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Informazioni
“Da Cohen a Benjamin. Essere ebrei tedeschi” di Friedrich Friedmann è un libro che ti porta dentro la storia complicata e affascinante degli ebrei tedeschi tra Illuminismo e Novecento. Racconta come l’assimilazione ebraica in Germania, influenzata dalla filosofia tedesca, abbia portato a una profonda crisi dell’identità , trasformando la comunità tradizionale. Il libro esplora le risposte a questa crisi attraverso figure chiave: pensatori come Hermann Cohen e Franz Rosenzweig che, partendo dalla cultura tedesca, riscoprono la tradizione ebraica e propongono un “Nuovo Pensiero” basato sul dialogo. Ma c’è anche il lato della disperazione e della frammentazione, vissuto da autori come Franz Kafka e Walter Benjamin, che si sentivano estranei e persi in un mondo in rovina. Friedmann stesso, con la sua vita segnata dall’esilio e dalla perdita, lega queste storie e sottolinea l’importanza del dialogo ebraico-cristiano e della ricerca continua di un’identità non più legata a un luogo, ma all’umanità . È un viaggio intenso nella simbiosi ebraico-tedesca e nelle sue tragiche conseguenze, ma anche una riflessione super attuale sulla solitudine e sulla ricerca di senso.Riassunto Breve
L’assimilazione degli ebrei in Germania è stata influenzata dall’Illuminismo e dall’Idealismo tedesco, portando a un allontanamento dalla tradizione religiosa e culturale ebraica. La comunità ebraica si trasforma in un’istituzione legale, con gli ebrei visti principalmente come cittadini tedeschi di fede ebraica, e la pratica religiosa si riduce. Questo processo coincide con una crisi spirituale nella società tedesca. Molti intellettuali ebrei percepiscono questa crisi di identità e cercano nuove vie. Pensatori come Hermann Cohen e Franz Rosenzweig, pur radicati nella cultura tedesca, si rivolgono alla tradizione ebraica per trovare risposte. Cohen, partendo dal neokantismo, arriva a valorizzare la “correlazione” tra Dio e uomo e il ruolo della religione nel confrontarsi con il peccato e la sofferenza. Rosenzweig sviluppa un “Nuovo Pensiero” dialogico, basato sull’esperienza e sul linguaggio, in contrasto con il pensiero astratto precedente, e vede ebraismo e cristianesimo come percorsi distinti ma validi verso la verità divina. Altri, come Franz Kafka e Walter Benjamin, vivono un profondo senso di disperazione e mancanza di appartenenza, non trovando soluzioni definitive nelle comunità o nei movimenti politici. Kafka sperimenta l’alienazione e vede la scrittura come una necessità che non risolve la disperazione, mentre Benjamin cerca senso nei frammenti di una storia vista come catastrofe. Dopo l’Olocausto, l’assimilazione tradizionale non è più vista come possibile; la ricerca di identità diventa una conquista continua, legata anche al ricordo dei morti e all’assimilazione all’umanità . Esiste anche un disagio storico e teologico tra ebrei e cristiani, radicato in ruoli percepiti e accuse reciproche, che l’emancipazione non ha eliminato, portando a forme di antisemitismo razziale. Questo disagio persiste anche dopo l’Olocausto. Teologi come Karl Rahner sottolineano l’importanza per gli ebrei di mantenere la loro unicità e missione, vista come essenziale anche per i cristiani. L’identità ebraica è legata all’origine divina, alla promessa e a un’esistenza precaria, con l’esilio come una sorta di patria. Il superamento del disagio richiede il riconoscimento di un “mistero oscuro” condiviso e il rispetto delle specificità reciproche per un incontro autentico. La vita di figure come Friedrich Georg Friedmann, segnata dall’esilio, dal ritorno in Germania e dall’impegno per il dialogo e la pace, esemplifica la complessità di questa ricerca di identità e riconciliazione nel contesto storico e culturale.Riassunto Lungo
1. La ricerca di sé tra filosofia e tradizione
L’integrazione degli ebrei nella società tedesca è strettamente legata ai grandi movimenti culturali e filosofici, in particolare all’Illuminismo e al processo di emancipazione. La filosofia tedesca, che si evolve dall’Illuminismo all’Idealismo, gioca un ruolo chiave in questo percorso. L’Illuminismo riconosce l’esistenza di realtà superiori accessibili alla ragione umana. Kant, pur limitando la conoscenza razionale al mondo sensibile, considera Dio, la libertà e l’immortalità come principi fondamentali necessari per l’azione morale, che a sua volta dipende dalla volontà autonoma dell’individuo. Successivamente, l’Idealismo pone un “io” assoluto come punto di partenza, da cui deriva tutto il resto (“non-io”).Il pensiero di molti ebrei tedeschi riflette questa evoluzione filosofica. Si passa da un approccio che affianca la dottrina ebraica alle idee filosofiche del tempo, come nel caso di Jakob Emden, a una posizione che equipara le diverse religioni, rappresentata da Moses Mendelssohn. I suoi seguaci, influenzati da figure come Kant e Goethe, arrivano ad abbandonare la fede basata sulla rivelazione. Questo periodo vede la nascita di due correnti di pensiero distinte: una orientata verso l’Idealismo e il Romanticismo, l’altra di stampo più scientifico. Questa divisione si manifesta nella vita culturale e intellettuale, sia in contesti di integrazione sociale come i salotti e la Scuola di Francoforte, sia nell’applicazione dei principi illuministi in vari campi, come dimostrano le figure di Marx, Einstein e Freud.Le conseguenze dell’assimilazione e la crisi d’identitÃ
L’assimilazione, sebbene porti all’eliminazione di molte discriminazioni, ha come effetto collaterale la progressiva disintegrazione della comunità ebraica nella sua forma tradizionale. Questa perde gran parte della sua vitalità religiosa e culturale. La comunità si trasforma in un’istituzione perlopiù giuridica, e l’individuo ebreo viene percepito principalmente come un cittadino tedesco di fede ebraica. La pratica religiosa quotidiana si riduce notevolmente, limitandosi spesso ai servizi nelle festività principali e all’insegnamento nelle scuole. Parallelamente, la società tedesca attraversa un periodo di declino spirituale, dove l’intelletto prende il sopravvento sulla ragione più profonda e l’emozione irrazionale acquisisce un’autonomia pericolosa.Molti intellettuali ebrei percepiscono acutamente la crisi che sta vivendo la loro esistenza e l’intera epoca. La loro posizione di “assimilati”, a cavallo tra due mondi, li rende particolarmente sensibili a questa condizione di crisi e li spinge a cercare nuove strade. Questa ricerca di un’identità solida, nata da un profondo senso di smarrimento, presenta sorprendenti analogie con la ricerca di identità che caratterizza il mondo occidentale contemporaneo.Le risposte alla crisi: Hermann Cohen e Franz Rosenzweig
Hermann Cohen e Franz Rosenzweig sono due figure emblematiche di pensatori che, pur essendo profondamente radicati nella cultura tedesca, cercano risposte alla crisi esistenziale all’interno della complessa relazione tra ebraismo e cultura tedesca. Entrambi tentano di superare i limiti dell’Idealismo per riscoprire il significato profondo dell’esistenza ebraica.Cohen, che in una prima fase aderisce al Neokantismo, si rivolge alla tradizione ebraica nella sua vecchiaia. Abbandona il suo precedente sistema filosofico, riconoscendo che il metodo scientifico non è sufficiente a rispondere alle domande più profonde dell’uomo e che la filosofia idealista non riesce a confrontarsi adeguatamente con l’unicità dell’individuo e il problema della sofferenza. La sua idea centrale diventa quella di “correlazione”, intesa come la relazione reciproca tra Dio e l’uomo. Questa relazione si manifesta concretamente nell’amore verso il prossimo e trova espressione nella preghiera. Cohen individua un limite nell’etica filosofica laddove emergono concetti come peccato, colpa e sofferenza, che richiedono una dimensione religiosa. Per lui, l’idea kantiana di umanità universale ha le sue radici nel messianismo dei profeti ebraici.Rosenzweig, dopo aver studiato in profondità la filosofia di Hegel, vive un’esperienza trasformativa che lo porta inizialmente a considerare la conversione al cristianesimo. Tuttavia, dopo aver partecipato alle preghiere di Kippur, decide di tornare all’ebraismo. Si dedica allo studio delle fonti ebraiche e diventa allievo di Cohen. L’esperienza devastante della morte durante la Prima Guerra Mondiale scuote profondamente la sua visione idealistica del mondo. Sviluppa così un “Nuovo Pensiero” che si pone in netta contrapposizione al “vecchio pensiero” di matrice idealistica.Il Nuovo Pensiero di Rosenzweig: Esperienza, Rivelazione e Dialogo
Il vecchio pensiero, che secondo Rosenzweig ha origine nella filosofia greca, è astratto e si concentra sull'”essenza” delle cose, trascurando l’unicità e la singolarità dell’esistenza. Il Nuovo Pensiero, al contrario, si fonda sull’esperienza. Questa non è intesa solo come percezione sensoriale, ma come un’esperienza che scaturisce dalla totalità dell’esistenza, inclusa l’esperienza radicale della morte. L’esperienza è strettamente legata alla rivelazione e alla fede. Vivere significa sperimentare l’azione di Dio nel mondo e rispondere a questa azione. La rivelazione stessa è linguaggio: Dio si manifesta parlando. Anche la creazione è vista come un’espressione del linguaggio divino. Il pensiero umano deve quindi diventare un pensiero che si confronta con la parola, poiché solo il linguaggio è un evento che si manifesta nel tempo.Mentre il vecchio pensiero è monologico, basato su un soggetto che osserva e scopre oggetti, il Nuovo Pensiero è dialogico. Si fonda sulle relazioni fondamentali che legano Dio, il mondo e l’uomo, con la rivelazione che funge da pilastro centrale. Le esperienze umane più significative sono la morte, l’amore e l’azione. L’esperienza della morte porta alla consapevolezza di un “io tragico”, isolato e autosufficiente. L’esperienza della rivelazione trasforma questo io in un essere amato. L’esperienza attiva della redenzione lo rende capace di amare e di scoprire il prossimo. L'”io tragico” è chiuso in sé; solo la chiamata che proviene dall’esterno, la parola di Dio, lo introduce in un’esistenza basata sul dialogo.Rosenzweig considera l’ebraismo e il cristianesimo come due percorsi distinti ma entrambi validi per raggiungere la verità divina e la redenzione. L’ebraismo custodisce e vive il messaggio divino come comunità , mentre il cristianesimo ha il compito di diffonderlo tra le nazioni, preparandole all’era messianica che sarà pienamente realizzata dall’ebraismo.L’isolamento che caratterizza l’individuo nella società contemporanea corrisponde, nella visione di Rosenzweig, all'”io tragico” che rifiuta la possibilità della rivelazione e del dialogo. Questo rifiuto si manifesta in vari modi: la difficoltà ad auto-criticarsi, un’eccessiva affermazione di sé, la pretesa di possedere verità assolute, o un atteggiamento di indifferenza o aggressività verso gli altri. A livello collettivo, questo si traduce in forme esasperate di nazionalismo. Il dialogo, secondo Rosenzweig, non è un semplice scambio di informazioni, ma richiede una profonda disponibilità ad accogliere ciò che accade nella vita di tutti i giorni come un’espressione del divino o dell’umanità nell’altro. Il dialogo implica un impegno e una responsabilità reciproca, diventando così una partecipazione attiva alla costruzione del Regno di Dio.Davvero la crisi d’identità ebraica del XIX secolo è lo specchio della nostra epoca, o il capitolo ignora le differenze storiche e sociali?
Il capitolo stabilisce un parallelo audace tra la crisi d’identità degli ebrei tedeschi assimilati e quella del mondo occidentale contemporaneo. Tuttavia, questa analogia non viene sufficientemente argomentata, lasciando il lettore a chiedersi se le dinamiche storiche e sociali del XIX secolo siano realmente comparabili con quelle attuali. Per valutare la validità di questo parallelo, sarebbe utile approfondire la storia sociale degli ebrei in Germania, studiare la sociologia della modernità e confrontarsi con autori che hanno analizzato le trasformazioni dell’identità nell’era contemporanea, come Zygmunt Bauman o Charles Taylor.2. Percorsi nella disperazione e la ricerca di un’identità frammentata
Franz Kafka e Walter Benjamin vissero esistenze segnate da una profonda insicurezza e dalla mancanza di un senso di appartenenza, una condizione diversa da quella di pensatori come Cohen e Rosenzweig, che trovarono basi solide nella tradizione ebraica e tedesca. Kafka provava un forte risentimento verso il padre e vedeva l’ebraismo di Praga come qualcosa di superficiale e vuoto, un’assimilazione priva di vera sostanza. Si sentiva un estraneo nella lingua tedesca che usava, nella sua stessa famiglia e nell’ambiente di lavoro, percependo intorno a sé solo convenzioni vuote e indifferenza. Questa solitudine lo portava a sentirsi incapace di comunicare, vuoto dentro come una conchiglia. La scrittura era una necessità vitale per lui, ma non riusciva a liberarlo dalla disperazione; il linguaggio non gli appariva come uno strumento di verità , ma piuttosto come fantasia e inganno. L’incontro con attori yiddish gli fece intravedere un ebraismo più autentico, legato alla tradizione mistica del chassidismo, ma anche questa esperienza non riuscì a cancellare il suo senso di fallimento personale.La vita e la ricerca di Walter Benjamin
Anche Walter Benjamin, pur provenendo dall’alta borghesia berlinese, non conobbe mai stabilità , né economica né spirituale. Ebbe grandi difficoltà a farsi riconoscere come scrittore e cercò invano un luogo dove sentirsi pienamente accettato, esplorando diverse strade come il movimento giovanile, il sionismo e il marxismo, senza mai aderire completamente a nessuna. La sua vita fu spesso caratterizzata da una singolare goffaggene e da una costante sfortuna.La filosofia di Benjamin: storia, linguaggio e frammenti
La sua ricerca di identità si espresse in modo potente nella sua filosofia. Benjamin vedeva il linguaggio come profondamente legato alla rivelazione e alla creazione stessa. La sua filosofia della storia era una visione pessimistica: la storia gli appariva come un’accumulazione di rovine, un disastro in cui la “sostanza della verità ” e la tradizione erano andate irrimediabilmente perdute. Per trovare un senso in questo scenario, bisognava cercarlo nei frammenti. L’allegoria diventava lo strumento per esprimere questa rottura e questa ricerca. Questo approccio si manifestava nel suo metodo di commento, nel collezionismo (dove gli oggetti venivano liberati dalla loro funzione pratica per rivelare altro) e nella figura del “flâneur”, il vagabondo urbano che osserva la città e cerca tracce del passato nei dettagli quotidiani. L’immagine dell’angelo della storia, ispirata a un dipinto di Klee, simboleggia perfettamente questa condizione: è spinto in avanti verso il futuro, ma il suo sguardo rimane fisso sulle rovine del passato che si accumulano davanti a lui.L’attualità delle loro inquietudini
Sia Kafka che Benjamin non trovarono risposte definitive o soluzioni durature nei movimenti politici o nelle comunità esistenti del loro tempo. La loro profonda esperienza di disperazione e solitudine, radicata sia nella loro condizione di ebrei in un periodo di crisi per la cultura tedesca, anticipa molte delle angosce e delle incertezze che caratterizzano la vita contemporanea.Identità e memoria oggi
Oggi, dopo l’immane tragedia dell’Olocausto, l’idea tradizionale di assimilarsi a una cultura nazionale non è più vista come una via percorribile o desiderabile. La ricerca di un’identità personale cambia radicalmente: non è più un possesso di cui vantarsi, ma piuttosto un dono che si riceve o una conquista che richiede un impegno continuo. Per i sopravvissuti e per le generazioni successive, l’identità implica anche farsi carico della memoria di chi non c’è più, diventando i custodi del loro ricordo.Ma cosa si intende esattamente per “ebraismo autentico”, e chi lo definisce?
Il capitolo accenna a un contrasto tra l’ebraismo di Praga percepito da Kafka come superficiale e un ebraismo più “autentico” intravisto tramite gli attori yiddish e il chassidismo. Questa distinzione solleva interrogativi sulla natura dell’autenticità religiosa e culturale, un concetto spesso dibattuto e potenzialmente problematico. Per approfondire questa tematica, sarebbe utile esplorare la storia sociale e religiosa dell’ebraismo moderno, in particolare le dinamiche tra tradizione e modernità , i vari movimenti ebraici sorti tra il XIX e il XX secolo, e le diverse forme di espressione identitaria. Approfondire autori come Gershom Scholem, Martin Buber o studiosi di storia ebraica moderna potrebbe fornire strumenti critici per comprendere la complessità di queste definizioni e il contesto in cui Kafka e Benjamin si muovevano.3. Il disagio esistenziale tra Ebrei e Cristiani
Esiste un profondo disagio nelle relazioni tra cristiani ed ebrei. Questo non nasce solo da vecchi pregiudizi, ma anche dall’idea che Dio abbia assegnato loro ruoli specifici nella storia della salvezza. I cristiani hanno spesso accusato gli ebrei di non aver riconosciuto Gesù come Cristo e di essere stati responsabili della sua morte. Eventi storici, come la distruzione del Tempio, sono stati interpretati dai cristiani come una punizione divina. Gli ebrei, dal canto loro, vedono la fede cristiana che crede nell’incarnazione di Dio come un atto che non rispetta la sacralità divina.Questa tensione è stata alimentata dalla pretesa della Chiesa di essere universale e dal forte senso di identità ebraica basato sull’idea di essere un popolo scelto da Dio. Questo ha portato a considerare gli ebrei come diversi, su cui proiettare aspetti negativi. Ne sono nate persecuzioni e, a volte, persino un senso di odio verso sé stessi tra gli ebrei. L’ottenimento di diritti civili non ha risolto il problema, perché l’antisemitismo religioso è stato sostituito da forme legate allo Stato e alla razza, che hanno raggiunto il culmine con il nazismo. Anche dopo l’Olocausto, il disagio continua a esistere, e i cristiani provano vergogna per le violenze del passato.Cambiamenti e prospettive
Alcuni cambiamenti nel mondo moderno, come la maggiore varietà di lavori svolti dagli ebrei e nuove riflessioni teologiche, hanno aiutato a ridurre in parte questo disagio. Tuttavia, il punto cruciale resta la natura unica dell’identità ebraica.L’identità ebraica secondo Karl Rahner
Il teologo Karl Rahner ritiene che gli ebrei non debbano rinunciare alla loro particolare missione legata all’attesa del Messia, né all’idea di essere un popolo scelto. Secondo Rahner, questa è la loro vera natura ed è importante anche per i cristiani, che si considerano legati alle radici dell’ebraismo.Il significato di “popolo” per gli ebrei
Per un ebreo, la parola “popolo” è strettamente connessa all’origine divina e alla promessa fatta ad Abramo. Questo evento fondamentale richiede di accettare l’inspiegabile e segna l’inizio dell’uomo che esiste in relazione a un Dio che va oltre la comprensione umana. La storia ebraica è fatta di spostamenti (esodi), di doni divini (i comandamenti), di messaggi attraverso i profeti e di adattamenti (come lo studio della Torah e la Cabbalà ) dopo la perdita del Tempio. L’esistenza ebraica è spesso incerta, segnata da una sorta di “lotta” con Dio e dalla mancanza di certezze come quelle offerte dai sacramenti cristiani. L’esilio viene visto quasi come la vera “patria”, un luogo sospeso tra la promessa divina e il suo compimento.Superare il disagio
Per superare il disagio tra ebrei e cristiani non basta una semplice tolleranza basata sull’umanità . È necessario riconoscere il “mistero oscuro che li unisce”. Rahner vede la tristezza e lo sgomento come parte di questo disagio. Nota anche l’incapacità dei cristiani di mostrare pienamente la grazia verso coloro da cui l’hanno ricevuta. Per gli ebrei, il disagio nasce dal non riconoscere questo mistero, mentre essere autentici significa dichiararsi il popolo della promessa. Un vero incontro è possibile solo se ebrei e cristiani riconoscono e rispettano le proprie specificità , perché solo così possono scoprire un compito da svolgere insieme nel mondo.[/membership]La complessa storia di “disagio” tra Ebrei e Cristiani può davvero risolversi appellandosi a un “mistero oscuro” descritto prevalentemente da una prospettiva teologica specifica?
Il capitolo, pur offrendo spunti interessanti sulla natura del disagio, sembra concentrarsi su una specifica prospettiva teologica (quella di Rahner) e su un concetto, il “mistero oscuro”, che rimane poco definito. Per comprendere appieno le dinamiche e le possibili vie di superamento di un conflitto secolare, è fondamentale considerare una pluralità di voci. Sarebbe utile approfondire le diverse correnti del dialogo ebraico-cristiano, esplorando le posizioni di altri teologi e pensatori, sia cristiani che ebrei, che hanno affrontato questo tema. Inoltre, un’analisi più approfondita delle dimensioni storiche, sociali e politiche dell’antisemitismo e delle relazioni tra le due comunità , al di là della sola interpretazione teologica, fornirebbe un contesto più completo.4. Percorsi di Dialogo e Impegno
Le Origini e l’Esilio
Friedrich Georg Friedmann nasce nel 1912 ad Augusta, in una famiglia ebrea. La sua formazione in un liceo gestito da benedettini influisce molto sul suo interesse per il dialogo tra ebrei e cristiani. Quando il nazismo prende il potere, si sposta in Italia, dove completa gli studi universitari e inizia a insegnare. Purtroppo, le leggi razziali del 1938 lo costringono di nuovo a lasciare tutto e a cercare rifugio all’estero. Si reca prima in Inghilterra e poi negli Stati Uniti. In America, insegna in diverse università e, durante questo periodo, viene a sapere del terribile destino della sua famiglia, sterminata dai nazisti.
Il Ritorno in Italia e l’Impegno Sociale
Dopo la fine della guerra, Friedmann torna in Italia grazie a una borsa di studio. Il suo scopo è studiare da vicino la vita dei contadini nel Sud del paese. Questo lavoro di ricerca lo porta a collaborare con figure importanti del mondo intellettuale e sociale italiano, come Carlo Levi e Rocco Scotellaro. Insieme, lavorano a progetti concreti per migliorare le difficili condizioni di vita nel Meridione, arrivando persino a proporre la creazione di un villaggio pensato come modello.
Ricerca Internazionale e Battaglie Sociali
Rientrato negli Stati Uniti, Friedmann decide di ampliare le sue ricerche antropologiche, spostando la sua attenzione sul Messico. Qui, si concentra in particolare sullo studio del rapporto complesso tra i paesi che hanno raggiunto un alto livello tecnologico e le aree del mondo che sono rimaste sottosviluppate. Tra il 1957 e il 1960, il suo forte impegno per l’uguaglianza razziale in America gli costa caro, dimostrando quanto fossero ancora radicate le discriminazioni. Le sue posizioni e il suo attivismo a favore dell’equiparazione razziale portano infatti al suo licenziamento dall’università in cui insegnava, una conseguenza diretta della sua battaglia per i diritti civili.
Il Ritorno in Germania e il Dialogo
Successivamente, accetta un incarico come professore a Monaco, in Germania. Questo ritorno nella terra dove è nato ma anche dove la sua famiglia è stata uccisa lo porta a riflettere profondamente sul concetto di colpa collettiva. I suoi interessi principali si concentrano sulla promozione della pace, un tema che include attivamente anche il difficile rapporto tra israeliani e palestinesi, e sulla necessità della tolleranza reciproca tra le persone e le culture. Dopo il 1979, pur essendo professore emerito, continua la sua attività intellettuale. Si dedica intensamente allo studio della cultura ebraico-tedesca, scrivendo anche un testo importante come “Da Cohen a Benjamin”. Allo stesso tempo, rafforza ulteriormente il dialogo tra il mondo ebraico e quello cristiano, come testimoniano le sue lettere con il noto teologo Karl Rahner. Negli ultimi anni della sua vita, vive vicino alla sua città natale, continuando il suo percorso di riflessione e dialogo.
Ma come possiamo comprendere appieno la profondità dell’impegno di Friedmann se il capitolo non ci fornisce il contesto preciso delle battaglie che lo hanno segnato?
Il capitolo offre una panoramica biografica ricca di eventi significativi, dall’esilio forzato all’attivismo sociale, fino al ritorno in Germania e alla riflessione sulla colpa collettiva. Tuttavia, nel presentare momenti cruciali come il licenziamento dall’università a causa del suo impegno per l’uguaglianza razziale, manca il contesto specifico che renderebbe più chiara la portata di tale sacrificio e la radicalità delle sue posizioni in quel determinato periodo storico e sociale. Per colmare questa lacuna, sarebbe utile approfondire la storia dei movimenti per i diritti civili negli Stati Uniti negli anni ’50 e ’60, studiando autori che hanno analizzato quel clima politico e accademico. Allo stesso modo, una maggiore contestualizzazione del dibattito sulla “colpa collettiva” nella Germania post-bellica, magari attraverso la lettura di filosofi o storici che hanno affrontato il tema, aiuterebbe a comprendere meglio la riflessione di Friedmann al suo ritorno.Abbiamo riassunto il possibile
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