1. L’evoluzione digitale e le sue implicazioni
La rivoluzione digitale ha preso il via nel Novecento con l’arrivo di internet e dei personal computer. Questo percorso ha portato, nel primo decennio del nuovo millennio, all’affermazione del capitalismo delle piattaforme. Queste imprese digitali, spesso nate nella Silicon Valley, offrono servizi che appaiono gratuiti, ma il loro modello di profitto si basa sullo sfruttamento intensivo dei dati personali degli utenti. Il caso di Google e lo scandalo Cambridge Analytica, legato a Facebook, illustrano chiaramente questa dinamica. Le piattaforme si presentano in varie forme, come quelle pubblicitarie, cloud, di prodotto, snelle o industriali, e mostrano una forte tendenza a creare situazioni di monopolio nei rispettivi settori.L’intelligenza artificiale e la quarta rivoluzione industriale
La nostra epoca è segnata dalla quarta rivoluzione industriale, un periodo caratterizzato dalla rapida e vasta diffusione dell’intelligenza artificiale (IA). L’IA si intreccia profondamente con internet, dando vita al concetto di Internet delle cose. Si distinguono principalmente due tipi di intelligenza artificiale: quella ristretta, progettata per svolgere compiti specifici e definiti, come guidare auto autonome o controllare robot industriali; e quella generale, che punta a imitare le capacità cognitive umane in un’ampia gamma di funzioni. L’uso degli algoritmi, spesso poco trasparenti e potenzialmente influenzati da pregiudizi presenti nei dati di addestramento, si sta espandendo in numerosi ambiti della vita sociale.L’impatto degli algoritmi nella società
L’applicazione degli algoritmi solleva importanti interrogativi riguardo all’equità e al controllo sociale. Questi sistemi vengono impiegati in settori cruciali come la scuola, per valutare gli insegnanti, l’università, per stilare classifiche e ammettere studenti, e il mondo del lavoro, per pianificare turni o selezionare candidati. Trovano impiego anche nella sicurezza e nella giustizia, come dimostrano pratiche di polizia predittiva o sistemi di valutazione del rischio di recidiva. L’opacità di molti algoritmi e il rischio di replicare o amplificare discriminazioni esistenti rappresentano sfide significative per garantire processi giusti e imparziali.Visioni future dell’intelligenza artificiale
Guardando al futuro, la prospettiva di sviluppare un’intelligenza artificiale generale apre scenari complessi e affascinanti. Concetti come la Superintelligenza, la Singolarità tecnologica e il Post-umanismo esplorano la possibilità che macchine dotate di intelligenza superiore possano affiancare o persino superare le capacità umane. Queste visioni portano a riflettere sulla natura stessa dell’essere umano e sulla distinzione tra intelligenza biologica e artificiale. Sorgono interrogativi fondamentali su cosa renda un essere umano unico, suggerendo che elementi come la sensibilità, l’empatia o la percezione di “uncanny valley” (la sensazione di disagio di fronte a qualcosa di quasi umano ma non del tutto) possano giocare un ruolo cruciale nel definire questa differenza.Ma davvero la distinzione tra uomo e macchina si riduce a una “uncanny valley” o a un po’ di “sensibilità”, come se l’IA generale fosse solo una questione di rifiniture?
Il capitolo, nel guardare alle visioni future dell’intelligenza artificiale, solleva interrogativi fondamentali sulla natura umana. Tuttavia, definire l’unicità dell’essere umano attraverso concetti come la “sensibilità” o la percezione di “uncanny valley” rischia di semplificare eccessivamente una questione filosofica complessa e ancora aperta. Per esplorare più a fondo cosa significhi essere umani nell’era dell’IA e quali siano i veri confini (o la loro assenza) tra intelligenza biologica e artificiale, è utile approfondire la filosofia della mente e l’etica dell’intelligenza artificiale. Un autore da considerare per queste tematiche è Luciano Floridi.2. Il Formato Mediaco del Potere Populista
Il populismo di oggi si presenta come un modo di fare politica legato ai media. Ha tre caratteristiche principali. Prima di tutto, si rivolge a un’idea di “popolo” visto come un’unità che si contrappone alle “élite”. Poi, queste élite vengono presentate in modo negativo, quasi come nemici. Infine, c’è l’idea di una rappresentanza diretta, dove il leader parla direttamente alla gente. Nei populismi attuali, i media sono fondamentali per questa comunicazione diretta. Non sono solo un mezzo per diffondere idee, ma aiutano a creare e modellare il messaggio stesso.L’impatto dei media sulla politica
I media sono cambiati molto nel tempo, passando dalla stampa fino ad arrivare a internet. Questo cambiamento ha reso la politica più “personale”. Chi comunica, come i leader, può parlare direttamente con le persone che votano. E chi riceve, cioè gli utenti, può scegliere quali informazioni leggere o guardare. Questo legame più diretto, insieme al fatto che gli elettori cambiano idea più facilmente, favorisce alcuni aspetti tipici del populismo di oggi. Uno è la “disintermediazione”: significa che si tende a saltare i canali tradizionali, come i partiti politici o il parlamento, per comunicare direttamente. Un altro effetto è la “frammentazione” e la “polarizzazione”: i messaggi diventano molto personalizzati, creando come delle “bolle” di informazione che separano e dividono le persone. Infine, c’è la “contendibilità del potere”: diventa più facile per persone che non vengono dal mondo della politica entrare in questo campo, e gli equilibri politici diventano meno stabili.Populismo: un fenomeno con più cause
L’idea che il populismo dipenda dai media si unisce ad altre spiegazioni. Alcuni pensano che nasca da problemi politici, come una crisi della democrazia. Altri credono che dipenda da problemi economici, come le disuguaglianze o la globalizzazione. Altri ancora lo vedono legato a fattori psicologici, come il senso di rabbia o comportamenti irrazionali. I media digitali, però, hanno un ruolo speciale. Usano meccanismi che agiscono sulla nostra psicologia e algoritmi per attirare la nostra attenzione e influenzare quello che facciamo. In questo modo, i media digitali rendono più forti e veloci gli effetti delle altre cause.La sfida della regolamentazione di internet
Dato che il populismo si diffonde molto attraverso i media digitali, nasce la questione su come regolare internet. Ci sono diverse idee su come farlo. Un approccio è il controllo totale da parte dello Stato, come avviene in Cina. Un altro è lasciare che le piattaforme private si regolino da sole, un modello più simile a quello degli Stati Uniti. C’è poi un modello misto, tipico dell’Europa, dove Stato e privati collaborano. Questo modello europeo cerca di trovare un equilibrio tra la libertà di dire la propria opinione e la necessità di proteggere i dati personali delle persone.Ma siamo certi che il populismo sia un prodotto dei media digitali, e non piuttosto che i media digitali siano semplicemente lo strumento più efficace per diffondere un malcontento che ha radici ben più profonde?
Il capitolo evidenzia il ruolo cruciale dei media digitali nel plasmare il populismo contemporaneo, e indubbiamente questi canali sono fondamentali per la sua diffusione e le sue dinamiche. Tuttavia, la tesi che i media siano la causa primaria o l’amplificatore determinante è dibattuta. Molti studiosi sostengono che il populismo emerga da crisi strutturali preesistenti – come la stagnazione economica per ampi strati della popolazione, la perdita di fiducia nelle istituzioni tradizionali, o profonde trasformazioni sociali e culturali – e che i media digitali siano semplicemente il veicolo che permette a queste tensioni di manifestarsi e organizzarsi in forme nuove. Per una comprensione più completa, è essenziale integrare l’analisi mediatica con studi di sociologia politica, economia e storia sociale. Approfondire autori che si sono occupati delle cause profonde della disuguaglianza o della crisi della rappresentanza può offrire prospettive illuminanti.3. La Sostituzione degli Intermediari Digitali
L’idea comune che i vecchi mediatori stiano scomparendo in economia, informazione e politica, lasciando spazio a un rapporto diretto tra chi produce e chi consuma, non corrisponde alla realtà. Invece di una “disintermediazione”, stiamo assistendo a una “re-intermediazione”. Questo significa che i vecchi intermediari vengono sostituiti da nuovi soggetti, in particolare quelli che operano nel mondo digitale. Questo accade in diversi settori della nostra vita quotidiana. Nell’economia e nella finanza, ad esempio, consulenti e programmi informatici guidano le scelte di investimento e gestiscono le informazioni per chi compra o investe i propri risparmi.L’Informazione nell’Era Digitale
Anche nel mondo dell’informazione, le cose cambiano profondamente. Le grandi piattaforme online come Google, Twitter e Facebook sono diventate i nuovi mediatori principali. Funzionano come filtri: scelgono e mostrano le notizie usando algoritmi complessi. Questo modo di operare decide quali argomenti diventano importanti per il pubblico e adatta i contenuti a ogni persona in base a cosa cerca o fa online. A differenza del vecchio giornalismo, che puntava sulla verifica dei fatti, questo sistema spesso favorisce notizie che attirano più clic, anche se sono false o piene di odio, mettendo in secondo piano la qualità e l’affidabilità delle fonti originali.
La Politica e i Nuovi Mediatori
Anche la politica vede una trasformazione simile nel suo modo di funzionare. I partiti come li conoscevamo perdono peso e importanza. Al loro posto, emergono partiti nati direttamente online (i cosiddetti partiti digitali, come il M5S) o partiti più vecchi che usano moltissimo internet (partiti digitalizzati). Questi nuovi attori usano le piattaforme digitali per parlare subito con le persone, raccogliere soldi e organizzare eventi e campagne. Dicono di rappresentare direttamente la volontà dei cittadini, ma spesso sono molto centralizzati, con poche persone (leader o esperti di comunicazione) che controllano tutto usando potenti strumenti digitali per la comunicazione e l’organizzazione interna.
Questo nuovo scenario digitale è fertile per il populismo di oggi, che potremmo chiamare populismo mediatico. Si crea una sorta di “cortocircuito” tra chi governa e i mezzi di comunicazione: diventa più importante cercare subito l’approvazione del pubblico che pensare a obiettivi politici a lungo termine per il paese. La rappresentanza delle persone non scompare del tutto, ma cambia forma, affidandosi a questi nuovi mediatori digitali e a leader che parlano continuamente attraverso le piattaforme online per mantenere un contatto diretto con i propri sostenitori.
Se il digitale è un ambiente “fragile” e “plasmato dalle scelte umane”, come si spiega la concentrazione di potere nelle mani di poche piattaforme e la logica apparentemente inesorabile del capitalismo della sorveglianza?
Il capitolo introduce l’idea della fragilità del digitale e della sua evoluzione non predeterminata, ma contemporaneamente descrive la fortissima concentrazione di potere economico nelle piattaforme e la dipendenza dal modello del capitalismo della sorveglianza, che sembra invece seguire una logica molto rigida e difficile da alterare. Questa tensione tra fragilità/plasmabilità e potere/determinismo economico non viene pienamente esplorata. Per comprendere meglio questa dinamica complessa, è utile approfondire le critiche al potere delle piattaforme e le analisi del capitalismo digitale. Si possono leggere autori come Shoshana Zuboff, che ha teorizzato il capitalismo della sorveglianza, o Evgeny Morozov, noto per le sue analisi critiche sulle ideologie digitali e il potere tecnologico.7. Regole pratiche per l’era digitale
La vera sfida dell’era digitale non riguarda solo la tecnologia, ma soprattutto il modo in cui noi ci relazioniamo con questo ambiente. Le leggi e i principi che già esistono, pur essendo molti, non funzionano bene se non vengono integrati direttamente negli algoritmi. Per questo, sono necessarie politiche concrete, regole tecniche precise e buone pratiche diffuse.Cinque regole pratiche per il digitale
Per affrontare al meglio questa relazione con il digitale, ci sono cinque regole pratiche fondamentali. La prima regola suggerisce una “dieta digitale”. Questo serve a contrastare la dipendenza dalla rete e dall’intelligenza artificiale, un problema che la pandemia ha reso ancora più evidente. Usare troppo queste tecnologie crea dipendenza. È fondamentale non diventare totalmente dipendenti, soprattutto dalle tecnologie che funzionano da sole.Resistere alla “gamification”
La seconda regola invita a resistere alla “gamification”. Questo significa non trasformare la propria vita in una specie di gioco a premi. Queste strategie, che si vedono in sistemi come il credito sociale in Cina o anche nel cashback, influenzano il nostro comportamento e fanno sembrare l’obbedienza a certe regole quasi un divertimento.Evitare l’unione tra digitale e burocrazia
La terza regola raccomanda di non unire digitale e burocrazia. Quando queste due cose si fondono, spesso nascono processi molto complicati e poco efficienti, che fanno perdere tempo e risorse. Questo dimostra che la tecnologia, per funzionare bene, ha sempre bisogno dell’intervento umano.Controllo della sicurezza a monte e a valle
La quarta regola dice che la sicurezza in rete non dovrebbe dipendere solo dall’utente. Il controllo deve avvenire “a monte”, cioè quando si creano gli algoritmi, e “a valle”, con l’intervento di autorità competenti. È importante capire come funzionano gli algoritmi, anche se il loro codice non viene mostrato. Tecnologie come la blockchain, ad esempio, possono aiutare a garantire maggiore trasparenza.Complementarietà uomo-macchina
La quinta regola stabilisce che uomo e macchina devono essere complementari. Questo significa che l’essere umano non deve mai essere messo da parte nei processi decisionali. Ci deve essere sempre la possibilità di parlare con una persona, almeno come ultima possibilità, specialmente quando si tratta di decisioni che hanno conseguenze legali e che altrimenti sarebbero prese solo da sistemi automatici.Il vero valore della tecnologia
Queste regole sono passi concreti. Il modo più efficace per gestirle è dare istruzioni dirette alle macchine, poi usare le leggi e infine promuovere l’educazione digitale. Internet e l’intelligenza artificiale sono utili se rendono la nostra vita e la nostra cultura più ricche. Diventano dannosi quando le impoveriscono, le usano per altri scopi o le trasformano in denaro, facendo credere che la tecnologia sia l’unica cosa importante.Se la tecnologia “ha sempre bisogno dell’intervento umano” per funzionare bene, come si concilia questa affermazione con l’automazione spinta promessa dal digitale e auspicata per l’integrazione delle regole negli algoritmi?
Il capitolo presenta una tensione irrisolta: da un lato, insiste sulla necessità dell’intervento umano come garanzia di buon funzionamento e come ultima istanza decisionale, specialmente in ambiti critici come la burocrazia e le decisioni con conseguenze legali; dall’altro, suggerisce che le leggi e i principi debbano essere “integrati direttamente negli algoritmi” per essere efficaci, il che implica un grado di automazione normativa e decisionale molto elevato. Questa apparente contraddizione tra l’imperativo dell’intervento umano e la spinta all’automazione algoritmica non viene chiarita. Per affrontare questa lacuna, sarebbe opportuno esplorare più a fondo le implicazioni tecniche, etiche e legali dell’automazione decisionale, studiando discipline come l’etica dell’intelligenza artificiale, il diritto digitale e la filosofia della tecnologia. Approfondire il pensiero di autori che hanno analizzato l’impatto sociale e politico delle tecnologie digitali e dell’automazione potrebbe offrire prospettive utili a comprendere come bilanciare l’efficienza algoritmica con la garanzia del controllo umano e della responsabilità.Abbiamo riassunto il possibile
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