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Informazioni
“1968. La grande contestazione” di Marco Revelli ti porta dritto nel cuore del Sessantotto, un anno che ha davvero cambiato tutto, non solo in Italia ma ovunque, da Roma a Parigi, da Berlino agli Stati Uniti e persino in Cina. Non era una roba locale, ma una vera contestazione globale, una specie di anticipazione di come il mondo sarebbe diventato connesso, nata anche dalla paura della Guerra del Vietnam e del rischio atomico. Revelli spiega che più che una rivoluzione politica, fu una rivoluzione culturale, una “breccia culturale” che ha messo in discussione l’autorità e il “Sistema”, come si leggeva nel Manifesto di Port Huron. I protagonisti? Principalmente i giovani, gli studenti, stanchi delle regole e pronti a “fare rumore” con uno stile tutto loro, fatto di trasgressione. Il libro non si ferma a loro, però: racconta come questa energia abbia contagiato le lotte operaie e fatto nascere il movimento femminista, che ha portato avanti idee ancora più nuove. Certo, c’erano anche le ombre, come diceva Pasolini, e il libro esplora pure le ambiguità e cosa è successo dopo, con la crisi del 1977, mostrando come l’eredità del Sessantotto sia complessa. È un libro che ti fa capire perché il Sessantotto è ancora così importante per capire il presente e le sue contraddizioni.Riassunto Breve
Il 1968 vede nascere una protesta che si diffonde in tutto il mondo, da Roma a Berlino, Parigi, Praga, Messico, Stati Uniti, Giappone e Cina. Questo fenomeno avviene mentre c’è la Guerra del Vietnam e sembra anticipare la globalizzazione. Non è come le rivoluzioni del 1848 che erano nazionali, ma è una rivolta che parte subito a livello mondiale, superando i confini e le differenze tra culture. Questa visione globale è anche legata alla paura della bomba atomica, che fa sentire l’umanità unita di fronte alla possibilità di finire tutto. Il Sessantotto non è una rivoluzione politica o sociale come quelle di prima. È più una rivoluzione culturale, quasi un cambiamento profondo nel modo di pensare, chiamata una “breccia culturale”. I protagonisti sono soprattutto giovani studenti che mettono in discussione l’autorità e quello che chiamano il “Sistema”. Documenti come il Manifesto di Port Huron del 1962 mostrano il malcontento di questa generazione. La protesta si caratterizza per un senso di urgenza, la sensazione di essere una generazione unica e uno stile che include l’essere radicali, trasgressivi e il rifiutare le regole degli adulti. Questa “breccia culturale” ha effetti anche su altri gruppi. In Italia, le idee degli studenti influenzano le lotte degli operai, portando a richieste che mettono in discussione come è organizzato il lavoro nelle fabbriche, il modello fordista. Il movimento delle femministe nasce come una critica e un passo avanti rispetto al Sessantotto, portando il tema del potere dentro la vita di tutti i giorni e nel rapporto con il proprio corpo, e introduce l’idea della nonviolenza. Però, il Sessantotto ha anche dei lati non chiari. La critica di Pasolini, per esempio, fa notare una possibile distanza tra gli studenti e le persone delle classi popolari. C’è una tensione tra il piacere di “essere” che viene dalla contro-cultura e il piacere di “avere” che viene dalla società dei consumi. Questa ambiguità contribuisce a quello che succede dopo, come la crisi della generazione del 1977, che eredita le idee del Sessantotto ma in un mondo cambiato, a volte con risultati tristi o finendo per essere assorbita dal consumismo. La capacità di “fare rumore” e farsi sentire, tipica del Sessantotto, oggi si scontra con il silenzio che sembra imposto dalla logica del consumo.Riassunto Lungo
1. La Breccia Globale del Sessantotto
Il 1968 vede nascere una grande contestazione che si diffonde in tutto il mondo. Da città come Roma, Berlino e Parigi in Europa, arriva fino a Praga, al Messico, agli Stati Uniti, al Giappone e alla Cina. Questo movimento nasce nel pieno della Guerra del Vietnam e anticipa in qualche modo il mondo globalizzato di oggi. Non si tratta di rivoluzioni limitate a singole nazioni, come quelle del 1848, ma di una rivolta che ha fin dall’inizio una dimensione planetaria. Supera i confini dei paesi e le differenze tra le culture, unendo le persone nella consapevolezza del rischio atomico, che mette l’umanità intera di fronte alla possibilità di scomparire.La natura del movimento
Il Sessantotto non è una rivoluzione politica o sociale nel senso tradizionale del termine. È piuttosto un cambiamento profondo nella cultura e nel modo di vedere il mondo, una vera e propria “breccia culturale”. I protagonisti di questo cambiamento sono soprattutto i giovani studenti, che mettono in discussione l’autorità e quello che chiamano il “Sistema”. Documenti come il Manifesto di Port Huron del 1962 mostrano bene il disagio di questa generazione. La loro protesta è spinta da un forte senso di urgenza e dalla convinzione di essere una generazione unica. Il loro stile è radicale, trasgressivo e rifiuta le norme stabilite dagli adulti.L’influenza su altri gruppi sociali
Questa “breccia culturale” non rimane isolata, ma ha effetti anche su altri gruppi della società. In Italia, ad esempio, le idee degli studenti influenzano le lotte degli operai. Questo porta a richieste che mettono in discussione l’organizzazione del lavoro nelle fabbriche, basata sul modello fordista. Anche il movimento femminista nasce in questo periodo, rappresentando una critica e un superamento del Sessantotto stesso. Le femministe portano l’attenzione sulla questione del potere nella vita di tutti i giorni e sul corpo, introducendo allo stesso tempo la pratica della nonviolenza nelle loro azioni.Le ambiguità e l’eredità
Nonostante la sua forza, il Sessantotto presenta anche aspetti complessi e a volte contraddittori. La critica di Pasolini, ad esempio, evidenzia una possibile distanza tra gli studenti e le classi popolari. C’è una tensione tra il desiderio di “essere” in modo autentico, tipico della contro-cultura, e il desiderio di “avere” beni materiali, promosso dalla società di mercato. Questa ambiguità contribuisce agli sviluppi successivi. La generazione del 1977, ad esempio, eredita le idee del Sessantotto ma in un contesto cambiato, portando a volte a risultati difficili o all’integrazione nel consumismo. La capacità di farsi sentire e di rivendicare il diritto di parlare, che era tipica del Sessantotto, si confronta oggi con il silenzio imposto dalla logica del consumo.Davvero il Sessantotto fu una “breccia planetaria” che superò “confini e differenze tra le culture” unendo tutti nella paura atomica?
Il capitolo descrive il Sessantotto come un fenomeno globale e unitario, quasi una singola “breccia” che travalica le specificità nazionali e culturali, spinta in parte dalla consapevolezza del rischio atomico. Questa presentazione, sebbene suggestiva, rischia di semplificare eccessivamente la realtà. Il Sessantotto fu certamente un’ondata di contestazione diffusa, ma le sue cause immediate, le forme di protesta, gli attori principali e gli esiti furono profondamente diversi da paese a paese. La paura atomica fu un fattore, ma non l’unico né necessariamente il prevalente ovunque. Per comprendere appieno la complessità di questo periodo, è fondamentale approfondire la storia comparata dei movimenti sociali e studiare le specificità nazionali, leggendo autori che hanno analizzato il Sessantotto nei suoi contesti locali e globali, come Eric Hobsbawm o Tony Judt, ma anche storici specifici per le diverse aree geografiche toccate dalla contestazione.Abbiamo riassunto il possibile
Se vuoi saperne di più, devi leggere il libro originale
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