Contenuti del libro
Informazioni
“Figure, idoli, maschere” di Jean-Pierre Vernant è un libro che ti immerge nel cuore della cultura greca arcaica per svelare come gli antichi greci percepivano l’identità greca antica, un concetto molto più fluido e complesso di quello moderno. Scoprirai che la maschera greca non serviva a nascondere, ma a rivelare le molteplici sfaccettature dell’essere umano, fungendo da ponte tra il sé e l’altro. Centrale è la figura dell’eidolon, un termine che abbraccia tutto, dall’anima al doppio funerario (kolossos), dall’immagine onirica alla statua, mostrando come la loro realtà fosse intrisa di elementi visibili e invisibili, reali e fantastici. Vernant ci fa capire che l’immaginario e il mito greco non sono solo storie, ma strutture profonde che modellavano la loro percezione di memoria, spazio e tempo. Il libro esplora anche come l’arte funeraria greca, in particolare la scultura greca come stele e kouroi, e la poesia commemorativa cercassero di fissare l’eccellenza del defunto, creando un sostituto permanente che ne perpetuasse il valore. Incontrerai figure potenti e simboliche: la terrificante Gorgone, la cui maschera è uno specchio sull’aldilà; Artemide, dea che presiede ai confini tra selvaggio e civile; e soprattutto Dioniso, il dio della maschera per eccellenza, la cui epifania nel teatro greco e nella tragedia greca sconvolge le certezze e introduce l’alterità. È un viaggio affascinante per capire un modo di pensare e sentire il mondo radicalmente diverso dal nostro.Riassunto Breve
Nella cultura greca arcaica, la maschera non nasconde, ma rivela la dualità umana, fungendo da passaggio tra il sé e l’altro. L’identità si esprime attraverso l’eidolon, una categoria che unisce concetti come anima, idolo tombale, sogno, apparizione divina, statua, ombra e riflesso. Questi eidola sono realtà intermedie, partecipi del visibile e dell’invisibile. Il pensiero greco arcaico, basato sul mito, è diverso dalla razionalità moderna, includendo follia sacra e sogno, e modella diversamente percezione di memoria, spazio e tempo. Il simbolo religioso si manifesta nelle forme plastiche, con un passaggio dal non figurativo all’immagine iconica, specialmente nei riti funebri. Il kolossos, inizialmente doppio del defunto, e l’eidolon, da fantasma a simulacro, mostrano l’evoluzione dell’immagine da manifestazione soprannaturale a rappresentazione artificiale, pur legata all’assenza. Il pothos, desiderio per l’assente, evolve in memoria sociale, celebrata nei monumenti funerari come stele e kouroi, che fissano la bellezza e l’eccellenza idealizzata del defunto, superando il tempo. Queste figure non sono ritratti, ma sostituti che presentificano il morto nella sua forma ideale. La poesia commemorativa celebra una persona esistente, mentre l’epopea crea la realtà che canta; le figure funerarie si avvicinano all’epopea nel fissare l’eccellenza. Sostituti come kolossoi, eidola, e statue votive funzionano come equivalenti del corpo assente o della persona, simboleggiando cambiamento di stato o perpetuando valore. La Gorgone è una figura divina che si manifesta tramite la maschera, caratterizzata da frontalità e mostruosità, incarnando terrore (bellico, infernale) e legata al suono (grida, flauto). La sua maschera è uno specchio che confronta l’osservatore con l’aldilà, riflettendo un’immagine di alterità e morte. Artemide è una divinità dei confini tra selvaggio e civile, operando in spazi liminali. La caccia e i sacrifici a lei dedicati riflettono questa ambivalenza. Guida i giovani nei riti di passaggio (caccia, nozze, parto), gestendo la transizione verso la socialità. In guerra, interviene in situazioni estreme per ristabilire l’ordine, non combattendo direttamente ma proteggendo e guidando. I riti di Artemide preparano i giovani all’età adulta, civilizzando la loro alterità. Dioniso, dio della maschera, porta questi temi nella sfera pubblica e nel teatro. La sua maschera è frontale, cattura lo sguardo, e crea un rapporto immediato. L’epifania dionisiaca nel teatro è singolare, il dio si manifesta celato dalla maschera, rivelando la sua natura a chi è pronto. Dioniso confonde i confini (divino/umano, maschile/femminile, greco/barbaro), introducendo ambiguità e trasformazione. La maschera dionisiaca simboleggia questa alterità, l’assenza nella presenza, invitando a superare una visione rigida del mondo.Riassunto Lungo
1. Soglie dell’Identità: Maschere, Eidola e l’Immaginario Greco
La Maschera come Rivelazione nella Cultura Greca
La maschera non serve a nascondere, ma a mostrare la natura doppia dell’uomo. È come una porta che collega il sé e l’altro. Nell’antica Grecia, l’identità si esprimeva attraverso l’ “eidolon”. Questa parola antica includeva diverse cose che sembrano separate tra loro: l’anima, le statue in memoria dei defunti, le immagini dei sogni, le apparizioni degli dei, le statue normali, l’ombra e il riflesso. Questi eidola non erano semplici rappresentazioni, ma qualcosa di intermedio tra due mondi. Stavano sia nel mondo che possiamo vedere, sia in quello invisibile, tra la realtà e la fantasia, proprio come succede nei sogni.L’Importanza dell’Immaginario e del Mito
Lo studioso Vernant ha fatto notare che l’immaginario, i simboli e le credenze non sono uguali per tutti, ma cambiano nella storia e riflettono la società in cui nascono. Il mito era fondamentale nella cultura greca antica. Era ciò che teneva insieme la religione e la vita sociale. Il modo di pensare basato sui miti non è sparito con l’arrivo della ragione, ma ha continuato a influenzarla profondamente. Quindi, la ragione dei Greci comprendeva anche cose come la follia sacra e i sogni. Era una idea di ragione più ampia di quella che abbiamo oggi. La mentalità dei Greci antichi era molto diversa dalla nostra e influenzava il modo in cui vedevano concetti importanti come la memoria, lo spazio e il tempo. Per capire l’identità nell’antica Grecia, che è molto diversa dalla nostra, è quindi essenziale capire il significato simbolico delle immagini del divino, come la maschera di Artemide.Ma è davvero utile ridurre l’identità greca antica a un concetto così vago e onnicomprensivo come quello di “eidolon”?
Il capitolo presenta l’ “eidolon” come chiave interpretativa dell’identità greca, ma la sua definizione appare talmente ampia da rischiare di diventare un contenitore indistinto di fenomeni diversi. Si potrebbe chiedere se questa generalizzazione eccessiva non finisca per oscurare le specificità e le sfumature del pensiero greco. Per rispondere a questa domanda, sarebbe utile approfondire le opere di studiosi come Vernant, che ha analizzato in profondità l’immaginario greco, cercando di distinguere le diverse componenti che lo costituiscono, piuttosto che appiattirle in un’unica categoria concettuale.2. L’Immagine Assente: Dal Doppio all’Icona Funeraria
Dal simbolo non figurativo all’immagine iconica
In Grecia antica, la religione non si esprime solo con le parole, ma anche attraverso immagini molto potenti. Si nota un cambiamento importante: si passa dai simboli che non rappresentano figure concrete alle immagini iconiche, soprattutto nei riti funebri. La parola “kolossos” è un esempio di questo cambiamento. All’inizio, “kolossos” indicava una specie di “doppio” del defunto, un sostituto che faceva capire l’assenza della persona morta. Il kolossos, come la psyche (l’anima), mostra la strana idea di un morto che è presente proprio perché non c’è più. Però, la psyche è qualcosa di impalpabile e difficile da definire, mentre il kolossos è qualcosa di fisico e che dura nel tempo.L’evoluzione del termine “eidolon”
Anche analizzando la parola “eidolon” si capisce questa evoluzione. All’inizio, “eidolon” significava fantasma o doppio immateriale, ma poi ha iniziato a indicare una copia, una rappresentazione, un’immagine. In origine, “eidolon” descriveva apparizioni soprannaturali, come le ombre dei morti. Poi, piano piano, ha preso a significare una rappresentazione fatta apposta, anche se conservava l’idea di qualcosa di non vero e di apparenza ingannevole. Questo cambiamento nel significato mostra come è cambiata l’idea dell’immagine: da qualcosa che manifesta il soprannaturale a qualcosa creato dall’arte.Il ruolo del “pothos” nei riti funebri
Il “pothos”, cioè il desiderio forte per chi non c’è più, è molto importante nei riti per i morti. Il pothos rappresenta il ricordo affettuoso della persona scomparsa, ma si trasforma anche in una memoria collettiva più ampia, che celebra la gloria degli eroi. In questo contesto, per ricordare i defunti, nascono i monumenti funebri, in particolare le stele decorate con figure e le statue di giovani uomini (kouroi) del VI secolo avanti Cristo. Queste immagini del “bel morto” non celebrano tanto le imprese eroiche, ma soprattutto la bellezza e la giovinezza ideali della persona scomparsa, rese eterne nella pietra.Dalla memoria orale al monumento visivo
In questo periodo, il modo di ricordare i morti cambia: non si usa più solo la tradizione orale delle storie epiche, ma si creano monumenti visibili. La scultura funeraria diventa un modo per far durare nel tempo la fama della singola persona, specialmente tra gli aristocratici. In questo ambiente sociale, la bellezza del corpo diventa simbolo di valore e di importanza sociale. La figura scolpita sulla stele, come le parole di una poesia, vuole sfuggire all’azione del tempo, offrendo una forma di immortalità attraverso l’immagine e il ricordo.È davvero così lineare il passaggio dal simbolo non figurativo all’immagine iconica nei riti funerari greci, come suggerisce il capitolo?
Il capitolo presenta una transizione quasi didascalica, ma è lecito interrogarsi se la realtà storica sia stata effettivamente così netta e priva di sfumature. Forse sarebbe utile esplorare con maggiore attenzione le persistenze di forme simboliche non figurative anche in epoche successive, o le possibili sovrapposizioni e contaminazioni tra i diversi modi di rappresentare il defunto. Per una comprensione più articolata, si suggerisce di approfondire studi sull’antropologia della religione greca e sull’iconografia funeraria, consultando autori come Walter Burkert e John Boardman, per cogliere la complessità e le stratificazioni culturali che il capitolo sembra semplificare.3. La Parola Poetica e il Simulacro Funerario
Poesia commemorativa e poesia epica: due modi di cantare la realtà
La poesia commemorativa e la poesia epica sono due forme di canto molto diverse, soprattutto per come si rapportano alla realtà. Nella poesia commemorativa, il canto celebra una persona realmente esistita. Lo fa lodandola e usando spesso paragoni con figure eroiche. È importante notare che in questo tipo di poesia c’è sempre una differenza tra la persona cantata, che è una persona vera con le sue qualità, e il canto stesso, che invece è fisso e celebrativo. Il canto, in questo caso, ha il compito di abbellire e rendere memorabile una persona che esiste già, indipendentemente dal canto.La creazione della realtà nell’epica
L’epopea, invece, è diversa: crea la realtà che racconta. Le imprese eroiche narrate nell’epica non esistono al di fuori del racconto stesso. Eroi come Achille ed Ettore sono figure che conosciamo grazie alla tradizione epica. Esistono nella nostra memoria collettiva proprio perché sono stati raccontati dai poemi epici. Quindi, il canto epico non imita una realtà preesistente, ma la crea, la rende visibile e la porta alla luce, strappandola all’oblio.Le figure funerarie: un ponte tra poesia e scultura
Le figure funerarie, come le stele e i kouros, si avvicinano al modo di fare dell’epopea. Queste sculture non rappresentano il defunto come era nella vita di tutti i giorni, ma mostrano la sua eccellenza, il suo valore più alto, fissandolo per sempre nella memoria. Non sono ritratti realistici, ma piuttosto simboli che rendono presente il morto nella sua forma ideale. All’inizio, la poesia commemorativa si paragonava alla scultura per sottolineare la propria concretezza e durata nel tempo. Successivamente, però, Platone cambierà questa idea, vedendo l’immagine scolpita come una rappresentazione meno vera e quindi svalutando la poesia rispetto alla filosofia.Sostituti del defunto: kolossoi, eidola e statue votive
Nel contesto dei riti funebri, spesso si usavano dei sostituti per rappresentare la persona morta. Questi sostituti potevano essere i kolossoi e gli eidola. È importante capire che non si tratta di immagini nel senso di riproduzioni fedeli e realistiche del defunto. Sono piuttosto dei “corrispondenti”, degli “equivalenti” che prendono il posto del corpo che non c’è più. Ad esempio, l’eidolon del re spartano non era un ritratto preciso, ma un simbolo necessario per compiere correttamente i riti funebri. Questa idea di equivalenza e sostituzione si vede anche in altri contesti, come nel riscatto dei prigionieri o quando si pesa il corpo di Ettore usando l’oro: in questi casi, il valore del guerriero viene equiparato al peso dell’oro.La statua funeraria: memoria e valore perpetuati
Anche le statue votive, come quelle che venivano offerte dagli arconti ateniesi, funzionavano in modo simile, come sostituti. Offrire una statua d’oro era come riscattare la propria persona in caso di spergiuro, simboleggiando un cambiamento di condizione e un distacco dal passato. Allo stesso modo, le statue funerarie celebravano il compimento della vita del defunto, la sua eccellenza definitiva, il valore più alto raggiunto nella sua vita. La bellezza di queste figure non è tanto una copia della realtà, ma piuttosto un modo per prolungare e rendere eterna la bellezza e il valore del defunto. Grazie al monumento funebre, la figura del morto viene fissata per sempre nella memoria. La statua funeraria diventa quindi un sostituto permanente, che continua a parlare in nome e al posto del defunto, mantenendone vivo il ricordo e il valore nel tempo.Ma queste interpretazioni dei miti di Artemide e Dioniso sono le uniche possibili, o esistono altre prospettive che il capitolo trascura?
Questo capitolo sembra presentare una visione univoca dei riti e dei miti greci, concentrandosi su un’interpretazione specifica del sacrificio, del passaggio di età e del ruolo delle maschere. Tuttavia, l’interpretazione dei miti antichi è un campo complesso e dibattuto. Per avere un quadro più completo, sarebbe utile esplorare diverse scuole di pensiero e autori che hanno analizzato questi temi da angolazioni differenti. Approfondire autori come Walter Burkert o Mircea Eliade, che hanno offerto interpretazioni diverse dei rituali greci, potrebbe arricchire la comprensione e fornire un contesto più ampio.7. Dioniso Mascherato: Epifania e Alterità nel Teatro Tragico
La Presenza di Dioniso nel Teatro Tragico
Nella tragedia, Dioniso non è una divinità distante, ma un protagonista che si manifesta attivamente. La sua epifania, cioè la sua apparizione, avviene direttamente sul palcoscenico. In questo modo, Dioniso si rivolge sia ai personaggi della storia che agli spettatori presenti a teatro. Dioniso si mostra in due forme diverse ma unite: come figura divina, apparendo sul theologeion, e come uomo, presentandosi in scena come uno straniero proveniente dalla Lidia. Entrambe queste rappresentazioni sono però nascoste dietro la stessa maschera.La Maschera di Dioniso: Doppio Significato
La maschera che Dioniso indossa è molto importante e ha un significato particolare. Non serve solo a far capire chi è il personaggio, ma allo stesso tempo lo nasconde e lo rivela. La maschera nasconde la vera natura divina di Dioniso a chi non è pronto a riconoscerla subito. Però, allo stesso tempo, prepara il terreno per la sua vera rivelazione. Questa ambiguità della maschera ci fa capire la natura di Dioniso, un dio che si mostra proprio nascondendosi. Dioniso ci chiede di guardare oltre quello che appare subito evidente.Il Dionisismo: Interpretazioni Diverse
Il concetto di “dionisismo” è stato interpretato in molti modi diversi, a volte criticato e rifiutato, altre volte apprezzato e celebrato. Alcuni studiosi pensano che il dionisismo sia qualcosa di estraneo alla cultura greca. Lo considerano legato a pratiche mistiche e a momenti di trance tipici della Tracia, una regione antica. Altri invece vedono il dionisismo come un tipo di esperienza religiosa particolare. Questa esperienza, anche se usa rituali di crisi e di possessione, ha come scopo un contatto interiore con il divino, diverso dalle forme più tradizionali di religione.L’Epifania Dionisiaca: Una Visione Trasformata della Realtà
L’epifania di Dioniso non è una visione normale e quotidiana. È un evento speciale che mette in dubbio il nostro modo abituale di vedere la realtà. Dioniso mescola i confini tra ciò che è divino e ciò che è umano, tra maschile e femminile, tra greco e straniero, tra ragione e follia. La sua presenza cambia l’ordine normale delle cose, portando con sé un mondo di incertezze e trasformazioni. La maschera di Dioniso diventa il simbolo di questa diversità, mostrando che qualcosa è presente anche se sembra assente, che qualcosa è nascosto anche se si manifesta. Dioniso si rivela attraverso un gioco di apparenze, magie e paradossi, invitandoci a superare una visione troppo rigida del mondo e ad accettare la complessità e il cambiamento della vita.Ma se il “dionisismo” è interpretato in modi così diversi, e persino rifiutato da alcuni studiosi, possiamo davvero considerarlo un concetto unitario e utile per comprendere la tragedia greca, o rischiamo di proiettare categorie moderne su un fenomeno antico e complesso?
Il capitolo presenta il “dionisismo” come chiave interpretativa della tragedia, ma la sua stessa definizione appare sfuggente e controversa. Se alcuni lo vedono come estraneo alla cultura greca, e altri come una forma specifica di esperienza religiosa, su quale base possiamo affermare che esista un “dionisismo” unitario e coerente? Approfondire le opere di studiosi di religioni antiche e di filosofia classica, come ad esempio autori che si sono occupati del pensiero mitico e del rituale greco, potrebbe aiutare a comprendere meglio la complessità del fenomeno dionisiaco e la sua rilevanza, o irrilevanza, per l’interpretazione della tragedia.Abbiamo riassunto il possibile
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