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RISPOSTA: “Andarsene al momento giusto. Culture dell’eutanasia nella storia europea” di Marco Cavina è un viaggio affascinante attraverso i secoli, esplorando come diverse società , dall’antica Roma all’Europa moderna, abbiano affrontato il complesso tema della morte assistita. Il libro non si limita a un’analisi accademica, ma ci porta a scoprire come il desiderio di una morte serena, o “buona morte”, sia stato un filo conduttore costante, intrecciandosi con la medicina, la religione e le tradizioni popolari. Attraverso un’indagine che spazia da precetti come il giuramento ippocratico alle pratiche più clandestine delle culture popolari, Cavina ci mostra come il concetto di eutanasia sia mutato, passando da un’idea di morte rapida e senza dolore nell’antichità , a una forte condanna cristiana, fino alle riflessioni più moderne sul diritto di scegliere. Non ci sono personaggi principali nel senso classico, ma le figure di medici, giuristi, filosofi e persino figure anonime della cultura popolare emergono come protagonisti di questo dibattito millenario, che ci invita a riflettere sulla nostra stessa mortalità e sul significato di una vita vissuta fino in fondo. Questo libro è un’immersione profonda nella storia dell’eutanasia, un tema sempre attuale e cruciale per comprendere l’evoluzione del pensiero umano di fronte alla fine della vita.Riassunto Breve
Il concetto di “buona morte”, o eutanasia, ha attraversato secoli di storia, evolvendosi da pratiche antiche e spesso clandestine a oggetto di dibattito etico, legale e sociale. In origine, il giuramento ippocratico vietava ai medici di somministrare farmaci mortali, ponendo la vita al centro dell’arte medica. Tuttavia, nel mondo romano, l’idea di una morte serena e rapida era più accettata, con figure come Seneca che promuovevano la dignità nel morire e il suicidio come rifugio dalle sofferenze. Le leggi romane, pur con sfumature, non condannavano il suicidio per cause come il “tedio della vita” o l’insopportazione del dolore, e in alcuni casi si riconosceva persino un “liberum arbitrium mortis”, la possibilità di scegliere modalità di esecuzione meno crudeli.Con l’avvento del Cristianesimo, la prospettiva sulla morte cambiò radicalmente: la morte rapida divenne una “malamorte” perché impediva il pentimento finale, mentre la “buona morte” cristiana richiedeva lentezza per permettere la riconciliazione con Dio. Nonostante questo, persistevano correnti minoritarie che vedevano in forme di morte accelerata un modo per sfuggire alle sofferenze. Nel corso dei secoli, il dibattito teologico ha affrontato il suicidio, distinguendo tra azioni dirette e indirette, e condannando il suicidio diretto come peccato mortale. Parallelamente, si è sviluppata l'”ars bene moriendi”, l’arte di morire bene, focalizzata sull’eutanasia spirituale attraverso una vita retta e la devozione.Il XIX e XX secolo hanno visto un’intensificazione del dibattito, con l’emergere dell'”eutanasia medica” o palliativa, volta ad alleviare le sofferenze senza accelerare la morte, e discussioni sulla possibilità di eutanasia attiva in casi specifici. La letteratura ha esplorato a fondo i dilemmi morali e psicologici legati all’eutanasia, con opere che mettono in scena il tormento di medici e parenti di fronte a richieste di morte assistita. Figure come il “colpo di grazia” in ambito bellico, l'”accabadora” in Sardegna, o il “despenador” in America Latina, testimoniano la persistenza storica di pratiche eutanasiche, spesso clandestine e avvolte da un senso di omertà . Queste pratiche, sebbene spesso in contrasto con le norme religiose e legali, riflettono un desiderio umano di porre fine alle sofferenze e di trovare una morte dignitosa, un tema che continua a evolversi nel dibattito contemporaneo.Riassunto Lungo
1. Il Giuramento Ippocratico e la Morte Digna nell’AntichitÃ
Il Giuramento Ippocratico: Un Principio Etico Fondamentale
Si stabilisce un principio fondamentale per i medici: non somministrare farmaci mortali né consigliare l’aborto, preservando così la purezza della vita e dell’arte medica. Questo precetto, di origine antica, è cruciale per ogni discussione sull’eutanasia. Sebbene alcune interpretazioni suggeriscano che il divieto di fornire veleni fosse principalmente volto a proteggere la reputazione della classe medica dall’accusa di omicidio, è evidente una forte volontà di definire un’etica professionale basata sulla cura e sulla guarigione. La medicina, in quest’ottica, è intesa come scienza volta a preservare la vita, non a interromperla.La Morte Digna nel Mondo Romano
Nel mondo romano, invece, il concetto di “eutanasia” era inteso più come una morte serena, rapida e senza dolore. Questa idea si inseriva in una cultura più aperta al suicidio, considerato un atto razionale o un rifugio dalle sofferenze. Figure come Seneca sottolineavano l’importanza di saper morire con dignità , e il suicidio era visto come un’alternativa onorevole alla malattia incurabile o a condizioni di vita insopportabili. Il diritto romano, pur con sfumature, non condannava il suicidio per cause come il “tedio della vita” o l’insopportazione del dolore, distinguendolo da quello commesso per sfuggire a un crimine. In alcuni contesti, come per i condannati a morte, si riconosceva persino un “liberum arbitrium mortis”, ovvero la possibilità di scegliere modalità di esecuzione meno crudeli, suggerendo un’anticipazione di pratiche eutanasiche autorizzate.Se il Giuramento Ippocratico pone un divieto assoluto alla somministrazione di farmaci mortali, come si concilia questo con l’idea romana di “morte dignitosa” e il “liberum arbitrium mortis” per i condannati, suggerendo un’anticipazione di pratiche eutanasiche autorizzate?
Il capitolo presenta una dicotomia interessante tra il principio ippocratico di preservazione della vita e la concezione romana della morte, ma la transizione tra questi due mondi necessita di un’analisi più approfondita per evitare di creare un’apparente contraddizione. La questione centrale è se il divieto ippocratico fosse interpretato in modo rigido anche nel contesto romano, o se vi fossero sfumature e adattamenti che permisero l’emergere di concetti come il “liberum arbitrium mortis”. Per comprendere appieno questa evoluzione, sarebbe utile esplorare la filosofia stoica, che ha profondamente influenzato la visione romana del suicidio come atto di libertà e razionalità , e approfondire il pensiero di autori come Seneca, che ha trattato ampiamente il tema del morire bene. Inoltre, sarebbe opportuno indagare la giurisprudenza romana in materia di pena capitale e le eventuali eccezioni o mitigazioni che potessero essere concesse, per capire se vi fosse una reale “autorizzazione” a pratiche eutanasiche o se si trattasse piuttosto di una gestione umanitaria della morte imposta.L’aiuto nel morire nell’antichità romana
Nell’antica Roma, l’eutanasia, specialmente tra i ceti più abbienti, richiedeva spesso l’intervento di servi e medici. Figure come Tizio Aristone testimoniano la ricerca di una morte serena, confermata dall’incurabilità della malattia da parte dei medici. Questi professionisti, pur vincolati dal giuramento ippocratico di non nuocere, potevano trovarsi coinvolti nell’accelerare la fine di un malato, fornendo anche sostanze letali. La diffusione di queste pratiche è attestata da casi letterari e legali, sebbene chi forniva aiuto potesse essere perseguito penalmente.Anche personaggi di spicco come l’imperatore Adriano, afflitto da dolori insopportabili, cercarono assistenza per porre fine alle proprie sofferenze, incontrando però resistenze che sottolineano la delicatezza e i rischi di tali richieste. Nerone, al contrario, riuscì a suicidarsi con il supporto del suo segretario, Epafrodito, che tuttavia ne subì le conseguenze. In generale, i servi e i medici erano le figure più vicine ai malati benestanti che desideravano una morte pacifica, e a volte i loro ruoli potevano coincidere.Le leggi romane, come il senatoconsulto Silaniano, miravano a regolamentare queste situazioni, soprattutto per tutelare i padroni dalle eventuali macchinazioni dei servi. Tuttavia, queste norme creavano dilemmi per i servi che erano anche medici, costretti a bilanciare l’obbedienza con i precetti legali.Pratiche sociali e culturali antiche
Al di fuori dell’ambito medico, esistevano pratiche sociali più ancestrali, come il geronticidio o l’eutanasia in società arcaiche, spesso dettate da necessità di sopravvivenza collettiva. Un esempio si trova tra gli Indiani descritti da Erodoto, dove anziani o malati venivano soppressi e consumati. Altre culture, come quella dei Massageti, consideravano la morte per immolazione la più nobile. L’isola di Keos rappresenta un caso di una cultura suicidaria più strutturata: gli anziani che non potevano più contribuire alla società o la cui mente era indebolita, bevevano cicuta, talvolta con un’autorizzazione pubblica. A Marsiglia, il Senato dei Seicento concedeva il veleno solo dopo un’attenta valutazione.La prospettiva cristiana sulla morte
Con l’avvento del Cristianesimo, la visione della morte subì una trasformazione profonda. La morte rapida e inaspettata, prima considerata un dono o una conclusione auspicabile, divenne una “malamorte”. Questo perché impediva il pentimento finale e la ricezione dei sacramenti, ostacolando così la salvezza dell’anima. La “buona morte” cristiana doveva essere un processo graduale, che consentisse un esame di coscienza e la riconciliazione con Dio. Nonostante questo insegnamento ufficiale, alcune correnti cristiane minoritarie, talvolta associate a eresie, vedevano in forme di morte accelerata, come nel martirio dei circumcelliones o nelle pratiche catare, una via di fuga dalle sofferenze terrene. Parallelamente, nella cultura popolare, si cercava di conciliare la fede cristiana con il desiderio di alleviare dolori e agonie, spesso con modalità non del tutto ortodosse.Ma se la prospettiva cristiana condannava la morte rapida, come si concilia questo con le pratiche popolari che cercavano di alleviare le sofferenze, talvolta in modi non ortodossi?
Il capitolo presenta una dicotomia tra la dottrina cristiana ufficiale e le pratiche popolari, lasciando aperta la questione di come queste due sfere interagissero concretamente e quali fossero le implicazioni teologiche e sociali di tali compromessi. Per una comprensione più approfondita, sarebbe utile esplorare testi che analizzino la storia della morale cristiana e le sue interpretazioni nel corso dei secoli, magari consultando opere di storici della Chiesa o filosofi morali che hanno affrontato il tema della sofferenza e della morte in contesti religiosi.2. Il Rifiuto del Suicidio e l’Arte di Morire Bene
Il Dibattito sul Suicidio nel Seicento
Nel Seicento, il giurista Balthasar Gomez affronta il tema del suicidio, un argomento che all’epoca iniziava a essere discusso più apertamente. Gomez, pur rimanendo fedele alla dottrina cattolica, riesamina il principio secondo cui nessuno è padrone del proprio corpo. Analizza le fonti del diritto romano, sostenendo che l’antica Roma permetteva una maggiore libertà nel disporre del proprio corpo, incluso il suicidio, a differenza dell’interpretazione medievale che aveva distorto questi testi per adattarli ai principi cristiani.La Prospettiva Cristiana sul Suicidio
Il pensiero cristiano, invece, condanna il suicidio in modo assoluto, considerandolo un atto di lesa maestà divina. La vita è vista come un dono di Dio, e solo Lui può disporne. Questo rifiuto si estende anche all’eutanasia attiva, come spiegato da Agostino, che afferma che non è mai lecito uccidere un altro, nemmeno su richiesta.L’Arte di Morire Bene: Preparazione Spirituale
In questo contesto, emerge l’importanza dell’ “ars bene moriendi”, l’arte di morire bene. Questa disciplina, sviluppata nella letteratura religiosa, si concentra sull’ “eutanasia spirituale”, ovvero preparare l’anima alla morte attraverso una vita retta e la devozione. L’opera di Bellarmino del 1620 è un esempio di questa tradizione, offrendo precetti per una vita che conduca a una “buona morte”. Questi precetti includono il progressivo distacco dai beni mondani e la costante riflessione sulla morte, per essere sempre pronti ad affrontare l’ultimo momento con serenità spirituale, evitando le tentazioni finali.È davvero possibile che la letteratura, attraverso la rappresentazione di dilemmi morali legati alla morte assistita, possa offrire una “consolazione basata sulla ragione” o un’ “espiazione” che vada oltre la sfera emotiva e religiosa, o si tratta piuttosto di una sterile evasione da responsabilità etiche e mediche concrete?
Il capitolo, pur presentando diverse sfaccettature del tema dell’eutanasia attraverso opere letterarie, sembra oscillare tra la rappresentazione del conflitto interiore dei personaggi e una potenziale giustificazione dell’atto. Per approfondire criticamente queste narrazioni e comprendere meglio la complessità del dibattito, sarebbe utile esplorare il pensiero di filosofi che hanno affrontato il tema dell’etica medica e della bioetica da prospettive differenti, come Peter Singer per un approccio utilitaristico e Michael Foucault per un’analisi del potere e del sapere medico. Inoltre, un’analisi comparativa delle legislazioni sull’eutanasia in diversi paesi potrebbe fornire un contesto cruciale per valutare la rilevanza e le implicazioni delle rappresentazioni letterarie.9. La Persistenza dell’Eutanasia nella Storia Europea
Le Origini Antiche del Dibattito sull’Eutanasia
L’idea di una “buona morte”, o eutanasia, ha radici profonde che precedono il Novecento, periodo in cui è emersa con maggiore vigore. Nonostante la forte opposizione della religione, della cultura e delle autorità , questo concetto ha mantenuto una presenza costante nel corso della storia europea. Dalla fine dell’antichità fino al XIX secolo, le pratiche legate all’eutanasia sono state spesso caratterizzate da un senso di discrezione e segretezza, una conseguenza diretta della ferma condanna da parte delle istituzioni.Manifestazioni Storiche e Clandestine
Queste istanze, sebbene spesso relegate ai margini della società , sono riuscite a sopravvivere attraverso esperienze intellettuali e in piccole comunità . Si sono manifestate in gesti come il “colpo di grazia” somministrato ai soldati feriti sul campo di battaglia, la ricerca volontaria del martirio, o l’intervento discreto di medici e assistenti. In alcuni casi, queste pratiche si sono intrecciate con rituali popolari o sono state utilizzate in modi inaspettati e non convenzionali.La Tensione tra Dignità e Limiti Umani
Le diverse forme storiche di eutanasia, spesso poco documentate per iscritto, sono sempre state accompagnate da un senso di colpa e da una percezione di marginalità , dovuti alla loro natura “eterodossa” rispetto ai valori prevalenti. Di fronte alla morte, ogni individuo si trova a confrontarsi con la propria fragilità e impotenza. La scelta di praticare o ricevere l’eutanasia, in qualsiasi sua forma, è intrinsecamente legata a questa consapevolezza dei limiti umani. Questa tensione tra il desiderio di una morte dignitosa e la percezione dell’ineluttabilità della condizione umana spiega la persistenza di questi atteggiamenti in Europa attraverso i secoli.L’Eutanasia nella ContemporaneitÃ
Con l’avvento dell’epoca contemporanea e il processo di laicizzazione della società , la questione dell’eutanasia è diventata un tema centrale nel dibattito pubblico. Questo ha portato, in molti contesti, all’affermazione di un vero e proprio diritto all’eutanasia.Se l’eutanasia è una pratica “eterodossa” e “marginalizzata” per secoli, come si può affermare che la sua “persistenza” sia intrinsecamente legata alla “tensione tra dignità e limiti umani” senza prima chiarire se tali manifestazioni storiche, spesso clandestine e poco documentate, rappresentino effettivamente un continuum argomentativo con il dibattito contemporaneo e il diritto all’eutanasia, o se siano piuttosto fenomeni distinti, influenzati da contesti culturali e religiosi radicalmente differenti?
Il capitolo suggerisce una linea di continuità tra le pratiche storiche e il dibattito contemporaneo sull’eutanasia, ma la natura “discreta e segreta” di molte di queste manifestazioni storiche, unitamente alla loro possibile interpretazione come atti di pietà o di gestione del dolore piuttosto che come espressione di un diritto alla morte volontaria, solleva interrogativi sulla validità di tale accostamento. Per approfondire questa complessità , sarebbe utile esplorare studi di storia sociale e della medicina che analizzino le motivazioni e le percezioni dietro questi gesti nel loro contesto specifico. Autori come Michel Foucault, con le sue riflessioni sulla storia della medicina e del corpo, o storici che si sono occupati della bioetica nelle sue evoluzioni storiche, potrebbero fornire strumenti critici per distinguere tra diverse concezioni della morte e della sofferenza nel corso dei secoli. È fondamentale considerare se la “buona morte” antica e medievale sia concettualmente sovrapponibile al moderno diritto all’eutanasia, o se si tratti di fenomeni distinti che richiedono analisi separate.Abbiamo riassunto il possibile
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