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Contenuti del libro
Informazioni
“Come fare cose con le parole” di John Austin è un libro che ti cambia completamente il modo di pensare al linguaggio. Dimentica l’idea che le parole servano solo a descrivere il mondo e a dire se qualcosa è vero o falso. Austin, con un approccio rivoluzionario, ci mostra come, semplicemente parlando, possiamo compiere azioni concrete. Pensa a un matrimonio: dire “sì” non è una descrizione, ma l’atto stesso di sposarsi. Questo è il cuore del concetto di “enunciati performativi”, parole che non descrivono, ma fanno. Il libro esplora le condizioni necessarie affinché queste parole abbiano successo, le cosiddette “condizioni di felicità”, e cosa succede quando queste non vengono rispettate, portando a “infelicità” o fallimenti dell’atto linguistico. Austin ci guida attraverso le sfumature degli atti linguistici, distinguendo tra l’atto di dire qualcosa (locutorio), l’azione compiuta nel dirlo (illocutorio) e gli effetti che otteniamo con il nostro dire (perlocutorio). Non ci sono ambientazioni specifiche o personaggi nel senso tradizionale, perché il focus è sull’analisi filosofica del linguaggio in generale, ma immagina di essere in un’aula di tribunale, a una cerimonia nuziale, o semplicemente a fare una scommessa: Austin ti insegna a riconoscere la potenza performativa delle parole in ogni contesto. È una lettura fondamentale per chiunque voglia capire la vera natura della comunicazione e l’impatto che le nostre parole hanno sul mondo.Riassunto Breve
Il linguaggio non serve solo a descrivere il mondo, ma è uno strumento potentissimo per fare cose. Quando parliamo, non ci limitiamo a enunciare frasi che possono essere vere o false, come quando diciamo “Il cielo è blu”. Ci sono parole che, nel momento stesso in cui vengono pronunciate, realizzano un’azione. Questi sono chiamati “performativi”. Pensiamo al “Sì” detto durante un matrimonio: non descrive un matrimonio, ma lo crea. Allo stesso modo, dire “Battezzo questa nave” durante una cerimonia non è una descrizione, ma l’atto stesso del battesimo. Questi enunciati non sono veri o falsi, ma possono essere “felici” o “infelici”, a seconda che l’azione che intendono compiere riesca o meno.Perché un atto linguistico sia “felice”, cioè riesca, devono essere rispettate certe condizioni. Ci sono quelle legate alla procedura: deve esistere una convenzione accettata, le persone e le circostanze devono essere quelle giuste per invocarla, e la procedura deve essere eseguita correttamente. Se queste condizioni non ci sono, l’atto è nullo, come dichiarare il divorzio in un posto dove non è riconosciuto. Poi ci sono le condizioni legate alle persone coinvolte: devono avere i sentimenti e le intenzioni giuste. Ad esempio, per fare una promessa valida, non basta dire “prometto”, bisogna avere l’intenzione di mantenere la parola. Se questa intenzione manca, la promessa non è falsa, ma è un abuso della procedura, fatta in malafede.Si possono distinguere tre tipi di azioni quando parliamo. L’atto locutorio è semplicemente il dire qualcosa con un certo significato. L’atto illocutorio è l’azione che compiamo *nel* dire qualcosa, come fare una domanda, dare un ordine o fare una promessa. Questo atto ha una “forza” che va oltre il significato delle parole. L’atto perlocutorio, invece, è ciò che otteniamo *col* dire qualcosa, cioè gli effetti che le nostre parole hanno sugli altri, come convincerli o spaventarli. È importante capire che l’atto illocutorio è un’azione convenzionale, diversa dalle conseguenze che può avere.Le azioni linguistiche si possono raggruppare in cinque categorie principali. Ci sono i “verdettivi”, che esprimono un giudizio o una stima su qualcosa, come quando si valuta un fatto. Gli “esercitivi” sono quelli con cui si esercitano poteri o si prendono decisioni, come dare un ordine o nominare qualcuno. I “commissivi” sono quelli con cui ci si impegna a fare qualcosa in futuro, come una promessa. I “comportativi” riguardano i nostri atteggiamenti sociali, come scusarsi o ringraziare. Infine, gli “espositivi” servono a chiarire come le nostre parole si inseriscono in una conversazione, come quando si afferma o si nega qualcosa. Queste categorie non sono sempre nettissime e ci sono casi in cui si sovrappongono.Riassunto Lungo
Il Linguaggio che Crea Realtà: Gli Enunciati Performativi
Il Potere delle Parole che Agiscono
Il modo in cui utilizziamo il linguaggio è più profondo di una semplice descrizione del mondo. Tradizionalmente, si pensava che le frasi servissero solo a riportare fatti, potendo essere quindi vere o false. Tuttavia, esistono espressioni che, al momento della loro pronuncia, non descrivono nulla, ma realizzano effettivamente un’azione. Queste sono state definite “enunciati performativi”.Esempi Concreti di Azioni Linguistiche
Un chiaro esempio è il “sì” pronunciato durante una cerimonia nuziale: non descrive un matrimonio, ma lo compie. Allo stesso modo, dire “Battezzo questa nave Queen Elizabeth” durante il varo non è una descrizione, ma l’atto stesso del battesimo. Anche affermare “Scommetto mezzo scellino che domani pioverà” non è una constatazione di un evento futuro, ma l’atto di effettuare una scommessa.Validità e Condizioni dei Performativi
Questi enunciati performativi non sono soggetti al criterio di verità o falsità. L’atto di pronunciarli, quando le circostanze sono corrette, costituisce l’azione stessa. Questo si distingue nettamente dal descrivere un’azione. Sebbene in alcuni casi un’azione performativa possa essere compiuta anche in modi non verbali, come nel caso del matrimonio attraverso la coabitazione, il linguaggio gioca un ruolo fondamentale.L’Importanza del Contesto e dell’Intenzione
È essenziale comprendere che la semplice emissione delle parole non è sufficiente. Le circostanze devono essere adeguate e spesso sono necessarie anche altre azioni contestuali. Ad esempio, per rendere una promessa valida, non basta dire “Prometto”; è indispensabile avere l’intenzione reale di mantenere la parola data. In assenza di tale intenzione, la promessa non è considerata falsa nel senso di una descrizione errata, ma piuttosto nulla o formulata in malafede. Non si parla di una “scommessa falsa” o di un “battesimo falso”, ma di una promessa fatta in malafede.Se l’atto di pronunciare un enunciato performativo è sufficiente a creare un’azione, cosa distingue una “promessa fatta in malafede” da un “battesimo falso” o una “scommessa falsa”, se questi ultimi non esistono?
Il capitolo introduce il concetto di enunciati performativi, distinguendoli da quelli descrittivi, e sottolinea come la loro validità dipenda dalle circostanze e dall’intenzione. Tuttavia, la distinzione tra una promessa in malafede e altri atti performativi che non possono essere “falsi” rimane poco chiara. Per approfondire questa sfumatura, sarebbe utile esplorare la filosofia del linguaggio, in particolare gli studi di J.L. Austin, il padre del concetto di enunciati performativi, e di John Searle, che ha ulteriormente sviluppato la teoria degli atti linguistici. Un’analisi più dettagliata delle condizioni di felicità degli atti linguistici e delle diverse tipologie di fallimenti (misperformances) potrebbe chiarire le ragioni per cui alcune azioni linguistiche possono essere considerate mal riuscite in modi differenti.Il Potere degli Enunciati: Dire è Fare
La Natura degli Enunciati Performative
Dire qualcosa può equivalere a fare qualcosa. Questa distinzione è cruciale per comprendere gli enunciati performativi. A differenza delle semplici asserzioni, che descrivono uno stato di cose e possono essere giudicate vere o false, gli enunciati performativi non si limitano a descrivere un’azione, ma la compiono nel momento stesso in cui vengono pronunciati. La loro efficacia non si misura in termini di verità o falsità, ma piuttosto in termini di successo o fallimento, ovvero se l’azione che intendono realizzare sia compiuta con successo o meno.Le Condizioni per un Atto Performative Felice
Affinché un enunciato performativo sia considerato “felice”, ovvero pienamente riuscito, è necessario che vengano soddisfatte sei condizioni specifiche. Le prime quattro condizioni riguardano la corretta esecuzione della procedura convenzionale. È fondamentale che esista una procedura accettata e riconosciuta per l’atto che si intende compiere. Inoltre, le persone coinvolte e le circostanze in cui l’atto viene pronunciato devono essere appropriate per l’invocazione di tale procedura. Infine, la procedura deve essere eseguita in modo corretto e completo, senza omissioni o errori. Se anche una sola di queste condizioni procedurali non viene rispettata, l’atto risulta essere un “colpo a vuoto”, cioè nullo e privo di qualsiasi effetto giuridico o pratico. Ad esempio, dichiarare il divorzio in un contesto in cui tale procedura non è legalmente riconosciuta rende l’atto privo di validità.Le ultime due condizioni si concentrano sugli aspetti psicologici e comportamentali dei partecipanti. Devono possedere i sentimenti e le intenzioni appropriate per l’atto che stanno compiendo, e devono agire di conseguenza. Se queste condizioni interne non sono soddisfatte, l’atto viene tecnicamente compiuto, ma costituisce un “abuso” della procedura. Un esempio classico è una promessa fatta senza alcuna reale intenzione di mantenerla.Tipologie di Fallimento e Ambiti di Applicazione
La classificazione delle “infelicità” o dei fallimenti degli atti performativi non è sempre rigida; le diverse categorie possono spesso sovrapporsi. Il concetto di infelicità si estende oltre i soli atti verbali, abbracciando tutti gli atti rituali e convenzionali. Questo include molti aspetti del sistema legale e dell’etica. Persino le asserzioni possono essere considerate “nulle” se si riferiscono a qualcosa che non esiste nella realtà, come affermare che “l’attuale re di Francia è calvo”.Le cause di queste infelicità possono essere molteplici. Possono derivare dall’uso di formule errate o inappropriate (difetti), dall’esecuzione incompleta di una procedura (lacune), dall’invocazione di una procedura che non esiste o non è accettata (invocazioni indebite), o dall’applicazione di una procedura in circostanze o a persone non adatte (applicazioni indebite). È importante distinguere queste forme di fallimento da altri tipi di insuccesso nell’azione, come quelli causati da costrizione o da un errore di fatto. Allo stesso modo, si differenziano dagli usi non seri del linguaggio, come quelli tipici del teatro.Se dire è fare, come possiamo distinguere un atto performativo “felice” da un semplice “colpo a vuoto” o un “abuso”, quando le condizioni procedurali e psicologiche sono così sfumate e soggette a interpretazione, e chi stabilisce la validità di queste convenzioni?
Il capitolo presenta un’interessante dicotomia tra enunciati che descrivono e enunciati che compiono un’azione, introducendo il concetto di atti performativi e le loro condizioni di successo. Tuttavia, la distinzione tra un atto “felice” e un “colpo a vuoto” o un “abuso” appare talvolta labile, soprattutto quando si tratta delle condizioni psicologiche e comportamentali. La definizione di “convenzione accettata e riconosciuta” e l’autorità che ne sancisce la validità rimangono poco chiare, lasciando spazio a potenziali irrazionalità o a una dipendenza eccessiva da contesti culturali specifici. Per approfondire queste criticità, sarebbe utile esplorare la filosofia del linguaggio, in particolare gli studi di J.L. Austin, il padre del concetto di atti linguistici, e di John Searle, che ha ulteriormente sviluppato la teoria. Un’analisi più approfondita della sociologia delle norme e delle convenzioni sociali potrebbe inoltre fornire strumenti per comprendere come le procedure vengano stabilite e mantenute, e quali siano i meccanismi di validazione. Infine, un confronto con approcci giuridici alla validità degli atti potrebbe illuminare le implicazioni pratiche di queste distinzioni.L’atto di dire e le sue insidie
L’uso del linguaggio va oltre la semplice descrizione della realtà; può essere uno strumento per compiere azioni concrete. Questi atti linguistici, noti come performativi, sono considerati “felici” se eseguiti correttamente, altrimenti diventano “infelici”. L’infelicità può manifestarsi in diversi modi: per mancanza dei sentimenti, pensieri o intenzioni richiesti, un fenomeno chiamato insincerità, oppure quando non si agisce in conformità con quanto promesso o dichiarato. Ad esempio, congratularsi con qualcuno senza provarne gioia o promettere qualcosa senza l’intenzione di mantenere la parola rende l’atto insincero.Condizioni per un atto performativo valido
Un altro tipo di fallimento si verifica quando le condizioni necessarie per la corretta esecuzione dell’atto non sono soddisfatte. Ad esempio, un consiglio è considerato “cattivo” se non rispecchia il reale interesse di chi lo riceve, anche se chi lo impartisce è convinto della sua validità. Allo stesso modo, verdetti come “colpevole” o “eliminato”, pur essendo formalmente validi, possono risultare ingiustificati o scorretti.Distinzione tra constativi e performativi
La distinzione tra enunciati constativi, che possono essere veri o falsi, e enunciati performativi, che sono felici o infelici, è un concetto fondamentale. Tuttavia, questa separazione non è sempre netta e definita. Alcune asserzioni implicano la verità di altre asserzioni in modi differenti, attraverso l’implicazione logica, l’implicazione intesa come credenza, o la presupposizione. Per illustrare, l’affermazione “tutti gli uomini arrossiscono” implica logicamente che “alcuni uomini arrossiscono”. Dire “il gatto è sul cuscino” implica che chi parla crede a questa affermazione. Infine, “tutti i figli di Gianni sono calvi” presuppone che Gianni abbia dei figli.Il concetto di asserzione “nulla”
Un’asserzione può essere considerata “nulla” se manca il riferimento appropriato, come nel caso di “tutti i figli di Gianni sono calvi” qualora Gianni non avesse figli. Questa situazione è analoga all’infelicità di un atto performativo quando le condizioni necessarie per la sua validità non sono soddisfatte.Identificare gli atti performativi
Un criterio utile per identificare gli atti performativi è la loro riconducibilità a una forma esplicita che utilizza la prima persona singolare del presente indicativo attivo, come “io prometto” o “io battezzo”. Questa struttura rende palese l’azione compiuta attraverso l’enunciazione stessa. Tuttavia, questo criterio non è assoluto, poiché la prima persona singolare può essere impiegata anche per descrivere abitudini o eventi passati. Inoltre, esistono atti performativi che non si avvalgono di verbi espliciti o parole chiave specifiche, e viceversa, parole chiave possono essere usate in contesti che non hanno natura performativa. La vera essenza di un atto performativo risiede nell’esecuzione di un’azione mediante le parole, e la sua correttezza è determinata dal rispetto di determinate condizioni.Se ogni atto linguistico è un complesso intreccio di atto locutorio e illocutorio, e la distinzione performativo/constativo è superata, come possiamo evitare di cadere in un relativismo interpretativo dove ogni enunciato rischia di essere “infelice” o “corretto” a seconda del mero capriccio contestuale, e quali sono i criteri oggettivi, se esistono, per valutare la “giustezza” o “erroneità” di un atto linguistico al di là della mera efficacia perlocutoria?
Il capitolo suggerisce un superamento della dicotomia performativo/constativo, ma lascia aperte questioni cruciali sulla valutazione degli enunciati. Per approfondire, sarebbe utile esplorare la pragmatica della comunicazione, concentrandosi su autori come J.L. Austin (il padre della teoria degli atti linguistici) e J. Searle, che hanno ulteriormente sviluppato questi concetti. Un’analisi delle teorie sull’inferenza conversazionale, come quelle proposte da H.P. Grice, potrebbe fornire strumenti per comprendere come i significati vengano costruiti e interpretati nel contesto, offrendo potenziali criteri per una valutazione più strutturata. Inoltre, l’esplorazione delle filosofie del linguaggio che affrontano il problema della verità e della giustificazione delle asserzioni, come quelle di W.V.O. Quine o D. Davidson, potrebbe offrire prospettive alternative sulla valutazione degli enunciati.Capitolo 1: Le Cinque Facce dell’Azione Linguistica
Ogni volta che parliamo, non ci limitiamo a dire qualcosa, ma compiamo un’azione. Questa azione, chiamata forza illocutoria, è ciò che realmente accade quando pronunciamo una frase, ed è diversa dal suo semplice significato o dalla sua correttezza. L’azione linguistica completa, nel suo contesto specifico, è il vero oggetto di studio.La Forza dietro le Parole
La teoria degli atti linguistici parte dall’idea che ogni enunciato possiede una forza illocutoria, ovvero un’azione compiuta nel momento in cui viene pronunciato. Questa forza è distinta dal significato letterale della frase (ciò che essa dice e a cosa si riferisce) e dalla sua adeguatezza o meno a una determinata situazione. Comprendere l’atto linguistico nella sua interezza, considerando il contesto in cui avviene, è fondamentale per coglierne il senso profondo.Cinque Modi di Agire con le Parole
Le azioni che compiamo con il linguaggio possono essere raggruppate in cinque grandi categorie:- Verdettivi: Con questi atti, esprimiamo un giudizio, una stima, un calcolo o una valutazione su un fatto o un valore. Diciamo se qualcosa è vero o falso, lo descriviamo o lo classifichiamo. Pensiamo a quando giudichiamo, stimiamo, descriviamo o classifichiamo.
- Esercitivi: Questi atti servono a esercitare poteri, diritti o influenza, portando a una decisione che qualcosa debba essere in un certo modo. Diciamo che qualcosa dovrebbe essere così. Esempi sono nominare qualcuno, dare un ordine, condannare, votare o avvertire.
- Commissivi: Con questi atti, ci impegniamo a fare qualcosa in futuro. Promettiamo, ci assumiamo obblighi o dichiariamo le nostre intenzioni. Esempi includono promettere, giurare, impegnarsi o dichiarare di avere intenzione di fare qualcosa.
- Comportativi: Questi atti riguardano le nostre reazioni e i nostri atteggiamenti sociali di fronte al comportamento altrui. Ci scusiamo, ringraziamo, ci congratuliamo, esprimiamo rammarico, imprecazioni o sfide.
- Espositivi: Servono a chiarire come i nostri enunciati si inseriscono in una conversazione, come usiamo le parole o a facilitare la comprensione. Affermiamo, neghiamo, dimostriamo, esemplifichiamo, interpretiamo o definiamo.
Oltre le Categorie Rigide
È importante ricordare che queste categorie non sono compartimenti stagni; ci sono molti casi che si sovrappongono o si trovano ai confini. Inoltre, la distinzione netta tra ciò che è “normativo o valutativo” e ciò che è “fattuale” viene meno, poiché anche quando affermiamo un fatto, implicitamente stiamo facendo una valutazione legata alle condizioni che rendono la nostra affermazione valida. La teoria che vede il significato solo come senso e riferimento necessita quindi di essere ripensata alla luce degli atti locutori e illocutori. La ricerca di una lista completa di tutte le possibili forze illocutorie è un passo cruciale per comprendere a fondo come funziona il linguaggio.Se le categorie di atti linguistici sono così sfumate e sovrapponibili, come possiamo essere certi che queste “cinque facce” siano davvero esaustive e non piuttosto un’ulteriore semplificazione che rischia di oscurare la complessità reale dell’azione linguistica, soprattutto considerando che anche l’affermazione di un fatto implica una valutazione implicita?
Il capitolo propone una classificazione degli atti linguistici in cinque categorie, ma ammette la fluidità e la sovrapposizione tra di esse, oltre a sottolineare come anche la distinzione tra “normativo” e “fattuale” sia problematica. Questo solleva interrogativi sulla solidità e l’esaustività del modello proposto. Per comprendere meglio i limiti di questa tassonomia e le sue implicazioni, sarebbe utile approfondire la teoria degli atti linguistici con autori come J.L. Austin, il padre fondatore, e John Searle, che ha ulteriormente sviluppato il concetto di forza illocutoria. Un’analisi comparativa con approcci alternativi alla pragmatica linguistica potrebbe inoltre fornire un quadro più completo delle diverse prospettive esistenti.Abbiamo riassunto il possibile
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