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Informazioni
“Effetto serra, effetto guerra Clima, conflitti, migrazioni l’Italia in prima linea” di Grammenos Pasini ti sbatte in faccia una realtà che forse non vedi tutti i giorni: il cambiamento climatico non è solo roba da orsi polari o temperature che salgono, è qualcosa che sta già mettendo sottosopra il mondo, creando instabilità globale e spingendo milioni di persone a spostarsi. Il libro spiega come l’aumento dei gas serra stia sciogliendo i ghiacci, alzando il livello del mare e rendendo il meteo una roulette russa tra siccità e alluvioni. Questo degrado ambientale, dalla perdita di biodiversità alla desertificazione, colpisce più duramente chi è già povero, specialmente in posti come il Sahel o l’Asia Centrale, distruggendo raccolti e risorse vitali. E quando la gente non ha più niente, la tensione sale, scoppiano conflitti climatici e l’unica via d’uscita diventa la migrazione forzata. Il Mediterraneo, con l’Italia in prima linea, diventa il crocevia di queste crisi, un punto caldo dove si decide se chiuderci dietro muri inutili o investire in cooperazione internazionale e sviluppo sostenibile per affrontare le cause alla radice e costruire un futuro un po’ più giusto e sicuro per tutti.Riassunto Breve
La temperatura media del pianeta aumenta rapidamente, con ghiacci che si sciolgono, livello del mare che sale e fenomeni meteo estremi più frequenti. Questo cambiamento va oltre le variazioni naturali passate ed è legato all’aumento dei gas serra nell’atmosfera, come CO2 e metano, causato principalmente dall’uso di combustibili fossili e dalla deforestazione. L’aumento di questi gas intensifica l’effetto serra, trattenendo più calore. Il sistema climatico ha meccanismi che possono accelerare il riscaldamento, come la fusione dei ghiacci che riduce la superficie riflettente o il disgelo del permafrost che rilascia metano. I modelli climatici confermano che il riscaldamento recente è dovuto all’attività umana e prevedono aumenti significativi di temperatura in futuro, con impatti diversi a seconda delle regioni. L’innalzamento del livello del mare minaccia le coste, la riduzione dei ghiacciai montani diminuisce le riserve d’acqua dolce, e aumentano desertificazione, siccità, inondazioni e malattie. Questi impatti destabilizzano le società umane, rendendo imprevedibili risorse essenziali e generando insicurezza, competizione e potenziali conflitti e migrazioni. Si stima che milioni di persone potrebbero essere costrette a spostarsi. I conflitti moderni sono legati anche al degrado ambientale e al cambiamento climatico, che agiscono come fattori di stress sulle risorse. Affrontare la crisi richiede un approccio che unisca ambiente, sviluppo, diritti umani e pace, riconoscendo che la salute del pianistema richiede giustizia sociale.Il degrado ambientale e il riscaldamento globale colpiscono in modo sproporzionato i paesi poveri, che non hanno i mezzi per affrontare la perdita di risorse vitali. Questo crea un ciclo di povertà e instabilità che rende più difficile la cooperazione globale. Continuare con le attuali emissioni porta a rischi catastrofici. L’ecosistema terrestre è complesso e l’attività umana ha alterato equilibri cruciali, portando a una rapida perdita di biodiversità e al degrado di oceani e terre emerse. L’acidificazione degli oceani danneggia la vita marina, mentre la desertificazione e l’erosione impoveriscono i suoli, specialmente nei paesi poveri, alimentando conflitti per le risorse. È importante agire dove la vulnerabilità è maggiore e coinvolgere le comunità locali nella ricerca di soluzioni. La lotta contro il degrado ambientale è una lotta per preservare la diversità biologica e i servizi ecosistemici da cui dipende l’umanità.La fusione dei ghiacci polari e montani è una causa diretta di instabilità. L’innalzamento del livello del mare, dovuto alla fusione dei ghiacci continentali e alla dilatazione termica, minaccia le zone costiere densamente popolate, causando inondazioni e salinizzazione. Questo potrebbe spostare centinaia di milioni di persone. Nell’Artico, la fusione apre nuove rotte e rende accessibili risorse, aumentando la competizione tra stati e sconvolgendo la vita delle popolazioni locali. Sulle montagne, la riduzione dei ghiacciai diminuisce la disponibilità di acqua dolce per miliardi di persone a valle, creando difficoltà per agricoltura ed energia idroelettrica e potenziale instabilità. Gli impatti climatici in aree fragili generano flussi migratori che possono raggiungere anche paesi più ricchi, creando sfide globali. Punti critici per la destabilizzazione globale potrebbero avvicinarsi rapidamente.Il cambiamento climatico altera gli equilibri in molte regioni. In Kirghizistan, la riduzione dei ghiacciai e il degrado dei pascoli causano siccità a monte e scarsità d’acqua a valle. In Asia centrale, la cattiva gestione dell’acqua e l’aumento delle temperature hanno prosciugato il lago d’Aral, distruggendo l’economia locale e generando tensioni regionali. In America Latina, lo scioglimento dei ghiacciai andini e la deforestazione influenzano il ciclo dell’acqua, causando siccità, eventi estremi e salinizzazione dei terreni, spingendo le popolazioni verso le città. Fenomeni come El Niño, resi più intensi, aggravano la situazione. In Africa, l’aumento delle temperature e la variazione delle piogge causano siccità e ondate di caldo, riducendo i raccolti e spingendo alla migrazione, specialmente nel Sahel. La scarsità di risorse, come nel caso del lago Ciad, alimenta conflitti violenti e instabilità. La dipendenza dall’agricoltura rende l’Africa particolarmente vulnerabile agli impatti climatici, che si traducono in crisi umanitarie.Il Mediterraneo è un esempio di come il cambiamento climatico amplifichi le crisi, specialmente in regioni già fragili come Sahel, Nord Africa e Medio Oriente. L’aumento delle temperature e la diminuzione delle piogge causano desertificazione e scarsità di acqua e terra produttiva, distruggendo i mezzi di sussistenza rurali e generando povertà, disuguaglianze e conflitti per le risorse. Questa instabilità spinge le popolazioni a migrare, spesso verso l’Europa attraverso il Mediterraneo, in condizioni di fragilità che espongono a sfruttamento e radicalizzazione. La crescita demografica e l’incapacità dei sistemi politici locali aggravano la destabilizzazione. Il Mediterraneo stesso subisce un aumento delle temperature e una diminuzione delle piogge, con impatti sull’agricoltura, eventi estremi e salute anche nei paesi europei meridionali. Le nazioni devono considerare gli impatti climatici esterni (proiezione) oltre a mitigazione e adattamento interni. L’Italia, per la sua posizione, è in prima linea nell’affrontare i flussi migratori e l’instabilità dal Sud del Mediterraneo. C’è il rischio che la cooperazione internazionale diminuisca, lasciando l’Italia ad affrontare una situazione potenzialmente esplosiva, ma questo può anche essere un’opportunità per guidare una risposta internazionale.Per gestire le sfide globali come migrazioni e cambiamenti climatici, si possono considerare due approcci basati sull’interesse economico. La strategia del muro, che consiste nel chiudersi, blocca i movimenti e impedisce i meccanismi di riequilibrio. Non ammettere i migranti non elimina i rischi, ma può aumentare la radicalizzazione e i conflitti nelle aree di origine, con costi elevati. Questa strategia impedisce anche di beneficiare economicamente dalle migrazioni e indebolisce i legami internazionali, comportando perdite economiche significative. La seconda opzione è investire nelle aree di origine, come il Sahel, per aumentare la produttività agricola e la scolarizzazione, creando speranza e stabilità. Investire nel recupero delle terre degradate ha costi contenuti, trasforma i suoli in pozzi di carbonio e genera benefici come sicurezza alimentare, gestione dell’acqua e freno alle migrazioni forzate. Esempi mostrano come piccoli investimenti possano eliminare la migrazione stagionale e rafforzare le comunità. Questa strategia di cooperazione, pur avendo costi iniziali, evita perdite future molto maggiori legate all’instabilità e si presenta come la scelta più vantaggiosa anche dal punto di vista economico, oltre a promuovere la pace.Riassunto Lungo
1. Clima e Instabilità Globale
Il clima della Terra sta cambiando in modo molto veloce. La temperatura media globale è salita di circa un grado rispetto all’Ottocento, e metà di questo aumento è avvenuto solo negli ultimi trent’anni. I ghiacci nell’Artico durante l’estate si sono ridotti del 40% dal 1979, i ghiacciai sulle montagne si ritirano, e il livello del mare è aumentato di 25 centimetri dal 1880. Anche le piogge cambiano: in alcune zone diventano più forti e intense, mentre in altre si alternano a lunghi periodi di siccità. Questi cambiamenti sono diversi da quelli naturali del passato, sia per quanto sono rapidi sia per quanto sono grandi. L’aria antica intrappolata nei ghiacci dell’Antartide ci dice che oggi ci sono molti più gas serra come CO2 e metano nell’atmosfera rispetto agli ultimi milioni di anni. La concentrazione di CO2, che prima oscillava tra 180 e 280 parti per milione, ora supera stabilmente le 400 parti per milione.Perché il clima sta cambiando
La temperatura della Terra dipende dall’equilibrio tra l’energia che arriva dal sole e il calore che la Terra rimanda nello spazio sotto forma di raggi infrarossi. L’atmosfera, che contiene gas serra come il vapore acqueo, la CO2 e il metano, assorbe una parte di questo calore terrestre, trattenendolo. Questo è l’effetto serra naturale, fondamentale per la vita sul pianeta. L’aumento dei gas serra, causato principalmente dall’uomo attraverso la combustione di carbone, petrolio e gas, l’agricoltura e il taglio delle foreste, rende questo effetto serra più forte, intrappolando più calore. Il sistema climatico ha anche meccanismi che si auto-alimentano e accelerano il cambiamento. Per esempio, quando il ghiaccio si scioglie, la superficie bianca che riflette la luce del sole diminuisce, e la Terra assorbe più calore (questo è un “feedback positivo”). Oppure, lo scioglimento del permafrost (il terreno ghiacciato) rilascia metano, un gas serra molto potente, che a sua volta aumenta il riscaldamento.Le conseguenze del cambiamento climatico
I modelli climatici, che riescono a riprodurre bene il clima del passato, prevedono un aumento significativo delle temperature per il futuro, che potrebbe andare da 3°C a oltre 4°C entro la fine del secolo, a seconda di quanta inquinamento produrremo. Questi modelli confermano che il rapido riscaldamento che stiamo vedendo oggi è causato dalle attività umane. Le conseguenze di questi cambiamenti sono diverse da regione a regione e colpiscono di più chi è più vulnerabile. L’innalzamento del livello del mare minaccia le città e le aree vicino alle coste. Lo scioglimento dei ghiacciai di montagna riduce le riserve di acqua dolce, essenziali per molte comunità. Aumentano le aree che diventano deserto, i periodi di siccità si fanno più lunghi, le inondazioni più frequenti e intense, e alcune malattie si diffondono più facilmente. Anche gli oceani diventano più acidi, mettendo in pericolo la vita marina.Impatto sulla società e sicurezza
Tutti questi effetti destabilizzano le società umane. I “servizi” che la natura ci offre, come le piogge regolari per l’agricoltura o la disponibilità di acqua, diventano imprevedibili. Questa perdita di sicurezza e la scarsità di risorse vitali creano tensioni, aumentano la competizione e possono portare a conflitti e a spostamenti forzati di popolazioni. Si calcola che decine o centinaia di milioni di persone potrebbero dover lasciare le proprie case a causa del clima nei prossimi decenni. Oggi si capisce meglio che i conflitti non nascono solo da problemi economici o sociali, ma anche da squilibri ambientali. Il peggioramento dell’ambiente e il cambiamento climatico agiscono come eventi improvvisi che rendono scarse le risorse fondamentali, creando così le condizioni per le tensioni.Affrontare il cambiamento climatico
Per affrontare il cambiamento climatico è necessario un approccio che consideri insieme l’ambiente, lo sviluppo delle società, i diritti umani e la pace. Per avere un ecosistema sano, servono giustizia sociale e uno sviluppo equo per tutti. L’Agenda 2030 delle Nazioni Unite riflette questa idea, promuovendo uno sviluppo che sia sostenibile, che rispetti i limiti del pianeta e che cerchi un equilibrio a livello globale. Agire per il clima significa quindi agire per la giustizia.Davvero la scarsità di risorse dovuta al clima è la causa primaria di conflitti e migrazioni, o stiamo trascurando altre dinamiche socio-politiche ed economiche?
Il capitolo evidenzia giustamente come i cambiamenti ambientali possano esacerbare le tensioni sociali. Tuttavia, la relazione tra clima, scarsità di risorse, conflitti e migrazioni è estremamente complessa e oggetto di dibattito accademico. Ridurre la causalità principalmente a fattori ambientali rischia di trascurare il ruolo fondamentale giocato da dinamiche politiche interne, disuguaglianze economiche, eredità storiche e fragilità istituzionali che spesso sono i veri motori dell’instabilità. Per approfondire questa tematica, è essenziale studiare la politologia, la sociologia, l’economia dello sviluppo e le relazioni internazionali. Autori come Paul Collier offrono prospettive sulle cause dei conflitti che integrano, o a volte pongono in primo piano, fattori non strettamente ambientali.2. Il Collasso Ambientale Inizia dai Poveri
Il riscaldamento globale e il degrado della natura colpiscono in modo particolarmente duro i paesi poveri. Queste nazioni, spesso situate in aree già fragili, subiscono le conseguenze più gravi, come la perdita di raccolti o la distruzione degli ecosistemi. Per loro, questi non sono solo problemi economici, ma minacce dirette ai diritti umani fondamentali e alla stabilità della società. Mentre le economie più ricche hanno i mezzi per assorbire o compensare queste perdite, le regioni povere non possiedono tali risorse. Questo degrado ambientale genera insicurezza, alimenta conflitti e costringe le persone a migrare. Si crea così un ciclo pericoloso: il peggioramento delle condizioni ambientali aggrava la povertà e l’instabilità, rendendo sempre più difficile quella cooperazione globale che sarebbe invece essenziale per affrontare la crisi climatica. Se non cambiamo rotta, rischiamo un aumento della temperatura terrestre oltre i 4°C, con la concreta possibilità di conseguenze catastrofiche per la vita sul pianeta, incluse estinzioni di massa e disastri naturali sempre più frequenti e intensi.L’Ecosistema Terrestre: Un Sistema Fragile
La Terra è un sistema complesso dove ogni elemento è profondamente collegato agli altri. Purtroppo, le attività umane hanno alterato molti di questi equilibri delicati, spingendo alcuni processi verso punti di non ritorno.La Perdita di Biodiversità e il Degrado degli Ecosistemi
Un esempio lampante di questa alterazione è la perdita di biodiversità. Stiamo assistendo a quella che viene definita la sesta estinzione di massa, un processo molto più rapido rispetto alle estinzioni avvenute in passato. Questa diminuzione drastica delle specie è estremamente pericolosa perché ogni forma di vita ha un ruolo specifico all’interno dell’ecosistema, e la scomparsa di una sola specie può innescare una reazione a catena con effetti imprevedibili e dannosi per l’intero sistema.Oceani e Terre Emerse Sotto Pressione
Non solo la biodiversità, ma anche gli oceani e le terre emerse subiscono un grave deterioramento. Gli oceani diventano sempre più acidi a causa dell’assorbimento di anidride carbonica dall’atmosfera. Questa acidificazione danneggia organismi marini che sono fondamentali per l’intera catena alimentare sottomarina. Allo stesso tempo, le terre vengono impoverite e danneggiate da processi come la desertificazione, l’erosione e la perdita di vitalità del suolo. Spesso questo accade a causa di pratiche agricole o di sfruttamento insostenibili. Questo diffuso degrado del suolo e delle acque colpisce milioni di persone, in particolare nei paesi più poveri, e contribuisce ad aumentare la competizione e i conflitti per le risorse naturali essenziali.Agire Dove la Vulnerabilità è Maggiore
È quindi fondamentale concentrare gli sforzi dove la vulnerabilità è più alta, perché l’instabilità in queste aree può facilmente estendersi a livello globale. La partecipazione attiva delle comunità che vivono nelle zone più colpite è cruciale. Queste popolazioni gestiscono spesso vaste aree terrestri che sono essenziali per trovare soluzioni efficaci ai problemi ambientali. Affrontare i cambiamenti climatici e le altre forme di degrado ambientale significa, in sostanza, lottare per proteggere quella diversità biologica e quei servizi forniti dagli ecosistemi da cui dipende la sopravvivenza stessa dell’umanità.Ma se il degrado ambientale è causato principalmente dalle economie ricche, è logico affermare che il “collasso” inizi dai poveri?
Il capitolo descrive con efficacia come il peso del degrado ambientale ricada in maniera sproporzionata sui paesi poveri, evidenziandone la maggiore vulnerabilità e la mancanza di risorse per far fronte alle conseguenze. Tuttavia, l’argomentazione presenta una lacuna significativa nel non esplorare a fondo le cause storiche e strutturali di tale vulnerabilità, né nel collegare esplicitamente i principali responsabili delle emissioni e dello sfruttamento delle risorse (spesso situati nelle nazioni più ricche) con gli impatti devastanti subiti dai più poveri. Affermare che il “collasso inizi dai poveri” rischia di invertire la prospettiva, ponendo l’attenzione sulle vittime piuttosto che sulle cause sistemiche e sulla distribuzione globale delle responsabilità. Per colmare questa lacuna, sarebbe utile approfondire la storia economica globale, la geopolitica delle risorse e i concetti di debito ecologico, leggendo autori come Jason Hickel o Naomi Klein, che analizzano le dinamiche di potere e le disuguaglianze che sottendono la crisi ecologica.3. Ghiaccio che si scioglie, mondo che cambia
Il riscaldamento globale crea instabilità in molti modi, e uno dei principali è la fusione dei ghiacci che avviene sia nelle zone vicine ai poli che sulle catene montuose più alte. Quando i ghiacci sulla terraferma si sciolgono e l’acqua del mare si scalda e si espande, il livello del mare si alza progressivamente. Questo aumento minaccia direttamente le zone costiere, dove si concentra una grande parte della popolazione mondiale. L’innalzamento del mare causa allagamenti sempre più frequenti e rende l’acqua dolce e i terreni salati, rendendo vaste aree non più adatte per viverci o coltivare, come accade nei delta di grandi fiumi come il Nilo, il Niger e il Mekong, o sulle piccole isole. Gli esperti stimano che, senza interventi per ridurre le emissioni, il livello del mare potrebbe aumentare di circa due metri entro la fine di questo secolo, il che potrebbe costringere centinaia di milioni di persone a lasciare le proprie case.Cambiamenti nell’Artico
Nelle regioni artiche, la fusione dei ghiacci apre nuove rotte marittime che prima erano impraticabili e rende accessibili risorse naturali che si trovavano sotto il ghiaccio. Questo fenomeno genera competizione e tensioni tra stati che si affacciano sull’Artico, come Russia, Stati Uniti e Canada. Il disgelo ha anche un impatto profondo e diretto sulle popolazioni locali, come gli Inuit, che vedono il loro modo di vita tradizionale completamente sconvolto dai rapidi cambiamenti ambientali. Inoltre, la fusione del permafrost, il terreno che rimaneva ghiacciato tutto l’anno, destabilizza le costruzioni e le infrastrutture, creando ulteriori problemi per le comunità e le attività economiche della regione. L’Artico si trasforma così rapidamente, diventando un simbolo visibile degli effetti del riscaldamento globale.Impatti sulle montagne
Sulle montagne di tutto il mondo, la diminuzione dei ghiacciai riduce drasticamente la riserva di acqua dolce che alimenta fiumi e laghi a valle. Questa risorsa idrica è di vitale importanza perché circa la metà della popolazione mondiale dipende dall’acqua che scende dai ghiacciai durante la primavera e l’estate per bere, irrigare i campi agricoli e produrre energia elettrica nelle centrali idroelettriche. La progressiva perdita di questa riserva d’acqua crea serie difficoltà per l’agricoltura e l’approvvigionamento idrico in molte aree. La scarsità d’acqua può portare a instabilità sociale e spingere le popolazioni a migrare in cerca di condizioni migliori. La situazione è particolarmente critica in regioni come l’Hindu Kush himalayano, un’area cruciale che fornisce acqua a 1,4 miliardi di persone che vivono più a valle.Conseguenze globali e urgenza
Gli impatti del clima in aree particolarmente fragili non rimangono isolati all’interno dei loro confini geografici. Al contrario, generano flussi migratori significativi che possono raggiungere anche paesi più ricchi e lontani, creando sfide complesse a livello globale. L’interconnessione tra ecosistemi e società umane fa sì che i problemi ambientali in una parte del mondo abbiano ripercussioni su scala più ampia. La situazione attuale richiede azioni immediate e decise per ridurre le emissioni di gas serra e per adattarsi ai cambiamenti climatici che sono ormai inevitabili. È fondamentale comprendere che i punti critici che potrebbero portare a una destabilizzazione globale potrebbero verificarsi già intorno al 2030 se non si interviene in modo efficace e tempestivo.Affermare che il cambiamento climatico “spinga” direttamente a migrazioni forzate e radicalizzazione non rischia di semplificare eccessivamente le cause profonde di instabilità e povertà?
Il capitolo lega in modo molto diretto il degrado ambientale dovuto al clima a conseguenze complesse come la perdita di dignità, i conflitti, le migrazioni forzate e persino la radicalizzazione. Questa narrazione, pur evidenziando un fattore aggravante importante (“threat multiplier”), rischia di trascurare la rete intricata di cause socio-economiche, politiche, storiche e di governance che sono spesso i motori primari di instabilità e migrazione in queste regioni. Per comprendere appieno la situazione, è necessario integrare l’analisi climatica con studi di scienze politiche, sociologia delle migrazioni e storia delle relazioni internazionali. Approfondire il lavoro di autori che si occupano delle cause multidimensionali della povertà e del conflitto, o delle dinamiche migratorie complesse che non sono mai monoliticamente “forzate” da un singolo fattore, può offrire una prospettiva più completa e meno deterministica.6. Il Calcolo Cinico tra Muri e Cooperazione
Esistono due modi principali per affrontare sfide globali come le migrazioni e i cambiamenti climatici, guardando solo all’interesse economico. Un esperimento mentale esplora cosa accadrebbe se si agisse solo per profitto, senza considerare la morale.La strategia di chiusura
Una prima opzione è la strategia del muro, che significa chiudersi per sentirsi più sicuri. Questo blocca il passaggio di persone e merci, interrompendo meccanismi che in passato hanno aiutato a trovare un equilibrio. Non accogliere i migranti non elimina i pericoli, anzi può portare a situazioni estreme nei paesi di origine, aumentando il rischio di conflitti ampi e costosi. La strategia del muro impedisce anche di ottenere vantaggi economici dalle migrazioni, come l’aiuto al sistema pensionistico o la ripresa di alcuni settori lavorativi. Inoltre, isola dai mercati esteri e indebolisce i rapporti con gli altri paesi. Si calcola che questa scelta possa causare perdite economiche molto grandi, fino al 10% del Prodotto Interno Lordo per l’Italia e più di mille miliardi di euro per l’Europa.La strategia di apertura e investimento
La seconda opzione propone un aiuto concreto e investimenti nelle aree da cui partono le migrazioni, come la regione del Sahel. L’obiettivo è dare speranza e stabilità, puntando a migliorare la produzione agricola e l’istruzione. Investire per recuperare terreni rovinati costa relativamente poco, circa 220 euro per ogni ettaro. Questo trasforma i terreni: da luoghi che emettono gas inquinanti diventano capaci di assorbire anidride carbonica, aiutando a combattere il cambiamento climatico. Questi interventi portano molti altri risultati positivi: cibo sicuro, gestione dell’acqua, comunità più forti, maggiore autonomia per le persone del posto, una riduzione delle migrazioni forzate e meno spazio per i gruppi estremisti. Un esempio in Burkina Faso mostra come un piccolo investimento per costruire una diga e dare supporto sociale abbia fermato la migrazione stagionale, aumentato la produzione e reso la comunità più unita.Vantaggi economici e pace
Questa strategia di investimento e collaborazione, anche se richiede costi all’inizio, evita perdite future molto più pesanti causate da guerre e instabilità. Si dimostra la scelta più conveniente dal punto di vista economico e favorisce la pace tra i popoli.Ma se il ‘calcolo’ è davvero solo ‘cinico’ e basato sul mero interesse economico, come si spiega che la strategia ‘vincente’ porti anche a pace e stabilità, che non sono benefici puramente economici, e come si inquadrano le spinte non economiche che pure influenzano le decisioni?
Il capitolo imposta l’analisi su un ‘calcolo cinico’ puramente economico per affrontare sfide globali, ma la strategia che emerge come ‘vincente’ porta con sé benefici che vanno oltre il mero profitto, come la pace e la stabilità. Questo solleva il dubbio se un’ottica esclusivamente economica sia sufficiente a comprendere le dinamiche complesse delle migrazioni e dei cambiamenti climatici, e se non rischi di ignorare le profonde motivazioni non economiche – identitarie, culturali, di sicurezza percepita – che spesso guidano le scelte politiche, anche quelle apparentemente ‘irrazionali’ dal punto di vista economico. Per approfondire questi aspetti, è utile esplorare i campi della scienza politica e delle relazioni internazionali, e leggere autori che analizzano l’interazione tra economia, potere e società.Abbiamo riassunto il possibile
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