Contenuti del libro
Informazioni
“A noi! Cosa ci resta del fascismo nell’epoca di Berlusconi, Grillo e Renzi” di Tommaso Cerno non è solo un libro di storia, ma un viaggio per capire perché certi schemi della politica italiana sembrano ripetersi. Partendo dalla figura di Benito Mussolini e dal modo in cui usava la propaganda e il carisma per governare le masse, il libro esplora come queste dinamiche di leadership carismatica e comunicazione diretta si ritrovino in leader più recenti come Silvio Berlusconi, Beppe Grillo e Matteo Renzi. Attraverso l’analisi di eventi storici, l’uso dei media, il rapporto tra politica e affari, e persino la vita privata dei capi, Cerno cerca di svelare i fili che legano il fascismo storico alla politica italiana di oggi. Non si tratta solo di leader, ma anche del conformismo italiano, della tendenza a cercare l’uomo forte e della difficoltà di fare i conti con il passato. È un modo per guardare alla storia d’Italia e capire meglio perché certe cose succedono ancora, esplorando i fantasmi del passato che influenzano il presente.Riassunto Breve
La politica italiana mostra schemi che si ripetono nel tempo, con figure di leader forti che cercano un legame diretto con le persone, spesso saltando i passaggi normali. Benito Mussolini è un esempio di questo, usando una comunicazione semplice e diretta e sfruttando i mezzi di massa come la radio e l’Istituto LUCE per costruire la sua immagine e far sembrare che tutti fossero d’accordo con lui. Dopo il fascismo, l’Italia non ha fatto i conti fino in fondo con quel periodo, permettendo a persone legate al regime di restare in posti importanti e nascondendo il passato invece di affrontarlo apertamente. Questa capacità di usare la comunicazione per influenzare le masse e il desiderio di stare al centro dell’attenzione si vedono anche in leader venuti dopo, come Bettino Craxi, Silvio Berlusconi, Umberto Bossi, Matteo Salvini e Beppe Grillo. Ognuno a modo suo ha usato la televisione, i social media o le piazze per parlare direttamente con la gente, creando un rapporto basato più sull’immagine e sugli slogan che sui programmi politici complessi. Movimenti come il Movimento 5 Stelle hanno usato internet per decisioni che sembrano votazioni popolari ma che in realtà rafforzano il potere del capo, isolando chi non è d’accordo. Anche Matteo Renzi, pur venendo da un partito vecchio, ha usato molto i social per parlare subito con gli elettori, presentandosi come uno che cambia le cose velocemente. Oltre a questo modo di fare politica, ci sono anche aspetti negativi che tornano. Eventi violenti e misteriosi come gli omicidi di Giacomo Matteotti e Aldo Moro o stragi come quella di Piazza Fontana mostrano indagini complicate, depistaggi e verità che non vengono mai fuori del tutto, lasciando dubbi su chi c’è dietro. C’è anche una tendenza a cambiare idea o schieramento politico per convenienza, il “trasformismo”, che porta a crisi di governo decise dentro i palazzi del potere e non dal voto della gente. La vita privata dei leader, le loro relazioni e anche le intercettazioni mostrano aspetti nascosti della loro personalità e come certe informazioni vengano usate per attaccare gli avversari, come è successo in passato con accuse legate all’omosessualità. Il legame stretto tra politica e soldi, tra chi governa e chi fa affari, è un altro punto fisso. Sotto il fascismo, gerarchi e persone vicine al potere si sono arricchiti con ruberie e favori, e Mussolini stesso usava soldi pubblici per avere consenso. Questo legame continua, con industriali e banchieri che finanziano i partiti e ottengono in cambio leggi a loro favore. Anche la gestione di momenti difficili, come i terremoti, viene usata per farsi pubblicità, spesso senza risolvere davvero i problemi. Infine, c’è l’idea che gli italiani siano un popolo che si adatta facilmente a chi comanda, cambiando idea a seconda di chi è al potere. Questo conformismo, l’opportunismo e la paura di dire quello che si pensa, insieme a un maschilismo e a un razzismo che non spariscono, sono aspetti del passato che si vedono ancora oggi. Anche se dopo la guerra si è costruito un sistema basato sull’antifascismo, come se fosse una regola per essere considerati bravi italiani, il paese ha fatto fatica a cambiare davvero su temi importanti come i diritti delle persone o la lotta alla criminalità organizzata.Riassunto Lungo
1. L’arte di governare le masse
La figura di Benito Mussolini si lega profondamente alla storia italiana e al modo in cui il paese si rapporta con i suoi leader. Dopo la fine del fascismo, l’Italia non ha affrontato completamente il suo passato. Molti legati al regime sono rimasti o sono tornati a lavorare nello stato grazie ad amnistie e indulti, evitando processi e integrandosi nuovamente nella società.Le origini e l’ascesa di Mussolini
La vita di Mussolini, dalle origini semplici all’infanzia difficile, dall’esperienza come emigrato alla ricerca del potere politico, ha tratti comuni con le storie di tanti italiani. La sua capacità di arrivare in alto si basa molto sull’uso di un linguaggio semplice e diretto, efficace per parlare a tante persone e convincerle. Questa abilità nel parlare in pubblico, migliorata nel tempo, è diventata uno strumento potente per diffondere le sue idee.Il percorso politico e l’arte della comunicazione
Fin da giovane, Mussolini mostrava un talento per stare al centro dell’attenzione. La sua carriera politica prende forma attraverso il giornalismo e l’organizzazione di proteste. Ha diretto importanti giornali socialisti come «Lotta di Classe» e poi «Avanti!». Un momento importante per la sua popolarità è stato l’arresto nel 1911 durante le manifestazioni contro la guerra in Libia, che lo ha fatto apparire come un “martire” locale. Al congresso del partito socialista a Reggio Emilia nel 1912, si è affermato come leader della corrente più radicale grazie al suo modo di fare deciso e senza compromessi.L’uso dei media e della musica per il consenso
Durante il fascismo, l’uso dei mezzi di comunicazione di massa e dell’arte, soprattutto la musica, è stato fondamentale per la propaganda e per controllare l’opinione pubblica. Sono stati creati enti come l’URI/EIAR, che si occupava della radio, e l’Istituto LUCE per i cinegiornali. La musica veniva usata per diffondere l’ideologia del regime. Generi musicali considerati “stranieri” o contro il fascismo, come il jazz, venivano censurati. Artisti e istituzioni musicali erano controllati dallo stato. Nonostante Mussolini stesso suonasse il violino per diletto, vedeva la musica soprattutto come uno strumento politico da sfruttare.Una leadership che guarda al futuro
Questo modo di guidare, basato sul comunicare in modo diretto, sul mettersi in scena e sull’usare i media per influenzare le persone, si ritrova anche in politici italiani venuti dopo di lui, come Silvio Berlusconi e Matteo Renzi. Anche loro hanno usato la musica e lo spettacolo nelle loro strategie politiche per creare un legame con il pubblico e ottenere consenso.Ridurre la leadership di Mussolini a una mera questione di comunicazione e uso dei media non rischia di banalizzare la natura del regime fascista?
Il capitolo, pur evidenziando l’importanza della comunicazione, sembra concentrarsi eccessivamente su questo aspetto, rischiando di trascurare altri elementi fondamentali che definirono il regime fascista, come la violenza sistematica, la soppressione delle libertà e la trasformazione istituzionale dello Stato. La comparazione con leader democratici successivi, basata prevalentemente sull’uso dei media, necessiterebbe di un’analisi più approfondita delle profonde differenze strutturali e ideologiche tra i contesti politici. Per una comprensione più completa, sarebbe utile approfondire la storia del fascismo nella sua complessità (si pensi agli studi di Renzo De Felice o Emilio Gentile) e le teorie sulla natura dei regimi totalitari (come quelle di Hannah Arendt), oltre a un’analisi più sfumata della comunicazione politica nelle democrazie contemporanee (magari con l’aiuto di autori come Paolo Mancini).2. Il fascino del capo e la politica dello spettacolo
Nella politica italiana si vede spesso un certo schema: emerge un leader forte che sembra rompere con il vecchio modo di fare politica e cerca un legame diretto con le persone. Questo leader si presenta come una novità, qualcuno capace di capire cosa pensa la gente comune e di offrire soluzioni facili ai problemi. Il successo di questi leader dipende molto dal loro carisma e dalla loro bravura nell’usare i mezzi di comunicazione per farsi conoscere e apprezzare, trasformando la politica in una sorta di spettacolo.Come i leader usano la comunicazione
Benito Mussolini è stato uno dei primi a usare in modo massiccio la propaganda per costruire la sua immagine. Ha sfruttato l’Istituto LUCE per creare un’immagine potentissima di sé, sempre presente, e ha manipolato le immagini delle folle per far credere che tutti lo seguissero ciecamente. Ogni dettaglio era pensato per esaltare la sua figura e diffondere le idee del regime, senza preoccuparsi di dare informazioni vere o complete, puntando tutto sull’impatto visivo ed emotivo.Esempi di leadership carismatica
Più tardi, Bettino Craxi è emerso in un momento di difficoltà per il paese, cercando di rinnovare il suo partito, il PSI, ma concentrando molto potere nelle sue mani. Era bravo a parlare in modo efficace e ha usato le nuove televisioni per farsi conoscere e ottenere consenso personale, costruendo la sua leadership più sulla fedeltà personale che sulla bravura delle persone. Silvio Berlusconi ha portato in politica le strategie di comunicazione e di vendita usate nelle aziende, creando un partito che ruotava completamente intorno alla sua persona, usando slogan facili da ricordare e messaggi semplici diffusi attraverso le sue reti televisive, spesso orientando l’azione politica a proteggere i propri affari.Il legame diretto con il popolo
La Lega Nord, prima con Umberto Bossi e poi con Matteo Salvini, ha usato un linguaggio diretto, a volte forte, e simboli o riti per creare un legame emotivo forte con i suoi sostenitori, quasi come una “religione politica”. Salvini ha reso il partito ancora più legato alla sua immagine, usando slogan e la sua presenza sui social media o persino nel modo di vestire per parlare direttamente con gli elettori, concentrandosi sulla propaganda e sulla critica radicale alla politica tradizionale. Anche Beppe Grillo, che veniva dal mondo dello spettacolo, ha usato internet (il suo blog) e gli incontri pubblici (le piazze, reali e virtuali) per costruire un movimento basato sul suo forte carisma e sulla critica dura al sistema, organizzando il Movimento 5 Stelle attorno alla figura del suo leader e bypassando le forme classiche dei partiti.La politica come spettacolo
Questi esempi mostrano come la politica si sia spesso trasformata in uno spettacolo. L’immagine del leader e la comunicazione diretta con le persone, fatta spesso di slogan e messaggi che toccano le emozioni, sono diventate più importanti del ruolo dei partiti e della discussione approfondita sulle proposte politiche. Questo schema si ripete, confermando una tendenza costante nella storia politica italiana a cercare una figura forte e a lasciarsi attrarre dal fascino del capo.Ma questo “fascino del capo” e la “politica dello spettacolo” sono solo una questione di leader abili o c’è qualcosa di più profondo nella società italiana che li rende possibili?
Il capitolo descrive efficacemente il fenomeno del leader carismatico e l’uso della comunicazione per trasformare la politica in spettacolo, fornendo esempi calzanti. Tuttavia, l’analisi si concentra prevalentemente sulle azioni e le strategie dei leader stessi, lasciando in ombra le ragioni più profonde per cui la società italiana sembra particolarmente ricettiva a questo schema. Perché il legame diretto con il popolo, basato su carisma ed emozione, tende a prevalere sulla mediazione dei partiti e sulla discussione programmatica? Per colmare questa lacuna e comprendere meglio le radici di questa tendenza, sarebbe utile approfondire la sociologia politica e la storia politica italiana, esplorando i fattori culturali, sociali ed economici che nel tempo hanno plasmato il rapporto tra cittadini e potere. L’analisi del concetto di carisma, come definito da autori quali Max Weber, può fornire una base teorica, mentre lo studio dell’evoluzione della cultura politica italiana e delle sue specifiche fragilità, attraverso l’opera di storici e politologi che hanno indagato le peculiarità del nostro paese, può offrire il contesto necessario per capire perché il “fascino del capo” continua a riproporsi.3. Capi e Connessioni Dirette
Nella politica italiana più recente, si osserva una chiara tendenza a cercare un legame diretto tra i leader e i cittadini, spesso mettendo da parte le tradizionali strutture di partito e le mediazioni istituzionali. Questo approccio si manifesta in modi diversi, ma accomuna esperienze politiche apparentemente distanti. Due esempi molto evidenti di questa dinamica sono il Movimento 5 Stelle e la figura di Matteo Renzi, che hanno entrambi cercato di stabilire un rapporto privilegiato e non mediato con la propria base elettorale. Entrambi hanno fatto largo uso delle nuove tecnologie per comunicare e mobilitare i sostenitori. Questa ricerca di un contatto diretto è diventata una caratteristica distintiva del panorama politico degli ultimi anni.Il Modello del Movimento 5 Stelle
Il Movimento 5 Stelle si presenta come una vera e propria comunità, dove il disaccordo interno è spesso visto negativamente, quasi come un tradimento. Le decisioni importanti, che possono riguardare anche l’espulsione di membri eletti come i senatori, vengono prese attraverso votazioni online. Queste consultazioni, pur essendo digitali, richiamano l’idea di un voto diretto e quasi plebiscitario. Il leader ha un ruolo centrale e definisce la linea politica principalmente attraverso il blog ufficiale. Chi esprime critiche viene spesso isolato o allontanato. Il movimento mostra inoltre una certa ambiguità su posizioni che ricordano l’estrema destra e dichiara apertamente di voler ottenere tutto il potere politico, presentandosi come l’unico e vero rappresentante del popolo italiano.L’Approccio di Matteo Renzi
Anche Matteo Renzi, pur provenendo da un partito storico e strutturato come il Partito Democratico, adotta strategie simili per creare un legame diretto con le persone. Utilizza in modo massiccio i social network e predilige una comunicazione semplice e immediata per rivolgersi agli elettori. Si propone come un innovatore deciso a “rottamare” il vecchio sistema politico. È arrivato al governo sfruttando dinamiche interne al suo partito, senza passare per elezioni politiche dirette. Le sue azioni e le riforme vengono comunicate in modo rapido e diretto, spesso tramite messaggi brevi o slide, con l’obiettivo di rendere tutto facilmente comprensibile al pubblico.Questi due casi, pur con le loro differenze, mostrano una chiara tendenza a concentrare l’autorità nella figura del leader. Si cerca attivamente di stabilire un legame diretto con i cittadini, spesso utilizzando le nuove tecnologie digitali per scavalcare le strutture e i mediatori politici tradizionali. Questa strategia mira a creare un rapporto di fiducia e identificazione personale tra il leader e la base elettorale. È un approccio che vede figure centrali promettere soluzioni rapide ai problemi complessi del paese. Questo modo di fare politica, con capi forti che a volte operano al di fuori delle consuete regole democratiche, sembra ripresentarsi ciclicamente nella storia politica italiana.Se il legame tra affari e potere è una “costante nella storia italiana”, come afferma il capitolo, in cosa il fascismo si distingue realmente dalle epoche precedenti o successive?
Il capitolo descrive in modo efficace il sistema di corruzione e conflitto di interessi sotto il fascismo, ma l’affermazione che il legame tra politica ed economia sia una costante nella storia italiana, pur essendo corretta, crea una potenziale ambiguità. Per valutare appieno la specificità del periodo fascista in termini di corruzione e rapporti di potere, sarebbe utile un confronto più esplicito con le dinamiche clientelari e affaristiche dell’Italia liberale pre-fascista e della Repubblica post-bellica. Approfondire la storia economica e politica italiana nel lungo periodo, studiando autori che analizzano le continuità e le discontinuità nei rapporti tra Stato, imprese e gruppi di interesse, permetterebbe di contestualizzare meglio i fenomeni descritti nel capitolo.7. I fantasmi del conformismo
Gli italiani mostrano una forte tendenza al conformismo. Questa caratteristica si vede nella loro capacità di adattarsi a chi detiene il potere, comportandosi da fascisti quando il fascismo era al comando o da democratici in tempi diversi. Il fascismo storico, come regime vero e proprio con le sue leggi e i suoi eventi drammatici, rappresentò un periodo in cui questo conformismo si manifestò in modo molto evidente, quasi come una prigione che veniva accettata. Ma accanto al regime storico, c’erano molti italiani che, per puro opportunismo, si schieravano rapidamente con il potere forte del momento per proteggere i propri interessi personali. Questa distinzione tra il fascismo come sistema politico e l’atteggiamento opportunistico delle persone è fondamentale per capire il fenomeno.Le tracce del passato nel presente
Questo atteggiamento opportunistico, fatto di ipocrisia e superficialità, la tendenza a schierarsi con chi vince o chi alza di più la voce, si osserva ancora oggi nella società italiana. La storia dimostra che alcuni aspetti legati a quel periodo, come il maschilismo, un razzismo che nasce spesso dalla rabbia, l’uniformità di pensiero su temi etici importanti, la paura diffusa di esprimere opinioni che potrebbero risultare scomode e l’abitudine all’autocensura, continuano a influenzare la vita di ogni giorno. Questa persistenza di certi modi di pensare e agire rappresenta la “lunga durata” del fascismo, che continua a farsi sentire nel modo in cui gli italiani affrontano la politica e le questioni sociali.
L’Italia del dopoguerra e l’antifascismo
Dopo la fine della guerra, l’Italia scelse di costruire il proprio sistema politico basandosi sull’antifascismo. Furono create molte regole e meccanismi di controllo pensati per impedire il ritorno di una nuova dittatura. Questo impianto antifascista non serviva solo a prevenire pericoli futuri, ma funzionava anche come una sorta di rito collettivo per dimostrare la volontà di cambiare, di superare definitivamente qualcosa che era stato sconfitto sul campo di battaglia ma che forse non era mai stato del tutto estirpato dall’animo delle persone. Nonostante questa forte base antifascista e le numerose leggi, il paese ha mostrato lentezza e ritardo nell’affrontare e risolvere questioni cruciali in vari ambiti. Si pensi ai diritti civili, alle leggi sulle droghe, alla situazione delle carceri, alle riforme elettorali o alla lotta contro la mafia.
Antifascismo costituzionale: un gioco di specchi
La Costituzione italiana stabilisce che essere antifascisti è una condizione necessaria per essere considerati cittadini di una nazione democratica. Questo principio è pienamente legittimo e fondamentale per la Repubblica. Tuttavia, in un certo senso, riflette in modo speculare un decreto emanato dal regime fascista nel 1925, il quale stabiliva esattamente il contrario: chi era antifascista non poteva essere considerato italiano. Questo confronto crea un curioso “gioco di specchi” nella storia e nella mentalità italiana. Si passa da un estremo all’altro – essere obbligatoriamente fascisti o obbligatoriamente antifascisti – mostrando una persistente tendenza a schierarsi in modo netto, quasi a cercare sempre un punto di equilibrio o un rifugio nella posizione dominante del momento. Questa dinamica evidenzia una difficoltà a gestire le sfumature e una propensione a cambiare fronte a seconda delle circostanze.
Ma se l’antifascismo costituzionale è solo un “gioco di specchi” del fascismo, non si rischia di banalizzare la differenza tra democrazia e dittatura?
Il capitolo presenta la contrapposizione tra l’obbligo fascista e l’obbligo antifascista come un semplice ribaltamento, quasi una conferma della tendenza italiana a schierarsi con la posizione dominante. Questa lettura, pur cogliendo una certa dinamica storica, rischia di appiattire la differenza sostanziale tra un regime che impone un’ideologia per annientare il dissenso e una repubblica democratica che pone l’antifascismo come fondamento per garantire le libertà e impedire il ritorno della tirannia. Per approfondire questa distinzione e comprendere meglio la natura del passaggio dal fascismo alla democrazia, sarebbe utile confrontarsi con studi di filosofia politica e storia costituzionale. Autori come Norberto Bobbio o Claudio Pavone offrono prospettive diverse sulla Resistenza e sui valori fondativi della Repubblica, aiutando a distinguere tra conformismo opportunistico e adesione consapevole ai principi democratici.Abbiamo riassunto il possibile
Se vuoi saperne di più, devi leggere il libro originale
Compra il libro[sc name=”1″][/sc] [sc name=”2″][/sc] [sc name=”3″][/sc] [sc name=”4″][/sc] [sc name=”5″][/sc] [sc name=”6″][/sc] [sc name=”7″][/sc] [sc name=”8″][/sc] [sc name=”9″][/sc] [sc name=”10″][/sc]