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Contenuti del libro
Informazioni
“Esiste un mondo a venire” di Déborah Danowski ti sbatte in faccia la sensazione che il mondo stia finendo, non con un botto improvviso, ma con questa crisi ambientale che stiamo vivendo, l’Antropocene, dove noi umani siamo diventati una forza geologica che sta cambiando tutto. Il libro esplora cosa significa questa fine del mondo per noi, per l’umanità, e anche cosa potrebbe essere un mondo senza di noi. Non è solo un discorso scientifico sul riscaldamento globale, ma una riflessione profonda sul nostro rapporto uomo-natura, mettendo in discussione l’antropocentrismo che ci ha messi al centro di tutto. Vengono fuori idee filosofiche un po’ toste, ma anche le visioni delle cosmologie indigene, che vedono il mondo in modo completamente diverso, non come qualcosa da dominare ma come una rete di relazioni. Alla fine, sembra che non sia un suicidio collettivo, ma una vera e propria guerra di mondi, tra chi continua a spingere per una modernità distruttiva e chi cerca di vivere in armonia con la Terra, i cosiddetti Terrestri. È un invito a guardare in faccia la realtà, a resistere a questa distruzione e a immaginare, e magari costruire, un mondo a venire diverso, un popolo della Terra.Riassunto Breve
La fine del mondo appare come un tema centrale oggi, legato alla crisi ambientale causata dalle azioni umane, un declino rapido che minaccia la vita e la civiltà. Questo disastro è un processo di peggioramento irreversibile, che include riscaldamento globale, acidificazione degli oceani e perdita di specie, superando i limiti di sicurezza del pianeta. Questi cambiamenti veloci rendono incerto il futuro e confondono i confini tra problemi locali e globali. L’umanità diventa una forza geologica, definendo l’epoca dell’Antropocene. L’ambiente non è più separato dall’uomo, mettendo in crisi l’idea di dove “noi” ci troviamo nel mondo. Pensare alla fine del mondo porta a chiedersi “per chi” esiste il mondo e cosa significa essere umani in questo scenario. Esistono diverse idee su un mondo senza umani. Una vede la natura pura (*wilderness*) come rovinata dall’uomo, portando alcuni a volere l’esclusione umana. Un’altra proietta questa idea nel futuro, immaginando la natura che si riprende dopo l’estinzione umana, come descritto in testi che mostrano la scomparsa delle tracce umane. Questa visione mette in crisi il senso della storia umana. La filosofia moderna ha spesso separato l’uomo dal mondo, rendendolo un oggetto di pensiero. Il realismo speculativo critica questa idea (correlazionismo), cercando di affermare un mondo che esiste indipendentemente dal pensiero. Alcuni filosofi, usando argomenti come l'”ancestralità”, sostengono l’esistenza di una realtà esterna, arrivando a vedere il mondo come “morto” o destinato all’annientamento. Questa visione, però, rischia di essere un antropocentrismo al contrario. L’Antropocene mostra che il pensiero umano, attraverso le sue azioni materiali, è strettamente legato al mondo in modo distruttivo. Film come “Melancholia” mostrano lo scontro tra il mondo umano e un cosmo indifferente, ma la reazione umana alla fine suggerisce qualcosa di diverso dal nichilismo. L’idea di Gaia, che vede la Terra come un sistema fragile, lega le storie della Terra, della vita e dell’umanità. La fine del mondo si manifesta in diverse forme: un collasso rapido o un lento degrado che lascia gli umani in condizioni disperate. Altre visioni, spesso tecnologiche, vedono la fine come un superamento, con l’uomo che si fonde con la macchina (Singolarità) o gestisce l’ambiente artificialmente (Breakthrough Institute). L’accelerazionismo vede la distruzione capitalista come necessaria per un nuovo ordine. Queste idee tendono a un’umanità senza un mondo esterno o con un mondo completamente controllato. Le cosmologie amerindie offrono una visione diversa: il mondo nasce dalla differenziazione di un’umanità originaria, ed è una rete di relazioni dove ogni essere è potenzialmente “persona”. La crisi attuale è vista come una trasformazione, causata dall’incapacità occidentale di vedere gli altri esseri come persone. La differenza sta tra l’antropocentrismo occidentale e l’antropomorfismo amerindio. La situazione attuale è una fase critica, legata all’Antropocene e a Gaia, vista come una potenza reattiva e imprevedibile. L’Antropocene invita a pensare l’umanità come specie, dipendente dal pianeta, ma l’idea di “umanità come specie” è astratta. Le visioni indigene mostrano una connessione vissuta con il mondo. La situazione è anche vista come una guerra, non un suicidio, ma un conflitto tra colpevoli e vittime. Il conflitto centrale è una “guerra di mondi” tra “Umani” (associati alla modernizzazione illimitata) e “Terreni” (legati alla causa della Terra, inclusi indigeni e non umani). Questa guerra riguarda la scelta di quale mondo abitare. I popoli indigeni, che hanno già affrontato “fini del mondo” storiche, offrono esperienza di sopravvivenza e resistenza. Rappresentano un approccio basato sui limiti e su tecniche diverse. La guerra di Gaia coinvolge molti attori, mostrando una divisione interna all’umanità. Gaia è un’intrusione che chiede resistenza, non un’entità unificante, ma una forza che risponde all’irresponsabilità capitalista. Chiede ai Moderni di riconoscere la responsabilità davanti ai Terrestri. Gaia è un antidoto all’Antropocene, invitando a resistere all’idea di “Umani” come forza distruttiva. Esiste una divisione politica tra chi propone l’accelerazione e chi sostiene un’ecologia politica del rallentamento. L’accelerazionismo è criticato perché ignora le condizioni ambientali e l’esistenza di altri popoli. La relazione tra umanità e mondo è inseparabile. Coloro che cercano di separare i due sono visti come nemici. La situazione richiede un rallentamento. L’urgenza può portare a soluzioni autoritarie. Il mondo è già diminuito, e l’incapacità di accettare questa perdita è dannosa. Non si tratta di tornare indietro, ma di riconoscere che ci sono molti mondi. Popoli come gli indigeni rappresentano resistenza e un’immagine di futuro. Parlare della fine del mondo significa cercare un nuovo popolo che creda nel mondo e lo ricrei con ciò che resta.Riassunto Lungo
1. L’Antropocene e la Fine del Mondo
La fine del mondo è un’idea molto presente nella cultura di oggi. Questo dipende dalla maggiore conoscenza scientifica su come sta cambiando il nostro pianeta. Stiamo vivendo una crisi ambientale e sociale causata dalle attività umane. Questa crisi è veloce e forte, e minaccia la civiltà e molte forme di vita sulla Terra.La crisi ambientale e l’Antropocene
Il disastro che vediamo non è un evento che arriva all’improvviso, ma un processo in cui l’ambiente peggiora sempre più velocemente e in modo che non si può tornare indietro. Questo non riguarda solo il riscaldamento del clima, ma anche l’acqua degli oceani che diventa più acida, la perdita di tantissime specie diverse di animali e piante, e il cambiamento dei cicli naturali del pianeta. Molti di questi cambiamenti sono già andati oltre i limiti che permettono la vita come la conosciamo sulla Terra.Questi cambiamenti, che avvengono in fretta e non si possono prevedere, cambiano il modo in cui percepiamo il tempo e lo spazio. Il futuro vicino diventa incerto, e non si capisce più bene la differenza tra problemi che riguardano solo un posto piccolo e quelli che riguardano tutto il mondo. La specie umana, con le sue azioni, è diventata una forza così potente da cambiare la geologia del pianeta. Per questo, questa nuova epoca è stata chiamata Antropocene.Natura e umanità
Il pianeta stesso, inteso come un sistema vivente complesso (“Gaia”), sta entrando nella storia umana. Questo segna la fine della vecchia idea moderna che separava l’ordine del cosmo (la natura) dall’ordine umano (la cultura). L’ambiente non è più qualcosa che sta “fuori”, ma si mescola con l’essere umano. Questo crea una crisi, perché non sappiamo più bene dove ci troviamo “noi” rispetto al resto del mondo.Pensare alla fine del mondo ci porta a chiederci “per chi” esiste questo mondo. Cioè, ci porta a pensare a “noi”, all’umanità. La crisi ci obbliga a considerare che il mondo, o l’umanità come la conosciamo, o forse entrambi, potrebbero finire. Questo fa nascere una domanda fondamentale: chi siamo questo “noi” e cosa significa essere umani in una situazione del genere.Ma l’Antropocene e l’idea di “Gaia” sono davvero concetti così assodati da ridefinire immediatamente la nostra identità?
Il capitolo introduce l’Antropocene e l’idea di “Gaia” come elementi centrali per comprendere la crisi attuale e la conseguente necessità di ripensare l’identità umana. Tuttavia, è fondamentale riconoscere che sia il concetto di Antropocene (soprattutto la sua definizione formale come epoca geologica) sia l’ipotesi di Gaia sono ancora oggetto di discussione e non godono di consenso scientifico e filosofico unanime. Esistono diverse scuole di pensiero che interpretano in modo differente la crisi ecologica e le sue implicazioni per il rapporto tra umanità e pianeta. Per esplorare la complessità di questo dibattito e le diverse prospettive in campo, può essere illuminante confrontarsi con le opere di autori come Bruno Latour, che ha analizzato a fondo le relazioni tra umani e non-umani, o esplorare il campo della filosofia ambientale e della storia ecologica.2. Il mondo senza di noi e la fine del pensiero
Si può immaginare un mondo senza l’umanità in modi diversi. Uno è l’idea di Eden o wilderness, una natura pura che esiste prima o a prescindere dall’intervento umano. Questa visione, positiva dalla fine del Settecento, vede l’umanità come un elemento che rovina la natura, portando alcuni ambientalisti radicali a suggerire di escludere le popolazioni umane da questi spazi. Questa prospettiva si basa sull’opposizione tra la vita, vista come ricca e in equilibrio, e l’umanità, considerata un fattore di squilibrio, anche se alcune popolazioni vivono in armonia con la natura. Un altro modo è proiettare questa idea nel futuro, immaginando un mondo dopo l’estinzione umana, dove la natura si riprenderebbe. Diversi testi descrivono come le tracce umane scomparirebbero in tempi relativamente brevi, permettendo alla Terra di rifiorire. Questa visione è ottimista dal punto di vista della vita non umana. L’idea che l’assenza umana permetta il ripristino del pianeta è anche alla base di movimenti che propongono l’estinzione volontaria degli umani. Immaginare la fine umana in questo modo mette in crisi il senso della storia, che sembra non avere più un futuro “nostro”.Il pensiero e il mondo esterno
La modernità ha spesso vissuto un sentimento di perdita del mondo, con la filosofia che, da Kant in poi, ha posto l’uomo come soggetto centrale, separato dalla natura. Questa visione antropocentrica ha trasformato il mondo in un oggetto per il pensiero umano. Un movimento filosofico recente, il realismo speculativo, critica questa posizione, definita “correlazionismo”, che lega l’essere al pensiero. I filosofi di questa corrente cercano di affermare l’esistenza di un mondo indipendente dal pensiero e dall’esperienza umana. Quentin Meillassoux, ad esempio, usa l’argomento dell'”ancestralità” (eventi accaduti prima dell’uomo, provati da “archifossili”) per dimostrare una realtà esterna al pensiero. Egli vede il mondo come materia “morta”, dove vita e pensiero appaiono senza fondamento. Ray Brassier porta questa idea all’estremo, sostenendo che tutto è già morto o destinato all’annientamento cosmico, rendendo il pensiero irrilevante. Per questi pensatori, la fine del mondo è quasi una tautologia: il mondo esiste come “morto”. Tuttavia, nel negare l’esperienza e la vita per affermare un essere “morto”, questa visione finisce per riaffermare un antropocentrismo rovesciato, ossessionato dal punto di vista umano, anche se negato.L’epoca attuale e il legame con la Terra
L’epoca attuale, l’Antropocene, dove l’umanità è diventata una forza geofisica capace di alterare il pianeta, mostra che il pensiero umano, una volta materializzato, è strettamente e spesso distruttivamente legato al mondo. Questo mette in discussione la netta separazione tra storia umana e storia della Terra. Film come “Melancholia” rappresentano questa collisione tra il mondo umano e un cosmo indifferente. Nonostante la visione di una fine inevitabile, la paura finale dei personaggi suggerisce una reazione umana all’evento, diversa dal nichilismo totale. L’idea di Gaia, che vede la vita sulla Terra come un sistema fragile e improbabile, rende i cambiamenti climatici un evento significativo “per noi”, collegando in modo profondo le storie della Terra, della vita e dell’umanità.Ma come si può liquidare una filosofia che cerca di affermare un mondo indipendente dal pensiero umano come un semplice “antropocentrismo rovesciato”?
Il capitolo accenna a questa critica nei confronti del realismo speculativo, ma non ne esplora a fondo le ragioni logiche. Affermare che negare l’esperienza umana per concentrarsi su un essere “morto” sia comunque una forma di ossessione per il punto di vista umano richiede un’argomentazione più solida. Per comprendere meglio questa tensione e le posizioni in campo, è fondamentale approfondire sia le tesi del realismo speculativo, leggendo autori come Quentin Meillassoux o Graham Harman, sia le filosofie che esso critica, come la fenomenologia o l’idealismo, per capire perché il “correlazionismo” sia considerato un problema e come si possa tentare di superarlo.3. Antropocentrismo e la Fine del Mondo
La fine del mondo si presenta in modi diversi. Alcune visioni, come quelle che si vedono nei film, mostrano un crollo veloce o un peggioramento lento dell’ambiente. In questi scenari, le persone si trovano in situazioni difficili o perdono la loro umanità. È un’immagine di un’umanità a cui viene tolto il mondo, con i sopravvissuti che diventano aggressivi o vuoti dentro.La Fine vista dalla Tecnologia e dal Controllo
Altre idee, spesso legate alla tecnologia, vedono la fine del mondo come un superamento dei limiti attuali. La Singolarità, ad esempio, immagina che l’uomo vada oltre la sua biologia unendosi alle macchine. Questo creerebbe un’umanità nuova, postumana, che non ha più bisogno di un mondo esterno. Il Breakthrough Institute propone un modo di gestire la natura come una risorsa, dove il capitalismo crea un ambiente artificiale controllato dall’uomo. L’accelerazionismo, un’idea di sinistra, pensa che il mondo di oggi sia già finito. Per loro, bisogna accelerare la distruzione causata dal capitalismo per creare un nuovo ordine. Vedono chi si occupa dell’ambiente come un ostacolo. Queste visioni portano verso un’umanità senza un mondo esterno o con un mondo completamente assorbito e gestito dall’uomo.La Visione dei Popoli Amerindi
I popoli amerindi presentano un’idea molto diversa. L’origine del mondo, nelle loro storie, è spesso legata a un tempo iniziale in cui tutto era “persona” o “umano”. Il mondo come lo vediamo oggi è nato quando questa umanità originaria si è divisa in diverse forme di vita ed elementi. La fine del mondo non è vista come una distruzione completa, ma come una trasformazione che si ripete, un ciclo. In queste visioni, il mondo è una rete di legami, una “società di società”, dove ogni essere può essere “umano per sé”. Gli esseri umani non sono speciali o al centro di tutto, ma sono solo una parte di questa rete. La situazione di crisi che viviamo oggi è vista come un segno di cambiamento. È causata anche dall’incapacità dei “Bianchi” di vedere gli altri esseri come persone e dalla loro ossessione per la proprietà. La differenza principale tra queste visioni sta nel mettere l’uomo al centro (antropocentrismo occidentale) rispetto all’idea che tutto possa essere potenzialmente “umano” (antropomorfismo amerindio).Questa ‘guerra di mondi’ descritta nel capitolo non rischia forse di semplificare eccessivamente una realtà fatta di interdipendenze e responsabilità diffuse, piuttosto che di fronti netti?
Il capitolo presenta un quadro suggestivo, ma la netta divisione tra “Umani” e “Terreni” e la metafora bellica potrebbero non rendere giustizia alla complessità della crisi ecologica. Non è forse un problema radicato in sistemi economici e sociali che coinvolgono gran parte dell’umanità, richiedendo analisi che vadano oltre la semplice contrapposizione? Per esplorare queste sfumature, è utile confrontarsi con autori che studiano le cause sistemiche della crisi, come Jason W. Moore o Andreas Malm, o approfondire approcci che propongono trasformazioni sociali ampie, come quelli legati alla decrescita o alla giustizia ambientale.5. Gaia, un’intrusione che chiede resistenza
Isabelle Stengers presenta Gaia come un evento improvviso: l’arrivo del riscaldamento globale causato dall’uomo. Questa Gaia non è un’entità singola e armoniosa, ma una forza potente e inesorabile che risponde all’irresponsabilità del sistema economico attuale. È una chiamata rivolta a tutti noi, che viviamo nell’epoca moderna, chiedendoci di riconoscere la nostra responsabilità non solo verso la Terra, ma di fronte a essa. Non si può trovare un accordo con il sistema economico attuale; Gaia chiede invece di trovare un modo diverso di stare insieme, di “comporre” le cose. Il legame tra le persone e il mondo è così stretto che non si possono separare. Non c’è un confine netto tra l’umanità e il resto del mondo. Chi cerca di mettere l’uomo da una parte e il mondo dall’altra è visto come un avversario. Gaia è vista come un modo per superare l’idea di Antropocene, un concetto che rischia di mettere l’uomo o la vita in generale al centro, ignorando gli interessi che legano le persone ad altre specie e ad altre dimensioni del mondo. L’idea di Gaia invita a non accettare passivamente l’Antropocene, a conviverci ma lottando contro di esso, anche contro quella parte di noi che si identifica solo come “Umani”.Due Modi di Vedere il Futuro
C’è una differenza netta tra chi pensa che la soluzione sia accelerare con tecnologia ed economia e chi invece propone di rallentare, seguendo un’ecologia basata su ritmi diversi. L’idea di accelerare, anche se si ispira a certe filosofie, non considera la realtà del mondo e dell’ambiente (l’arrivo di Gaia) e dimentica che esistono altri popoli e altre forme di vita oltre l’uomo. Questa visione sembra legata a un’idea di progresso ormai vecchia e rischia di diventare autoritaria.La Necessità di Rallentare e Accettare la Perdita
La situazione di oggi chiede di rallentare, sia nella politica globale che nell’economia. Se l’urgenza della crisi non viene gestita bene, può portare a decisioni autoritarie e a un’idea sbagliata di “sviluppo” che in realtà non aiuta nessuno. Dobbiamo accettare che il mondo, come lo conoscevamo, è già cambiato e in parte perduto. Rifiutare questa perdita è dannoso. Non si tratta di voler tornare indietro nel tempo, ma di capire che nel grande “Mondo” ci sono tanti mondi diversi.Cercare un Nuovo Popolo
Popoli come quelli indigeni, con le loro tecnologie semplici e la capacità di adattarsi e cambiare, rappresentano un modo di resistere e un’immagine per il futuro, non qualcosa che appartiene solo al passato. Pensare alla “fine del mondo” significa in realtà cercare persone nuove, un tipo di umanità che creda ancora nel mondo e sia capace di ricostruirlo usando quello che rimane.“Gaia” è un concetto scientifico o una metafora politica per resistere all’Antropocene, e che implicazioni ha questa distinzione per la comprensione della crisi?
Il capitolo introduce “Gaia” come un’alternativa all’Antropocene, ma non chiarisce se si tratti di un concetto scientifico (come l’ipotesi di Lovelock) o di una costruzione filosofica e politica per interpretare la crisi. Questa ambiguità rende difficile valutare la proposta di “resistere” all’Antropocene tramite “Gaia”. Per comprendere meglio questo dibattito, è utile approfondire sia il concetto scientifico di Antropocene, studiando la geologia e le scienze della Terra, sia l’ipotesi originale di Gaia formulata da James Lovelock, e confrontarla con l’interpretazione filosofica di autori come Isabelle Stengers.Abbiamo riassunto il possibile
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