Contenuti del libro
Informazioni
“Fabula mistica. XVI-XVII secolo” di Michel Certeau non è la solita storia della mistica. Certeau ci porta dentro i testi mistici del Cinquecento e Seicento, esplorando come questi scritti non siano solo roba religiosa, ma veri e propri esperimenti col linguaggio e col corpo. Pensa a figure come Nicola Cusano, Giovanni della Croce, Surin o Pascal: non li vediamo solo come santi o filosofi, ma come gente che, in un’epoca di grandi cambiamenti, usava la scrittura per andare oltre i limiti, per esprimere un desiderio profondo o un “patire” che non trova parole normali. Il libro analizza come la mistica sia un “esilio” dal linguaggio comune, un incontro con l’alterità che lascia solo tracce. Si parla di sguardi che uniscono, di poesie che “cantano” e prose che provano a spiegare l’inesprimibile, di come si legge un testo non per capirlo e basta, ma per sentirci una voce nascosta. È un viaggio affascinante nel linguaggio del segreto, nella glossolalia, e persino nella traduzione della Bibbia, mostrando come la mistica metta in crisi le nostre idee su cosa sia il sapere, il corpo e la storia. È un libro che ti fa vedere la mistica non come qualcosa di lontano, ma come un modo radicale di stare nel mondo e usare le parole.Riassunto Breve
All’interno del testo allegato noterai alcuni titoli di capitoli che dovrai completamente ignorare. Ignora completamente la struttura in capitoli, e concentrati a fare un output unitario. La scrittura mistica si presenta come un allontanamento dai modi comuni di parlare e vivere, quasi un esilio. In questo movimento, si incontra un “altro”, qualcosa di diverso che si manifesta come una traccia, un segno di ciò che non c’è più o è assente. Chi studia queste cose lavora con questi resti, sapendo che non sono fatti semplici, ma il risultato di cambiamenti nella storia e nella società. Questa scrittura mette in crisi l’ordine sociale, a volte attraverso esperienze fisiche o psicologiche che vengono viste come problemi dalla società. Esprime un desiderio, un vuoto, con un linguaggio che sembra mancare, difficile da capire del tutto. Il corpo diventa il luogo dove si sente questa esperienza del linguaggio. La mistica emerge in momenti in cui le vecchie certezze, come quelle sulla Bibbia o la teologia, sono in crisi. Le scienze moderne a volte la vedono solo come un fatto personale o una malattia, perdendo di vista il suo aspetto sociale e politico. Il testo mistico è come un confine, un tessuto che rimanda a un altro significato, ed è ricevuto da chi scrive prima che da chi legge. L’incontro con l’altro dissolve i confini e rivela una perdita. La mistica si manifesta con un modo particolare di dire che si lega alle pratiche storiche e linguistiche. Un modo di conoscere si basa sul “vedere” in modo nuovo, come nell’esempio di un dipinto dove lo sguardo sembra seguire chi guarda, creando sorpresa. Per capire questa esperienza, che va oltre i sensi e la ragione, serve credere a chi la vive. Credere a quello che dice l’altro permette di capire come cose diverse possano coincidere. La geometria aiuta a pensare a questo, mostrando come un punto possa creare un cerchio o come figure diverse si avvicinino. Anche la teologia funziona così, con diversi punti di vista che si confermano a vicenda attraverso la fede. Credere nell’impossibile rende possibile capire e vedere ciò che non si vede subito. Le opere di alcuni autori mistici hanno poesie e spiegazioni in prosa. La poesia nasce da una parola improvvisa, creando bellezza, mentre la prosa cerca di spiegare, ma sa di non poter dire tutto quello che c’è nello spirito della poesia. C’è una parola speciale, il “dicho”, che ha forma e forza e illumina l’anima, apparendo in frammenti o dialoghi. La relazione tra poesia e prosa è dinamica, un tentativo di legare la storia con ciò che la supera. Interpretare questi testi in passato non era solo studiare l’influenza tra autori, ma capire come un testo viene “ricevuto”, cioè scelto e riorganizzato, diventando qualcosa di nuovo. L’esperienza spirituale si manifesta nel linguaggio, che è sempre un linguaggio “ricevuto”, influenzato dalla comunità e dalle traduzioni. L’autore mistico diventa un’autorità spirituale, la sua dottrina usa simboli e frasi che uniscono opposti per parlare dell’ineffabile. Si sviluppa una lettura spirituale che non cerca solo il senso letterale, ma usa il libro per l’esperienza personale, coinvolgendo emozioni e corpo. Questa lettura si interrompe, prende solo frammenti significativi. Il libro non è più un maestro, ma un luogo da cui si attende una voce essenziale, spostando l’attenzione dal contenuto all’atto stesso del dire. Nei testi mistici, le sofferenze non sono legate a cose precise, ma diventano un “patire” profondo che agisce sul corpo, visto come un palcoscenico. Non c’è più una divisione chiara tra chi fa e chi subisce; la persona si frammenta, diventa un luogo di opposti. Questo è legato a un percorso in cui il soggetto passa dal non sapere al volere non sapere, all’indifferenza, fino ad allineare la sua volontà a una legge più grande. Il patire diventa l’azione che coincide con ciò che deve accadere. Il percorso mistico è fatto di rotture, e i frammenti del corpo diventano segni. Frammenti di poesia o sogni sono punti di partenza per scrivere, lasciando echi che non diventano storie lineari. Sono come una voce senza linguaggio chiaro, un dire che va oltre quello che viene detto. La storia di un mistico rinchiuso per follia mostra questo: la sua malattia è un viaggio interiore, e la scrittura lo aiuta a recuperare lo spazio perduto. Il viaggio si concentra sui dettagli comuni che diventano speciali e sull’esperienza del corpo dall’interno. Il tatto e le sensazioni interne danno certezza, mentre la vista è temuta. La respirazione è vista come il punto cruciale per la comunicazione con l’altro. La scrittura, nata da un impulso, rende possibile il “poter-credere” e dà corpo al desiderio. Il corpo stesso diventa un racconto di viaggio. Riflettere sugli angeli o sulla traduzione della Bibbia esplora il rapporto tra il dire e la difficoltà di capire. Gli angeli rappresentano un “dire” che rompe l’ordine, creando possibilità dove non sembrano esserci. Questo atto, “angelizzare”, non si basa sulla verità del messaggio, ma sull’atto di parlare, rendendolo personale. L’apparizione angelica è ambigua, si basa sulla ricezione e interpretazione, diventando un segno del credere. Nel tempo, la figura dell’angelo cambia, e la sua assenza moderna permette di leggere la storia umana. Ci sono stili diversi: orale (voce) e scritto (segni sul corpo). La traduzione della Bibbia nel Seicento affronta la sfida di rendere accessibile un testo sacro ma visto come ambiguo. L’autorità interpretativa si sposta: alcuni la vedono nella Chiesa e nel traduttore che cerca il senso divino, altri nella critica testuale che analizza la perdita dell’originale e l’equivocità del linguaggio. Entrambi mostrano quanto sia difficile trasmettere un senso definitivo di fronte all’incertezza. Anche la scrittura persuasiva usa tecniche per convincere, come rovesciare gli argomenti, mostrando che Dio si nasconde ma si rivela in modi rari e segreti, come i miracoli. Capire questo richiede un “passaggio all’altro”, un andare oltre il senso ovvio, come nella lettura mistica. La struttura del testo crea un legame con chi legge e stabilizza il discorso. Parallelamente, la glossolalia è un parlare dove l’atto di fare suoni si separa dal significato. È una “finzione del dire”, un simulacro di lingua che esplora la possibilità stessa di vocalizzare. Questa pratica crea uno spazio ideale per parlare, libero dalle regole. È legata a un “dover dire” e a una “credenza” nella voce, aiutando a riattivare il parlare quando le regole normali non bastano. Le interpretazioni cercano di dare un senso, ma la glossolalia, nel suo essere senza senso e ripetitiva, ricorda l’origine del parlare, l’arte di ricominciare a dire.Riassunto Lungo
1. Tracce, esilio e l’altro nella scrittura mistica
La scrittura mistica implica un allontanamento dalle regole del linguaggio e della società. Questo uscire dalle norme porta a incontrare l’altro, qualcosa di diverso che appare come una traccia. Questa traccia è ciò che resta di qualcosa che non c’è più o che è assente. Lo storico che studia la mistica lavora con questi resti, capendo che non sono fatti veri e propri, ma il risultato di cambiamenti nella storia e nella società. Chi studia la mistica si trova su una soglia, a metà tra mondi e linguaggi diversi.Come la scrittura mistica agisce sulla società e sul corpo
La scrittura mistica sconvolge le cose, crea disagio nella società. Lo fa attraverso esperienze fisiche e psicologiche che la società spesso considera malattie e cerca di controllare. Questa scrittura esprime il desiderio, visto come un vuoto o una mancanza. E lo fa con un linguaggio che sembra incompleto, difficile da capire del tutto. Il corpo diventa il luogo dove si vive questa esperienza con il linguaggio.
La mistica nella storia e la sua percezione
Nei secoli XVI e XVII, la mistica nasce in un periodo in cui la parola della Bibbia e la teologia sono in crisi profonda. Questo fenomeno non è la causa storica di tale crisi, ma piuttosto un effetto, un risultato delle tensioni e dei disallineamenti interni ai modi di pensare e ai discorsi culturali e sociali dell’epoca. Passando al XX secolo, si nota come le scienze sociali tendano a studiare la mistica principalmente come un fenomeno individuale o addirittura patologico. Così facendo, perdono di vista la sua dimensione sociale e politica, che è invece fondamentale. La mistica diventa quasi un “non-luogo” nel pensiero scientifico, un ambito dove emergono domande fondamentali sull’unità umana e sulla natura stessa del reale, questioni che le scienze positive trovano difficile affrontare con i loro strumenti abituali.
Il testo mistico e l’incontro con l’altro
Il testo mistico stesso si presenta come un tessuto, una sorta di soglia che stabilisce uno spazio esterno e allo stesso tempo rimanda a un significato diverso, più profondo. È un testo che viene ricevuto da chi lo scrive prima ancora che da chi legge, quasi un dono o una rivelazione. L’incontro con l’altro, un tema centrale, si manifesta in modi potenti: pensiamo allo sguardo della “passante” descritta da Baudelaire o all’esperienza davanti all’icona per Cusano. Questi incontri hanno il potere di dissolvere i confini abituali, rivelando la perdita e l’assenza che sono parte dell’esperienza mistica. In definitiva, la mistica non è un fenomeno astratto, ma si manifesta attraverso specifiche “operazioni” o uno “stile” di dire che si iscrive concretamente nelle pratiche storiche e linguistiche di un dato periodo.
Ma se, come suggerisce il capitolo, la mistica è un fenomeno intrinsecamente legato a crisi storiche e sociali, non è forse miope l’approccio di quelle scienze che la confinano a mera esperienza individuale o, peggio, a patologia?
Il capitolo solleva un punto cruciale nel criticare la tendenza di certe discipline scientifiche a ridurre la mistica a un fatto puramente individuale o patologico, perdendo di vista la sua dimensione sociale e politica. Questa impostazione rischia di ignorare il contesto storico e le dinamiche di potere che influenzano sia l’emergere di tali esperienze sia il modo in cui vengono percepite e controllate dalla società, temi che il capitolo stesso tocca. Per approfondire questa critica e comprendere meglio le interconnessioni tra mistica, società e potere, sarebbe utile esplorare la sociologia della religione e la storia sociale delle idee, confrontandosi con autori come Michel Foucault, il cui lavoro sui meccanismi di controllo sociale e sulla costruzione delle categorie di normalità e patologia può offrire strumenti analitici preziosi.2. Lo sguardo che unisce
Nicola Cusano riflette sul significato del “vedere” e su come arriviamo a conoscere le cose. Suggerisce che un modo diverso di guardare può portare a una nuova comprensione della realtà. Un esempio centrale per spiegare questo pensiero è un esperimento che coinvolge un dipinto. Questo quadro raffigura uno sguardo che sembra “vedere tutto”. La cosa sorprendente è che, pur essendo fisso e immobile, questo sguardo dà l’impressione di seguire contemporaneamente ogni persona che lo osserva, non importa dove si trovi. Questo effetto genera sorpresa e stupore in chi si trova di fronte all’opera.Oltre i sensi: il ruolo della credenza
Muovendosi nello spazio davanti al dipinto, si sperimenta una sensazione particolare: sembra che lo spazio stesso si pieghi. Lo sguardo nel quadro, pur rimanendo immobile, continua a seguire chi guarda, manifestando una presenza che non dipende dal movimento degli occhi o dal paesaggio circostante. Questa esperienza va oltre ciò che percepiamo con i sensi o ciò che la sola ragione può spiegare. Per afferrare davvero questa idea, che l’uno possa coincidere con il tutto, è necessario fidarsi della testimonianza di un’altra persona che ha vissuto la stessa situazione. Credere a quello che dice un altro permette di aprire la mente alla possibilità di questa coincidenza.Modelli e credenza: dalla geometria alla teologia
Questa comprensione basata sulla credenza e sull’idea di coincidenza trova riscontro in altri campi. La geometria, ad esempio, offre un modello: dimostra come un singolo punto possa dare origine a una circonferenza intera e come figure diverse possano avvicinarsi infinitamente senza mai perdere la loro forma specifica. Anche la teologia viene vista in modo “circolare”. Diversi punti di vista o nomi attribuiti a Dio si rafforzano a vicenda proprio grazie all’atto di credere. Per esprimere questa profonda comprensione che nasce dal credere nell’esperienza altrui, viene usata una voce narrante immaginaria. Questa voce trasforma la scrittura stessa in un modo pratico per esplorare il concetto di coincidenza. È questa “follia”, cioè il coraggio di credere in qualcosa che sembra impossibile o irrazionale, che rende possibile la teoria e permette di vedere ciò che è invisibile all’interno di ciò che è visibile.Se la comprensione di verità profonde, che vanno oltre sensi e ragione, si basa sulla credenza nella testimonianza altrui, come si distingue tale ‘credenza’ da una semplice suggestione o da un atto di fede privo di fondamento razionale?
Il capitolo presenta la credenza nella testimonianza come via d’accesso a una comprensione che trascende i limiti sensoriali e razionali. Tuttavia, non chiarisce sufficientemente su quali basi questa specifica forma di credenza si fondi per garantire l’accesso alla verità, distinguendosi da altre forme di accettazione non critica. Per approfondire questo aspetto cruciale, sarebbe utile esplorare la disciplina dell’epistemologia, in particolare le teorie sulla conoscenza basata sulla testimonianza e il dibattito storico e filosofico sul rapporto tra fede e ragione. Un riferimento essenziale è ovviamente Nicola Cusano stesso, ma anche autori che hanno trattato il tema della conoscenza e della credenza in contesti filosofici e teologici diversi possono offrire spunti per valutare la solidità di tale approccio.3. Il Canto e la Spiegazione: Un Dialogo tra Bellezza e Storia
Le opere di Giovanni della Croce si presentano in due forme principali: le poesie, che lui chiama “canciones”, e le spiegazioni in prosa, dette “declaraciones”. Queste due modalità di scrittura sono diverse tra loro, eppure sono strettamente legate, come due parti che si cercano e si influenzano a vicenda in un dialogo continuo.Le Poesie: Il “Dire” Spontaneo
La poesia nasce da una parola che appare all’improvviso, un impulso spontaneo, un “Dire” che non segue regole rigide. Questo “Dire” crea uno spazio di bellezza e movimento, spesso come risposta o contrasto alla sofferenza della realtà o alla prigione. L’inizio poetico genera un testo fluido, che cambia e si adatta, pieno di variazioni e con una forte musicalità, capace di esprimere l’inesprimibile in modo diretto e potente.Le Spiegazioni: Il Limite della Prosa
La prosa, invece, ha il compito di spiegare queste poesie, di renderle comprensibili a chi legge o ascolta. Tuttavia, chi scrive la prosa è consapevole di non poter mai esprimere completamente la ricchezza spirituale e il significato profondo contenuti nel testo poetico. La “declaración” è un discorso pensato per gli altri, che cerca di far capire l’esperienza mistica attraverso ragionamenti e analisi, pur sapendo che ciò che è stato “detto” nella poesia contiene sempre “più” di quanto si possa spiegare con le parole della prosa.Il Concetto Chiave: Il “Dicho”
Un concetto fondamentale in queste opere è quello del “dicho” (il detto). Non è una semplice parola, ma una parola che ha sia una forma definita sia una grande forza interiore, capace di illuminare e muovere l’anima di chi la riceve. I “dichos” appaiono spesso in brevi frammenti e si manifestano all’interno di dialoghi, sia quelli che avvengono dentro di noi che quelli con gli altri. La struttura di alcuni testi, come i “Dichos de luz y amor”, mostra proprio questa tensione tra l’ordine e la disciplina della vita ascetica e l’arrivo improvviso e potente dell’ispirazione poetica e dell’amore divino.Il Legame Dinamico tra Canto e Spiegazione
La relazione tra il testo poetico e la prosa che lo spiega è un rapporto vivo e in continuo movimento. Si basa su un equilibrio delicato: da un lato c’è l’abbondanza inesprimibile di ciò che viene comunicato nel “Dire” poetico, dall’altro c’è il limite della conoscenza umana e della capacità di spiegare. Questo legame non è una semplice interpretazione in cui la prosa svela il significato nascosto della poesia. È piuttosto un modo per mettere insieme la storia umana e il tempo in cui viviamo con quella realtà che va oltre la nostra dimensione terrena.Davvero la natura soggettiva dell”apparire’ angelico e le sfide filologiche della traduzione biblica nel Seicento possono essere ricondotte sotto un’unica, coerente ‘figura del dire e della perdita’?
Il capitolo presenta la figura angelica e le problematiche della traduzione biblica come esempi di “dire” e “perdita”, ma la connessione logica tra questi fenomeni, apparentemente così distanti, non emerge con sufficiente chiarezza dal riassunto. Si avverte la mancanza di un ponte argomentativo solido che spieghi perché e come la soggettività dell’esperienza angelica si colloghi alle difficoltà oggettive (ma segnate dalla perdita dell’originale) del lavoro del traduttore biblico. Per esplorare questo nesso e comprendere meglio le possibili figure del dire e della perdita, sarebbe utile approfondire la filosofia del linguaggio, l’ermeneutica e la teologia, magari leggendo autori come Gadamer o Ricoeur, che hanno indagato i temi dell’interpretazione, della trasmissione del senso e del ruolo della perdita nel processo comunicativo.7. Il Linguaggio del Segreto e del Dire
Il modo in cui si usa il linguaggio può essere studiato in modi diversi. A volte, il linguaggio serve a persuadere, anche quando parla di cose difficili o nascoste. Altre volte, il linguaggio esplora la possibilità stessa di parlare, anche senza un significato preciso.La persuasione e il segreto in Pascal
Analizzando gli scritti di Pascal, si scopre un modo particolare di scrivere che cerca di convincere il lettore. Questo si ottiene disponendo le idee in un certo ordine e usando specifiche espressioni. Pascal usa la tecnica di “rovesciare le cose”: ciò che sembra debole o nascosto viene presentato come forte o rivelatore. Questo si vede bene quando parla della natura nascosta di Dio. Dio si rivela in momenti eccezionali e rari, come i miracoli o l’Eucarestia. Questi sono momenti di grande segreto e, allo stesso tempo, di massima presenza divina. Per capire questa rivelazione, serve un “passaggio all’altro”, cioè un modo diverso di pensare che va oltre il significato immediato o visibile delle parole, come accade nella lettura più profonda e spirituale dei testi sacri. La struttura dei suoi testi, con l’uso di parole come “noi” e altri riferimenti diretti, crea un legame forte con chi legge e rende il discorso convincente. Anche i passaggi veloci o i salti tra le idee contribuiscono a persuadere, perché non lasciano subito spazio per dubbi o verifiche.La glossolalia: parlare senza un senso definito
Esiste un fenomeno linguistico chiamato glossolalia, dove l’atto di parlare si separa dal significato delle parole. È come una “finzione del dire”, un modo di simulare il linguaggio che non comunica idee precise, ma esplora la capacità stessa di emettere suoni e voci. Questa pratica si manifesta in vari contesti, come quelli religiosi, poetici o nel linguaggio dei bambini. Crea uno spazio dove il parlare è libero dalle regole normali della grammatica e del significato. La glossolalia nasce da un “dover dire”, da un bisogno di parlare, e da una forte “credenza” nella forza della voce. Serve a dare inizio o a ridare forza all’atto di parlare, specialmente quando le regole del linguaggio o della società non bastano più. Spesso, chi cerca di interpretare la glossolalia cerca di trovarle un senso nascosto, trattando questi suoni come se fossero una lingua vera e propria. Questo crea un malinteso tra il semplice atto di emettere suoni e l’idea che questi debbano per forza avere un significato nascosto. La glossolalia, proprio perché non ha un senso immediato e si ripete, ricorda l’origine stessa del parlare, l’arte di ricominciare a dire.Ma la glossolalia è davvero solo “parlare senza un senso definito”?
Il capitolo definisce la glossolalia come una “finzione del dire” priva di significato preciso, ma questa prospettiva potrebbe non cogliere la complessità del fenomeno. Sebbene manchi di significato semantico convenzionale, la glossolalia possiede spesso un forte valore pragmatico e rituale all’interno dei contesti in cui si manifesta. Per comprendere meglio le diverse interpretazioni, sarebbe utile approfondire gli studi di linguistica (in particolare la pragmatica e l’analisi del discorso), antropologia (che documenta l’uso della glossolalia in culture diverse) e psicologia della religione. Autori come William Samarin hanno studiato a fondo la glossolalia da una prospettiva linguistica.Abbiamo riassunto il possibile
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