1. Anarcheologia della democrazia senza fondamento
La democrazia è spesso considerata un concetto universale, ma nella pratica appare come un’etichetta priva di contenuto. Le visioni tradizionali la definiscono come un regime politico basato su regole e istituzioni precise, cercando di stabilire un fondamento solido o un principio da cui derivi (arché). Questo approccio tende a vedere la democrazia come un sistema compiuto o destinato a un fine prestabilito, cercando di regolarla e ordinarla in modo definitivo.Due visioni della democrazia
Esiste però una prospettiva diversa, chiamata democrazia radicale, che rifiuta l’idea di un fondamento ultimo e immutabile. Questa visione considera la democrazia non un regime statico, ma un processo in continua evoluzione e mai del tutto completo. La sua caratteristica principale è la possibilità costante di mettere in discussione il potere esistente. Essere radicali, in questo senso, non significa cercare un principio fisso alla radice, ma piuttosto riconoscere che le forme di organizzazione umana sono storiche e non predeterminate, come suggerito da Marx.La democrazia radicale e l’assenza di fondamento
Molti pensatori che si occupano di democrazia radicale esplorano il suo legame con l’anarchia (an-arché), intesa non come caos, ma come assenza di un principio di comando unico e assoluto. Aggettivi come “selvaggia” o “insorgente” vengono usati per descrivere questa natura dinamica e difficile da controllare della democrazia, che resiste all’idea di essere ridotta a un modello rigido o identificata con lo Stato. La legittimità della democrazia, in questa visione, risiede proprio nella sua mancanza di un fondamento esterno o superiore. Questo modo di pensare si collega al post-fondazionalismo, che non nega l’esistenza di fondamenti, ma li considera sempre dipendenti dal contesto storico e non assoluti. Mentre la tradizione filosofica occidentale tende a cercare un arché ultimo e definitivo, la democrazia, nel suo aspetto più profondo, è priva di questa base stabile.Critica della storia tradizionale
La narrazione storica più comune presenta la democrazia greca, in particolare quella ateniese, come il modello ideale e l’origine unica della democrazia. Questa “storia monumentale” tende a ignorare la complessità e le diverse manifestazioni storiche della democrazia, riducendola a un esempio statico e immutabile. Spesso, la modernità liberale ha usato l’esperienza ateniese come un esempio negativo per sottolineare la presunta superiorità della libertà individuale rispetto alla partecipazione collettiva.Il metodo dell’anarcheologia
Per cogliere la natura radicale della democrazia, è necessario un approccio diverso, chiamato anarcheologia. Questo metodo non cerca l’arché (l’origine o il principio), ma indaga il punto in cui il fenomeno è emerso, la “faglia” storica da cui ha preso vita. È uno scavo che serve a mettere in discussione le storie consolidate e a recuperare le possibilità del passato che non si sono realizzate. L’anarcheologia parte dall’idea che il potere non è una necessità assoluta e osserva la democrazia nel suo legame profondo con l’an-arché, l’assenza di un principio unico. La democrazia ateniese, vista con questo metodo, non è un modello da copiare fedelmente, ma piuttosto un “germe”, una fonte di possibilità che può ancora oggi ispirare il pensiero politico.Se la democrazia radicale si definisce per l’assenza di un fondamento ultimo (an-arché), come può un sistema politico basato su tale premessa garantire stabilità o persino la capacità di prendere decisioni collettive efficaci?
Il capitolo esplora la democrazia radicale come un processo dinamico privo di un principio di comando unico e assoluto. Tuttavia, la nozione di an-arché applicata a un sistema politico solleva interrogativi sulla sua concreta realizzabilità e sulla distinzione tra l’assenza di un fondamento trascendente e la potenziale mancanza di qualsiasi principio organizzativo necessario per l’azione comune. Per approfondire questa complessa relazione tra assenza di fondamento e necessità di struttura politica, è utile confrontarsi con la teoria politica contemporanea che dibatte il post-fondazionalismo e le sue implicazioni per la democrazia. Approfondire autori che trattano la questione della sovranità, del potere costituente e della legittimità in contesti post-metafisici può offrire strumenti per comprendere come la democrazia possa esistere e funzionare anche senza un’origine o un fine predeterminato, ma anche quali sfide pratiche ciò comporti.2. L’Origine Anarchica della Politica
La democrazia si distingue da altre forme di governo come la monarchia o l’oligarchia per una caratteristica fondamentale: l’assenza di un’autorità unica o di un principio di comando fisso, chiamato arché. Questa mancanza di un fondamento preesistente è l’essenza della sua origine. La democrazia nasce proprio mettendo in discussione e superando gli ordini stabiliti basati sull’arché, creando così uno spazio politico completamente nuovo. È in questo spazio che si manifesta l’uguaglianza (isonomía) e la libertà (eleuthería), nettamente separate dalla sfera privata della casa (oîkos), che invece è basata sulla gerarchia. La fragilità di questa condizione politica, priva di un saldo fondamento ereditato, trova riscontro nella tragedia greca, e pensatori come Hannah Arendt interpretano questa libertà dall’arché inteso come dominio come una condizione indispensabile per l’azione politica, contrapponendola al potere dei regimi totalitari.Una Pratica Democratica: Il Sorteggio
Una pratica che incarna concretamente questa assenza di arché è l’uso del sorteggio (klêros) per assegnare le cariche pubbliche. Questo metodo ignora deliberatamente i titoli tradizionali che derivano dalla nascita, dalla ricchezza o da altri privilegi ereditari. Introducendo il caso nella selezione, il sorteggio rende il potere temporaneo e lo distribuisce tra i cittadini. Sebbene criticato da alcuni come fonte di incompetenza, questo aspetto sottolinea l’idea centrale della democrazia: che tutti i cittadini sono potenzialmente idonei a governare e, a turno, sono chiamati sia a comandare che a essere comandati, rafforzando il principio di rotazione delle cariche e la partecipazione diffusa alla vita politica.Le Critiche all’Origine Anarchica
Questa natura an-archica della democrazia greca antica non fu vista positivamente da tutti i pensatori dell’epoca. Figure influenti come Platone e Aristotele la considerarono una debolezza intrinseca o addirittura un pericolo per la stabilità della pólis. Platone, in particolare, la descriveva come “variopinta e anarchica”, un regime privo di un ordine stabile che, a suo avviso, poteva facilmente scivolare nel caos e portare al sovvertimento dei ruoli sociali tradizionali. Aristotele, pur riconoscendo la democrazia come una forma di governo, la considerava una versione degenerata, preferendo sistemi basati su un principio di ordine o su un fine (télos) ben definito, come la politeía, che cercava un equilibrio virtuoso nel mezzo (méson) tra gli estremi.Se la democrazia nasce dall’assenza di un principio di comando (arché), come può essa stessa stabilire e mantenere un ordine politico e giuridico?
Il capitolo pone l’accento sull’origine “an-archica” della democrazia, intesa come superamento di un principio di comando preesistente. Tuttavia, un sistema politico per esistere necessita di regole, leggi e strutture che, in un certo senso, costituiscono un nuovo fondamento o principio organizzativo. La descrizione dell’origine “an-archica” rischia di non esplorare a sufficienza come la democrazia greca, pur rifiutando l’arché tradizionale, abbia poi costruito un ordine basato sul nómos (legge) e sulla sovranità popolare. Per approfondire questa apparente contraddizione, è utile studiare il ruolo della legge nella pólis greca e confrontare diverse interpretazioni del rapporto tra libertà, uguaglianza e ordine politico. Si potrebbero leggere autori che hanno analizzato la filosofia politica greca, come ad esempio Leo Strauss o Cornelius Castoriadis.3. Il potere del popolo e i suoi confini
Nella città greca, figure come donne e schiavi sono tradizionalmente escluse dalla piena cittadinanza. Le donne, pur non essendo schiave, occupano una posizione incerta che può apparire come una potenziale minaccia all’ordine stabilito dagli uomini. Questa inquietudine verso l’idea di un “mondo rovesciato” dove il potere è femminile si riflette spesso nei miti e nelle commedie dell’epoca. È in questo contesto di confini definiti che emerge una nuova forma di potere.L’emergere del potere popolare
Una svolta cruciale si manifesta in momenti di crisi e apertura. La tragedia di Eschilo, Le Supplici, mette in scena l’arrivo di donne straniere che cercano protezione e accoglienza. Questa richiesta di asilo spinge il popolo, il dêmos, a riunirsi e prendere una decisione collettiva attraverso il voto. Questo evento segna un passaggio fondamentale: il potere, il krátos, non è più concentrato nelle mani di un singolo sovrano, ma viene esercitato direttamente dal popolo. L’immagine delle mani alzate nell’assemblea diventa il simbolo di questa nuova sovranità condivisa.I nomi della democrazia
Il termine demokratía non si impone immediatamente e spesso porta con sé una connotazione negativa, usata dagli oppositori del nuovo sistema. A volte, per descrivere questa forma di governo, si preferisce il termine isonomía, che mette l’accento sull’uguaglianza nella distribuzione del potere tra i cittadini. Tra i primi a usare il termine demokratía in senso positivo e a lodarla c’è Erodoto, che descrive questo sistema come il governo della moltitudine. Sottolinea aspetti come l’assegnazione delle cariche tramite sorteggio e la pratica di prendere decisioni insieme.La visione di Pericle e il mito delle origini
Nell’Epitaffio di Pericle, la democrazia viene rivendicata con forza, ma la sua descrizione presenta alcune ambiguità. Non è del tutto chiaro se il discorso identifichi il popolo come il soggetto che governa attivamente o come il destinatario delle decisioni prese da altri. Inoltre, il discorso enfatizza le origini autoctone degli Ateniesi, legando strettamente l’identità della città al suo territorio e alla stirpe dei suoi abitanti. Questo mito dell’autoctonia, ripreso in seguito anche da Platone in chiave ironica, stabilisce un legame tra l’uguaglianza politica e l’uguaglianza di nascita. Di conseguenza, crea un criterio di esclusione per chi è straniero o non appartiene alla stirpe considerata originaria.Il cambiamento del linguaggio politico
Con il passare del tempo, il termine demokratía tende a perdere parte della sua carica innovativa e talvolta viene sostituito da politeía. Quest’ultimo termine si riferisce in modo più generale all’ordine politico o alla costituzione della città. Questo cambiamento nel linguaggio non è casuale. Riflette un desiderio di maggiore stabilità e unità all’interno della città. L’attenzione si sposta dal potenziale di conflitto o cambiamento rivoluzionario legato al potere diretto del popolo verso l’idea di un ordine politico consolidato e armonioso.Ma la stásis, con la sua violenza e instabilità, non rappresentava anche un pericolo mortale per la pólis, piuttosto che essere semplicemente la sua “anima ribelle”?
Il capitolo presenta la stásis principalmente come la forza motrice rivoluzionaria alla base della democrazia ateniese, quasi una componente necessaria e trasformativa della vita politica. Questa enfasi sul suo ruolo “positivo” o fondativo rischia di minimizzare gli aspetti distruttivi e destabilizzanti che la stásis inevitabilmente comportava, come la guerra civile, le proscrizioni e la minaccia costante alla sopravvivenza stessa della comunità. Per ottenere una visione più completa e sfumata, è fondamentale approfondire le fonti antiche che descrivono la stásis anche nei suoi esiti più tragici, come Tucidide nella sua narrazione della guerra del Peloponneso, o le analisi politiche di Aristotele sulla natura dei regimi e le cause della loro caduta. Approfondire la storiografia moderna che analizza le dinamiche sociali e politiche di Atene, considerando il conflitto non solo come motore di cambiamento ma anche come fattore di crisi, può offrire prospettive essenziali per bilanciare l’interpretazione proposta nel capitolo.5. Potere e Inizio nella Città
Per capire davvero la parola democrazia, oggi così diffusa ma spesso poco chiara, è utile guardare ai suoi termini greci originali: dêmos e krátos. Spesso si tende a concentrarsi solo su dêmos, interpretando la democrazia come il semplice “potere del popolo”. Questo approccio, però, trascura il significato profondo di krátos, che è essenziale per afferrare la specificità della democrazia rispetto ad altre forme di governo.Arché e Krátos: Due Modi di Pensare il Potere
Nel pensiero politico greco, c’erano due idee principali di potere. La prima è arché, che significa sia inizio che comando. Questo tipo di potere è visto come stabile, fondato su un principio o derivante da chi occupa una posizione di preminenza. È un potere verticale, spesso associato a figure come re o tiranni, e la sua presenza si contrappone alla libertà (eleuthería), portando invece alla servitù (douleía). La seconda idea è krátos, che si traduce con forza, capacità di prevalere o vincere. A differenza di arché, il krátos non ha un fondamento stabile, ma nasce dal conflitto (stásis). È un potere temporaneo, che si afferma non per autorità intrinseca, ma vincendo una contesa o imponendosi con la forza.La Democrazia è “An-archica”
La democrazia si distingue dalle altre forme di governo, che spesso usano il suffisso -archía (come monarchia o oligarchia, basate sull’arché), perché utilizza il suffisso -kratía. Questo indica una netta separazione dall’idea di arché. La democrazia è, in un certo senso, “an-archica”, non nel senso di caos totale, ma nel senso che è priva di un arché, cioè manca di un principio fondante unico, di un comando stabile e verticale che si impone dall’alto.Come la Città Democratica Gestisce il Potere
Nella città organizzata democraticamente, l’arché non scompare del tutto, ma viene gestito in modo radicalmente diverso. Le cariche pubbliche (archaí) sono concepite per essere temporanee e condivise tra i cittadini. Meccanismi come la rotazione degli incarichi e il sorteggio vengono impiegati proprio per evitare che il potere si concentri nelle mani di pochi o diventi una proprietà personale. Il cittadino nella democrazia è chiamato a essere sia chi comanda (árchon) sia chi è comandato (archómenos). L’obiettivo non è possedere il potere, ma piuttosto parteciparvi attivamente (metéchein). Il principio guida di questa gestione del potere è riassunto nell’idea di “né comandare né essere comandati”.Chi è il Dêmos nella Democrazia
Anche il concetto di dêmos, il “popolo”, assume un significato particolare e non è visto come un soggetto sovrano unico e coeso in modo naturale. Il dêmos è intrinsecamente legato all’idea di divisione e non si basa su legami di sangue o appartenenza territoriale (éthnos). È invece un criterio politico che include coloro che non trovano posto nell’ordine stabilito dall’arché, potremmo dire i “senza-parte”. Il dêmos si definisce e si costituisce proprio in opposizione all’idea di arché, rappresentando la forza che sfida e mette in discussione il potere fondato e stabile.Il Potere Temporaneo del Krátos Democratico
La democrazia, quindi, non possiede un centro fondante stabile e immutabile basato sull’arché. La sua forza, il suo krátos, deriva dalla capacità di una parte del dêmos di prevalere temporaneamente sulle altre. Questo mantiene la città in uno stato di divisione e potenziale conflitto latente (stásis). Il krátos democratico non è un dominio assoluto e permanente, ma piuttosto un pre-dominio, una capacità di imporsi che è sempre contestabile e temporanea.La Tensione e il Rischio della Democrazia
La vita della democrazia si svolge in una costante tensione tra il desiderio di ordine e stabilità, che richiama l’idea di arché, e la sua natura intrinsecamente an-archica, caratterizzata dalla mancanza di un fondamento unico, dal conflitto e dal potere temporaneo. Il rischio maggiore per la democrazia è quello di essere spinta a negare la propria natura conflittuale e temporanea, cercando di avvicinarsi troppo al polo archico. Facendo ciò, rischierebbe di perdere la sua forza politica specifica e la sua capacità unica di gestire la divisione e il conflitto che le sono propri.Ma il dêmos è davvero solo la ‘parte che non ha parte’, o questa lettura non rischia di semplificare eccessivamente la complessa realtà del ‘popolo’?
Il capitolo offre un’interpretazione suggestiva del dêmos come intrinsecamente legato alla divisione e ai “senza-parte”, contrapposto all’arché. Tuttavia, questa visione è una delle molteplici letture possibili del concetto di “popolo” nella teoria politica, sia antica che moderna. Per arricchire la comprensione e valutare criticamente questa prospettiva, è fondamentale esplorare altre definizioni e contesti storici del dêmos e del soggetto politico democratico. Approfondire la storia del pensiero politico, studiando autori come Aristotele per la sua analisi della cittadinanza, o pensatori contemporanei che hanno dibattuto la natura della sovranità popolare e della rappresentanza, può offrire un quadro più sfaccettato e problematico.Abbiamo riassunto il possibile
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