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Informazioni
“25 luglio 1943” di Emilio Gentile ti immerge nelle ore decisive che segnarono la fine del regime fascista. Tutto si gioca tra il 24 e il 25 luglio 1943, con l’evento centrale della riunione del Gran Consiglio a Palazzo Venezia. In un’Italia stremata dalla crisi militare, dallo sbarco in Sicilia e dai bombardamenti, i gerarchi fascisti si ribellano a Benito Mussolini. Figure come Dino Grandi e Luigi Federzoni, nonostante un passato di fedeltà, presentano un ordine del giorno cruciale che chiede di restituire i poteri al Re Vittorio Emanuele III. Dopo un voto storico, Mussolini si reca a Villa Savoia, dove il Re lo destituisce. L’arresto di Mussolini segna il crollo. Ma il libro non si ferma qui: esplora la difficoltà di ricostruire la verità di quella notte, tra testimonianze contrastanti e l’assenza di verbali ufficiali. Analizza il regime totalitario del Duce, il declino del suo carisma e come i protagonisti hanno raccontato (o modificato) la loro storia dopo la caduta del fascismo. È un racconto avvincente su potere, memoria e la fine di un’epoca.Riassunto Breve
La fine del regime fascista si verifica tra il 24 e il 25 luglio 1943, in un periodo di grave crisi militare per l’Italia, segnato dallo sbarco degli Alleati in Sicilia e da un forte malcontento popolare dovuto ai bombardamenti e alle difficoltà. L’evento centrale è la riunione del Gran Consiglio a Palazzo Venezia. Durante questa seduta, Dino Grandi presenta un ordine del giorno che chiede di ripristinare le funzioni statali e invita il Capo del Governo a sollecitare il Re ad assumere il comando effettivo delle Forze Armate, come previsto dallo Statuto. Dopo una lunga discussione, l’ordine del giorno di Grandi viene approvato con 19 voti a favore, 7 contrari e 2 tra astensioni e voti per altri ordini del giorno. Il giorno dopo, il 25 luglio, Mussolini si reca a Villa Savoia per l’incontro settimanale con il Re Vittorio Emanuele III. Il Re, già informato del voto e avendo considerato la destituzione di Mussolini, gli comunica la sua rimozione dall’incarico e la nomina del generale Pietro Badoglio come nuovo capo del governo. Subito dopo aver lasciato la villa, Mussolini viene arrestato dai carabinieri, un arresto che faceva parte di un piano preparato in precedenza con l’approvazione del sovrano. La notizia del cambio al vertice viene diffusa via radio in serata, con Badoglio che annuncia la continuazione della guerra.Ricostruire con precisione gli eventi e le motivazioni di quella notte è difficile perché non esiste un verbale ufficiale della seduta del Gran Consiglio e le testimonianze dei partecipanti, raccolte in diari o memorie dopo la fine del regime, sono spesso diverse e influenzate dal desiderio di giustificare il proprio comportamento e voto. Nonostante queste differenze, la seduta fu chiaramente un giudizio sul regime totalitario fascista e una sfida al potere enorme concentrato nelle mani di Mussolini. Il regime aveva smantellato lo Stato liberale e parlamentare, e Mussolini, come Capo del Governo e Duce del Fascismo, aveva accentrato su di sé quasi tutti i poteri, svuotando di significato le istituzioni come il Consiglio dei ministri, la Camera e persino il comando supremo delle forze armate, formalmente del Re. L’ordine del giorno Grandi cercava di riportare il potere alle istituzioni tradizionali, anche se in modo non del tutto chiaro e senza prevedere la fine del partito unico. La sfida era rivolta al “regime del duce”, dove il potere era identificato con Mussolini stesso.Le azioni di alcuni protagonisti, come Dino Grandi e Luigi Federzoni, durante il regime sembrano in contraddizione con quello che hanno raccontato dopo il 1943. Entrambi, pur descrivendosi in seguito come critici interni o promotori del cambiamento, hanno avuto lunghe carriere di fedeltà e collaborazione attiva nella costruzione del regime, ricoprendo ruoli importanti e sostenendo pubblicamente le politiche del Duce, incluse quelle più repressive o controverse. Le loro memorie postume, che li presentano come figure centrali nella caduta di Mussolini, non sempre corrispondono ai fatti e alle loro dichiarazioni pubbliche di allora.La convocazione del Gran Consiglio non fu un evento improvviso, ma il risultato di incontri tra gerarchi fascisti, specialmente dopo lo sbarco in Sicilia. Un momento importante fu la riunione del 16 luglio, dove diversi gerarchi critici si incontrarono e poi chiesero udienza a Mussolini, sollevando le stesse questioni che sarebbero emerse il 24 luglio, come l’isolamento del Duce e la necessità di ripristinare le funzioni degli organi costituzionali. Mussolini, pur irritato, accettò di convocare il Gran Consiglio. Anche su questi eventi preparatori, le testimonianze dei protagonisti presentano molte differenze, con tentativi di esaltare il proprio ruolo.Durante la notte del Gran Consiglio, la ricostruzione è complicata dalle versioni contrastanti dei partecipanti. La seduta mostrò il declino del carisma di Mussolini; la sua relazione sulla situazione militare deluse i presenti, poiché attribuiva le colpe ad altri. La discussione si concentrò sulla crisi interna del regime e sull’eccessivo potere del Duce. L’ordine del giorno Grandi fu approvato, ma le motivazioni dei votanti erano diverse; non tutti volevano la fine immediata di Mussolini o del regime. Alcuni speravano solo in un cambiamento o in una “liberazione” del Duce dalle responsabilità militari. Il comportamento di Mussolini durante la seduta apparve passivo e sorpreso. L’arresto del 25 luglio non fu una conseguenza diretta e automatica del voto, ma parte di un piano militare già esistente; il voto fornì al Re un motivo formale per agire. La caduta del regime è vista come l’esito delle sconfitte militari, della perdita di consenso e del venir meno del carisma di Mussolini, più che di una semplice congiura.Il malcontento popolare contro Mussolini crebbe molto dopo il bombardamento di Roma. Le persone lo accusavano di aver portato l’Italia alla rovina. Mussolini era consapevole di questa perdita di fiducia, e il suo prestigio diminuì anche tra le classi dirigenti e i gerarchi. Il voto del Gran Consiglio confermò questa perdita di fedeltà. Il comportamento di Mussolini in quelle ore può essere interpretato come un’accettazione della fine, forse legata alla perdita di speranza nella vittoria o al tramonto del suo carisma. Un capo carismatico, secondo alcune idee, abdica quando il suo carisma svanisce. La mancanza di reazione da parte dei fascisti dopo il suo arresto dimostra che il carisma di Mussolini era effettivamente venuto meno. Questo suggerisce che Mussolini possa aver accettato la sua destituzione come una sorta di abdicazione politica, forse sperando ancora nella fiducia del Re, ma riconoscendo in fondo un crollo definitivo.Riassunto Lungo
1. Il Voto che Segnò la Fine
La fine del regime fascista si compie nelle ventiquattro ore decisive tra il pomeriggio del 24 e quello del 25 luglio 1943. Questo momento cruciale arriva in un periodo di grave crisi per il paese, segnato pesantemente dallo sbarco alleato in Sicilia e da una crescente e diffusa insofferenza tra la popolazione. I cittadini, ormai stremati dai continui bombardamenti e dalle enormi difficoltà della vita di tutti i giorni, non nascondono più la loro sfiducia verso il governo e la figura del duce.La riunione del Gran Consiglio
In questo clima teso, il Gran Consiglio viene convocato e si riunisce a Palazzo Venezia per affrontare la situazione. Durante l’incontro, Dino Grandi presenta un ordine del giorno fondamentale che propone il ripristino delle normali funzioni statali. L’ordine del giorno chiede inoltre al Capo del Governo di sollecitare il Re ad assumere il comando effettivo e diretto delle Forze Armate, richiamandosi esplicitamente all’articolo 5 dello Statuto del Regno. Dopo una discussione lunga e intensa tra i membri, l’ordine del giorno proposto da Grandi viene infine messo ai voti. Il risultato segna una svolta decisiva: l’ordine del giorno è approvato con 19 voti a favore, contro 7 contrari e 2 tra astensioni e voti per proposte alternative.La caduta del Duce
Il giorno seguente, il 25 luglio, Mussolini si reca come di consueto a Villa Savoia per l’udienza settimanale con il Re Vittorio Emanuele III. Il Re, pienamente informato dell’esito del voto del Gran Consiglio e avendo già da tempo valutato la possibilità di destituire Mussolini, gli comunica ufficialmente la sua rimozione dall’incarico di capo del governo. Al suo posto, il Re nomina il generale Pietro Badoglio. Subito dopo aver lasciato la villa, Mussolini viene arrestato dai carabinieri. Questo arresto non è un evento improvviso, ma fa parte di un piano ben preparato da tempo da esponenti militari e politici di spicco, che avevano ottenuto l’assenso del sovrano. La notizia del cambio al vertice del governo viene diffusa al paese via radio in serata, sorprendendo gran parte della popolazione. Nonostante il suo arresto, Mussolini, ormai detenuto, esprime la sua lealtà al Re e approva la decisione annunciata da Badoglio di proseguire il conflitto.Quanto era davvero “ben preparato” il piano per l’arresto di Mussolini, e chi erano esattamente i “prominenti esponenti militari e politici” che lo orchestrarono con l’assenso del Re?
Il capitolo accenna a un piano preesistente per la rimozione e l’arresto di Mussolini, elaborato da figure militari e politiche con l’assenso del sovrano, ma non fornisce dettagli sufficienti su chi fossero questi attori e come si sia concretamente sviluppata questa congiura. Per cogliere appieno le dinamiche sotterranee che portarono al 25 luglio, è indispensabile esplorare la storia politica e istituzionale del Regno d’Italia in quel periodo, concentrandosi sulle diverse fazioni a corte, nell’esercito e negli ambienti politici che tramavano contro il regime. Approfondire il pensiero di storici come De Felice, Aquarone o Pavone può aiutare a fare luce su queste complesse manovre e sul ruolo effettivo dei vari protagonisti.2. Il processo al regime e la memoria frammentata
Ricostruire con precisione gli eventi e le ragioni della seduta finale del Gran Consiglio del 25 luglio è un compito arduo. Manca un verbale ufficiale perché Mussolini non volle la presenza di uno stenografo, e dopo l’incontro con il Re non fu diffuso alcun comunicato. Le testimonianze di chi partecipò, raccolte in diari, memorie o deposizioni per processi, spesso non coincidono. Queste versioni diverse sono influenzate dal desiderio di giustificare il proprio ruolo e il proprio voto in quella notte decisiva.La natura del regime fascista
Nonostante le differenze nei racconti personali, un punto fondamentale emerge chiaramente: quella seduta fu un giudizio sul regime totalitario fascista e una diretta contestazione del potere enorme concentrato nelle mani di Mussolini. Il fascismo, nato dalla legalizzazione delle squadre nel 1923 e rafforzato dalle leggi “fascistissime” del 1925-1926, aveva smantellato gradualmente lo Stato liberale e parlamentare che esisteva prima. Lo stesso Gran Consiglio, partito come organo del Partito Fascista e poi reso parte della struttura dello Stato nel 1928, divenne l’organo più importante del regime, ma nella pratica dipendeva completamente dalla volontà del Duce.Il potere concentrato nelle mani del Duce
Mussolini, nel suo doppio ruolo di Capo del Governo e Duce del Fascismo, accentrò su di sé ogni potere. Assumeva diversi ministeri contemporaneamente, decideva autonomamente chi nominare e chi revocare da incarichi pubblici, e mise da parte il Consiglio dei ministri. Anche la Camera dei deputati fu sostituita nel 1939 dalla Camera dei Fasci e delle Corporazioni, e il Senato perse gran parte della sua influenza. Persino il comando supremo delle forze armate, che formalmente spettava al Re, fu di fatto esercitato da Mussolini, che nel 1938 si fece attribuire il grado di Primo Maresciallo dell’Impero, mettendosi così sullo stesso piano del sovrano.La sfida dell’Ordine del Giorno Grandi
L’ordine del giorno presentato da Dino Grandi chiedeva al Re di riprendere il comando delle forze armate e le sue funzioni istituzionali. Questo rappresentava un tentativo di riportare il potere nelle mani delle istituzioni tradizionali dello Stato, anche se in modo non del tutto chiaro e senza proporre l’abolizione del partito unico. La vera sfida era diretta al “regime del duce”, un sistema in cui il potere effettivo risiedeva unicamente in Mussolini, che ormai si identificava con lo Stato stesso. La maggioranza dei membri del Gran Consiglio, molti dei quali avevano contribuito in modo significativo alla creazione di questo regime, si schierò contro il Duce in quella notte.Si può davvero definire un “giudizio sul regime totalitario” un voto espresso da chi quel regime lo aveva costruito, e in un momento di disastro militare, senza nemmeno chiedere l’abolizione del partito unico?
Il capitolo presenta la seduta del Gran Consiglio come un chiaro giudizio sul regime totalitario. Tuttavia, la complessità delle motivazioni dei gerarchi fascisti che votarono contro Mussolini, molti dei quali corresponsabili della costruzione del regime, solleva dubbi sulla natura esclusiva di tale “giudizio”. La disastrosa situazione militare e la volontà di preservare posizioni o la monarchia potrebbero aver giocato un ruolo determinante, rendendo il voto più un atto di pragmatismo o opportunismo che una condanna ideologica del totalitarismo in sé. Per comprendere meglio queste dinamiche, è fondamentale approfondire la storia del fascismo e le biografie dei suoi protagonisti, studiando autori come De Felice o Acquarone, e analizzando la storiografia sul 25 luglio.3. Fedeltà e racconto postumo
Le azioni di Dino Grandi e Luigi Federzoni durante il periodo fascista appaiono molto diverse da come loro stessi le hanno raccontate in seguito.La figura di Dino Grandi
Dino Grandi dopo il 1943 affermò di non essere mai stato influenzato dal carisma di Mussolini e di aver cercato di correggerlo. Tuttavia, la sua storia mostra una lunga e profonda fedeltà al Duce. Fin da giovane, Grandi espresse grande ammirazione per Mussolini. Nonostante un iniziale contrasto riguardo allo squadrismo, scelse di allinearsi completamente al Duce. Accettò incarichi importanti all’interno del regime, dimostrando una devozione senza limiti. Le sue lettere private e i suoi discorsi pubblici esaltavano apertamente il regime totalitario. Sosteneva con forza la politica di espansione imperiale e lodava persino aspetti come il “passo romano”. Come Ministro di Grazia e Giustizia, promosse un nuovo codice civile che includeva le leggi razziali e aumentava il controllo dello Stato sulla vita delle famiglie e dei singoli cittadini. Anche durante la guerra, pur avendo privatamente dei dubbi, pubblicamente sostenne sempre la linea del regime e l’alleanza con la Germania.La figura di Luigi Federzoni
Anche Luigi Federzoni, dopo la fine del fascismo, descrisse di aver provato una crescente ostilità verso la “degenerazione totalitaria” del regime e la “demolizione della monarchia”. Eppure, la sua carriera politica mostra una collaborazione attiva nella costruzione del fascismo. Ricoprì ruoli chiave come Ministro dell’Interno e Presidente del Senato. Le sue comunicazioni con Mussolini erano piene di elogi e dichiarazioni di totale fedeltà. Federzoni sostenne pubblicamente tutte le politiche del Duce. Appoggiò l’espansione imperiale e l’alleanza con la Germania. Arrivò a definire il fascismo un “regime di popolo” e lo Stato totalitario una necessità per l’Italia.Le memorie e il 25 luglio 1943
Le memorie scritte da Grandi e Federzoni dopo la caduta del fascismo li presentano come oppositori interni al regime. Raccontano di aver lavorato per promuovere il cambiamento che portò alla riunione del Gran Consiglio del 25 luglio 1943 e alla caduta di Mussolini. Tuttavia, queste ricostruzioni non corrispondono alle loro azioni e alle loro dichiarazioni pubbliche fatte durante i vent’anni del regime fascista. Il loro ruolo negli eventi che portarono alla fine del potere di Mussolini appare meno decisivo di quanto loro stessi abbiano raccontato in seguito.Se il voto del Gran Consiglio fu solo un ‘pretesto’ per un piano preesistente, come spiega il capitolo l’inerzia di Mussolini e le motivazioni eterogenee dei gerarchi, se non con una sottovalutazione del significato politico di quell’atto?
Il capitolo, pur descrivendo con efficacia la confusione e le difficoltà di ricostruzione, sembra sminuire la portata politica intrinseca del voto del Gran Consiglio. Presentare l’arresto come l’esito quasi esclusivo di un piano militare preesistente, con il voto ridotto a “pretesto”, rischia di non cogliere appieno la dinamica della crisi interna al regime e il ruolo, forse non pienamente consapevole o coordinato, ma comunque decisivo, di chi votò contro Mussolini. Per comprendere meglio questo snodo cruciale, è utile approfondire gli studi sulla classe dirigente fascista, le dinamiche di potere interne al regime negli anni del declino e il ruolo della monarchia. Autori come De Felice, Aquarone, o Melograni possono offrire prospettive diverse e più sfumate sulla complessità di quei giorni.6. Il tramonto del carisma
Dopo il bombardamento di Roma nel luglio 1943, il malcontento popolare contro Mussolini cresce in modo evidente. Le informazioni raccolte in quel periodo parlano di critiche aperte e persino di insulti rivolti direttamente al Duce, accusato di aver trascinato l’Italia in una guerra per cui non era pronta, causando solo sofferenza e distruzione. Gli uomini, in particolare, lo considerano il principale responsabile della situazione drammatica, mentre le donne sfogano la loro rabbia soprattutto contro gli Alleati. Mussolini si rende conto di questa crescente perdita di fiducia tra la gente comune, come emerge dai suoi sfoghi privati, e il suo prestigio cala anche tra le classi dirigenti, i vertici militari e i membri del governo. La seduta del Gran Consiglio avvenuta tra il 24 e il 25 luglio conferma in modo definitivo che anche i gerarchi più fedeli non lo supportano più.Interpretazioni e il carisma perduto
Il modo in cui Mussolini si comporta durante quelle ore cruciali è stato analizzato in diversi modi. Alcuni pensano che stesse cercando disperatamente una via d’uscita dalla catastrofe imminente, mentre altri ipotizzano una sorta di accordo silenzioso con il voto del Gran Consiglio, quasi come se avesse accettato l’esito avendo ormai perso ogni speranza di vincere la guerra. Una spiegazione possibile del suo atteggiamento si basa sull’idea di capo carismatico. Secondo questa visione, un leader con un forte carisma rinuncia al potere solo quando il suo fascino e la sua influenza svaniscono completamente, spesso per profonda amarezza. Il voto del Gran Consiglio, unito alla mancanza di reazione da parte dei fascisti dopo la sua destituzione, dimostra chiaramente che il carisma di Mussolini non esisteva più. Questo porta a pensare che Mussolini possa aver visto la sua rimozione come un atto di abdicazione politica, forse sperando fino all’ultimo nel sostegno del Re. Nelle sue riflessioni scritte in seguito, pur parlando di sfortuna o di un complotto contro di lui, si percepisce anche l’idea di una consapevole accettazione della propria fine, vista come un crollo inevitabile e definitivo.Davvero la caduta di Mussolini si riduce al semplice “tramonto del carisma”, o il capitolo trascura dinamiche politiche e istituzionali ben più concrete?
Il capitolo, pur offrendo un’interpretazione suggestiva basata sul concetto di carisma, rischia di semplificare eccessivamente un evento politico complesso come la destituzione di Mussolini nel luglio 1943. Concentrarsi unicamente sulla perdita di fascino personale potrebbe far passare in secondo piano il ruolo cruciale giocato da fattori istituzionali (come la monarchia e il Gran Consiglio stesso), dalle pressioni militari e dalla volontà politica di specifici attori all’interno del regime. Per comprendere appieno la complessità di quei giorni, è utile approfondire la storia politica del fascismo e della crisi del 1943, studiando le opere di storici che hanno analizzato le dinamiche interne al regime e il ruolo delle istituzioni monarchiche e militari. È altresì fondamentale considerare le teorie sociologiche sul potere, non limitandosi al solo concetto di carisma (introdotto da autori come Weber), ma esplorando anche altre forme di autorità e le modalità con cui il potere viene mantenuto o perduto in contesti autoritari.Abbiamo riassunto il possibile
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