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Informazioni
“Cacciateli! Quando i migranti eravamo noi” di Concetto Vecchio ti porta indietro nel tempo, negli anni ’60, per raccontare una storia che molti forse non conoscono o hanno dimenticato: l’emigrazione italiana in Svizzera. Mentre l’Italia viveva il suo “boom economico” a macchia di leopardo, lasciando il Sud in povertà , la Svizzera, in piena crescita, cercava disperatamente manodopera. Il libro esplora le durissime condizioni degli emigrati italiani, trattati spesso come semplici Gastarbeiter, forza lavoro stagionale da usare e rimandare indietro, con leggi discriminatorie che impedivano il ricongiungimento familiare e legavano i lavoratori a un unico impiego. È un racconto di vita nelle baracche, di fatica, isolamento e della ricerca di dignità . Ma è anche la storia della reazione svizzera a questa massiccia immigrazione Svizzera: la paura dell’Überfremdung, il sentimento di “sovrastranieramento”, che alimenta movimenti politici anti-immigrati guidati da figure come James Schwarzenbach. Il libro culmina nella drammatica campagna per il referendum Schwarzenbach del 1970, che mirava a espellere centinaia di migliaia di italiani, mettendo a nudo la discriminazione italiani Svizzera e la tensione tra necessità economica e paura identitaria, mostrando come, in quel periodo, i “migranti” eravamo proprio noi.Riassunto Breve
Nel secondo dopoguerra, l’Italia, specialmente il Sud, vive una grave povertà mentre il Nord sperimenta un boom economico. Milioni di italiani non trovano lavoro o sono sottopagati, spingendo all’emigrazione verso paesi come la Svizzera, che ha bisogno di manodopera per la sua crescita. Un accordo del 1948 tra Italia e Svizzera regola l’arrivo dei lavoratori, introducendo permessi temporanei che limitano i diritti: non si può cambiare lavoro, portare la famiglia, e il licenziamento porta all’espulsione. Questo sistema, basato sulla rotazione, tratta i lavoratori come forza lavoro usa e getta. Le condizioni di vita sono difficili, con alloggi in baracche sovraffollate e poco igieniche ai margini delle città . Gli emigrati contribuiscono all’economia svizzera ma affrontano discriminazione e diffidenza, sentendosi sfruttati dalla Svizzera e abbandonati dall’Italia.La massiccia immigrazione italiana, soprattutto dal Sud dopo il 1964, porta in Svizzera persone con abitudini diverse, generando inquietudine e paura in parte della popolazione svizzera. Si diffonde il sentimento di “Überfremdung”, paura dell’invasione del diverso. Le lamentele riguardano rumore, occupazione degli spazi pubblici e percezione di comportamenti maleducati. Questa paura alimenta movimenti politici di destra come la Nationale Aktion, guidata da figure come James Schwarzenbach, che cavalcano il malcontento e portano il tema dell’immigrazione nel dibattito politico. Gli immigrati italiani, spesso con bassa istruzione, arrivano per necessità economica e affrontano discriminazioni, ma cercano anche integrazione.Emigrare negli anni Sessanta significa affrontare viaggi difficili e condizioni di lavoro precarie, con orari lunghi e mansioni faticose. Gli alloggi sono condivisi con poca privacy, ma la paga permette di inviare denaro in Italia. Nel 1964, un nuovo accordo cerca di migliorare la situazione, prevedendo parità di diritti, possibilità di cambiare lavoro e residenza dopo cinque anni, e ricongiungimento familiare dopo diciotto mesi. Questo accordo scatena forti tensioni sociali e politiche in Svizzera. Gruppi come la Nationale Aktion promuovono un sentimento anti-straniero, sostenendo che l’immigrazione minaccia l’identità nazionale e ruba lavoro agli svizzeri. Nonostante le proteste, l’accordo viene approvato nel 1965. Questo clima porta all’elezione di James Schwarzenbach nel 1967, che basa la sua campagna sulla riduzione degli stranieri.La legge svizzera pone severe restrizioni al ricongiungimento familiare, costringendo molte famiglie a separarsi o a portare i figli illegalmente. Vivere clandestinamente significa rimanere nascosti in casa per non essere scoperti. Le domande di ricongiungimento per i lavoratori annuali richiedono requisiti stringenti. Nel dibattito politico cresce la preoccupazione per l’alto numero di stranieri. Una proposta di referendum mira a ridurre la popolazione straniera. Schwarzenbach si schiera contro l'”inforestiamento”, sostenendo che minaccia l’identità nazionale e pesa sui servizi sociali, nonostante l’economia dipenda dai lavoratori stranieri.La presenza degli emigrati italiani genera preoccupazione, visti da Schwarzenbach come una potenziale minaccia. La polizia segreta sorveglia e scheda migliaia di stranieri italiani. Per gli italiani con idee di sinistra, fare propaganda è proibito e porta all’espulsione. Il clima sociale è segnato da pregiudizi e razzismo, con difficoltà nel trovare alloggio e aggressioni violente. In questo contesto, James Schwarzenbach promuove un referendum per ridurre la percentuale di stranieri residenti dal 17% al 10%, puntando all’espulsione di circa 300.000 persone, in gran parte italiane. Sostiene che l’alto numero di stranieri causa problemi abitativi e competizione per il lavoro. L’iniziativa incontra opposizione dal governo e dagli ambienti economici, ma ottiene ampio sostegno popolare. La campagna diventa tesa, con episodi di violenza e volantini ostili.Nel 1970, la Svizzera affronta un acceso dibattito sulla presenza di lavoratori stranieri, alimentato dalla proposta di Schwarzenbach di limitare drasticamente il loro numero. La discussione evidenzia una divisione tra la Svizzera ricca e quella dei lavoratori immigrati. Schwarzenbach afferma che la sua campagna non è contro gli stranieri, ma contro l’eccessiva espansione economica resa possibile dal loro afflusso. Sostiene che il malessere è diffuso tra la popolazione svizzera media che si sente trascurata. Gli italiani sono accusati di abbassare salari e condizioni di lavoro. La presenza di stranieri porta il Parlamento a varare una legge più restrittiva sull’immigrazione. La proposta di Schwarzenbach mira a inserire in Costituzione misure contro l'”inforestierimento”.Nella tarda primavera del 1970, il dibattito pubblico sulla presenza di lavoratori stranieri è acceso, alimentato dalla proposta di Schwarzenbach di limitare il loro numero al 10%. La campagna referendaria scatena paure e risentimenti. Alcuni svizzeri temono di perdere la propria identità , criticando gli immigrati per abitudini percepite come invadenti e per il loro successo economico. Nonostante il clima ostile, molti immigrati sono consapevoli della loro importanza per l’economia. L’industria si oppone all’iniziativa, temendo un disastro produttivo. Anche le Chiese svizzere si schierano contro la proposta. La tensione culmina in episodi di violenza. Il 7 giugno 1970 si tiene il voto. Il “No” vince con il 54%, contro il 46% per il “Sì”. Schwarzenbach perde il referendum ma ottiene forte sostegno in cantoni rurali e tra operai, contadini e piccoli imprenditori. L’iniziativa ha imposto il tema dell’identità nazionale e della presenza straniera nel dibattito pubblico. L’esperienza dell’emigrazione italiana è segnata da difficoltà e discriminazioni, ma anche da opportunità di riscatto. Nel tempo, l’atteggiamento verso gli italiani in Svizzera cambia, passando da ostilità a maggiore accettazione.Riassunto Lungo
1. Vivere ai margini del boom
Nel secondo dopoguerra, l’Italia si trova ad affrontare una profonda povertà , che colpisce in modo particolare il Sud del paese. Questo accade nonostante il periodo sia noto come “boom economico”, i cui benefici si concentrano principalmente nel Nord. Milioni di persone in Italia non riescono a trovare un lavoro o sono costrette ad accettare impieghi sottopagati, vivendo in condizioni di grande arretratezza. Questa difficile situazione spinge molti a cercare fortuna all’estero, in paesi come la Svizzera, che al contrario ha bisogno di molta manodopera per sostenere la sua crescita nell’industria e nell’edilizia.L’accordo tra Italia e Svizzera e il sistema dei permessi
Il governo italiano vede nell’emigrazione una possibile soluzione al problema della disoccupazione. Per questo motivo, nel 1948 viene firmato un accordo tra Italia e Svizzera per regolare l’invio e il reclutamento dei lavoratori. Questo accordo introduce diversi tipi di permessi di soggiorno, come quelli stagionali o annuali, che sono temporanei. I diritti degli emigrati sono molto limitati: non possono cambiare lavoro una volta arrivati e non è permesso loro di portare la famiglia in Svizzera. Se un lavoratore viene licenziato, scatta subito l’espulsione dal paese. Questo sistema è basato sul “principio di rotazione”, che considera i lavoratori come “Gastarbeiter”, cioè “ospiti-lavoratori”, una forza lavoro flessibile da utilizzare per un certo periodo e poi rimandare indietro.La vita nelle baracche e la discriminazione
Le condizioni di vita per molti emigrati sono estremamente difficili e al limite della sopportazione. Vengono alloggiati in baracche prefabbricate, spesso costruite ai margini delle città o vicino ai cantieri dove lavorano. Queste strutture sono sovraffollate, con pochissima igiene, e decine di persone devono condividere gli stessi bagni. La vita nelle baracche è regolata da norme molto severe, che limitano ulteriormente la libertà personale. È una vita segnata dalla fatica del lavoro, dall’isolamento e dalla totale mancanza di privacy. Anche se gli emigrati contribuiscono in modo significativo all’economia svizzera e inviano gran parte dei loro guadagni in Italia per sostenere le famiglie, sono spesso visti solo come forza lavoro e non come persone. Devono affrontare discriminazione e diffidenza nella vita di tutti i giorni. Trovare un alloggio decente è quasi impossibile, e molti annunci di affitto specificano chiaramente che gli italiani sono esclusi. L’emigrato si trova così a provare un doppio senso di risentimento: verso l’Italia che non gli ha dato opportunità e verso la Svizzera che lo sfrutta per il suo lavoro ma lo isola socialmente.Il capitolo descrive l’accordo tra Italia e Svizzera come una semplice risposta al bisogno di manodopera svizzera e alla disoccupazione italiana, ma non ignora forse le complesse ragioni politiche ed economiche che portarono a un sistema così restrittivo e discriminatorio?
Il capitolo, pur descrivendo efficacemente le drammatiche condizioni di vita e lavoro degli emigrati italiani in Svizzera e il quadro normativo restrittivo dell’accordo del 1948, non approfondisce a sufficienza le motivazioni politiche ed economiche più ampie che portarono alla definizione di quel sistema basato sul “principio di rotazione” e sulla discriminazione. Comprendere il contesto politico interno svizzero, le pressioni economiche (non solo la necessità di manodopera, ma anche la gestione del mercato del lavoro e le preoccupazioni sociali) e le dinamiche negoziali tra i due paesi è fondamentale per capire perché l’accordo fu strutturato in quel modo, al di là della semplice descrizione dei suoi effetti. Per approfondire queste tematiche, è utile esplorare la storia economica e sociale della Svizzera nel secondo dopoguerra e le politiche migratorie dell’epoca, così come la storia delle relazioni italo-svizzere. Autori come Michele Colucci offrono prospettive importanti sulla storia dell’emigrazione italiana.2. Braccia cercate, uomini arrivati
Nel dopoguerra, la Svizzera vive un periodo di forte crescita economica. Questa espansione richiede molta manodopera. Per rispondere a questa esigenza, vengono stipulati accordi con l’Italia. Questi accordi portano centinaia di migliaia di lavoratori italiani in Svizzera. Dopo il 1964, la maggior parte di questi lavoratori arriva dal Sud Italia. Questa grande ondata migratoria è vista inizialmente solo come una fonte di forza lavoro. Tuttavia, introduce nel paese persone con abitudini e culture diverse da quelle tipiche svizzere, che sono caratterizzate da discrezione, ordine e un approccio pratico alla vita.La reazione svizzera all’immigrazione
La presenza degli immigrati italiani comincia a generare preoccupazione e timore in una parte della popolazione svizzera. Si diffonde un sentimento chiamato “Überfremdung”. Questo termine descrive la paura di essere “sovrastranierati” o invasi da ciò che è diverso. Le lamentele più comuni riguardano il rumore percepito, l’occupazione degli spazi pubblici come i marciapiedi, e la sensazione che gli italiani abbiano comportamenti sfrontati o maleducati. C’è anche una diffusa paura per la sicurezza delle donne svizzere. Nonostante le statistiche ufficiali non mostrino che gli italiani commettano più reati degli svizzeri, questa percezione negativa si radica nella popolazione. Questo timore, legato all’identità e alla cultura, alimenta la nascita e la crescita di movimenti politici di destra.La risposta politica e le figure chiave
Movimenti come la Nationale Aktion sfruttano questo malcontento. Si battono attivamente per ridurre il numero di stranieri presenti in Svizzera. Figure come Albert Stocker e James Schwarzenbach diventano importanti in questo contesto politico. Cavalcano il sentimento di paura e portano il tema dell’immigrazione al centro del dibattito nazionale. Schwarzenbach, un intellettuale proveniente da una famiglia aristocratica, accetta di guidare la Nationale Aktion. Condivide la preoccupazione per l’impatto che l’immigrazione ha sul paesaggio svizzero e sulla sua identità culturale. Questo avviene nonostante le differenze sociali che lo separano dalla base più popolare del partito.La vita degli immigrati italiani
Gli immigrati italiani che arrivano in Svizzera provengono spesso da contesti con bassa istruzione. La loro motivazione principale è la necessità economica. Cercano lavoro e una vita migliore a causa della povertà diffusa nel loro paese d’origine. Una volta arrivati, affrontano condizioni di vita difficili e subiscono discriminazioni. Nonostante queste difficoltà , molti si impegnano attivamente per integrarsi. Studiano la lingua locale e cercano di rivendicare il rispetto che sentono di meritare. Questo periodo è segnato dalla tensione costante tra il bisogno economico della Svizzera di avere manodopera straniera e la forte resistenza culturale e sociale alla presenza di questi nuovi arrivati.Come è possibile che la paura per la sicurezza delle donne svizzere sia diventata un motore politico così potente, se le statistiche ufficiali non mostravano che gli italiani commettessero più reati degli svizzeri?
Il capitolo evidenzia una discrasia notevole tra la percezione diffusa e i dati oggettivi riguardo alla criminalità degli immigrati italiani. Questo solleva un interrogativo fondamentale su come le paure collettive si formino e vengano strumentalizzate politicamente, anche in assenza di prove concrete. Per comprendere meglio questo fenomeno, sarebbe utile approfondire gli studi sulla psicologia sociale del pregiudizio e della percezione del rischio, la sociologia delle migrazioni e dei conflitti culturali, e l’analisi dei movimenti politici populisti e della loro retorica.3. Arrivo, Accordo e Reazione
Emigrare in Svizzera negli anni Sessanta significava intraprendere un viaggio pieno di difficoltà . Si partiva dall’Italia in cerca di un futuro migliore, spesso senza avere già un lavoro o un posto dove dormire assicurato. I treni erano affollatissimi e si dovevano affrontare controlli sanitari molto severi una volta arrivati alla frontiera. Queste prime fasi erano solo l’inizio di un percorso che metteva a dura prova chi lasciava la propria terra.Vita e lavoro in fabbrica
Le prime esperienze lavorative si svolgevano principalmente nelle fabbriche. Le giornate erano lunghe, spesso includevano anche il sabato, e le mansioni erano ripetitive e faticose. Si trattava di lavori manuali pesanti, come confezionare barattoli o operare in ambienti con odori sgradevoli, che richiedevano grande resistenza fisica e mentale. Anche le condizioni abitative erano precarie: gli alloggi erano spesso condivisi con molte persone, offrendo poca privacy. Nonostante queste difficoltà e una paga che rimaneva bassa, i lavoratori riuscivano a mettere da parte qualcosa per aiutare le famiglie rimaste in Italia. In questo contesto di sacrifici, però, nascevano anche nuove amicizie e si scopriva un mondo diverso.L’Accordo del 1964
Per cercare di migliorare la situazione dei lavoratori italiani in Svizzera, nel 1964 fu raggiunto un accordo tra i due paesi. Questo patto prevedeva importanti novità : riconosceva la parità di diritti tra lavoratori italiani e svizzeri, dava la possibilità agli italiani di cambiare lavoro e residenza dopo aver vissuto in Svizzera per cinque anni, e permetteva il ricongiungimento familiare dopo diciotto mesi. L’accordo segnò la fine del principio di rotazione, che imponeva ai lavoratori di tornare in Italia dopo un certo periodo, e rappresentò un riconoscimento ufficiale dell’importanza della manodopera italiana per l’economia svizzera.Le reazioni in Svizzera
Nonostante i benefici per i lavoratori, l’accordo provocò forti tensioni sociali e politiche all’interno della Svizzera. Diversi gruppi iniziarono a manifestare un crescente sentimento anti-straniero. Queste proteste si basavano sull’idea che un’immigrazione eccessiva rappresentasse una minaccia per l’identità nazionale svizzera. Si sosteneva che gli immigrati rubassero lavoro ai cittadini svizzeri e aumentassero le spese pubbliche, gravando su servizi essenziali come scuole e ospedali.Gli argomenti contro l’immigrazione
La paura dell'”inforestiamento”, ovvero il timore che gli svizzeri potessero diventare una minoranza nel proprio paese a causa dell’elevato numero di stranieri, era molto diffusa. Venivano distribuiti volantini che mettevano in guardia contro questo pericolo. Si manifestava anche una netta opposizione ai matrimoni tra cittadini svizzeri e stranieri. Questo clima di ostilità rendeva difficile l’integrazione e creava un ambiente di tensione per chi arrivava dall’Italia.L’approvazione dell’Accordo e le conseguenze politiche
Nonostante le proteste e alcuni episodi di respingimento alla frontiera, l’accordo tra Italia e Svizzera fu comunque approvato nel 1965. Questa decisione fu influenzata anche da ragioni politiche, in particolare dai timori svizzeri riguardo alla situazione politica in Italia e al rischio di diffusione del comunismo. Il clima di forte tensione anti-immigrazione portò a conseguenze politiche concrete: nel 1967 fu eletto in parlamento James Schwarzenbach, una figura di spicco del movimento contro l’immigrazione, che fondò la sua campagna elettorale sulla promessa di ridurre drasticamente il numero degli stranieri presenti in Svizzera per “salvaguardare la nazione”.Se l’economia svizzera era forte e la disoccupazione quasi inesistente, come si spiega logicamente che il “malessere” percepito fosse causato principalmente dai lavoratori stranieri, e non da altri fattori sociali o economici?
Il capitolo, nel presentare l’argomentazione di Schwarzenbach, sembra accettare acriticamente il nesso causale tra la presenza di lavoratori stranieri e un generico “malessere” sociale, nonostante il contesto economico positivo. Questa è una lacuna argomentativa significativa. Ignora infatti la possibilità che il malessere percepito derivasse da altre cause, magari legate alle rapide trasformazioni sociali o a tensioni interne non direttamente imputabili agli immigrati. Per colmare questa lacuna e analizzare criticamente tali affermazioni, è indispensabile studiare la sociologia, in particolare quella delle migrazioni, e l’economia del lavoro. Autori come S. Castles o M. Piore offrono strumenti concettuali per analizzare l’impatto dell’immigrazione in modo più sfaccettato, andando oltre le semplificazioni polemiche.7. Paura e ProsperitÃ
Nella tarda primavera del 1970, la Svizzera vive un dibattito molto acceso sulla presenza dei lavoratori stranieri, in particolare gli italiani. Questa discussione nasce dalla proposta di James Schwarzenbach, che vuole diminuire in modo drastico il numero degli immigrati. Il suo obiettivo è ridurre la popolazione straniera al massimo al 10% in ogni zona del paese. La campagna per il voto scatena paure e risentimenti tra la popolazione. Alcuni svizzeri hanno paura di perdere la propria identità e criticano gli immigrati per le loro abitudini, considerate fastidiose, e per il loro successo nel lavoro e nell’economia. Gli italiani, spesso giovani e con buone capacità , lavorano molto, fanno carriera e aprono attività proprie. Questo crea intolleranza in una parte degli svizzeri, soprattutto tra chi ha studiato meno e gli anziani.Le reazioni e le tensioni
Nonostante il clima difficile, molti immigrati sanno di essere importanti per l’economia svizzera. Le industrie si oppongono alla proposta di Schwarzenbach, perché capiscono che mandare via centinaia di migliaia di lavoratori sarebbe un disastro per la produzione. Anche le Chiese svizzere si schierano contro, promuovendo un messaggio di solidarietà e accoglienza. La tensione aumenta e porta anche a episodi di violenza, come quando un sostenitore di Schwarzenbach spara a un vicino italiano. I giornali di altri paesi seguono la situazione e descrivono la proposta come un esperimento razzista e un’ondata di paura irragionevole nel cuore dell’Europa.
L’esito del voto
Il 7 giugno 1970 si vota e partecipano moltissimi cittadini. Il risultato vede vincere il “No” con il 54% dei voti, mentre il “Sì” si ferma al 46%. Schwarzenbach perde il voto per circa 100mila preferenze. Nonostante la sconfitta, ottiene un forte appoggio nelle zone di campagna, tra i cattolici e tra operai, contadini e piccoli imprenditori. Questi gruppi sono spesso considerati le persone che hanno avuto meno vantaggi dai cambiamenti della società moderna.
Un’esperienza complessa e un cambiamento nel tempo
Anche se la proposta è stata respinta, l’iniziativa ha comunque portato al centro del dibattito pubblico svizzero i temi dell’identità nazionale e della presenza straniera. Per gli italiani emigrati in quel periodo, l’esperienza è stata complessa. Hanno affrontato difficoltà , discriminazioni e la sofferenza delle separazioni familiari. Allo stesso tempo, hanno trovato opportunità di riscatto sociale ed economico. Con il passare degli anni, l’atteggiamento nei loro confronti in Svizzera è cambiato, passando da una iniziale ostilità a una maggiore accettazione.
È davvero sufficiente affermare che il sostegno all’iniziativa Schwarzenbach derivasse semplicemente dal sentirsi “meno avvantaggiati dai cambiamenti della società moderna”?
Il capitolo, pur identificando correttamente i gruppi sociali che hanno maggiormente sostenuto la proposta di Schwarzenbach, si limita a collegare questo supporto a un generico sentimento di essere “meno avvantaggiati dai cambiamenti della società moderna”. Non viene specificato quali fossero questi cambiamenti né, soprattutto, in che modo abbiano portato a percepire la presenza degli immigrati come la causa o il sintomo del proprio svantaggio. Questa lacuna rende meno convincente l’analisi delle motivazioni profonde dietro il voto. Per approfondire, sarebbe necessario esplorare in dettaglio le specifiche trasformazioni economiche, sociali e culturali che la Svizzera stava attraversando in quel periodo e analizzare come queste abbiano impattato diversamente i vari strati della popolazione. Discipline come la storia sociale ed economica, unite alla sociologia politica, possono fornire gli strumenti per comprendere meglio le complesse interazioni tra mutamenti strutturali, percezioni di svantaggio e la canalizzazione del malcontento verso gruppi minoritari. Autori che hanno studiato i processi di modernizzazione e le loro conseguenze sociali possono offrire spunti preziosi.Abbiamo riassunto il possibile
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