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Informazioni
“Geoanarchia. Appunti di resistenza ecologica” di Matteo Meschiari ti porta a pensare la crisi ecologica e la resistenza in un modo completamente nuovo, lontano dalle solite idee politiche o ambientaliste. Il libro suggerisce che la vera libertà e la capacità di resistere al disastro ambientale non si trovano nelle vecchie forme di anarchia o nella lotta contro il sistema dall’interno, ma uscendo completamente e riconnettendosi alla terra stessa. È un’esplorazione della “geoanarchia”, un metodo che vede il paesaggio fisico, la geologia, i luoghi primari come scogliere o sottoboschi, non solo come sfondo, ma come una sorgente di pensiero, immaginazione e libertà. Meschiari guarda all’arte preistorica, ai geografi anarchici come Reclus e Kropotkin, e a figure come Rimbaud, per mostrare come l’immaginazione e il contatto diretto con il terreno siano fondamentali. Camminare, sentire, guardare il paesaggio, persino confrontarsi con la “wilderness” come qualcosa di totalmente estraneo, diventa un modo per pensare diversamente, per sviluppare una “logica del terreno” che va oltre i concetti astratti. In un mondo che pota gli alberi in modo assurdo e pensa solo al breve termine, questo libro propone di riscoprire il potenziale delle immagini e del corpo per trovare una resistenza ecologica radicata nella terra stessa, riscoprendo l’anarchia come qualcosa di geografico, non solo storico.Riassunto Breve
Il futuro si presenta con una terra degradata dal crollo degli ecosistemi, dove la sola tecnica non basta per resistere; serve coraggio e ispirazione. Come i cacciatori-raccoglitori di 40.000 anni fa sopravvissero alla glaciazione creando immagini, l’arte preistorica non era solo estetica ma una tecnica di sopravvivenza, raffigurando utopie di un mondo diverso o senza l’uomo, dove l’animale era il primo “altro” e la grotta un “altrove”. Questo contrasta con il comportamento umano attuale, che danneggia la terra con pratiche miopi come la potatura assurda, guidate da un’economia a breve termine e una diffusa mancanza di buonsenso. Per rimediare all’impatto servirebbero programmi lunghissimi, ma le preoccupazioni non vanno oltre la generazione attuale. La resistenza richiede coraggio nell’inventare storie e immagini che funzionano come specchi delle differenze, uscendo dagli schemi culturali. Si resiste immaginando utopie del presente che salvano la mente. Geografi come Reclus e Kropotkin sono attuali per il loro metodo che integra scienza, politica e immaginazione, vedendo il problema sociale legato alla terra e usando un linguaggio ricco di immagini per pensare. La lotta decisiva è una lotta di immagini, e la geoanarchia è un metodo per trarre libertà di pensiero dalla terra stessa. L’anarchia storica, fatta di dibattiti e proteste, non offre più una via efficace, essendo intrappolata nel sistema che critica. La vera alternativa è uscirne completamente, allontanandosi non solo dalle strutture sociali ma anche dalle proprie insoddisfazioni. La libertà non si trova nella critica di dio, padrone o stato, ma nella terra stessa, intesa nella sua oggettività fisica. La vera anarchia è geografica, non storica. Pensare la terra riporta alle origini della libertà e dell’immaginazione. Camminare in un paesaggio naturale rompe le abitudini e rivela norme variabili. L’arte scollegata dall’ecosistema contribuisce all’alienazione, mentre un’arte che osserva la terra aiuta a manifestare il mondo reale e riscoprire il legame tra paesaggio materiale e mentale. La mente si organizza come i paesaggi, e l’abbandono della terra causa distruzione interiore ed esteriore. Il primario si trova nell’osservare la terra. La libertà è la terra. Il giardino è una reazione umana per controllare la natura, riflettendo il desiderio di dominio. Esistono spazi urbani non definiti, come il Quarto spazio, che sfuggono al controllo e stimolano l’immaginazione. Un diverso tipo di giardino, il giardino nomade, include il selvatico e spinge a pensare, confrontandosi con rischio e fatica. Il selvatico ha un ordine proprio, un sistema di macchie di crescita. Comporre un giardino nomade significa lavorare con queste dinamiche, prevedendo le variazioni. Il paesaggio non è solo oggetto di studio, ma un metodo per pensare. La mente ha una capacità naturale di pensare in modo “paesaggistico”, usando la configurazione dinamica del paesaggio come modello cognitivo per affrontare problemi complessi. Le qualità del paesaggio (leggerezza, rapidità, esattezza, visibilità, molteplicità) diventano strumenti per riscoprire facoltà intuitive e ripensare la trasmissione del sapere. È necessario riconnettersi ai paesaggi primari, luoghi non trasformati, accogliendo la loro metamorfosi. L’interazione avviene camminando (connessione ai ritmi), immaginando (dinamiche invisibili), guardando (dettagli), toccando (corpo, confini), ascoltando (spazio tramite suoni). Dopo l’esperienza sensoriale, la logica del paesaggio è presente nella superficie stessa, tra il piede e il terreno, tra l’immagine e la realtà fisica. C’è bisogno di tornare al terreno elementare e complesso, uscendo dagli spazi profani e virtuali. Camminare il terreno mette in movimento lo spazio, permette di riconoscere ritmi e cercare connessioni. Il terreno ha profondità in superficie, mostrando la sua complessa tessitura (es. scogliera, sabbia, sottobosco). Ricordare un paesaggio primario significa averlo dentro di sé, e trasformarlo in racconto aiuta a preservarlo. Scrivere e camminare sono modi per connettersi a uno spazio che non può essere alterato, come gli alberi. Un albero potato mostra un movimento negato, un’idea di limitazione. L’albero disorienta, la sua complessità sfugge alla parola, è una figura del cosmo come spazio abitabile. Camminare è un’esperienza diretta dello spazio, un “fare luogo”, un radicarsi attraverso il corpo. È una forma di pensiero, una “logica del camminatore” che trascende le antinomie e rivela una realtà dinamica. La camminata introduce un divenire spazializzato, permette di percepire il “vuoto” come ambiente per il pensiero e ricolloca il fenomeno in uno scenario cosmologico. Camminare serve a elaborare idee e cambiare prospettiva, reimmergendo i concetti nel vissuto. Questo implica cercare modi di espressione più diretti oltre la scrittura. Il caso di Rimbaud mostra il passaggio da una poesia sull’io a una connessione con la terra, un tentativo di creare spazio attraverso l’esperienza del deserto e del movimento, interrotto dalla malattia. La Wilderness non è compresa tramite narrazioni comuni; è una “massa mancante”, qualcosa di essenzialmente estraneo e irredimibile, come un cubo di cemento inaspettato che si può solo aggirare. Questa esperienza è un confronto con il limite, un “non-oltre” che porta all’annullamento biologico. Questa non-idea coincide con il poetico prima della parola. Wilderness e poetico sono inumani, intraducibili, incondivisibili, indisponibili. Hanno valore perché costringono a confrontarsi con le Terre Esterne, riconoscendo l’abisso nella realtà circostante.Riassunto Lungo
1. Immagini e Terra: Radici della Resistenza
Il futuro porta con sé una terra segnata dal crollo degli ecosistemi. Per affrontare questa realtà, la sola tecnica non basta; serve una mente capace di coraggio e ispirazione.Le lezioni dal passato lontano
I cacciatori-raccoglitori di quarantamila anni fa, ad esempio, riuscirono a sopravvivere alla glaciazione non solo grazie ai loro strumenti, ma anche creando immagini. L’arte preistorica, come quella trovata nelle grotte, non era arte nel senso moderno, ma una vera e propria tecnica di sopravvivenza. Le immagini raffiguravano animali in modo astratto, rappresentando idee di animali, quasi come prime utopie di un mondo senza l’uomo o con un rapporto diverso. In queste rappresentazioni, l’essere umano appare spesso fragile. Questa utopia funzionava come un “come se”, un esercizio per immaginare il possibile, vedendo l’animale come il primo “altro-da-sé” e la grotta come un “altrove” protetto.Il problema del presente
Questo modo di pensare contrasta fortemente con certi comportamenti umani di oggi, come la potatura degli alberi fatta in modo assurdo, che li danneggia solo per ottenere un piccolo risparmio immediato. Questa pratica dimostra una mancanza di buonsenso e una diffusa tendenza a delegare le decisioni, rivelando un’inclinazione umana verso soluzioni drastiche e miopi, spesso guidate solo da ragioni economiche. Per rimediare all’impatto negativo sulla terra servirebbero programmi che durano migliaia di anni, ma le preoccupazioni attuali raramente vanno oltre la generazione dei propri figli.La forza dell’immaginazione per resistere
Resistere alla crisi richiede coraggio, che si trova nell’inventare storie e immagini. Queste funzionano come specchi che riflettono le differenze, proprio come l’animale dipinto sulle pareti della grotta era un riflesso per il cacciatore. C’è un bisogno profondo di queste immagini per rimanere fedeli a sé stessi, riuscendo a uscire dagli schemi culturali e ideologici imposti. Si resiste immaginando utopie che non sono una fuga dalla realtà, ma che si radicano nel presente, salvando così la mente.Esempi dal passato: Reclus e Kropotkin
Figure come i geografi anarchici Reclus e Kropotkin sono ancora oggi molto attuali, non solo per le loro idee, ma soprattutto per il loro metodo. Essi univano scienza, politica e immaginazione, comprendendo che i problemi sociali erano strettamente legati alla terra. Il loro linguaggio era ricco di immaginazione, intesa come la capacità di usare le immagini per pensare, anche in modo razionale e scientifico. Nelle scienze e nella politica si cerca oggi un linguaggio fatto di immagini che sappia andare oltre i semplici numeri, recuperando così un potenziale descrittivo ed empatico. La lotta più importante oggi è una lotta di immagini. Reclus e Kropotkin, stando a stretto contatto con la terra, trovavano le parole giuste per i loro discorsi sociali. La geoanarchia si presenta quindi come un metodo per trovare nuove idee e libertà di pensiero direttamente dalla terra stessa.Davvero l’arte preistorica era solo una ‘tecnica di sopravvivenza’, o questa lettura serve solo a giustificare l’idea che oggi basti ‘immaginare’ per resistere?
Il capitolo fonda gran parte della sua argomentazione sulla presunta funzione primaria dell’arte preistorica come mera “tecnica di sopravvivenza” legata all’immaginazione. Questa interpretazione, per quanto affascinante, è solo una tra le molte proposte dagli studiosi e non gode di consenso unanime. Attribuire all’arte delle caverne una funzione così univoca e strumentale rischia di semplificare eccessivamente un fenomeno culturale complesso e di utilizzarla come premessa per una tesi sulla necessità dell’immaginazione nella crisi attuale. Per valutare la solidità di questa base argomentativa, sarebbe utile approfondire le diverse teorie sull’origine e la funzione dell’arte preistorica, esplorando i lavori di archeologi e antropologi che si occupano di simbolismo e cognizione umana antica. Comprendere la complessità del passato è fondamentale per non costruire tesi sul presente basate su letture riduttive.2. La Terra come Sorgente di Libertà
L’anarchia storica, fatta di dibattiti, federazioni e proteste, non offre più una strada efficace verso la libertà. Questa forma di anarchia appare intrappolata nel sistema che cerca di criticare, finendo per diventarne parte. L’energia impiegata in queste battaglie sembra sprecata, portando solo a un senso di sconfitta e isolamento. La vera alternativa non è combattere il sistema stando al suo interno, ma uscirne completamente. Questo richiede di allontanarsi non solo dalle strutture sociali e politiche che ci circondano, ma anche dalle nostre stesse insoddisfazioni e dai miti del passato che ci portiamo dietro. La libertà non si trova nella critica continua di idee come dio, padrone o stato, che esistono solo nella mente delle persone, ma in qualcosa di profondamente diverso e concreto.La Terra come Vera Sorgente di Libertà
Questa sorgente di libertà è la terra stessa, intesa nella sua realtà fisica e oggettiva: la geologia, i paesaggi, la materia sotto i nostri piedi. Non si tratta di un approccio legato all’ambientalismo o a una visione romantica della natura, ma del riconoscimento che i principi fondamentali dell’anarchia sono già presenti nelle dinamiche della terra. La vera anarchia, quindi, è geografica, non storica. Pensare la terra significa riportare la riflessione alle origini stesse della libertà e dell’immaginazione umana. Camminare in un paesaggio naturale, come una scogliera battuta dal vento o un vasto deserto, impone un modo di muoversi e di pensare che rompe con le nostre abitudini consolidate e le idee preconcette, rivelando che le norme che crediamo immutabili sono in realtà temporanee e variabili.L’Arte e il Legame con la Terra
Anche l’arte è strettamente connessa a questa visione profonda. Un’arte scollegata dall’ecosistema in cui viviamo risulta astratta e contribuisce all’alienazione delle persone. Al contrario, un’arte che osserva attentamente la terra, come quella che troviamo in culture non ancora alienate, aiuta a mostrare il mondo reale per quello che è e a riscoprire il legame essenziale tra il paesaggio materiale che ci circonda e il paesaggio mentale dentro di noi. La nostra mente si organizza e prende forma proprio come i paesaggi che osserviamo, e l’abbandono della terra è una delle cause principali della distruzione che vediamo sia dentro di noi che nel mondo esterno. Il primario, ciò che è davvero fondamentale e originale, non si trova nel primitivo in sé, ma nella capacità di osservare la terra con occhi nuovi. La libertà non è l’anarchia che conosciamo dalla storia, ma la terra stessa.Affermare che la libertà “è” la terra non rischia di confondere un concetto filosofico-politico con una realtà fisica, eludendo la complessità della condizione umana e delle sue strutture sociali?
Il capitolo propone un’equazione forte tra libertà e realtà fisica della terra, liquidando l’anarchia storica come inefficace. Tuttavia, non viene chiarito il meccanismo logico o filosofico che permette di passare dalla descrizione di un paesaggio geologico a un principio di libertà o anarchia applicabile all’esistenza umana e alle sue interazioni. La libertà è tradizionalmente intesa come una condizione legata alla volontà, alla scelta, all’assenza di coercizione, concetti che operano su un piano diverso dalla mera materialità. Per approfondire questo scarto e comprendere meglio le diverse accezioni di libertà e anarchia, può essere utile confrontarsi con autori che hanno esplorato a fondo questi temi, sia dal punto di vista della filosofia politica, come Isaiah Berlin, sia da quello del pensiero anarchico storico, come Peter Kropotkin.3. Paesaggi del Pensiero Nomade
Un giardino nasce come risposta umana alla natura selvaggia, un tentativo di metterla in ordine e controllarla. Rappresenta il desiderio di dominio dell’uomo sulla natura e su sé stesso. Se un giardino non viene curato, perde questa sua funzione originale.Diversi modi di concepire gli spazi
Esistono anche spazi urbani che sfuggono a questa definizione, come il Quarto spazio. Questo luogo non ha una funzione economica o sociale precisa, è aperto e non controllato. È quasi inaccessibile, un vuoto che stimola l’immaginazione e rappresenta ciò che è informe e difficile da afferrare. Costituisce un limite sia per il corpo che per la mente, un’area che resiste all’organizzazione e alla definizione chiara, mantenendo un carattere sfuggente e misterioso all’interno del tessuto urbano.Il giardino nomade e il selvatico
Un approccio diverso è quello del giardino nomade, che non cerca di eliminare la natura selvaggia ma la accoglie. Questo tipo di giardino non offre solo un senso di tranquillità, ma invita alla riflessione e all’immaginazione. Spinge a confrontarsi con aspetti della vita che gli spazi più controllati tendono a nascondere, come il rischio e la fatica. Non è un luogo semplicemente abbandonato, ma un luogo dove il selvatico si manifesta attraverso la crescita spontanea delle piante, mostrando un ordine interno fatto di dinamiche complesse.Le dinamiche del giardino nomade
Il selvatico ha un suo ordine intrinseco, descritto come un sistema di “macchie” che crescono e interagiscono secondo ritmi complessi. Queste macchie di crescita sono la manifestazione visibile di processi profondi e interconnessi. Creare un giardino nomade significa lavorare insieme a queste dinamiche naturali. Richiede di prevedere come le forme, le masse, i colori e i tempi di crescita delle piante varieranno nel corso delle stagioni e degli anni. L’intervento umano si concentra sulla scelta delle specie vegetali e sulla previsione del loro sviluppo, creando così una sorta di narrazione che si evolve nel tempo.Il paesaggio come strumento di pensiero
Il paesaggio non è solo qualcosa da osservare o studiare, ma può diventare un vero e proprio metodo per pensare. La mente umana possiede una capacità naturale di pensare in modo “paesaggistico”, una facoltà che si è sviluppata attraverso l’interazione millenaria con l’ambiente naturale. Questo modo di pensare è diverso dalla logica tradizionale e usa la configurazione dinamica del paesaggio come modello per affrontare problemi complessi. Permette di cogliere le interconnessioni e le evoluzioni, offrendo una prospettiva più ampia e flessibile.Le qualità del pensiero paesaggistico
Pensare usando il paesaggio come riferimento significa applicare le sue qualità come modelli cognitivi. La leggerezza del paesaggio può aiutare a semplificare teorie complicate. La rapidità permette di cogliere sia l’insieme che i dettagli contemporaneamente. L’esattezza si trova nella concretezza delle cose osservate. La visibilità valorizza il pensiero che si basa sulle immagini e sulle configurazioni visive. La molteplicità offre un approccio adatto a realtà complesse e sfaccettate. Il paesaggio diventa così uno strumento potente per riscoprire facoltà cognitive intuitive e per ripensare i modi in cui il sapere viene trasmesso e compreso.Ma in che modo un’azione fisica come il camminare può essere definita una “logica” o una forma di “pensiero” distinta da quella razionale, e quali basi concrete sostengono l’idea che riveli un “cosmo”?
Il capitolo introduce concetti suggestivi legando il cammino alla percezione dello spazio e a una forma di conoscenza non razionale, ma la natura esatta di questa “logica del camminatore” e il meccanismo attraverso cui essa rivelerebbe un “cosmo” rimangono poco definiti. Per esplorare meglio questi temi, sarebbe utile approfondire la filosofia della percezione e del corpo, come la fenomenologia, e gli studi antropologici sul rapporto tra movimento, ambiente e conoscenza in diverse culture. Autori come Merleau-Ponty o Ingold offrono prospettive rilevanti su come il corpo e l’azione siano intrinsecamente legati alla nostra comprensione del mondo.6. Il Cubo Estraneo
Camminare è un modo per elaborare idee e cambiare il punto di vista nella ricerca. Il movimento del corpo permette di riportare i concetti nella realtà vissuta, sentendoli e potendoli correggere. Questo implica che, a un certo punto, si sente la necessità di chiudere le fasi di studio teorico. Si cercano allora forme di espressione più dirette, andando oltre la sola scrittura per capire e comunicare. È un bisogno di reimmergere il pensiero nel vissuto concreto.L’esempio di Arthur Rimbaud
Si osserva il caso di Arthur Rimbaud, che da poeta diventa esploratore in Africa. I suoi anni africani, dal 1880 al 1891, sono importanti perché segnano il passaggio da una poesia concentrata su se stesso a un legame profondo con la terra. Questo cambiamento è visto come una critica verso il suo lavoro precedente e un tentativo di creare vuoto e spazio, vivendo l’esperienza del deserto e del movimento. Purtroppo, la malattia e l’amputazione interrompono questo percorso. Il suo spazio fisico si trasforma così in assenza.
Cos’è la Wilderness
La Wilderness non si capisce attraverso discorsi o storie comuni. Non è semplicemente natura intatta o paesaggi selvaggi come li immaginiamo di solito. La Wilderness è una “massa mancante”, qualcosa che per l’uomo è fondamentalmente estraneo e non può essere recuperato o addomesticato. È descritta come un cubo di cemento che compare all’improvviso in posti inattesi: non si può spostare né capire. Si può solo girarci intorno, e questo ne mostra la totale diversità e stranezza rispetto a noi.
L’incontro con il limite
Vivere la Wilderness significa confrontarsi con un limite, un punto invalicabile, un “non-oltre” che porta quasi a un annullamento fisico o biologico. Questa non è un’idea nel senso usuale, ma un concetto basato sul non-essere, che si lega a ciò che è poetico prima che diventi parola. La Wilderness e questo senso di poetico sono qualcosa di non umano, che non si può tradurre, condividere o avere a disposizione. Il loro valore sta proprio nel costringere la persona a misurarsi con queste “Terre Esterne”. Questo confronto porta a vedere e riconoscere l’abisso che esiste nella realtà di tutti i giorni.
Se la Wilderness è, per definizione, qualcosa di “non umano, che non si può tradurre, condividere o avere a disposizione”, come può il capitolo parlarne, descriverla e persino usare un esempio umano come Rimbaud per illustrarla? Non è forse questa una contraddizione fondamentale?
Il capitolo presenta la Wilderness come un concetto radicalmente estraneo e inaccessibile alla comprensione umana e al linguaggio. Tuttavia, nel tentativo di definirla e spiegarla, il testo utilizza inevitabilmente categorie umane e narrative, come l’esempio di Rimbaud o la metafora del “cubo di cemento”. Questa apparente incoerenza solleva interrogativi sulla possibilità stessa di afferrare concetti che si pongono al di là del dominio umano e linguistico. Per esplorare questa tensione, si potrebbe approfondire la filosofia del linguaggio e la fenomenologia, che indagano i limiti della rappresentazione e dell’esperienza. Utile sarebbe anche confrontarsi con autori che hanno esplorato il rapporto tra l’indicibile e la sua espressione, o che hanno offerto interpretazioni alternative del rapporto uomo-natura, magari nell’ambito dell’ecocritica.Abbiamo riassunto il possibile
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