incendiarie e, infine, la manovra di abbordaggio, con combattimenti corpo a corpo che potevano essere preceduti da stratagemmi per disorientare l’avversario.Cambiamenti successivi e specificità della guerra navale
Nei secoli successivi, gli scontri navali diretti diminuirono a favore della guerra di corsa, forse a causa delle dimensioni crescenti delle navi e dell’introduzione delle armi da fuoco. L’uso di navi più grandi in supporto alle galee divenne più comune. La guerra navale, pur condividendo alcune tecniche con quella terrestre, possedeva specificità proprie, legate alla manovra di macchine complesse in un ambiente dinamico. La capacità di proiezione delle forze e l’autonomia logistica delle unità navali le distinguevano dalla guerra di terra. Nonostante i stretti legami, la guerra navale medievale non raggiunse mai un controllo totale del mare paragonabile ai concetti moderni di “seapower”, a causa dei limiti tecnologici e logistici dell’epoca.Se la guerra navale medievale, pur non raggiungendo un “seapower” moderno, ha visto un’evoluzione tattica e tecnologica così marcata, perché il capitolo afferma che gli scontri diretti venivano evitati all’inizio e che mancava una strategia navale ben definita, quando poi descrive l’ascesa delle marinerie italiane con piani navali strategici e ammiragli esperti?
Il capitolo presenta un’apparente contraddizione tra l’iniziale assenza di strategia e scontri diretti e il successivo sviluppo di tattiche organizzate e piani navali strategici, soprattutto con l’ascesa delle marinerie italiane. Questa transizione necessita di un’analisi più approfondita delle cause che hanno portato da una fase di “evitamento” a una di pianificazione e scontri decisivi. Per colmare questa lacuna, sarebbe utile approfondire la storiografia relativa alle specifiche campagne navali e alle figure di ammiragli che hanno segnato questo cambiamento, magari consultando opere che analizzino l’impatto delle innovazioni tecnologiche e delle strutture politiche ed economiche sull’evoluzione della strategia navale. Autori come John H. Pryor potrebbero offrire spunti interessanti per comprendere meglio le dinamiche del Mediterraneo medievale.Abbiamo riassunto il possibile
Se vuoi saperne di più, devi leggere il libro originale
Compra il libro[sc name=”1″][/sc] [sc name=”2″][/sc] [sc name=”3″][/sc] [sc name=”4″][/sc] [sc name=”5″][/sc] [sc name=”6″][/sc] [sc name=”7″][/sc] [sc name=”8″][/sc] [sc name=”9″][/sc] [sc name=”10″][/sc]