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Informazioni
“Europa la casa comune in fiamme” di Massimo Levi ti porta dritto nel cuore della crisi istituzionale europea che stiamo vivendo. Non è solo un problema di soldi, ma di come sono organizzati gli stati e l’Europa di fronte alla finanza globalizzata e ai mercati super veloci. Il libro spiega che l’Eurozona ha la moneta unica, ma le manca una vera unione politica e questo crea un enorme deficit democratico: decisioni importanti vengono prese da organismi tecnici, non da chi eleggiamo noi. Vedrai come lo stato nazionale fatica a gestire tutto da solo e come, anche in Italia, si stia tornando a un controllo più centrale, mettendo sotto pressione gli enti locali e la finanza locale. L’autore dice che siamo a un bivio dell’Unione Monetaria: o si va avanti, creando istituzioni federali più forti, un’unione bancaria e un’integrazione fiscale, superando ostacoli come il Fiscal Compact e le differenze di produttività tra paesi, oppure si rischia grosso, con il ritorno dei nazionalismi e la possibilità che tutto crolli. È un libro che ti fa capire perché il futuro dell’Europa è così incerto e cosa serve per provare a salvarla.Riassunto Breve
La crisi che l’Europa sta affrontando non è solo finanziaria, ma riguarda le sue istituzioni. La struttura tradizionale dello Stato nazionale non è più adatta a gestire la finanza globale e i mercati collegati tra loro. Non si è ancora trovato un nuovo equilibrio stabile. L’Europa ha integrato l’economia con la moneta unica, ma non ha un potere politico centrale forte e legittimato dai cittadini. Questo crea un problema di democrazia, dove organismi tecnici non eletti prendono decisioni importanti che influenzano i governi nazionali. I soldi si spostano facilmente tra i paesi, rendendo difficile per i singoli stati riscuotere le tasse e richiedendo regole globali che mancano o non sono abbastanza forti. Senza istituzioni federali, l’Europa rischia di dividersi e di vedere tornare i nazionalismi. Anche se si conoscono i pericoli di chiudersi in sé stessi, i leader nazionali fanno fatica a spingere verso l’integrazione necessaria perché devono cercare il consenso nel proprio paese. Anche dentro i paesi, come in Italia, si vede lo stato centrale riprendere controllo sugli enti locali, soprattutto per mettere a posto i conti e rispettare i vincoli esterni, obbligando i comuni a fare risparmi per ridurre il debito nazionale. Per uscire dalla crisi e risolvere il problema democratico, l’Europa deve andare verso un’unione politica, bancaria e fiscale. Un passo importante sarebbe eleggere direttamente il presidente della Commissione europea per dargli più legittimità e permettergli di prendere decisioni politiche, non solo tecniche. Questo sposterebbe alcune decisioni importanti a livello europeo, prese da un Parlamento europeo. Una sfida grande è ridurre le differenze di quanto i paesi producono, promuovendo stipendi legati alla produttività e investimenti mirati. L’alternativa a un’unione più forte è che l’Unione monetaria, e di conseguenza l’intera Unione europea, si rompa. Il tempo per fare i passi necessari potrebbe non essere molto, mentre la crisi peggiora. La globalizzazione aumenta i collegamenti finanziari, ma manca un’autorità centrale per controllare i mercati, creando instabilità. Allo stesso tempo, spinge a dare più potere alle realtà locali, riducendo il peso degli stati nazionali. L’Unione Europea ha anche incoraggiato le regioni a parlare direttamente con Bruxelles, saltando i governi nazionali. L’integrazione europea, specialmente con l’euro, non ha creato le istituzioni necessarie per gestirla. La Banca Centrale Europea ha dei limiti, e i governi nazionali mantengono il controllo. La crisi del 2008 ha mostrato questa debolezza, portando a problemi con i debiti degli stati e a regole nazionali che bloccano i movimenti di denaro tra paesi, perdendo i vantaggi del mercato unico. Nonostante serva un’Europa unita per competere nel mondo, il processo di integrazione si è fermato. Le decisioni importanti le prende il Consiglio Europeo, formato dai capi di governo, che spesso pensano prima agli interessi del proprio paese, specialmente in crisi. Questo organo non è controllato dal Parlamento Europeo. Per far ripartire l’integrazione, serve creare politiche comuni su bilancio, tasse e lavoro, non solo togliere ostacoli. Visto che i paesi sono diversi, serve pensare a un’unione più piccola, magari solo per i paesi con l’euro, con istituzioni federali più forti e scelte dai cittadini, anche se questo significa che i paesi devono cedere parte della loro sovranità su temi importanti. Il decentramento in Italia, iniziato negli anni Novanta, ha funzionato in modo diverso, meglio per i comuni e al nord. Ha dato più soldi e responsabilità ai comuni con tasse proprie e l’elezione diretta dei sindaci, riducendo la dipendenza dallo stato, ma con grandi differenze tra zone ricche e povere. La riforma del 2001 ha cercato di rafforzare questo decentramento, ma i governi dopo hanno spesso limitato l’autonomia locale. Togliere l’Ici sulla prima casa ha tolto soldi ai comuni. Il federalismo fiscale funziona bene quando i cittadini pagano localmente per i servizi, perché così controllano meglio chi amministra. Se i soldi vengono dallo stato centrale, il controllo locale diminuisce, favorendo sprechi e influenzando chi viene eletto. Questo spiega le differenze nella qualità dei servizi tra nord e sud. Una soluzione per il futuro potrebbe essere un federalismo che dà più autonomia solo agli enti più efficienti. Eliminare le province e unire i servizi dei piccoli comuni sono visti come modi per migliorare l’efficienza. La crisi economica ha portato a rimettere il controllo finanziario nelle mani dello stato centrale, con regole strette per gli enti locali che limitano la loro libertà e bloccano gli investimenti. Questa situazione, giustificata dall’emergenza, non può durare e richiede una futura riforma della finanza locale. La crisi del debito in Europa ha portato alla creazione di nuovi strumenti di governo, come il Six Pack, l’Euro-plus e il Fiscal Compact, decisi soprattutto dai paesi dell’Eurozona. Prima di questi, è nato il Semestre Europeo per coordinare i bilanci nazionali. L’Euro-plus impegna i governi a migliorare la competitività, ma manca di meccanismi che obblighino i paesi a rispettare gli impegni. La situazione attuale richiede istituzioni federali. Il Meccanismo Europeo di Stabilità (ESM), un fondo salva-stati, è importante, ma è controllato dai paesi membri e le decisioni sono lente. Le sue risorse sono limitate. La Banca Centrale Europea (BCE) è più autonoma, ma non può comprare i titoli di stato direttamente dai governi. Può agire solo sul mercato secondario. Le sue operazioni hanno aiutato le banche, ma hanno anche legato i problemi delle banche a quelli dei debiti degli stati. La BCE potrebbe stabilizzare i mercati comprando titoli, ma serve una decisione politica dei paesi, che si oppongono per paura dell’inflazione e di dover pagare i debiti degli altri. Lo stesso blocco riguarda l’introduzione degli euro-bond. Il Fiscal Compact impone regole di bilancio strette, ma non è la soluzione completa. Se molti paesi risparmiano insieme, si rischia una crisi economica che rende più difficile raggiungere gli obiettivi. A differenza degli Stati Uniti, l’Europa non ha un bilancio centrale forte per sostenere l’economia in crisi. Serve un risparmio fatto in modo intelligente e usare meglio il bilancio europeo per gli investimenti. La situazione attuale non può durare. L’Unione Monetaria è a un punto cruciale: o si va velocemente verso una forte integrazione politica, o rischia di rompersi, mettendo in discussione tutto il progetto europeo. La strada chiara include unione bancaria, integrazione fiscale e unione politica, ma richiede tempo e il consenso dei cittadini. Nel frattempo, servono politiche immediate come investimenti e forme di aiuto reciproco per evitare che i paesi in difficoltà crollino sotto il peso della crisi.Riassunto Lungo
1. La Crisi Istituzionale Europea e la Ricerca di un Nuovo Equilibrio
La crisi attuale, iniziata nel settore finanziario globale, ha una natura profondamente istituzionale. La struttura tradizionale dello Stato nazionale si dimostra insufficiente e inadeguata di fronte a una finanza globalizzata e a mercati sempre più interconnessi. In questo scenario complesso, non è ancora emerso un nuovo equilibrio stabile capace di gestire le sfide contemporanee. L’Europa, in particolare, si trova in una situazione paradossale. Presenta un forte accentramento economico, evidente nella moneta unica, ma soffre di una grave mancanza di sovranità politica condivisa e di una governance legittimata a livello sovranazionale.Il Deficit Democratico Europeo
Questa carenza di potere politico centrale crea un significativo deficit democratico. Organismi tecnici, che non sono stati eletti dai cittadini, finiscono per imporre politiche e decisioni ai governi nazionali, bypassando i processi democratici tradizionali. La grande mobilità dei capitali rende estremamente difficile per i singoli stati tassare efficacemente e richiede l’adozione di regole globali. Tuttavia, queste regole o non esistono affatto o, quando esistono, mancano della necessaria legittimità democratica per essere pienamente accettate e applicate. La mancanza di istituzioni federali solide in Europa aumenta il rischio di un’implosione del progetto comunitario.Rischi e Riluttanza Politica
L’assenza di un’unione politica forte minaccia di far riemergere i nazionalismi, un pericolo che la storia europea ha già conosciuto con conseguenze devastanti. Sebbene ci sia una diffusa consapevolezza dei gravi pericoli economici e politici derivanti da una chiusura nazionale, i leader politici faticano a spingere con decisione verso l’integrazione necessaria. La ricerca del consenso all’interno dei propri confini nazionali spesso prevale sulla volontà di compiere i passi coraggiosi richiesti a livello europeo per costruire un futuro più stabile e unito.Le Risposte Nazionali
Anche all’interno dei singoli paesi, come si osserva in Italia, la pressione della crisi e i vincoli esterni portano a un processo di ri-accentramento del controllo statale. Questo accade perché lo Stato centrale cerca di riequilibrare i propri conti e rispettare gli obblighi imposti a livello superiore. Di conseguenza, si assiste spesso a decisioni che impongono agli enti locali, come i comuni, di contribuire alla riduzione del deficit nazionale generando surplus. Questa dinamica mostra come le difficoltà sistemiche si riflettano anche nelle relazioni interne tra i diversi livelli di governo di un paese. Tale accentramento può limitare l’autonomia decisionale locale e la capacità di rispondere in modo flessibile alle esigenze specifiche del territorio.La Via Verso l’Unione
Per superare la crisi attuale e colmare il deficit democratico che affligge l’Europa, è indispensabile un movimento deciso verso un’unione più profonda. Questa unione deve essere politica, oltre che bancaria e fiscale, per dotare l’Europa degli strumenti necessari ad agire efficacemente. Un primo passo cruciale e simbolico in questa direzione sarebbe l’elezione diretta del presidente della Commissione europea. Questo conferirebbe una maggiore legittimità democratica alla guida dell’esecutivo europeo e permetterebbe di affrontare le decisioni come scelte politiche, non meramente tecniche. Un tale passo faciliterebbe lo spostamento di alcune politiche chiave a livello europeo, con decisioni prese da un Parlamento europeo più forte e rappresentativo.Sfide Cruciali e Rischi Imminenti
Superare la crisi richiede di affrontare la sfida principale: colmare i divari di produttività che esistono tra i paesi membri. Questo significa promuovere politiche salariali che siano realmente in linea con la produttività di ciascuna economia e indirizzare gli investimenti in modo mirato per favorire la crescita. L’alternativa a un processo di unione più profonda e concreta è chiara: il collasso dell’Unione monetaria, che porterebbe inevitabilmente al fallimento dell’intera Unione europea. Il rischio è che il tempo necessario per compiere questi passi essenziali verso una maggiore integrazione non sia sufficiente. La crisi continua ad aggravarsi, rendendo urgente l’azione.Si può davvero ridurre la complessa crisi istituzionale europea a un mero “deficit democratico” causato da “organismi tecnici non eletti”, ignorando il ruolo cruciale dei governi nazionali eletti nelle decisioni chiave?
Il capitolo pone l’accento sul deficit democratico come causa principale della crisi, attribuendolo all’influenza di organismi tecnici non eletti. Questa prospettiva, pur cogliendo un aspetto del problema, rischia di semplificare eccessivamente le dinamiche decisionali dell’Unione Europea. Molte delle risposte alla crisi e delle politiche imposte ai governi nazionali derivano da decisioni prese in sede di Consiglio, dove siedono i rappresentanti eletti degli Stati membri. Per approfondire questa controversia e comprendere meglio il bilanciamento tra legittimità nazionale e sovranazionale, è utile esplorare la scienza politica, in particolare gli studi sull’integrazione europea e la governance multilivello. Autori come Moravcsik o Scharpf offrono analisi critiche sulle istituzioni europee e sulle fonti della loro legittimità.2. L’Euro Senza Timone
La globalizzazione ha portato a una maggiore integrazione dei mercati finanziari, con capitali che si spostano molto velocemente attraverso i confini. Nonostante questa interconnessione, manca un’autorità centrale forte capace di controllare e regolare efficacemente questi flussi, creando instabilità. Allo stesso tempo, la globalizzazione favorisce tendenze al decentramento e alla frammentazione a livello locale. In questo contesto, l’Unione Europea ha incoraggiato le regioni a stabilire rapporti diretti con le istituzioni di Bruxelles, riducendo in parte il ruolo tradizionale dei governi nazionali.Le debolezze dell’integrazione europea
Il processo di integrazione europea, in particolare con l’adozione della moneta unica, non è stato accompagnato dalla creazione delle istituzioni necessarie per gestire adeguatamente un’area economica così vasta e diversificata. La Banca Centrale Europea opera con limitazioni specifiche, e i governi nazionali hanno mantenuto un controllo significativo su questioni economiche e fiscali cruciali. Questa debolezza strutturale è diventata evidente con la crisi finanziaria del 2008, che ha innescato una crisi dei debiti sovrani in diversi paesi membri. Durante la crisi, i regolatori nazionali hanno spesso agito in modo autonomo, arrivando a bloccare i flussi finanziari tra paesi, annullando di fatto molti dei benefici derivanti dall’integrazione dei mercati finanziari.La paralisi politica
Nonostante sia chiaro che un’Europa più unita sarebbe meglio attrezzata per affrontare le sfide della competizione globale, il processo di integrazione sembra essersi fermato. Le decisioni politiche più importanti vengono prese dal Consiglio Europeo, un organo composto dai capi di stato e di governo dei paesi membri. Spesso, in particolare nei momenti di crisi, i leader nazionali tendono a privilegiare gli interessi del proprio paese rispetto a quelli comuni dell’Unione. Questo organo decisionale opera in gran parte al di fuori del controllo diretto del Parlamento Europeo, sebbene quest’ultimo abbia acquisito poteri su altre aree legislative.Verso una maggiore integrazione
Per superare questa situazione di stallo e rilanciare l’integrazione, è necessario passare da una semplice eliminazione delle barriere (la cosiddetta integrazione “negativa” del mercato unico) a un’integrazione “positiva”. Questo significa creare politiche comuni e coordinate in settori chiave come il bilancio, la fiscalità e il lavoro. Tuttavia, l’ampia diversità tra i paesi membri rende difficile applicare un unico modello per tutti. Per questo motivo, si considera sempre più l’ipotesi di un’unione più ristretta e coesa, focalizzata in particolare sui paesi dell’Eurozona. Questa unione dovrebbe dotarsi di istituzioni federali più robuste e con una maggiore legittimazione democratica, anche se ciò implicherebbe per gli stati membri una cessione di sovranità su temi considerati fondamentali.Dato che il capitolo ammette la “paralisi politica” e l’ampia diversità tra i paesi, come può la “maggiore integrazione” proposta, in particolare un nucleo ristretto e coeso con “istituzioni federali più robuste”, superare queste stesse sfide invece di esacerbarle?
Il capitolo identifica correttamente le debolezze strutturali dell’Eurozona e la paralisi decisionale, ma la soluzione proposta, ovvero una maggiore integrazione verso strutture federali, non affronta a sufficienza la questione di come superare le profonde divergenze politiche e gli interessi nazionali che hanno causato la paralisi finora. L’idea di un nucleo ristretto, pur pragmatico, solleva interrogativi sulla coesione complessiva dell’Unione e sulla gestione dei rapporti tra il nucleo e la periferia. Per approfondire queste tematiche, è utile esplorare gli studi di Scienza Politica e di Economia dell’Integrazione Europea, confrontando le diverse scuole di pensiero sul futuro dell’UE, dal federalismo all’intergovernativismo. Autori come Habermas o Schmitter offrono prospettive teoriche sull’integrazione, mentre economisti come Krugman o Blanchard hanno analizzato le sfide specifiche delle aree monetarie ottimali e della governance economica europea.3. Decentramento in Italia: un bilancio tra successi e criticità
Il decentramento in Italia, iniziato negli anni Novanta, ha dato risultati diversi. Ha funzionato meglio per i comuni rispetto alle regioni e in generale più al centro-nord che al sud.Le riforme chiave e l’aspetto finanziario
Le riforme di quel periodo hanno aumentato l’autonomia finanziaria degli enti locali, introducendo tributi propri come Ici e Irap. Hanno anche rafforzato la responsabilità politica grazie all’elezione diretta di sindaci e presidenti. Questo ha ridotto la dipendenza dai trasferimenti statali, ma con forti differenze territoriali dovute alla diversa distribuzione delle basi imponibili. La riforma costituzionale del Titolo V nel 2001 ha cercato di rafforzare il decentramento, dando più poteri legislativi alle regioni e amministrativi agli enti locali. Nonostante l’approvazione risicata in Parlamento, è stata confermata da un referendum. Tuttavia, i governi successivi hanno spesso limitato l’autonomia locale, ad esempio bloccando alcuni tributi. La riforma del 2009 non ha portato grandi novità, se non l’idea di finanziare i servizi basandosi sui costi standard. L’abolizione dell’Ici sulla prima casa ha poi indebolito ulteriormente l’autonomia finanziaria dei comuni.Federalismo fiscale, controllo dei cittadini ed efficienza
Il federalismo fiscale funziona bene quando i cittadini pagano direttamente a livello locale per i servizi che ricevono. Questo li spinge a controllare meglio come gli amministratori spendono i soldi. Al contrario, se le risorse arrivano in gran parte dallo Stato centrale, i cittadini hanno meno interesse a controllare, il che può portare a inefficienze e influenzare chi viene eletto. Uno studio ha mostrato che nei comuni più ricchi vengono scelti sindaci con migliori capacità tecniche e gestionali, mentre in quelli più poveri prevalgono politici con forti legami a livello centrale. Questo spiega in parte le differenze nella qualità dei servizi tra nord e sud.Proposte per il futuro
Per il futuro, si pensa a un federalismo che proceda a velocità diverse, dando più autonomia e funzioni solo agli enti che dimostrano di essere più efficienti. L’eliminazione delle province è vista come un passo necessario per ridurre la complessità e migliorare l’amministrazione. Anche unire i comuni più piccoli o far gestire i servizi insieme è considerato un modo per aumentare l’efficienza.L’impatto della crisi economica
La crisi economica ha causato una forte centralizzazione delle decisioni finanziarie. Sono stati imposti vincoli di bilancio molto stretti agli enti locali, limitando la loro autonomia e bloccando gli investimenti. Questa situazione, giustificata dall’emergenza, non può durare per sempre e richiederà in futuro una nuova riforma della finanza locale.[/membership]Ma davvero la semplice leva fiscale locale basta a spiegare le profonde differenze di governance e sviluppo tra Nord e Sud, o si trascura qualcosa di fondamentale?
Il capitolo lega in modo molto stretto il funzionamento del federalismo fiscale, la partecipazione e il controllo dei cittadini alla qualità della classe dirigente locale e, di conseguenza, alle differenze tra Nord e Sud. Tuttavia, questa spiegazione, pur plausibile, rischia di essere riduttiva. Le dinamiche socio-economiche e politiche che determinano il divario territoriale in Italia sono estremamente complesse e affondano le radici in fattori storici, culturali e istituzionali che vanno ben oltre la sola struttura della finanza locale o il meccanismo di controllo fiscale da parte del cittadino-contribuente. Per approfondire questa complessità, sarebbe utile esplorare studi di economia regionale, sociologia politica e scienza dell’amministrazione pubblica che analizzano le cause strutturali del divario Nord-Sud, il ruolo del capitale sociale (come discusso da autori come Putnam), le specificità delle élite politiche locali e i meccanismi di spesa pubblica non solo dal lato del controllo, ma anche da quello della capacità amministrativa e della lotta alla corruzione.Capitolo IV: Il bivio dell’Unione Monetaria
La crisi del debito che ha colpito l’Europa ha reso necessario l’introduzione di nuovi strumenti per gestire l’economia dei paesi membri. Queste decisioni sono state prese soprattutto dai paesi dell’Eurozona, con un ruolo di primo piano per Francia e Germania, e le autorità europee hanno cercato di estendere queste riforme a tutta l’Unione.Il Semestre Europeo e i nuovi quadri di governance
Per coordinare meglio le politiche economiche e fiscali nazionali, è stato introdotto il Semestre Europeo. Questo sistema prevede che la Commissione Europea presenti stime e che il Consiglio Europeo raccomandi linee guida. Sulla base di queste indicazioni, i paesi preparano i loro piani di bilancio e di riforma, che vengono poi rivisti e approvati a livello europeo. Questo processo ha un impatto diretto sulla preparazione dei bilanci nazionali. Accanto al Semestre Europeo, sono stati creati strumenti come il Six Pack, l’Euro-plus e il Fiscal Compact per rafforzare la disciplina di bilancio e migliorare la convergenza economica tra gli stati membri.Il Patto per l’Euro (Euro-plus) e i suoi limiti
L’Euro-plus, noto anche come Patto per l’euro, è uno di questi strumenti e impegna i governi a lavorare per migliorare la competitività e avvicinare le loro economie. Gli ambiti di intervento includono il mercato del lavoro, i sistemi pensionistici, le finanze pubbliche, la stabilità del settore finanziario e la tassazione. Il controllo sul rispetto di questi impegni avviene attraverso un meccanismo di revisione tra pari (peer review), dove i paesi valutano reciprocamente i progressi fatti. Tuttavia, questo metodo si è dimostrato poco efficace, poiché i governi nazionali sono riluttanti a cedere parte della loro sovranità su materie considerate interne. Mancano, infatti, meccanismi che rendano vincolanti le raccomandazioni e le decisioni prese a livello europeo.Il Fiscal Compact e la sfida del rigore
Un altro strumento fondamentale è il Fiscal Compact, che impone regole severe sul bilancio dei paesi, chiedendo un pareggio strutturale e la riduzione del debito pubblico. Queste regole sono state integrate nelle costituzioni o nelle leggi fondamentali dei paesi firmatari. Sebbene per un singolo paese rispettare questi vincoli possa segnalare serietà ai mercati finanziari, l’applicazione contemporanea di politiche di rigore da parte di molti stati può avere conseguenze negative. C’è il rischio concreto di innescare una spirale di recessione e deflazione, che rende ancora più difficile raggiungere gli obiettivi di bilancio prefissati. A differenza di sistemi federali come quello degli Stati Uniti, l’Europa non dispone di un bilancio centrale abbastanza ampio da poter intervenire in modo significativo per sostenere l’economia dei paesi in difficoltà.Il Meccanismo Europeo di Stabilità (ESM) e il ruolo della BCE
Per assistere i paesi che non hanno una propria moneta e si trovano in difficoltà finanziarie, è stato istituito lo European Stability Mechanism (ESM), un fondo salva-stati. Sebbene sia uno strumento essenziale, l’ESM è finanziato e controllato direttamente dagli stati membri. Le decisioni vengono prese spesso all’unanimità o con maggioranze qualificate che di fatto danno un potere di veto ai paesi economicamente più forti, rallentando o rendendo inadeguate le risposte. Inoltre, le sue risorse finanziarie sono limitate rispetto alle potenziali necessità. La Banca Centrale Europea (BCE) gode di maggiore autonomia rispetto all’ESM, ma il suo statuto le impedisce di acquistare titoli di stato direttamente dai governi (sul mercato primario). Può intervenire solo sul mercato secondario per fornire liquidità. Le operazioni di rifinanziamento a lungo termine (LTRO) hanno aiutato le banche, ma hanno anche aumentato il rischio che i problemi delle banche si trasferiscano sui debiti sovrani dei paesi. La BCE potrebbe svolgere un ruolo cruciale nella stabilizzazione dei mercati acquistando titoli di stato in modo più massiccio, ma questa possibilità è bloccata da decisioni politiche dei paesi membri, che temono l’inflazione e la cosiddetta “mutualizzazione” dei debiti, ovvero la condivisione del rischio tra stati. Lo stesso tipo di opposizione politica ostacola l’introduzione di euro-bond, titoli di debito emessi congiuntamente dai paesi dell’Eurozona.Un bivio per l’Unione Monetaria
La situazione attuale richiede non solo rigore, ma un rigore “intelligente”, accompagnato da un uso più efficace del bilancio europeo per promuovere investimenti strategici. La direzione intrapresa finora non sembra sostenibile nel lungo periodo. L’Unione Monetaria si trova a un punto cruciale: o si decide di accelerare decisamente verso una maggiore integrazione politica, che implichi un’unione bancaria completa, una vera integrazione fiscale e un’unione politica più stretta, oppure c’è il rischio concreto che l’intero progetto si sfaldi, mettendo in discussione tutto il percorso di integrazione europea fin qui compiuto. Raggiungere un’integrazione così profonda richiede tempo e un ampio consenso da parte dei cittadini europei. Nel frattempo, sono necessarie politiche a breve termine, come maggiori investimenti pubblici e forme di condivisione dei rischi (mutualizzazione), per evitare che i paesi più deboli vengano schiacciati dalla deflazione e dal peso del loro debito.Se i meccanismi di gestione della crisi sono bloccati dalla riluttanza degli stati a cedere sovranità, come può l’unica via d’uscita proposta essere una maggiore cessione di sovranità?
Il capitolo correttamente identifica che strumenti come l’Euro-plus, l’ESM e la stessa azione della BCE sono limitati o resi inefficaci dalla resistenza politica degli stati membri a rinunciare al controllo su materie chiave o a mutualizzare i rischi. Tuttavia, la conclusione propone come unica alternativa sostenibile un’accelerazione verso una maggiore integrazione politica, fiscale e bancaria, che per sua natura richiede una cessione di sovranità ancora più profonda. Il capitolo non approfondisce sufficientemente perché questa resistenza politica esista e come possa essere superata per raggiungere il consenso necessario, lasciando irrisolta la contraddizione tra l’analisi dei blocchi attuali e la soluzione proposta. Per comprendere meglio questa dinamica, è utile esplorare la disciplina della Scienza Politica, in particolare le teorie sull’integrazione europea e i processi decisionali multilivello. Autori come A. Moravcsik o E. Haas offrono diverse prospettive sulle forze che guidano (o ostacolano) l’integrazione.Abbiamo riassunto il possibile
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