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ti porta in un viaggio affascinante alle radici della nostra storia, esplorando l’evoluzione umana e la nascita del pensiero simbolico. Il libro di Pepe Rodríguez indaga come, fin dalle prime credenze preistoriche, l’uomo abbia cercato di dare un senso al mondo, arrivando a formulare il concetto di Dio. Scoprirai che per millenni, in vaste aree come l’Eurasia e il Vicino Oriente, la rappresentazione divina centrale era una potente Dea Madre, strettamente legata al potere femminile e alla fertilità nelle società del Paleolitico e Neolitico. L’autore analizza il graduale ma radicale cambiamento che ha portato all’ascesa delle società patriarcali e alla sostituzione della Dea con divinità maschili, un processo che culmina con figure come Yahweh nel monoteismo biblico. È una storia che rivela come i ruoli sessuali abbiano plasmato profondamente la nostra concezione del divino.Riassunto Breve
L’evoluzione umana, iniziata in Africa milioni di anni fa, porta allo sviluppo del bipedismo e all’aumento della capacità cerebrale, favorito da una dieta più ricca e dalla necessità di cooperazione sociale. Questo sviluppo culmina con l’emergere di *Homo sapiens* e la piena capacità di linguaggio simbolico, che permette il pensiero astratto. La capacità di astrazione porta alla creazione di concetti complessi, incluso quello di una divinità, inizialmente per spiegare il mondo e gli eventi naturali, attribuendo quasi un potere magico alla parola stessa. L’essere umano possiede una capacità simbolica illimitata, manifestata nell’arte preistorica e nelle prime sepolture intenzionali, che indicano una credenza nella sopravvivenza dopo la morte e nella rigenerazione. Queste credenze, insieme al pensiero magico che attribuisce i fenomeni a entità invisibili, offrono sicurezza emotiva e un modo per interagire con la realtà percepita. Per molti millenni, nelle comunità preagricole, le donne detengono un ruolo socio-economico centrale, basato sulla raccolta di cibo stabile e sulla cura della prole, portando a strutture sociali probabilmente matricentriche. La figura divina centrale in questo periodo è una Dea primordiale, che incarna la forza creatrice e i cicli di vita, morte e rigenerazione. Questa Dea è rappresentata da simboli femminili e naturali come la vulva, l’acqua, e animali legati alla fertilità e alla rigenerazione. La morte non è vista come fine, ma come passaggio. Questa Dea domina l’espressione religiosa per oltre venti millenni. La transizione verso l’agricoltura intensiva, spinta da cambiamenti ambientali e crescita demografica, richiede maggiore forza fisica e sposta il ruolo produttivo principale sugli uomini. Le donne vengono relegate alla sfera domestica, perdendo prestigio e controllo sulla produzione alimentare. Diventano dipendenti e vengono trattate come beni, con la loro funzione riproduttiva enfatizzata. Le società diventano patrilineari e patrilocali, e la sottomissione femminile viene codificata anche nelle leggi. Parallelamente, in ambito religioso, l’ascesa del maschile corrisponde al declino del femminile. L’arrivo di popolazioni indoeuropee patriarcali con dèi maschi accelera questo processo. Il dio figlio/consorte viene elevato, la Dea degradata, e il dio maschio assume caratteristiche creatrici e di fertilità, appropriandosi di funzioni femminili. Simboli vengono trasformati e miti riscritti per giustificare il nuovo ordine. Le dee vengono ridotte o trasformate in figure negative. Nelle religioni monoteiste, come quella ebraica, il culto della Dea viene perseguitato e le donne escluse dai ruoli religiosi. Questo rovesciamento non è un processo naturale, ma il risultato di un’azione deliberata delle classi maschili al potere per legittimare il controllo sociale. La concezione attuale di Dio, modellata su questa storia patriarcale, è legata alla struttura sociale.Riassunto Lungo
1. L’evoluzione umana e la nascita del concetto di Dio
L’evoluzione umana è un lungo cammino iniziato in Africa milioni di anni fa. I grandi cambiamenti nell’ambiente, come la formazione della Rift Valley, hanno spinto i nostri antenati primati ad adattarsi a nuovi spazi aperti. Questa necessità ha favorito lo sviluppo del bipedismo, cioè la capacità di camminare su due gambe. Stare eretti ha liberato le mani, permettendo di usarle per trasportare oggetti o manipolare strumenti, e ha contribuito in modo significativo all’evoluzione del cervello. Specie antiche come l’Australopithecus mostrano le prime tracce di questa postura eretta, segnando l’inizio di un percorso evolutivo che porterà al genere Homo, comparso circa 2.5 milioni di anni fa, caratterizzato da un cervello già più grande e dall’uso dei primi strumenti di pietra.
Cervello, dieta e vita sociale
L’aumento delle dimensioni del cervello, evidente in specie come Homo habilis e Homo ergaster, è strettamente legato a una dieta che includeva la carne, molto più ricca di energia. Mangiare carne ha permesso di ridurre la lunghezza del tubo digerente, liberando così energia preziosa che poteva essere impiegata per sostenere un cervello in crescita. La vita in gruppo è diventata fondamentale per la sopravvivenza: la necessità di cooperare per cacciare, difendersi e prendersi cura dei piccoli, che nascevano sempre più indifesi e bisognosi di cure prolungate, ha stimolato ulteriormente lo sviluppo delle capacità cognitive e comunicative.
La nascita del linguaggio
La comunicazione si è evoluta gradualmente. Le prime forme di linguaggio erano probabilmente molto semplici, basate su suoni e gesti legati a situazioni immediate e concrete. Con il passare del tempo e i cambiamenti nella struttura fisica e cerebrale, circa 400.000-300.000 anni fa, l’uomo ha acquisito la capacità di produrre una gamma più ampia e complessa di suoni. La vera svolta è arrivata con Homo sapiens, circa 35.000 anni fa, quando si è sviluppata pienamente la funzione simbolica del linguaggio. Questa capacità di usare parole per rappresentare concetti astratti, non legati solo al presente o a oggetti fisici, ha aperto la strada a nuove forme di pensiero.
Il pensiero astratto e l’idea di Dio
La capacità di pensare in modo astratto ha permesso la creazione di idee complesse, tra cui quella di “Dio”. Il concetto di una divinità nasce dal profondo bisogno umano di dare un senso al mondo, di spiegare fenomeni naturali altrimenti incomprensibili e di trovare una forza superiore che governi l’esistenza. Attribuire il controllo degli eventi a un’entità potente e invisibile ha fornito un quadro di riferimento e una coerenza. In questo contesto, la parola stessa ha acquisito un potere enorme, quasi magico: nominare qualcosa significava in un certo senso darle esistenza o riconoscerne il potere. I racconti della creazione in molte culture antiche, dove la divinità crea l’universo attraverso la parola, riflettono questa antica e potente associazione tra linguaggio e atto creativo. L’idea di Dio si è trasformata nel tempo, passando da percezioni più istintive ed emotive a strutture di pensiero più organizzate, ma ha mantenuto una base profonda legata alla percezione infantile, dove il nome di una cosa e la cosa stessa sono quasi inseparabili.
Ma l’idea di “Dio” è davvero una diretta e quasi inevitabile conseguenza del pensiero astratto e di un “bisogno” generico, o il capitolo trascura altre spinte psicologiche e sociali, riducendo il tutto a una sbrigativa “percezione infantile”?
Il capitolo traccia una linea piuttosto netta tra l’emergere del pensiero astratto e la nascita del concetto di “Dio”, legandolo a un bisogno di spiegazione e senso e a una percezione quasi infantile. Questa visione, pur plausibile, rischia di essere riduttiva. La genesi delle credenze religiose e spirituali è un fenomeno estremamente complesso, influenzato da una miriade di fattori cognitivi, sociali ed emotivi che vanno ben oltre la semplice capacità di astrazione o un generico bisogno. Per comprendere meglio la questione, sarebbe utile approfondire gli studi sulla psicologia evoluzionistica della religione, la sociologia delle credenze e l’antropologia cognitiva. Autori come Pascal Boyer o Scott Atran offrono prospettive che esplorano i meccanismi mentali specifici (come l’ipersensibilità alla rilevazione di agenti o i concetti controintuitivi) che potrebbero aver reso certe idee religiose particolarmente “appiccicose” e facili da trasmettere culturalmente, offrendo un quadro più articolato rispetto a quello proposto dal capitolo.2. Le origini del pensiero simbolico e la nascita delle credenze
L’uomo ha una capacità di creare simboli che non ha limiti, diversa da quella degli animali. Questa capacità gli permette di inventare simboli per parlare di ogni aspetto della vita, anche di ciò che non serve subito per sopravvivere. I simboli nascono per rispondere a bisogni specifici e diventano comuni quando vengono accettati e usati da tutti, trasmessi con suoni, gesti e immagini.La nascita del pensiero magico
Guardando la natura e gli eventi che accadono, l’uomo cerca di capire perché succedono le cose. Usa il confronto (l’analogia) per costruire un’idea del mondo, pensando che i fenomeni dipendano da cause precise, spesso viste come forze invisibili o esseri superiori. Questo modo di pensare, chiamato magico, aiuta a trovare un significato nell’universo e a sentirsi meno spaventati dall’ignoto. Il pensiero magico non è scomparso, vive ancora oggi nelle nostre società, per esempio nella superstizione.L’arte come espressione simbolica
L’arte dei tempi antichi, che risale a circa 90.000 anni fa con le prime sepolture e oggetti che avevano un significato speciale, e che è diventata più ricca con l’arrivo dell’Homo sapiens circa 35.000 anni fa, è un chiaro esempio di come funzionavano il pensiero simbolico e magico. Le opere d’arte di quel tempo non cercavano sempre di copiare la realtà, ma esprimevano concetti. Raffiguravano animali, creature metà uomo e metà bestia, e segni astratti. Queste immagini e simboli, come la figura della Dea Madre legata alla nascita e alla fertilità, servivano a dare forma al mondo invisibile, rendendolo in qualche modo più vicino e comprensibile.La credenza nella vita dopo la morte e il ruolo della religione
Il credere che si continui a vivere in qualche forma dopo la morte si vede nelle prime sepolture fatte apposta, che risalgono a circa 90.000 anni fa. Gli oggetti messi nelle tombe e i riti funebri (come l’uso del colore rosso, l’ocra, o il modo di trattare i crani) fanno pensare che si credesse in una vita che continuava. Le popolazioni che coltivavano la terra, a differenza di quelle che vivevano di caccia, vedevano spesso la morte come una parte di un ciclo che si ripete, come quello delle piante che rinascono. Questa idea era rafforzata dall’esperienza dei sogni e dal bisogno di spiegare le nuove nascite come se fossero le anime degli antenati che tornavano. La religione e la magia nascono per cercare di parlare con queste forze che non si vedono e per provare a controllare la realtà, dando alle persone un senso di protezione e tranquillità.Siamo davvero certi che le prime sepolture e l’arte rupestre dimostrino inequivocabilmente una fede strutturata nella vita dopo la morte o l’esistenza di figure come la “Dea Madre”, o stiamo forse proiettando interpretazioni moderne su evidenze frammentarie?
Il capitolo presenta l’interpretazione di reperti archeologici molto antichi (sepolture, oggetti, raffigurazioni) come prova diretta e certa di credenze specifiche (vita dopo la morte, Dea Madre). Tuttavia, l’interpretazione del pensiero e delle credenze di popolazioni preistoriche basata esclusivamente su evidenze materiali è un campo di studio complesso e spesso dibattuto. Le stesse evidenze possono essere suscettibili di interpretazioni multiple, e attribuire concetti complessi come una fede strutturata nell’aldilà o l’esistenza di divinità specifiche richiede cautela. Per approfondire queste tematiche e comprendere la complessità dell’interpretazione archeologica e antropologica delle origini del pensiero simbolico e religioso, è utile esplorare gli studi in Antropologia delle religioni e Archeologia cognitiva. Autori come Mircea Eliade o Claude Lévi-Strauss hanno offerto prospettive fondamentali sullo studio comparato di miti, riti e simboli, mentre l’archeologia moderna si confronta costantemente con i limiti dell’interpretazione del passato profondo.3. Il potere femminile nella preistoria e il suo simbolo
L’idea comune che le donne siano state sottomesse fin dalle origini dell’umanità non trova riscontro nei dati sul passato più lontano. Per molti millenni, nelle comunità che vivevano di raccolta e caccia, le donne erano alla base della società e dell’economia, essenziali per la sopravvivenza del gruppo. La storia è stata spesso raccontata da un punto di vista maschile che ha trascurato o minimizzato l’importanza del ruolo femminile. Tuttavia, studi recenti basati sull’archeologia e sull’antropologia delle culture primitive offrono una visione diversa.Il ruolo centrale delle donne nelle prime comunità
Nelle società preistoriche, il potere, inteso come controllo sulla produzione e distribuzione del cibo, non era sempre in mano agli uomini. Per moltissimo tempo, questo potere era detenuto dalle donne. L’organizzazione sociale iniziale, che si basava sui legami tra madre e figlio e sulla collaborazione femminile per prendersi cura dei figli e educarli, era probabilmente incentrata sulla figura materna (matricentrica). La raccolta di vegetali, semi e tuberi, attività svolta soprattutto dalle donne, garantiva la fonte di cibo più stabile e sicura. Questo era molto diverso dalla caccia praticata dagli uomini, che era spesso rischiosa e non sempre dava risultati.Il cambiamento con l’agricoltura
Il passaggio all’orticoltura e poi all’agricoltura, spinto da cambiamenti nell’ambiente e dall’aumento della popolazione, rese necessario produrre più cibo. Questo portò a un maggiore coinvolgimento degli uomini nel lavoro, specialmente nelle attività più pesanti come preparare la terra. Le comunità iniziarono a dipendere di più dall’agricoltura e, accumulando il cibo in eccesso, si formarono strutture sociali più complesse e divise in classi. Le società dove il lignaggio e la residenza si basavano sulla linea maschile (patrilineari e patrilocali), più adatte a un’economia produttiva e competitiva, presero gradualmente il posto di quelle basate sulla linea femminile (matrilineari/matrilocali).Le conseguenze per la posizione femminile
Questo cambiamento portò alla separazione fisica delle donne imparentate e alla perdita del loro controllo sulla produzione di cibo. Le donne divennero dipendenti, la loro capacità di avere figli fu messa in primo piano e furono trattate come oggetti di valore, come dimostra la pratica di pagare un “prezzo” per la sposa. La loro efficacia nel produrre, che per millenni aveva sostenuto le comunità, divenne involontariamente la causa del loro peggioramento sociale e del passaggio da un’idea di divinità femminile a una maschile.Le statuette femminili: simboli di fecondità
Le numerose statuette femminili trovate negli insediamenti del Paleolitico superiore, risalenti a circa 30000-9000 anni prima di Cristo, spesso chiamate Veneri paleolitiche, sono fondamentali per capire le credenze di quelle culture. Queste figure non sono ritratti realistici, icone erotiche o semplici opere d’arte. Presentano tratti del corpo esagerati, legati alla capacità di procreare come seni, fianchi e natiche, mentre spesso mancano la testa o i dettagli del viso.Il significato profondo delle figure
Le statuette sono simboli fortemente legati alla fecondità, sia quella umana che quella animale, entrambe essenziali per la sopravvivenza. Il modo in cui sono fatte esclude che rappresentassero simboli di famiglie (totem). Sono connesse al mondo dei morti e alla fertilità, riflettendo una comprensione antica della generazione e della sua importanza. Queste figure servivano a rendere concreta la presenza e le funzioni di una forza o un essere superiore, che era al centro dei rituali. Alcuni ritrovamenti fanno pensare all’esistenza di luoghi dedicati al culto dove queste figure erano poste al centro. Le statuette femminili sono la dimostrazione principale di una credenza religiosa del Paleolitico che le trasformò in simboli. Nacquero in un periodo in cui la capacità femminile di dare la vita era cruciale per l’esistenza e per la spiritualità.Il “Regno della Dea” descritto nel capitolo è un dato storico universalmente accettato o una specifica interpretazione?
Il capitolo costruisce la sua argomentazione sulla premessa di un’era pre-patriarcale dominata da una Dea ancestrale. Tuttavia, l’esistenza di un tale “regno” diffuso e la sua natura sono oggetto di dibattito accademico. Per valutare criticamente questa premessa, è fondamentale confrontare l’interpretazione presentata con le diverse prospettive offerte dall’archeologia, dalla storia delle religioni e dagli studi di genere. Approfondire il lavoro di autori come Marija Gimbutas (spesso associata a questa visione) ma anche di critici e storici che offrono interpretazioni alternative della preistoria e delle prime civiltà può fornire il contesto necessario.6. Il Dio Maschio Sostituisce la Gran Dea
La vita delle società neolitiche, che veneravano la Dea, cambia rapidamente con l’arrivo delle popolazioni indoeuropee. Queste popolazioni, nate nella zona del fiume Volga intorno al 5000 a.C., avevano una società basata sulla figura maschile, erano spesso aggressive e credevano in dèi uomini. La loro espansione in Europa e nel Vicino Oriente, avvenuta tra il 5000 e il 2000 a.C., ha portato alla fusione o alla conquista delle culture che già vivevano in quei luoghi.L’ascesa degli dèi maschili
Le divinità delle popolazioni indoeuropee erano principalmente maschili e piano piano hanno preso il posto delle dee che esistevano prima. Questo cambiamento, che ha portato alla sostituzione della Gran Dea, non è successo all’improvviso, ma è stato un processo lento e nascosto. All’inizio, il dio che era considerato figlio o compagno della Dea è stato messo in una posizione più importante. Poi, la figura della Dea e i suoi compiti sono stati sminuiti. Il dio maschio, spesso legato al vento o ai temporali, ha iniziato ad essere visto come colui che crea ogni cosa ed è diventato la divinità principale. In alcune religioni, il dio uomo è arrivato a essere l’unico capace di creare e rendere fertile la terra o gli esseri viventi, prendendo così funzioni che prima erano considerate proprie delle donne.Il cambiamento dei simboli e dei racconti antichi
Anche i simboli hanno subito una trasformazione. La vulva, che rappresentava l’unione e l’accoglienza, è stata rimpiazzata dal concetto di “seme maschile”, che invece esclude. L'”albero della vita” è diventato l'”albero della conoscenza”, visto come uno strumento per il controllo divino. I miti e le storie antiche sono stati riscritti per dare la colpa del suo “uso sbagliato” a figure femminili o al serpente, che era un simbolo della Dea. Le unioni sacre tra la Dea e un compagno sono state sostituite da accordi tra il dio maschio e i capi degli uomini, che erano anch’essi maschi.Esempi nelle diverse culture
Ci sono molti esempi di questo cambiamento in diverse civiltà. Nelle antiche credenze dei Sumeri, le dee più antiche, Nammu e Ki, sono scomparse, assorbite da dèi uomini come Enki ed Enlil. In Grecia, la dea Era, che era l’erede della Dea del Neolitico, è stata relegata al ruolo di moglie di Zeus, che è diventato il dio più importante. Dee che prima erano considerate buone e protettive sono state trasformate in creature spaventose o demoni, come le Gorgoni o Tiamat, che viene sconfitta dal dio Marduk.Il caso della religione giudaico-cristiana
Nella religione giudaico-cristiana, il credere in un solo Dio, che si è affermato tra il IX e il VII secolo a.C., ha trasformato le divinità dei popoli vicini in demoni. Yahweh, che all’inizio era una divinità di una tribù semitica, si è unito al dio cananeo El (che a sua volta aveva già preso il posto della Dea) e ha acquisito caratteristiche legate all’universo e alla creazione. Yahweh ha anche preso per sé la funzione della fertilità, che prima era legata alle donne. Ha stabilito un accordo con gli uomini, segnato dalla circoncisione, escludendo così la donna da questo patto divino e mettendola in una posizione di inferiorità.Un cambiamento voluto dalle classi dominanti
Questo passaggio dal culto della Dea a quello di un dio maschio non è avvenuto in modo naturale, ma è stato il risultato di un’azione decisa da parte dei gruppi di uomini che avevano il potere (re, sacerdoti, persone importanti) per giustificare e mantenere il loro controllo sulla società. Nonostante ciò, il culto della Dea è sopravvissuto in forme nascoste nella cultura popolare occidentale. L’idea che abbiamo oggi di Dio, plasmata sulla figura di Yahweh e sulla cultura dominata dagli uomini, è collegata alla struttura della società e potrebbe cambiare con il passare del tempo, con l’evoluzione dei rapporti economici e sociali e con la possibile fine della struttura patriarcale.Ma la narrazione di una “Gran Dea” unica e universale, soppiantata da dèi maschili, non rischia di semplificare eccessivamente la complessa e variegata spiritualità neolitica?
Il capitolo poggia sull’assunto di un culto diffuso e omogeneo della “Gran Dea” nel Neolitico, ma l’interpretazione dei reperti archeologici di quel periodo è oggetto di ampio dibattito accademico. Non c’è consenso unanime sull’esistenza di una singola divinità femminile venerata in modo uniforme in tutte le culture pre-indoeuropee. Per una comprensione più completa, è fondamentale esplorare le diverse scuole di pensiero nell’archeologia e nella storia delle religioni, confrontando le teorie che propongono un pantheon più vario o interpretazioni alternative dei simboli e delle statuette ritrovate.Abbiamo riassunto il possibile
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