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Informazioni
“È l’economia, stupido. Votare in tempo di crisi” di Marco Giuliani ci porta dritti al cuore di una domanda fondamentale: quanto le nostre scelte alle urne dipendono da come vanno le cose, economicamente parlando? Questo libro esplora a fondo il legame tra crisi economica e comportamento elettorale, partendo dall’idea che gli elettori tendono a premiare o punire i partiti al governo in base all’andamento dell’economia. Ma non è così semplice, specialmente in periodi turbolenti come la Grande Recessione del 2008. Giuliani analizza come indicatori come la disoccupazione influenzino il voto economico, guardando sia alla situazione generale del paese che, in modo super interessante, all’impatto dell’economia locale su elezioni nazionali, con esempi concreti dall’Italia e dalla Spagna. Scopriamo che la crisi non solo riduce la partecipazione e aumenta la volatilità elettorale, favorendo nuovi partiti politici, ma cambia proprio il modo in cui attribuiamo la responsabilità e confrontiamo la nostra situazione con quella di altri paesi, un fenomeno chiamato benchmarking internazionale. È un viaggio per capire come le difficoltà economiche globali e locali ridisegnano il panorama politico e le nostre decisioni nel seggio.Riassunto Breve
Le condizioni economiche di un paese influenzano le scelte di voto dei cittadini, un concetto centrale nella teoria del voto economico. Gli elettori considerano il governo responsabile dell’andamento dell’economia e tendono a premiare i partiti al potere quando l’economia va bene e a penalizzarli quando va male. Questa valutazione si basa più sulla situazione economica generale del paese (comportamento sociotropico) che sulle finanze personali (comportamento egotropico) e guarda più alla performance passata (voto retrospettivo) che alle aspettative future (voto prospettivo). La chiarezza su chi detiene la responsabilità della gestione economica è importante; in governi di coalizione ampi o con influenze esterne, l’impatto dell’economia sul voto può diminuire. La Grande Recessione, iniziata nel 2007, rappresenta un caso cruciale per studiare questi effetti, avendo causato un grave crollo economico globale con calo del PIL, aumento del debito e disoccupazione elevata in molti paesi avanzati, come mostrano i dati per Stati Uniti ed Europa, con variazioni significative tra i paesi OCSE analizzati. Le difficoltà economiche portano a una minore partecipazione elettorale, aumentano la volatilità del voto e favoriscono l’ascesa di nuovi partiti, potenziando anche la polarizzazione. L’impatto negativo dell’economia sui partiti di governo varia in base alle istituzioni e alla chiarezza dell’attribuzione di responsabilità; nei governi di coalizione, il partito leader può subire meno sanzioni rispetto ai partner minori. Fattori internazionali come l’appartenenza all’Unione Europea possono moderare l’effetto negativo dell’economia sul voto per il governo. L’analisi a livello subnazionale, come nelle province, offre un modo robusto per studiare queste dinamiche, controllando meglio i fattori locali. In Italia nel 2013, l’alta disoccupazione locale e nelle aree vicine ha ridotto la partecipazione e il sostegno ai partiti che avevano appoggiato il governo tecnico, aumentando il voto per i nuovi partiti. In Spagna nel 2015, la disoccupazione locale ha ridotto la partecipazione e il sostegno al governo nazionale, ma la corruzione ha avuto effetti diversi, a volte aumentando la partecipazione e penalizzando specifici partiti. In contesti di economia nazionale forte, come la Germania nel 2013, le differenze economiche locali hanno meno impatto sul voto per il governo, mentre altri temi come l’immigrazione diventano più rilevanti. La Grande Recessione ha segnato un cambiamento nel rapporto tra economia e voto: prima del 2008, gli elettori reagivano al cambiamento della disoccupazione, mentre durante la crisi reagiscono al livello assoluto della disoccupazione, specialmente confrontandolo con la situazione di altri paesi (benchmarking). Questo confronto con punti di riferimento esterni diventa determinante per il consenso al governo, soprattutto nei paesi con economie più aperte. La crisi ha lasciato un’eredità duratura sui sistemi politici, aumentando la volatilità elettorale e riducendo la fiducia nelle istituzioni, accelerando dinamiche preesistenti e influenzando la qualità delle democrazie.Riassunto Lungo
1. L’economia e il voto: un legame fondamentale
Le condizioni economiche di un paese influenzano profondamente le scelte di voto dei cittadini. Questa idea è al centro della teoria del voto economico, che suggerisce come gli elettori tendano a considerare il governo in carica responsabile dell’andamento dell’economia nazionale. Di conseguenza, premiano i partiti al governo quando l’economia è percepita come forte e li penalizzano quando la situazione economica peggiora.Come gli elettori valutano l’economia
Gli studi che analizzano questo legame esaminano i dati sia a livello generale, guardando indicatori come il PIL, sia a livello individuale, basandosi sulle percezioni e le esperienze dei singoli cittadini. Le ricerche più recenti mostrano che i risultati ottenuti da queste diverse prospettive spesso si allineano, confermando la forza del legame. Nella valutazione dell’economia, gli elettori si concentrano maggiormente sulla situazione economica complessiva del paese, un comportamento definito sociotropico, piuttosto che sulle proprie finanze personali, che sarebbe un comportamento egotropico. Inoltre, tendono a guardare più alla performance economica passata del governo, un approccio chiamato voto retrospettivo, piuttosto che basarsi sulle aspettative per il futuro, che costituirebbe un voto prospettivo.Quando il legame tra economia e voto si indebolisce
La chiarezza su chi sia effettivamente responsabile della gestione economica è un fattore importante che può influenzare questo legame. Quando le responsabilità del governo sono meno definite, ad esempio in presenza di ampie coalizioni di governo o a causa di influenze esterne significative come la globalizzazione o le decisioni di organismi sovranazionali, diventa più difficile per gli elettori attribuire meriti o colpe. In queste situazioni, l’impatto diretto dell’andamento economico sulle decisioni di voto può diminuire, perché la percezione della responsabilità del governo sulla prosperità o sulla crisi si affievolisce nella mente degli elettori.La Grande Recessione: un caso di studio
La Grande Recessione, iniziata negli Stati Uniti nel 2007 con la crisi immobiliare e dei mutui subprime, ha rappresentato un evento economico di portata globale che ha avuto un impatto profondo. Questa crisi è stata caratterizzata da un grave crollo del PIL in molte nazioni, un aumento vertiginoso del debito pubblico e seri problemi nel settore finanziario che si sono propagati all’economia reale. Un periodo di crisi così marcato offre un’opportunità cruciale per testare sul campo la teoria del voto economico. Permette in particolare di studiare se, e in che misura, gli effetti negativi di un crollo economico sul sostegno elettorale ai governi siano più forti e determinanti rispetto agli effetti positivi di una fase di crescita economica.Ma è davvero sufficiente guardare solo all’economia per capire le scelte di voto, o il capitolo ignora la complessità del cittadino elettore?
Il capitolo presenta il legame tra economia e voto come fondamentale, ma non approfondisce a sufficienza come gli elettori, nella realtà, percepiscano e attribuiscano la responsabilità economica in contesti politici complessi o durante crisi profonde. La decisione di voto è influenzata da una miriade di fattori che vanno oltre la mera performance economica, includendo identità partitica, valori sociali, percezione dei leader e l’influenza dei media. Per avere un quadro più completo, sarebbe utile esplorare le ricerche in psicologia politica e sociologia del voto, considerando autori che hanno studiato l’interazione tra fattori economici e non economici nelle decisioni elettorali.2. L’Impronta della Crisi sull’Economia e sul Voto
La Grande Recessione ha colpito duramente le economie dei paesi più sviluppati. Negli Stati Uniti, ad esempio, il numero di persone senza lavoro è raddoppiato, passando dal 4,5% al 10% entro la fine del 2009. Nello stesso periodo, tra il 2007 e il 2012, il debito dello Stato è quasi raddoppiato, arrivando al 100% della ricchezza totale prodotta dal paese (PIL). Anche l’Europa ha affrontato grandi difficoltà, con l’economia che nel 2009 ha smesso di crescere ed è diminuita del 4,3%. La disoccupazione è aumentata molto in tutto il continente, colpendo in modo particolare paesi come la Grecia e la Spagna. Anche il debito pubblico è cresciuto in molte nazioni europee.Differenze tra i paesi
Gli effetti economici della crisi non sono stati uguali in tutti i 25 paesi OCSE che sono stati analizzati. Alcune nazioni sono riuscite a evitare che la loro economia diminuisse, come la Corea del Sud e Israele. Altre, invece, hanno avuto periodi lunghi di crisi economica, come è successo in Grecia e in Italia. La Grecia ha registrato il tasso di disoccupazione più alto, che ha superato il 27%, e un debito pubblico molto elevato. L’Irlanda ha vissuto una crisi profonda ma poi si è ripresa velocemente. Il Giappone, che aveva già un debito pubblico alto, lo ha visto aumentare ancora di più a causa delle politiche del governo per stimolare l’economia.Gli effetti sull’elettorato
Lo stato dell’economia ha un impatto chiaro sul modo in cui le persone votano. Quando aumenta la disoccupazione, per esempio, i partiti che sono al governo tendono a ricevere meno voti. Le difficoltà economiche portano anche meno persone ad andare a votare. Inoltre, in tempi di crisi economica, gli elettori cambiano più facilmente idea e spostano il loro voto da un partito all’altro, rendendo i risultati delle elezioni più difficili da prevedere. Questa situazione di instabilità rende più semplice per i nuovi partiti politici nascere e farsi conoscere. La crisi sembra anche spingere gli elettori verso posizioni più lontane tra loro, aumentando potenzialmente il sostegno per i partiti che si trovano alle estremità dello schieramento politico.Ma è davvero così automatico che una crisi economica spinga gli elettori verso gli “estremi” politici, o il capitolo semplifica eccessivamente una dinamica ben più complessa?
Il capitolo, nel descrivere gli effetti della crisi sull’elettorato, accenna a una potenziale spinta verso posizioni più distanti e alla facilità con cui nuovi partiti possono emergere. Questa osservazione, per quanto interessante, appare fin troppo sbrigativa e priva del necessario contesto. Affermare che la crisi “sembra” spingere verso gli estremi non spiega perché questo accada, né quali fattori specifici determinino la natura (destra, sinistra, populista) e il successo di questi “nuovi” o “estremi” attori politici. La relazione tra crisi economica e radicalizzazione politica è complessa e non automatica; dipende da innumerevoli variabili sociali, culturali e istituzionali specifiche di ogni paese. Per approfondire, sarebbe essenziale esplorare la letteratura sulla sociologia politica, l’analisi comparata dei sistemi politici e gli studi sul populismo, magari confrontandosi con le prospettive offerte da autori come Mudde o Mair.3. Crisi Economica e Attribuzione di Responsabilità nel Voto
I momenti di difficoltà economica, come le recessioni, spingono chi vota a cambiare le proprie preferenze. Questo rende il voto più imprevedibile e favorisce i partiti nuovi o quelli più lontani dalle posizioni centrali, perché vengono visti come non responsabili della situazione. Di conseguenza, si assiste a una maggiore distanza tra le diverse posizioni politiche espresse dagli elettori. Quando aumenta la disoccupazione, cresce il supporto per i partiti emergenti e quelli radicali, anche se questo fenomeno non incide molto sulla polarizzazione generale del voto.Come cambia il voto in base al tipo di governo
L’effetto negativo dell’economia sui partiti che sono al governo dipende da come è organizzato il sistema politico. È più facile premiare o punire i responsabili politici quando gli elettori riescono a capire chiaramente chi ha la colpa della situazione economica. Se il governo è formato da una coalizione di più partiti, capire chi è responsabile può essere più difficile. Tuttavia, la disoccupazione sembra avere un impatto più variabile sul voto totale per la coalizione rispetto a quando governa un solo partito. All’interno di una coalizione, il partito principale sembra riuscire meglio a evitare le conseguenze negative sul voto rispetto ai partiti più piccoli. I governi che non hanno la maggioranza assoluta in parlamento sembrano meno esposti a essere puniti dagli elettori per i problemi economici.L’influenza di fattori esterni e dell’ideologia
Anche ciò che accade fuori dai confini nazionali ha un ruolo. Essere parte dell’Unione Europea sembra rendere meno forte l’effetto negativo dell’economia sul voto per il governo, ma allo stesso tempo lo rende più prevedibile. Un’economia molto legata al resto del mondo potrebbe subire danni politici leggermente maggiori in caso di disoccupazione. L’orientamento politico generale del governo (la sua ideologia) sembra meno importante di quanto si pensasse. Però, se una coalizione di governo è composta da partiti con idee molto diverse tra loro, è più vulnerabile agli effetti negativi dell’economia. Questo fa pensare che gli elettori non puniscano solo per i cattivi risultati economici, ma anche per la percezione di confusione o blocco nelle decisioni prese per affrontare la crisi.Studiare il voto all’interno di una singola nazione, analizzando le differenze tra le varie aree geografiche, è un modo efficace per capire meglio queste dinamiche. Permette di tenere sotto controllo molti fattori specifici del contesto, cosa più difficile quando si confrontano paesi diversi tra loro.Davvero la crisi economica “spinge” gli elettori a votare sull’immigrazione, o il capitolo confonde cause ed effetti?
Il capitolo, pur evidenziando il cambiamento nel legame tra economia e voto dopo il 2008 e l’emergere di temi come l’immigrazione nell’esempio tedesco, non chiarisce a sufficienza il nesso causale tra questi fenomeni. Non è scontato che una situazione economica forte o debole porti direttamente gli elettori a concentrarsi su temi non economici come l’immigrazione. Per comprendere meglio questa complessa interazione, è fondamentale approfondire gli studi che analizzano come le condizioni economiche influenzino le ansie sociali e culturali e come queste, a loro volta, vengano politicizzate. Discipline come la sociologia politica e la psicologia sociale offrono strumenti utili. Per un approfondimento, si possono considerare gli studi di autori come Pierre Bourdieu o Pippa Norris, che esplorano i legami tra struttura sociale, cultura e comportamento politico.7. Lo Specchio Globale del Voto Economico
La crisi economica iniziata nel 2008 si è diffusa velocemente in tutto il mondo, grazie ai mercati collegati tra loro. Questa diffusione non ha toccato solo l’economia, ma anche la politica, cambiando la fiducia delle persone e il modo in cui votano. Fatti economici accaduti lontano hanno avuto effetti diretti sulla vita di tutti i giorni, e i media hanno reso ancora più forte questa sensazione di un mondo connesso.Il Confronto Globale: Cos’è il Benchmarking
Le teorie che spiegano perché le persone votano in base all’economia, di solito guardano solo ai fattori interni di un paese. Ma è importante considerare anche quello che succede fuori. Le persone, magari senza pensarci troppo, paragonano la situazione economica del proprio paese con quella degli altri nel mondo. Questo confronto si chiama “benchmarking”. Invece di basarsi solo su come vanno gli indicatori economici nazionali in assoluto, chi vota guarda anche a come stanno rispetto ad altri paesi o a economie considerate importanti.Benchmarking Durante la Crisi
Durante la Grande Recessione, il benchmarking è diventato molto importante. Prima della crisi, il voto per il governo dipendeva di più da come cambiava (se aumentava o diminuiva) la disoccupazione nel proprio paese. Invece, durante la crisi, le persone hanno reagito soprattutto al livello di disoccupazione locale paragonato alla media mondiale. Trovarsi in una situazione economica migliore o peggiore rispetto agli altri paesi è diventato decisivo per decidere se sostenere il governo. L’andamento generale dell’economia mondiale, preso da solo, ha avuto meno effetto sul voto nel proprio paese, perché la gente non dava la colpa al governo nazionale per quello che succedeva fuori.Chi Fa Più Benchmarking?
Questa tendenza a fare paragoni con l’estero è più marcata nei paesi le cui economie sono più aperte e legate al resto del mondo. Qui, le persone sentono di più il bisogno di confrontare la loro situazione con quella internazionale. Inoltre, man mano che la crisi andava avanti, chi votava è diventato sempre più attento e reattivo ai dati sulla disoccupazione comparata tra paesi.L’Eredità della Crisi
La crisi ha lasciato segni profondi sui sistemi politici. Ha reso le elezioni più imprevedibili (maggiore volatilità) e ha diminuito la fiducia nelle istituzioni. Questo ha accelerato cambiamenti che erano già in atto, come il fatto che le persone si sentono meno legate a un partito politico. Di conseguenza, le valutazioni su come è andata l’economia in passato (retrospettive) hanno assunto più peso nel voto. La crisi ha finito per influenzare la qualità stessa delle democrazie.Ma come possiamo essere certi che i cittadini comuni, nel segreto dell’urna, stiano davvero facendo complessi “benchmarking” economici internazionali, o non siano piuttosto influenzati da percezioni semplificate o dalla retorica politica?
Il capitolo introduce l’idea affascinante del “benchmarking” come fattore cruciale nel voto economico post-crisi, ma lascia aperta la questione di come questo processo avvenga concretamente nella mente dell’elettore. Non è chiaro se si tratti di un’analisi razionale basata su dati comparati o di una percezione più sfumata, magari distorta dai media o dalle narrazioni politiche che tendono a semplificare la realtà economica globale. Per comprendere meglio questo meccanismo, sarebbe utile approfondire gli studi sul comportamento elettorale, la psicologia cognitiva applicata alla politica e l’influenza dei media sulla formazione dell’opinione pubblica. Autori che si occupano di questi temi, come quelli che studiano le euristiche nel processo decisionale politico o l’agenda setting dei media, potrebbero fornire spunti cruciali per capire se e come il cittadino medio elabora informazioni economiche complesse e comparative.Abbiamo riassunto il possibile
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