Filosofia

Arte e filosofia

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1. Dall’Ombra alla Luce: La Natura dell’Arte e della Bellezza

L’idea di Platone sull’arte

Secondo Platone, l’arte non raggiunge la verità. Per lui, l’arte si limita a copiare il mondo che percepiamo con i sensi. Quindi, l’arte crea delle immagini ingannevoli che sono lontane dalla vera realtà, che per Platone è un mondo ideale. Platone paragona l’artista al Demiurgo, la figura divina che crea il mondo, e all’artigiano, che produce oggetti utili. A differenza di queste figure, l’artista non ha una vera conoscenza e non crea oggetti utili. L’artista si ferma solo all’apparenza delle cose, senza considerare il loro vero significato e il loro scopo pratico. Questa imitazione superficiale influenza negativamente la parte irrazionale dell’anima, allontanandola dalla ragione e dalla conoscenza della verità.

La risposta di Aristotele e il concetto di catarsi

Aristotele era d’accordo con Platone sul fatto che l’arte sia una forma di imitazione della realtà. Però, Aristotele pensava che l’arte avesse anche un effetto positivo: la catarsi. Con la catarsi, Aristotele intendeva una sorta di purificazione interiore. Quindi, per Aristotele, l’arte non è solo un’illusione ingannevole, ma può anche servire a liberare le persone dalle passioni negative.

La bellezza come luce divina nel pensiero medievale

Nel Medioevo, Plotino ha sviluppato un’idea diversa di bellezza. Plotino paragonava la bellezza a una luce immateriale, che proviene da una fonte perfetta chiamata “Uno”. Questa luce divina si manifesta nel mondo che vediamo, ma non si confonde con esso, rimanendo qualcosa di separato e superiore. Plotino pensava che l’arte potesse aiutare le persone a contemplare questa realtà superiore, diventando una specie di via spirituale. Sant’Agostino ha continuato a sviluppare queste idee, vedendo nella bellezza del corpo umano un riflesso della bellezza di Dio. Però, Agostino avvertiva anche di non cadere nell’errore di adorare le forme esteriori, dimenticando la bellezza divina più profonda.

La claritas di Tommaso d’Aquino e la sua manifestazione nell’arte di Giotto

San Tommaso d’Aquino ha ripreso le idee di Plotino e Agostino, cercando di dare una definizione più precisa di bellezza. Secondo Tommaso, la bellezza si riconosce da tre caratteristiche: l’integrità, la proporzione e la claritas. La claritas è intesa come una specie di luce che si irradia dalla forma delle cose, mostrando la loro vera essenza. Tommaso vedeva la luce non solo come qualcosa di trascendente, cioè superiore e separato dalla realtà, ma come qualcosa di presente nelle cose stesse. Questa luce interiore rivela la perfezione nascosta in ogni cosa. Giotto, un importante pittore del Medioevo, ha incarnato questa nuova idea di claritas nella sua arte. La pittura di Giotto ha abbandonato lo stile tradizionale bizantino, che era rigido e simbolico. Invece, Giotto ha iniziato a dipingere figure umane realistiche, esprimendo emozioni intense e vere. Queste figure sono immerse in una luce chiara che mostra la verità e la bellezza del mondo reale. L’arte di Giotto celebra la realtà terrena, considerandola una manifestazione della bellezza divina. In questo modo, Giotto ha superato l’idea di Platone, secondo cui l’arte è solo una copia ingannevole della realtà. Giotto ha aperto la strada a un nuovo modo di vedere la bellezza, come qualcosa che si rivela attraverso l’esperienza concreta e sensibile del mondo.

È davvero la storia dell’arte un percorso lineare che va ‘dall’ombra alla luce’, o questa narrazione omette importanti sviluppi e prospettive alternative?
Il capitolo presenta una progressione filosofica sull’arte che potrebbe apparire eccessivamente lineare e focalizzata su una specifica tradizione di pensiero occidentale. Per rispondere alla domanda, sarebbe utile esplorare la storia dell’arte in modo più ampio, considerando anche tradizioni artistiche e filosofiche diverse da quelle qui presentate. Approfondire autori come Ernst Gombrich per una visione più estesa della storia dell’arte, o considerare prospettive sociologiche e antropologiche sull’arte, potrebbe offrire una comprensione più articolata e meno teleologica del tema.


2. L’Eredità di Masaccio: Nascita della Prospettiva e Nuove Visioni del Bello

La rivoluzione di Masaccio nella pittura rinascimentale

La pittura del Rinascimento rappresenta un cambiamento radicale, iniziato da Masaccio. Dopo Giotto e le basi teoriche di Tommaso d’Aquino, Masaccio introduce un’arte più umana e legata alla realtà terrena. Abbandona le raffinatezze del gotico e introduce una nuova vitalità. La sua pittura utilizza volumi scolpiti con la luce e l’ombra, e inserisce figure riconoscibili in spazi definiti dalla prospettiva. Per fare questo, Masaccio si ispira anche alle scoperte di Brunelleschi. La prospettiva diventa una novità fondamentale per tutti gli artisti successivi, come Botticelli, Leonardo e Michelangelo, e influenza l’arte europea per tutto il Cinquecento.

La prospettiva come nuova visione del mondo

La prospettiva, studiata a fondo da Alberti e Leonardo, non è solo una tecnica artistica, ma un modo completamente nuovo di vedere il mondo. Già Tommaso d’Aquino aveva collegato la bellezza alla conoscenza, all’oggettività del piacere che deriva dalla comprensione. Il Rinascimento accoglie questa idea e permette all’arte di esprimere la perfezione delle cose concrete, senza cercare rifugio in mondi astratti. Cusano porta queste idee ancora oltre, vedendo Dio presente in ogni cosa, non come qualcosa di separato, ma come l’essenza che si mostra nella prospettiva particolare di ogni essere vivente.

Brunelleschi, Leonardo e la prospettiva

Brunelleschi sperimenta la prospettiva, creando un punto di fuga che coincide con l’occhio di chi guarda. In questo modo, centralizza la visione e mette ordine nello spazio rappresentato. La prospettiva diventa uno strumento per un “Io” che organizza il mondo visivo, proiettando la propria visione su una superficie. Leonardo considera la pittura una scienza superiore alle altre arti, perché capace di rappresentare la natura in modo più vero della natura stessa. Per Leonardo, la pittura non è una semplice copia della realtà, ma un modo per rendere il reale più vero, un atto quasi divino che trasforma la mente del pittore in una mente divina.

Botticelli, Raffaello e Michelangelo: diverse interpretazioni del Rinascimento

Botticelli, a differenza di Leonardo, cerca una bellezza ideale e spirituale, lontana dal mondo terreno. Si ispira alle idee neoplatoniche di Poliziano e Ficino. Raffaello, influenzato da Leonardo ma più orientato verso la bellezza ideale, unisce le due visioni in una “beltade amena”, una bellezza assoluta che eleva l’esperienza umana. Michelangelo, invece, vive l’arte come una sfida continua, una ricerca di ciò che è impossibile. Nelle sue opere esprime una tensione forte e una spiritualità intensa, derivata dal platonismo e dalla sua inquietudine personale. La sua scultura e pittura puntano all’idea di Dio, trascurando l’aspetto esteriore della natura e cercando una perfezione irraggiungibile. Per questo motivo, spesso lascia le opere incompiute, a testimonianza di questa tensione verso l’infinito.

Ma è davvero corretto presentare la prospettiva come una “nuova visione del mondo” che nasce improvvisamente con il Rinascimento, o non rischia di oscurare la complessità delle pratiche artistiche e percettive precedenti?
Il capitolo sembra enfatizzare eccessivamente la rottura rappresentata dalla prospettiva rinascimentale, quasi fosse una scoperta ex-novo che cambia radicalmente la percezione umana. Per rispondere a questa domanda, sarebbe utile approfondire la storia della percezione e le diverse concezioni dello spazio nelle varie epoche storiche e culture. Autori come Erwin Panofsky e John Berger potrebbero offrire spunti utili per comprendere come la prospettiva si inserisca in un contesto culturale più ampio e complesso, e non come una semplice e isolata “rivoluzione” visiva.


3. Dalla Scena alla Forma

L’Arte Barocca: Teatro della Scienza e Illusione Consapevole (Seicento)

Nel Seicento, con l’arte barocca, si assiste a un cambiamento radicale nel modo di intendere la rappresentazione artistica. L’arte barocca abbandona le finzioni tipiche del Manierismo e si propone come un vero e proprio teatro della scienza. Gli artisti barocchi diventano consapevoli dell’inganno insito nell’arte stessa e lo mettono in scena. Caravaggio è un esempio emblematico di questo nuovo approccio. Con l’uso drammatico della luce, Caravaggio divide lo spazio pittorico in due zone distinte: la scena e lo sfondo. Questa divisione spaziale serve a isolare la rappresentazione, quasi fosse un esperimento in un laboratorio scientifico. La luce che Caravaggio utilizza è analitica e neutra. Non è più la luce divina medievale, ma una luce che indaga l’umanità sofferente in modo oggettivo e distaccato. Rembrandt, considerato un allievo indiretto di Caravaggio, prosegue questa analisi del corpo umano. Attraverso la pittura, Rembrandt svela l’anatomia umana, interpretandola come una metafora della conoscenza che si oppone all’oscurantismo.

Rigore Scientifico e Riflessione sulla Pittura

L’arte barocca non è solo capriccio e decorazione eccessiva. Al contrario, essa mostra una profonda affinità con il rigore scientifico promosso da Cartesio. Gli artisti barocchi ricercano l’acutezza intellettuale e l’ingegno, proprio come gli scienziati. Velázquez, nel celebre dipinto “Las Meninas”, porta questa riflessione a un livello ancora più profondo. L’artista spagnolo riflette sulla natura illusoria della pittura stessa. Nel quadro, Velázquez si rappresenta mentre dipinge, mettendo in scena l’atto stesso del dipingere. Questo crea un gioco di specchi che mette in discussione la natura della realtà visibile e la capacità della pittura di rappresentarla fedelmente. L’epoca barocca porta alle estreme conseguenze la centralità del movimento e della trasformazione, temi già presenti nel Manierismo. In un contesto storico e scientifico in cui l’uomo non è più al centro dell’universo, come nella visione aristotelico-tolemaica, la conoscenza scientifica diventa strumento di liberazione e di scoperta. La scienza, con figure come Galileo e Newton, si afferma come mezzo principale per indagare un universo che viene ora concepito come una macchina razionale e complessa.

Il Settecento: L’Esperienza Sensoriale e la Nascita dell’Estetica

Nel corso del Settecento, l’attenzione degli artisti e dei filosofi si sposta dal meraviglioso e dallo stupore tipici del Barocco al soggetto umano e alla sua esperienza sensoriale. La bellezza non è più considerata un valore oggettivo e trascendente, ma diventa una questione di gusto personale. Il gusto, però, non è qualcosa di innato e immutabile, ma può essere educato e analizzato attraverso la filosofia. Filosofi come Hume e Diderot sostengono che la bellezza non è una proprietà oggettiva delle cose, ma un sentimento soggettivo. Questo sentimento nasce dai rapporti che si creano tra le cose e dalla capacità del soggetto di cogliere un “momento unico” e irripetibile. Hogarth, artista e teorico inglese, ricerca la “varietà regolata” e la “linea sinuosa della grazia” come principi fondamentali dell’arte. Montesquieu, filosofo francese, indaga la soggettività del piacere estetico, sottolineando come esso vari da individuo a individuo e da cultura a cultura. L’Illuminismo, movimento culturale che domina il Settecento, rivendica la libertà della ragione dai dogmi e pone al centro l’esperienza sensoriale e il sentire individuale. In questo contesto culturale, nasce l’estetica come disciplina filosofica autonoma, dedicata allo studio della sensazione e del sentimento del bello. Il Rococò, stile artistico del Settecento, esalta il decorativismoFastidio e la sensualità, spesso in chiave giocosa e leggera. Parallelamente al Rococò, si sviluppa anche un gusto vedutistico, soprattutto nella pittura, che predilige una rappresentazione distaccata e oggettiva della realtà, allontanando l’osservatore dal coinvolgimento emotivo tipico del Barocco. Burke, filosofo inglese, teorizza il concetto di sublime, descrivendolo come un’emozione potente e complessa che può includere anche l’orrore e il terrore, anticipando in questo modo alcune riflessioni di Kant.

Kant e il Neoclassicismo: La “Nientità” del Soggetto e la Bellezza Ideale

Kant, filosofo tedesco, porta a compimento il percorso iniziato nel Settecento sull’estetica. Kant afferma che l’esperienza estetica non si fonda sull’oggetto esterno, ma riflette la “nientità” del soggetto trascendentale, ovvero la consapevolezza del soggetto di non essere fondato su nulla di oggettivo. Per Kant, il giudizio estetico è “riflettente”, nel senso che rivela l’incondizionatezza e la libertà dell’Io. Il bello e il sublime sono entrambi esperienze di “deoggettivazione”, in cui il soggetto si confronta con la mancanza di fondamento oggettivo dell’evidenza estetica. Winckelmann e Canova, figure di spicco del Neoclassicismo, movimento artistico che si sviluppa tra la fine del Settecento e l’inizio dell’Ottocento, ricercano la bellezza ideale ispirandosi all’arte classicaGreca e Romana. Winckelmann e Canova individuano questa bellezza ideale nella “forma indefinita” e nel “disegno perfettissimo”. Essi distinguono nettamente l’imitazione dalla copia meccanica, sottolineando l’importanza dell’interpretazione personale dell’artista. L’arte neoclassica aspira a un sentimento estetico astratto e universale, libero dalle passioni individuali e contingenti. Questo ideale estetico neoclassico conduce a una “meraviglia scevra da sentimenti”, in cui il “disegno” viene considerato primario rispetto al colore, come sostenuto dal pittore Ingres, esponente di spicco del Neoclassicismo francese. L’arte neoclassica, attraverso la ricerca della perfezione formale e l’armonia delle proporzioni, mira a rivelare l’identico nella distinzione, ovvero l’unità e l’universalità del bello al di là delle differenze individuali e storiche. In questo modo, l’arte neoclassica offre un’esperienza estetica che trascende i limiti della ragioneDiscernimento e della passione emotiva, elevando l’uomo a una sfera superiore di contemplazione e armonia.

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Affermare che l’arte contemporanea, partendo dal Gotico, culmini nel “nulla estetico” non rischia di essere una generalizzazione eccessiva e di ignorare la complessità e la varietà delle intenzioni artistiche nelle diverse epoche?
Il capitolo presenta una narrazione interessante ma forse troppo lineare dell’evoluzione artistica. L’idea di un “nulla estetico” come punto di arrivo potrebbe essere interpretata come una semplificazione eccessiva di fenomeni artistici complessi e diversificati. Per approfondire questa questione, sarebbe utile studiare la storia dell’arte in modo più dettagliato, concentrandosi sulle diverse teorie estetiche che hanno influenzato le varie epoche artistiche. Autori come Umberto Eco, in “Storia della Bellezza” e “Storia della Bruttezza”, potrebbero offrire una prospettiva più articolata sulla nozione di “estetico” e sulla sua evoluzione nel tempo.


10. L’Enigma Irrisolto dell’Arte

Il significato dell’arte oggi

Oggi ci si chiede quale sia il vero significato dell’arte. Rispetto al passato, l’arte contemporanea non si giustifica più solo perché è diversa o perché non ha scopi pratici. Infatti, oggi l’arte è sempre più legata alle idee politiche e alla vita di tutti i giorni.

Critica all’arte concettuale e importanza della bellezza

Alcuni critici dicono che l’arte concettuale, mossa da obiettivi politici, vuole cambiare la società. Così, l’arte non è più solo qualcosa da ammirare, ma diventa uno strumento per agire concretamente. In questo contesto, si discute se sia più importante che l’arte sia “interessante” o “bella”. Si fa notare che la vera esperienza artistica, come diceva Kant, si basa sul “disinteresse”, cioè sul fatto che l’arte non deve avere subito uno scopo pratico.

L’esperienza artistica come “presenza” enigmatica

L’arte si presenta come una “presenza” che non cerca di convincere o guidare direttamente. È come un enigma affascinante, e la sua bellezza, pur essendo qualcosa di “assoluto”, non ci impedisce di interrogarci sul suo vero significato. Un’opera d’arte ben fatta è una soluzione formale che supera i problemi da cui è nata, liberandosi dai problemi iniziali. L’arte non è un mezzo per raggiungere un obiettivo, ma è un fine in sé stessa. Ci invita a smettere di pensare sempre al futuro e a vivere una dimensione senza tempo.

La paradossale museificazione dell’arte effimera

Anche se l’arte contemporanea vuole mescolarsi con la realtà di tutti i giorni, si nota una tendenza a mettere nei musei e rendere eterne anche le forme d’arte più brevi e passeggere. L’arte, in fondo, non segue le regole della vita e del cambiamento, ma cerca di andare oltre ogni scopo pratico. Si crea come una “forma assoluta”, un oggetto indipendente che, pur essendo pieno di significati, crea una “crisi” nella vita pratica. Di fronte a un’opera d’arte, dovremmo reagire ammirandola e contemplandola, non desiderando di possederla o usarla per i nostri scopi.

L’arte come enigma irrisolto e manifestazione del “divino”

Più un’immagine artistica è chiara e precisa, meno riusciamo a capirla e farla nostra completamente. L’arte nega le nostre normali esperienze, parlando di qualcosa che “non esiste” e che non possiamo capire con le categorie della realtà. L’arte si mostra come un aspetto del “divino”, una “verità” impossibile da raggiungere nella vita concreta, un mistero insondabile che però è sempre presente nella vita umana. In conclusione, l’arte rimane un enigma senza soluzione, incomprensibile come la pietra, che riflette le contraddizioni della vita stessa.

Ma se l’arte è davvero un “enigma irrisolto” e “incomprensibile come la pietra”, come possiamo seriamente discuterne e attribuirle un significato culturale e sociale?
Il capitolo presenta l’arte come qualcosa di misterioso e divino, quasi al di là della comprensione umana. Tuttavia, se l’arte fosse veramente incomprensibile, sarebbe impossibile analizzarla, criticarla o integrarla nel discorso culturale e sociale. Per rispondere a questa domanda, sarebbe utile esplorare più a fondo le teorie dell’estetica e della filosofia dell’arte, studiando autori come Adorno, Benjamin e Heidegger, che hanno affrontato il rapporto tra arte, significato e società in modi complessi e articolati. Approfondire la semiotica dell’arte potrebbe inoltre fornire strumenti utili per decifrare i codici e i linguaggi attraverso cui l’arte comunica, anche quando si presenta come enigmatica.


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