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Contenuti del libro
Informazioni
“Emigrazione e imperialismo” di Paolo Cinanni ti porta dentro il fenomeno migratorio con uno sguardo critico e profondo. Non è solo la storia di persone che si spostano, ma un’analisi di come l’emigrazione sia un trasferimento di lavoro e capitale umano che genera sviluppo diseguale tra le nazioni e le regioni. Il libro si concentra molto sulla storia migratoria italiana, specialmente l’esodo dal Mezzogiorno e dalla Calabria, spiegando come la perdita di milioni di lavoratori immigrati abbia danneggiato l’Italia mentre arricchiva paesi come Francia, Germania, Svizzera e gli USA, che ottenevano forza lavoro già formata senza costi. Cinanni denuncia lo sfruttamento subito dagli emigrati e sostiene che le rimesse non compensano il valore perso dai paesi d’origine. Vede l’immigrazione di manodopera come una forma di imperialismo economico, dove il capitale dei paesi ricchi trae vantaggio dal lavoro altrui. L’autore propone un cambiamento radicale, con investimenti nelle aree di esodo e un vero Statuto del lavoratore emigrante per garantire parità di diritti. È un libro che ti fa capire il costo umano ed economico nascosto dietro i grandi flussi migratori.Riassunto Breve
Il trasferimento di lavoratori tra regioni o paesi sposta capacità produttive. Le aree da cui partono i lavoratori perdono forza lavoro già formata, subendo una riduzione delle proprie capacità e un rallentamento dello sviluppo. Le aree che li accolgono, invece, ottengono manodopera senza aver sostenuto i costi per crescerla e istruirla, accelerando la propria crescita economica. Questo fenomeno contribuisce allo sviluppo diseguale tra sistemi economici. In Italia, l’emigrazione di milioni di persone, soprattutto dal Mezzogiorno, è vista come una conseguenza della mancata soluzione di problemi strutturali come la questione agraria e il ritardo industriale, causando una perdita significativa per il paese e aggravando il divario tra Nord e Sud. L’esodo modifica la composizione demografica delle aree di origine, riducendo la popolazione giovane e produttiva, con effetti negativi sull’agricoltura e sull’industria locale. Paesi come Francia, Germania, Belgio, Lussemburgo, Paesi Bassi e Svizzera hanno beneficiato storicamente e continuano a beneficiare dell’immigrazione di manodopera, spesso impiegata nei lavori più pesanti e meno pagati. Gli Stati Uniti rappresentano un esempio lampante di come l’immigrazione di milioni di lavoratori formati abbia alimentato una crescita economica e demografica rapida, risparmiando enormi costi di formazione e generando super-profitto. I lavoratori immigrati spesso subiscono sfruttamento, discriminazioni e precarietà, il che indebolisce l’unità della classe operaia e mantiene bassi i salari. Le rimesse inviate dagli emigranti non compensano il valore della forza lavoro persa dai paesi d’origine né i vantaggi ottenuti dai paesi d’immigrazione. Queste rimesse derivano dal sacrificio personale e raramente stimolano lo sviluppo produttivo locale, finendo spesso per finanziare consumi o investimenti altrove. I paesi d’origine sopportano comunque i costi dei servizi sociali per le famiglie rimaste e per gli emigranti che tornano. L’emigrazione è legata alle esigenze del modo di produzione capitalistico, che crea una “sovrappopolazione relativa” nei paesi meno sviluppati e la utilizza come “esercito industriale di riserva” nei paesi più ricchi. Questo trasferimento di forza lavoro non pienamente compensato è un trasferimento gratuito di ricchezza. Per affrontare questo problema, è necessario un cambiamento radicale che includa investimenti produttivi nelle aree di origine per creare lavoro, riforme strutturali e la garanzia di piena parità di trattamento per i lavoratori immigrati, riconoscendo e compensando i costi di formazione sostenuti dai paesi di provenienza. L’obiettivo è garantire un futuro dignitoso in patria per ogni persona, valorizzando il patrimonio umano.Riassunto Lungo
1. L’esodo del lavoro e il divario tra regioni
La migrazione è lo spostamento di lavoratori tra diverse aree o paesi. È un fenomeno che ha conseguenze importanti sia per i luoghi di partenza che per quelli di arrivo. Quando le persone lasciano un luogo, quel luogo perde le loro capacità lavorative. I posti dove arrivano, invece, guadagnano questa forza lavoro. Questo è un vantaggio per chi riceve, perché usa lavoratori già pronti, senza aver speso per formarli, e così cresce più in fretta.Conseguenze per le aree di partenza
Questo spostamento di massa indebolisce le zone da cui le persone partono. Manca la forza lavoro, manca l’iniziativa. Questo peggiora l’arretratezza economica, impedisce di usare al meglio le risorse locali e lascia il potere a chi non è capace di cambiare le cose. Se non si fa nulla per fermarla, la migrazione peggiora, le attività produttive diminuiscono ancora e le persone abbandonano la loro terra. Questo fenomeno contribuisce a creare e aumentare le differenze di sviluppo tra paesi e regioni.L’impatto sulle aree di arrivo e sui lavoratori migranti
I paesi che ricevono i migranti vedono aumentare le proprie capacità produttive. Usano forza lavoro già formata, risparmiando i costi di formazione e accelerando lo sviluppo. Tuttavia, chi migra spesso trova lavori meno qualificati e pagati male. Subiscono soprusi e hanno meno diritti sociali rispetto ai lavoratori del posto. Questo rende più difficile per i lavoratori, sia locali che immigrati, unirsi per migliorare le loro condizioni.Il caso italiano
In Italia, la migrazione è vista come un problema grave. È una conseguenza diretta del fatto che non si è risolto il problema della terra e che l’industria è cresciuta in ritardo, specialmente nel Sud. Milioni di lavoratori italiani che se ne sono andati nel mondo sono una perdita enorme. Questo ha frenato lo sviluppo e ha reso ancora più grande la differenza tra Nord e Sud. Tra il 1876 e il 1965, più di 24 milioni di italiani sono andati all’estero. Questo ha cambiato la popolazione italiana: c’erano meno uomini e meno persone in età da lavoro. Le conseguenze sullo sviluppo sono state negative. Il danno economico per l’Italia comprende sia il costo di aver formato questi lavoratori, sia il guadagno che invece è andato ai paesi dove sono andati a lavorare.Riconoscimento del problema e possibili soluzioni
Oggi si capisce sempre di più quanto la migrazione sia dannosa, anche chi prima la vedeva come una cosa positiva. C’è l’idea che i paesi che hanno ricevuto questi lavoratori dovrebbero in qualche modo “compensare” le aree di origine. Questa compensazione dovrebbe diventare investimenti per creare lavoro nei luoghi da cui le persone partono. L’obiettivo è fermare la migrazione e aiutare lo sviluppo lì. Per risolvere il problema della migrazione, soprattutto dal Sud Italia, serve un piano di sviluppo preciso. Questo piano deve creare posti di lavoro nelle regioni di origine per fermare e poi invertire i flussi migratori. Servono grandi cambiamenti e una nuova guida politica che metta gli interessi di tutti prima degli interessi dei grandi gruppi economici. Bisogna evitare che le regioni meno sviluppate siano usate solo per prendere lavoratori e materie prime.Ma è davvero così semplice liquidare la migrazione come una mera ‘perdita’ per le aree di origine, ignorando ogni altra sfaccettatura?
Il capitolo offre una visione parziale del fenomeno migratorio, concentrandosi quasi esclusivamente sugli aspetti negativi per le aree di partenza e sui guadagni per quelle di arrivo in termini di forza lavoro, tralasciando la complessità delle motivazioni individuali, il ruolo cruciale delle rimesse economiche inviate dai migranti alle famiglie rimaste, e le dinamiche sociali e culturali che la migrazione innesca in entrambe le direzioni. Per comprendere appieno la questione, è fondamentale allargare lo sguardo oltre la pura analisi economica e considerare le prospettive della sociologia delle migrazioni, dell’antropologia e della storia globale, che analizzano il fenomeno nella sua interezza e complessità. Autori come Stephen Castles o Douglas Massey, o anche studi più specifici sull’emigrazione italiana che ne analizzino le molteplici dimensioni oltre il mero dato quantitativo, possono offrire un quadro più completo e sfumato.2. Il Prezzo dell’Emigrazione
Un grande numero di lavoratori ha lasciato la Calabria e il Sud Italia per oltre cento anni. Questo spostamento di massa è iniziato alla fine dell’Ottocento. All’inizio, centinaia di migliaia di persone si sono trasferite in modo definitivo nelle Americhe. Più tardi, specialmente dopo la Seconda Guerra Mondiale e con la nascita della CEE, molti si sono spostati verso il Nord Italia e altri paesi europei, a volte solo per brevi periodi.Perché le Persone Lasciavano la Loro Terra
Il motivo principale di questa partenza di massa era un problema legato alla terra che non è mai stato risolto. La terra era concentrata nelle mani di poche persone, e non ci sono state le riforme necessarie. Questo ha lasciato molti contadini senza terra da coltivare e senza lavoro, costringendoli a cercare fortuna altrove. Anche le condizioni di vita difficili, la mancanza di strade, servizi e strutture essenziali hanno contribuito a spingere le persone ad andare via.Le Difficoltà per Chi Restava
Andare via ha avuto effetti negativi sulla regione di origine. C’è stata una perdita continua e definitiva dei lavoratori più giovani e capaci, e di conseguenza la popolazione è diventata più vecchia. L’agricoltura ha subito un declino, con campi abbandonati e meno prodotti. Anche le poche industrie locali non sono riuscite a crescere e spesso sono sparite. I dati economici, come il reddito di ogni persona e gli investimenti, sono rimasti bassi, mettendo la Calabria all’ultimo posto tra le regioni italiane.Le Leggi e la Circolazione della Manodopera
Le leggi speciali create per la Calabria e l’idea di far circolare liberamente i lavoratori nella CEE non hanno cambiato questa situazione. Queste misure non hanno affrontato le cause profonde della partenza delle persone. Non hanno nemmeno previsto un modo per compensare la regione per il costo di crescere e preparare i lavoratori che poi sono andati a lavorare altrove. La “libera circolazione” si è trasformata, di fatto, in un trasferimento gratuito di persone e capacità verso le economie più ricche, aumentando gli squilibri tra le diverse aree. Per cambiare questa situazione, le politiche devono cambiare radicalmente. Servono riforme importanti, soprattutto nel settore agricolo, e investimenti che creino lavoro nelle zone da cui le persone partono. Questi investimenti dovrebbero essere almeno uguali al valore del lavoro perso ogni anno, per creare nuove opportunità e usare al meglio le risorse locali. Senza misure che compensino le perdite e una programmazione economica che miri a uno sviluppo più equilibrato, le persone continueranno ad andare via, mettendo a rischio il futuro delle regioni più povere.Ma è economicamente sostenibile, o persino concettualmente fondato, parlare di “compensazione” per il valore del lavoro “perso” a causa dell’emigrazione?
Il capitolo critica la libera circolazione della manodopera nella CEE, definendola un trasferimento “gratuito” e proponendo una compensazione per il valore del lavoro perduto. Questa prospettiva solleva interrogativi fondamentali sulla natura della migrazione in un contesto di libera circolazione delle persone e sulla misurabilità economica di tale “perdita”. Per approfondire, sarebbe utile esaminare i dibattiti in economia della migrazione e in economia regionale, studiando autori che analizzano i flussi migratori non solo in termini di “perdita” per la regione di origine, ma anche considerando i benefici (come le rimesse) e le complessità del concetto di capitale umano in movimento. Approfondire le teorie economiche sulla convergenza e divergenza regionale e le politiche di coesione europee può fornire un contesto più ampio.3. Il costo nascosto della manodopera immigrata
L’Immigrazione in Francia
La Francia ha una lunga storia di immigrazione, motivata principalmente dalla bassa natalità e dalle esigenze dell’industria. Questa politica serve a mantenere stabile la popolazione e a fornire la forza lavoro necessaria per lo sviluppo economico del paese. Già nel 1967, un ministro francese sottolineava come solo l’immigrazione avesse permesso di non diminuire la popolazione e di sostenere la crescita. Per il futuro, si prevede l’arrivo di molti altri lavoratori stranieri, soprattutto da Spagna, Portogallo, Marocco e Tunisia. L’immigrazione è vista anche come uno strumento per creare una certa quota di disoccupazione, utile a tenere bassi i salari, generando però malcontento tra i lavoratori locali.Il Caso Tedesco e i Vantaggi Economici Generali
Anche la Germania occidentale, nel dopoguerra, ha legato strettamente la sua straordinaria crescita economica, il cosiddetto “miracolo tedesco”, all’immigrazione. Inizialmente, milioni di tedeschi “espulsi” o “rifugiati” dalle regioni orientali hanno fornito una vasta riserva di manodopera per la ricostruzione. Dopo il 1957, esaurita questa fonte interna, la Germania ha iniziato ad accogliere immigrazione economica dall’estero. L’arrivo di manodopera straniera offre un enorme vantaggio economico ai paesi che la ricevono. Questi paesi ottengono lavoratori già formati e pronti, senza aver speso per la loro crescita e istruzione, costi che rimangono a carico dei paesi d’origine.La Realtà dei Lavoratori Immigrati e la Questione della Compensazione
Questo risparmio per i paesi ospitanti si traduce in maggiore produttività e accumulazione di capitale. Tuttavia, i lavoratori immigrati sono spesso impiegati nei lavori più faticosi e meno qualificati, affrontando condizioni difficili, discriminazioni e una grande precarietà. Un esempio sono i contratti annuali in Germania, che rendono più facili i rimpatri in caso di crisi economica. Il movimento operaio ha cercato nel tempo di organizzare i lavoratori immigrati per combattere lo sfruttamento e le ingiustizie che subiscono. L’esperienza degli italiani in Francia dimostra come sia possibile un percorso di integrazione e una partecipazione attiva nelle lotte sindacali e politiche. L’immigrazione di manodopera è un trasferimento non solo di persone, ma di forze produttive il cui valore va ben oltre il semplice salario. I paesi ospitanti traggono grandi vantaggi da questa manodopera già formata e dovrebbero riconoscere e compensare i paesi d’origine per le spese sostenute per la loro formazione. È fondamentale, inoltre, garantire piena parità di trattamento a questi lavoratori.Se le rimesse sono solo un “costo nascosto” e non portano sviluppo, come si spiega che per milioni di famiglie rappresentino la principale fonte di sostentamento e un argine alla povertà?
Il capitolo presenta una critica puntuale e necessaria alla retorica sulle rimesse, evidenziandone i limiti strutturali e i costi per il paese d’origine. Tuttavia, concentrandosi quasi esclusivamente sul mancato sviluppo produttivo su larga scala, rischia di sottovalutare l’impatto diretto e spesso vitale che queste somme hanno sul benessere immediato delle famiglie riceventi, sulla riduzione della povertà e sul miglioramento delle condizioni di vita individuali. Per ottenere una visione più completa, è fondamentale integrare l’analisi macroeconomica con studi a livello micro, approfondendo discipline come l’economia dello sviluppo e la sociologia delle migrazioni, che esplorano come le rimesse vengano effettivamente utilizzate e quali siano le loro conseguenze concrete sulla vita delle persone e delle comunità locali, al di là dei grandi aggregati economici.7. Il costo umano e il profitto del capitale nelle migrazioni moderne
Le migrazioni di oggi sono spinte soprattutto dall’economia e dal sistema capitalistico. Sono strettamente legate allo sviluppo dell’industria e al bisogno continuo di espansione delle economie più dinamiche del mondo. L’arrivo di lavoratori immigrati fa aumentare la produzione e i guadagni per le aziende nei paesi dove arrivano. Questo permette a questi paesi di produrre a costi più bassi e di diventare più potenti economicamente e politicamente. Questo conferma l’idea che l’emigrazione da paesi meno sviluppati sia un fenomeno legato all’imperialismo.Vantaggi per i paesi di arrivo e danni per i paesi di partenza
Usare manodopera straniera porta grandi vantaggi ai paesi che la accolgono. Il costo del lavoro è minore perché i salari sono spesso più bassi. Non ci sono spese per crescere e formare il lavoratore, che restano a carico del paese d’origine. Le prestazioni sociali per gli immigrati sono di fatto inferiori rispetto a quanto contribuirebbero in proporzione. A volte, anche i costi per le infrastrutture sono coperti solo in parte dai paesi di arrivo. Tutti questi fattori portano a un aumento della ricchezza nazionale, a un’economia più stabile e a un miglioramento degli scambi con l’estero.Le perdite per i paesi d’origine
Per i paesi da cui si parte, l’unico beneficio certo sono i soldi che gli emigrati mandano a casa. Ma questi soldi non compensano affatto le perdite subite, che sono gravi e danneggiano lo sviluppo futuro. Si crea uno squilibrio nella popolazione, con molti giovani, donne e anziani che restano, mentre i lavoratori qualificati e le persone più preparate se ne vanno. Nelle zone con molta emigrazione, la mancanza di lavoratori esperti fa aumentare i costi di produzione. Questo porta all’abbandono di lavori tradizionali, specialmente in agricoltura. Anche la disoccupazione rimane alta, sia perché le vecchie attività chiudono, sia perché mancano persone preparate per iniziare nuove imprese. La perdita per queste regioni è un danno che non si può riparare.Lo sfruttamento dei lavoratori immigrati
I lavoratori immigrati vengono spesso impiegati nei lavori che richiedono meno preparazione. Si trovano in una posizione di incertezza e vengono usati per tenere bassi i salari di tutti. In questo modo, si forma un nuovo gruppo di lavoratori sfruttati che hanno meno diritti degli altri. Questo crea divisioni tra i lavoratori, li rende più deboli e aumenta il potere delle aziende. La possibilità per i lavoratori di spostarsi liberamente, senza però avere gli stessi diritti e senza un compenso per i costi della loro formazione, porta a una diminuzione del valore del lavoro per i lavoratori locali e genera grandi guadagni extra per le aziende.La necessità di pari diritti
È fondamentale lottare perché tutti i lavoratori, ovunque si trovino, abbiano gli stessi diritti e lo stesso trattamento. Non è giusto che ci siano differenze basate sull’origine o sulla nazionalità. Per raggiungere questa parità e contrastare lo sfruttamento, si propone di adottare uno Statuto del lavoratore emigrante. Questo documento dovrebbe garantire una serie di diritti fondamentali per chi si sposta per lavoro:- Parità di trattamento economico, che tenga conto anche dei costi per crescere e formare il lavoratore.
- Parità di prestazioni sociali, come sanità e pensioni.
- Riconoscimento delle qualifiche professionali ottenute nel paese d’origine.
- Parità di diritti nei sindacati e nella partecipazione democratica.
- Diritto a un alloggio dignitoso e al ricongiungimento con la famiglia.
- Diritto a partecipare attivamente alla vita della comunità locale.
L’esempio dell’Italia nel dopoguerra
In Italia, dopo la Seconda Guerra Mondiale, si scelse di puntare molto sull’emigrazione come soluzione ai problemi economici del Sud. Questa scelta però ha danneggiato gli interessi delle regioni da cui partivano le persone, soprattutto il Mezzogiorno. Lo sviluppo è stato concentrato nel “triangolo industriale” del Nord (Milano-Torino-Genova). I soldi mandati a casa dagli emigrati sono stati usati per finanziare gli investimenti in queste aree più ricche. L’economia nazionale ha quindi un debito verso il Sud e le altre regioni che sono state sacrificate per questo modello di sviluppo. È fondamentale mettere fine a questo sacrificio, investendo in modo adeguato in queste aree e realizzando riforme necessarie.Il valore della persona
L’obiettivo fondamentale e irrinunciabile è garantire un futuro sicuro e dignitoso per ogni individuo nella sua terra d’origine. Dobbiamo salvaguardare il patrimonio umano, che rappresenta la vera ricchezza di una nazione. È l’uomo, con la sua intelligenza, la sua forza e il suo lavoro, a creare ogni forma di benessere e progresso per la società. Per questo motivo, è la persona umana che deve essere posta al centro di ogni politica e che va protetta sopra ogni altra cosa.Se l’emigrazione è solo sfruttamento e danno, come si spiega la scelta di milioni di persone di partire?
Il capitolo offre un’analisi critica degli impatti economici delle migrazioni, concentrandosi prevalentemente sui costi e benefici a livello statale e sul profitto del capitale. Tuttavia, l’argomentazione sembra trascurare la prospettiva fondamentale dell’individuo migrante e le complesse motivazioni che spingono milioni di persone a lasciare la propria terra, spesso affrontando enormi difficoltà. Per comprendere appieno il fenomeno, è essenziale esplorare le decisioni a livello micro, il ruolo delle reti sociali, le aspettative (anche se talvolta frustrate) di miglioramento personale e familiare, e le dinamiche delle rimesse non solo come compensazione parziale, ma anche come potenziale motore di sviluppo locale o investimento. Approfondire la sociologia delle migrazioni e l’economia dello sviluppo, magari leggendo autori come Stephen Castles o Hein de Haas, può aiutare a cogliere la multidimensionalità del fenomeno, che va oltre la semplice dicotomia danno/profitto statale.Abbiamo riassunto il possibile
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