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Informazioni
“Fondamenti di grammatica norvegese La lingua e la sua storia, fonetica, morfologia e sintassi” di Roberto Pagani è un libro che ti porta dentro il mondo della lingua norvegese, esplorando non solo le regole ma anche la sua storia affascinante, dalle origini nel proto-norreno fino alla situazione attuale con i due standard, bokmål e nynorsk. Non è la solita grammatica noiosa; ti spiega come funziona la pronuncia norvegese, anche con l’aiuto dell’IPA, e ti guida attraverso la struttura frase norvegese, i verbi norvegesi (passato, modali, passivo), gli aggettivi norvegesi e i possessivi norvegesi. È un viaggio che mostra come una lingua si evolve e perché certe forme, anche irregolari, restano vive. Se vuoi capire davvero il norvegese, questo libro sembra un ottimo punto di partenza per padroneggiare i fondamenti di grammatica norvegese in modo chiaro e completo.Riassunto Breve
Il norvegese è una lingua germanica settentrionale parlata da circa cinque milioni di persone, importante per accedere alla cultura e a settori specifici del paese. Appartiene alla famiglia indoeuropea, con legami lessicali con l’italiano, e si è sviluppato dal proto-norreno e poi dal norreno occidentale. Dopo l’unione con la Danimarca, il danese divenne ufficiale, influenzando lo sviluppo linguistico. Nel XIX secolo, il dibattito sull’identità nazionale portò alla creazione di due standard scritti: il *bokmål*, basato sul danese adattato alla pronuncia norvegese, e il *nynorsk*, derivato dai dialetti occidentali per richiamare il norreno antico. Oggi coesistono questi due standard, con il *bokmål* più diffuso, mentre nel parlato si usano ampiamente i dialetti locali. La scrittura è generalmente coerente con la pronuncia, usando anche le lettere Æ, Ø, Å. La pronuncia è caratterizzata dalla distinzione tra vocali brevi seguite da consonanti lunghe (doppie) e vocali lunghe seguite da consonanti brevi, una differenza che cambia il significato delle parole. Alcune combinazioni di lettere hanno suoni specifici, come sj, skj, sk+i, sl, sn che suonano come la ‘sc’ italiana di scena, gj come una ‘i’ semivocalica, e kj con un suono fricativo palatale sordo. La lettera h è muta davanti a v e j in alcune parole, e la d scompare dopo l o n. La lettera r può influenzare le consonanti vicine rendendole retroflesse, anche se molte regole di pronuncia variano significativamente tra i dialetti. Nella formazione del plurale dei nomi, maschili e femminili aggiungono -er all’indeterminato, mentre i neutri monosillabici restano invariati; il determinato plurale per tutti i generi usa -ene, con diverse eccezioni e irregolarità. La frase affermativa standard segue l’ordine Soggetto-Verbo-Oggetto. Quando un altro elemento inizia la frase, il verbo si sposta in seconda posizione e il soggetto in terza. Le interrogative si formano invertendo soggetto e verbo. Il passato (preterito) si usa per azioni concluse e si forma in modi diversi per quattro gruppi di verbi regolari e per i verbi irregolari, che spesso cambiano la vocale della radice. Diverse preposizioni collegano gli elementi della frase, indicando provenienza, posizione, tempo, compagnia, argomento, ecc. Gli aggettivi hanno forme indeterminate (base, +t per neutro, +e per plurale) e determinate (+e dopo articoli den/det/de), con irregolarità e variazioni. La forma determinata si usa con nomi determinati, ma l’aggettivo torna indeterminato se separato dal nome da un verbo. Il possesso si indica aggiungendo -s al possessore. I possessivi concordano con il nome posseduto e dipendono se il possessore è il soggetto della frase (‘sin/si/sitt/sine’) o no (‘hans/hennes/deres’). I verbi modali funzionano come ausiliari per specificare il modo dell’azione e hanno forme per il passato. ‘Skal’ è l’ausiliare principale per il futuro. La voce passiva si forma con l’ausiliare ‘bli’ seguito dal participio passato (per azioni specifiche) o aggiungendo la desinenza -s al verbo (per eventi generali, spesso dopo modali). Le lingue cambiano, ma le parole frequenti mantengono spesso forme irregolari, come i verbi che usano l’apofonia per il passato. Per imparare una lingua è fondamentale la pronuncia, rappresentata dall’Alfabeto Fonetico Internazionale (IPA), che distingue tra trascrizione fonetica ([]) per i suoni reali e fonemica (//) per le unità mentali. L’IPA aiuta a capire le sfumature di pronuncia. L’apprendimento efficace richiede pratica costante e vocabolario quotidiano, che facilitano la comunicazione più di una grammatica perfetta inutilizzata.Riassunto Lungo
1. Le Due Anime del Norvegese
Il norvegese è una lingua germanica parlata da circa cinque milioni di persone. Anche se molti norvegesi parlano inglese, imparare la lingua locale è importante per vivere nel paese. Permette di capire meglio la cultura e apre opportunità, per esempio nel campo della traduzione di libri. Il valore di una lingua va oltre il numero di persone che la parlano o quanto sia utile nel lavoro; sta nella sua storia e nella cultura che porta con sé.Le Radici Antiche
La lingua norvegese fa parte della grande famiglia indoeuropea, che include anche l’italiano. Ci sono legami tra queste lingue, visibili in alcune parole importanti e nei numeri base. Il norvegese è nato dal proto-norreno, una lingua antica che conosciamo grazie a scritte antiche (rune) trovate su pietre e oggetti. Nel Medioevo, da questa lingua si è sviluppato il norreno occidentale, da cui derivano il norvegese e l’islandese. I primi scritti che usano l’alfabeto che usiamo oggi risalgono all’anno Mille circa.L’Influenza Danese
Quando la Norvegia fu unita alla Danimarca nel 1380, il danese divenne la lingua ufficiale del regno. Questo cambiamento rallentò molto lo sviluppo di una lingua norvegese standardizzata, poiché il danese era usato nell’amministrazione, nella chiesa e nella scrittura.La Nascita di Due Lingue Scritte
Nell’Ottocento, un periodo in cui si dava grande importanza al legame tra lingua e identità nazionale, nacque un forte dibattito su come creare una lingua norvegese che rappresentasse il paese. Emersero due visioni molto diverse. Una proposta portò alla creazione del riksmål, che in seguito divenne il bokmål. Questa forma scritta si basava sul danese usato in Norvegia, adattandone la grafia alla pronuncia norvegese. L’altra proposta diede vita al landsmaal, che poi fu chiamato nynorsk. Questa lingua scritta fu costruita raccogliendo elementi dai vari dialetti parlati nelle zone rurali e occidentali della Norvegia, con l’idea di riallacciarsi direttamente all’antica lingua norrena.Tentativi di Unificazione
Dopo la nascita di queste due forme, ci furono tentativi di farle avvicinare con delle riforme linguistiche. Si cercò di introdurre parole e regole grammaticali che potessero essere usate in entrambe le varianti scritte, permettendo forme alternative accettate ufficialmente. L’obiettivo era arrivare a una lingua norvegese unificata, ma questa politica di convergenza fu poi abbandonata.La Situazione Attuale
Oggi in Norvegia coesistono due forme scritte ufficiali riconosciute. C’è il bokmål, che è la forma più diffusa e usata dalla maggior parte della popolazione, circa l’85%. È la variante più vicina al danese. Accanto al bokmål c’è il nynorsk, usato dal restante 15% della popolazione, che mantiene un legame più stretto con i dialetti occidentali. È importante notare che, nella vita di tutti i giorni, la maggior parte dei norvegesi parla il proprio dialetto locale, che può variare anche molto da una regione all’altra. La scrittura norvegese, sia in bokmål che in nynorsk, è generalmente abbastanza coerente con il modo in cui le parole vengono pronunciate. L’alfabeto norvegese include anche alcune lettere che non si trovano in italiano, come Æ, Ø e Å.Ma è davvero razionale mantenere due forme scritte ufficiali per una lingua parlata da pochi milioni di persone?
Il capitolo descrive la nascita e la coesistenza di bokmål e nynorsk, ma non approfondisce le implicazioni pratiche di questa dualità o le ragioni profonde che hanno portato all’abbandono dei tentativi di unificazione. Per comprendere meglio questa situazione, sarebbe utile esplorare la sociolinguistica, in particolare i temi della pianificazione linguistica e della standardizzazione. Approfondire la storia politica e sociale della Norvegia, magari leggendo autori che si sono occupati del nazionalismo norvegese e delle politiche linguistiche, potrebbe fornire il contesto mancante.2. Suoni e Strutture Nominali
La Pronuncia Norvegese
La pronuncia delle consonanti doppie è fondamentale in norvegese. A differenza di altre lingue, le consonanti scritte doppie si pronunciano lunghe e influenzano la lunghezza della vocale precedente. Una vocale breve precede una consonante lunga, mentre una vocale lunga precede una consonante breve. Questa relazione tra lunghezza vocalica e consonantica distingue parole con significati diversi, come Tak (tetto) con vocale lunga e consonante breve, e Takk (grazie) con vocale breve e consonante lunga.Suoni Particolari
Diverse combinazioni di lettere presentano pronunce specifiche che è utile conoscere:- sj, skj, e sk seguito da i: Si pronunciano come la ‘sc’ italiana di scena [ʃ].
- sl davanti a o e sn: Si pronunciano anch’essi in modo simile [ʃ], sebbene sn possa avere una pronuncia retroflessa [ʂ].
- gj: Si pronuncia come una ‘i’ semivocalica [j].
- kj: È un suono fricativo palatale sordo [ç], che non esiste in italiano. Si articola con la lingua più avanti nel palato rispetto alla ‘sc’ italiana.
- h davanti a v e j: La lettera h è muta in certe parole, come nelle interrogative (Hva, Hvor) o in Hjem.
- d dopo l o n: La lettera d scompare, raddoppiando la consonante precedente.
- r prima di t, d, s, n, l: La lettera r può diventare retroflessa [ɽ] o scomparire, modificando la pronuncia di queste ultime in suoni retroflessi [ʈ ɖ ʂ ŋ ɭ].
Variazioni Regionali
È importante sapere che molte di queste regole di pronuncia variano significativamente tra i diversi dialetti norvegesi. Le indicazioni fornite qui si basano su uno standard, ma le pronunce locali sono spesso diverse. Nonostante queste differenze, i parlanti si capiscono tra loro. Ad esempio, in alcune aree le retroflesse non esistono affatto. Allo stesso modo, il suono [ç] può essere pronunciato in modo diverso, a volte simile alla ‘c’ di ‘ciao’.La Formazione del Plurale
Passando ai nomi, la formazione del plurale distingue tra forme indeterminate e determinate. Per i nomi maschili e femminili, la forma indeterminata plurale si ottiene aggiungendo -er. I nomi neutri monosillabici, invece, restano invariati nella forma indeterminata plurale. La forma determinata plurale per tutti i generi si forma aggiungendo la desinenza -ene. Esistono, naturalmente, eccezioni a queste regole generali, come nomi che perdono lettere nelle desinenze plurali o che hanno forme plurali irregolari.Se le variazioni regionali sono così significative, che senso ha presentare “uno standard” di pronuncia senza definirlo o spiegare la sua rilevanza pratica?
Il capitolo descrive in dettaglio regole di pronuncia basate su un presunto “standard”, per poi ammettere che queste regole variano notevolmente tra i dialetti, pur garantendo la comprensione reciproca. Questa impostazione lascia un vuoto logico: se lo standard non è universalmente applicato e la comunicazione è comunque efficace, qual è la funzione o l’origine di questo standard? Per comprendere meglio la dinamica tra standard linguistico e variazione, sarebbe utile approfondire la sociolinguistica e la dialettologia. Esplorare il lavoro di linguisti che studiano la variazione all’interno delle lingue scandinave potrebbe fornire il contesto necessario per capire come convivono norme e diversità fonetiche.3. Costruzione della frase, tempi passati e parole di collegamento
Costruzione della frase
La frase affermativa segue generalmente l’ordine Soggetto-Verbo-Oggetto, uno schema simile a quello italiano. Ad esempio: `Jeg leser ei bok` che significa “Io leggo un libro”. Un aspetto da notare è che se la frase inizia con un elemento diverso dal soggetto, come un avverbio, il verbo si sposta in seconda posizione e il soggetto in terza. Un esempio è `Nå leser jeg ei bok`, che si traduce con “Adesso leggo un libro”. Per formare le frasi interrogative, si inverte l’ordine tra soggetto e verbo, come in `Kommer du fra Norge?`, che significa “Vieni dalla Norvegia?”.Tempi passati
Il passato, chiamato preterito, si usa per parlare di azioni che si sono concluse nel passato, spesso specificando un momento preciso. I verbi regolari si dividono in quattro gruppi per creare questa forma verbale. Il primo gruppo aggiunge semplicemente `-t` alla fine del verbo base. Il secondo gruppo inserisce `-te` tra la `-e` finale e la consonante che la precede; se ci sono doppie consonanti come `g`, `k`, `p`, queste diventano singole. Il terzo gruppo aggiunge `-de` prima della `-e` finale per i verbi la cui radice contiene `v`, `g`, o `ei`; il verbo `å gjøre` (fare) è irregolare e al passato diventa `gjorde`. Il quarto gruppo aggiunge `-dde` per i verbi che hanno una sola sillaba o che finiscono con una vocale diversa da `-e`. È importante ricordare che esistono anche verbi che non seguono queste regole e sono considerati irregolari.Parole di collegamento: le preposizioni
Diverse preposizioni aiutano a collegare gli elementi all’interno di una frase, specificando relazioni di luogo, tempo o altro. Ecco alcune delle più comuni e i loro usi principali:- Av: Indica solitamente provenienza (come “da”) o appartenenza (come “di”).
- Blant: Significa “tra” o “fra” quando ci si riferisce a più di due elementi.
- Etter: Indica “dopo”.
- For: Indica “per”.
- Fra: Indica provenienza (“da”) o un punto di partenza nel tempo (“dal”).
- Før: Indica “prima”.
- I: Indica stato in luogo (“in”) o un momento preciso nel tempo (“nel”).
- Med: Indica compagnia o il mezzo con cui si compie un’azione (“con”).
- Mellom: Indica “tra” o “fra” quando ci si riferisce a due soli elementi.
- Om: Indica l’argomento di cui si parla (“a proposito di”, “circa”).
- Over: Indica una posizione superiore (“sopra”) o una quantità che supera un certo limite (“oltre”).
- På: Indica stato in luogo, spesso su una superficie o in un luogo specifico (“su”, “a”).
- Til: Indica moto a luogo (“a”, “fino a”) o possesso.
- Under: Indica una posizione inferiore (“sotto”) o la durata di un evento (“durante”).
Come si può davvero “interagire fin da subito” concentrandosi solo su suoni e lessico pratico, ignorando la grammatica?
Il capitolo contrappone l’apprendimento della grammatica a quello di suoni e lessico quotidiano, suggerendo che quest’ultimo sia sufficiente per la comunicazione immediata. Tuttavia, questa visione semplificata trascura il fatto che la capacità di combinare parole in modo significativo, anche in contesti semplici, richiede una qualche forma di struttura o regola, che è l’essenza della grammatica. L’acquisizione linguistica è un processo complesso dove lessico, fonologia e sintassi si influenzano a vicenda. Per comprendere meglio questa interazione e le diverse scuole di pensiero sulle strategie di apprendimento più efficaci, è utile esplorare il campo dell’acquisizione della seconda lingua. Approfondire le teorie proposte da autori come Stephen Krashen o Michael Long può fornire una prospettiva più sfaccettata rispetto alla dicotomia presentata nel capitolo.7. La Mappa dei Suoni: IPA
La trascrizione fonetica internazionale (IPA) si presenta in due modi principali. C’è una trascrizione più precisa, che mostra i suoni esatti che vengono pronunciati; questi suoni si mettono tra parentesi quadre, così []. Poi c’è la trascrizione che indica i fonemi, e questi si mettono tra barre oblique, così //. Il fonema è come un’idea di suono che abbiamo nella mente, è l’unità più piccola che ci aiuta a distinguere le parole. Non è un suono fisico unico, ma una specie di categoria. Infatti, lo stesso fonema può essere pronunciato in modi leggermente diversi (questi sono i “foni”) a seconda di dove si trova nella parola o dei suoni che ha vicino. Queste piccole differenze di pronuncia, in una certa lingua, non cambiano il significato delle parole.Prendiamo l’italiano /n/. Noi lo pensiamo come un solo suono “enne”. Ma quando parliamo, lo pronunciamo in almeno tre modi diversi: [n] in “pane”, con la lingua dietro i denti davanti; [ŋ] in “panca”, con la lingua più indietro, verso la gola (succede prima dei suoni /k/ e /g/); e [ɱ] in “confortevole”, con il labbro inferiore che tocca i denti sopra (questo succede prima del suono /f/ o /v/). Anche se i suoni [n], [ŋ], [ɱ] sono diversi, per noi italiani sono solo varianti dello stesso fonema /n/, non cambiano il significato delle parole.
Cosa mostrano le diverse trascrizioni
La trascrizione che usa le barre oblique (fonemica) è più semplice, mostra solo le unità di suono che distinguono le parole. Per esempio, /pane/, /panka/, /konfortɛvole/. La trascrizione che usa le parentesi quadre (fonetica) è molto più dettagliata. Ci dice esattamente come pronunciare il suono, indicando dove cade l’accento (come in [[‘päː.n̪e]]), come si dividono le sillabe (il puntino .), e anche piccoli dettagli come dove mettiamo la lingua ([n̪] e [t̪] significano che la lingua tocca i denti) o la qualità esatta delle vocali ([ä] è una “a” pronunciata un po’ più al centro della bocca).
IPA nei dizionari
Nei dizionari fatti per chi parla già quella lingua (dizionari monolingue), di solito si usa la trascrizione più semplice (fonemica). Questo perché chi usa il dizionario conosce già le regole base di pronuncia e cerca solo informazioni importanti come dove va l’accento o se una vocale è aperta o chiusa. Dettagli automatici per un madrelingua, come il fatto che la “t” italiana è dentale, non vengono quasi mai indicati. Invece, nei dizionari per chi sta imparando una lingua straniera (dizionari bilingui o per studenti), si preferisce la trascrizione dettagliata (fonetica). Per chi studia una nuova lingua, capire anche le piccole sfumature di pronuncia è fondamentale per farsi capire bene, anche se avere la trascrizione non garantisce una pronuncia perfetta come un madrelingua.
Ma siamo sicuri che il fonema sia solo un’idea nella nostra mente?
Il capitolo, pur introducendo efficacemente la distinzione tra foni e fonemi, presenta la natura del fonema in termini forse eccessivamente semplificati e legati a una visione mentalistica. Esistono diverse scuole di pensiero in fonologia che definiscono il fonema in modi differenti, non necessariamente riducibili a una mera “idea”. Per comprendere appieno questo concetto fondamentale e le sue implicazioni, è utile approfondire le diverse teorie fonologiche. Si suggerisce lo studio della fonologia strutturalista, con autori come Trubetzkoy e Jakobson, che definiscono il fonema in base alle sue relazioni oppositive all’interno del sistema linguistico, o approcci più recenti che ne esplorano la realtà da altre prospettive.Abbiamo riassunto il possibile
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