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Contenuti del libro
Informazioni
“1664. Un anno della Chiesa universale. Saggio sull’attività italiana del papato in età moderna” di Antonio Ippolito ti porta nel cuore del governo papale a metà Seicento, esplorando la complessa macchina della Curia Romana e le sue Congregazioni, nate per gestire la Chiesa universale ma sempre più concentrate sull’Italia. Scopri come, nonostante le ambizioni globali e le riforme del Concilio di Trento, il papato di Alessandro VII, messo alle strette da potenze europee che creavano Chiese nazionali e indebolito da crisi politiche come il Trattato di Pisa del 1664, si ritrovasse a esercitare il suo governo pastorale quotidiano quasi esclusivamente sulla penisola italiana, con un focus particolare sul turbolento Regno di Napoli. Attraverso l’analisi dei memoriali inviati dalle diocesi italiane, il libro svela le difficoltà concrete: un clero spesso indisciplinato, liti su beni ecclesiastici e nomine, e il tentativo di Roma di gestire tutto con prudenza, caso per caso, senza una strategia rigida. È un viaggio affascinante nella storia della Chiesa e nella storia d’Italia, che mostra come le sfide politiche ed interne abbiano plasmato il raggio d’azione effettivo del governo papale in età moderna.Riassunto Breve
La Curia Romana si organizza in modo stabile nel 1588 con quindici Congregazioni, un numero che cambia nel tempo, arrivando a trentasei a metà del Seicento, con una forte specializzazione. Tra gli organismi centrali per gli affari della Chiesa ci sono la Congregazione del Concilio, quella dei Vescovi e Regolari e quella dell’Immunità ecclesiastica. Queste Congregazioni mostrano sovrapposizioni di competenze. L’anno 1664 è importante perché il papato affronta una crisi politica con la Francia, che porta a una progressiva perdita di peso sulla scena europea. Questo evento e altri fattori politici causano un’italianizzazione della Curia, non per scelta, ma perché l’area di effettiva giurisdizione papale si riduce principalmente all’Italia.A partire dal XV secolo, il papato affronta crisi e pressioni dagli Stati europei emergenti. Questi Stati, come Francia e Spagna, ottengono sempre più controllo sulle chiese locali tramite concordati, rivendicando il diritto di nominare vescovi e gestire i benefici. Questo porta alla formazione di Chiese nazionali, dove i vescovi agiscono a volte come funzionari statali, limitando l’autorità diretta del papa fuori dall’Italia. L’autorità del pontefice si concentra così sulla penisola italiana. L’analisi dei documenti delle Congregazioni nel XVII secolo mostra che la maggior parte delle richieste proviene dallo Stato Pontificio e dal Regno di Napoli. Questo indica che il governo pastorale quotidiano del papa si esercita in modo pieno quasi solo in Italia.I documenti inviati alla Congregazione dei Vescovi e Regolari mostrano le difficoltà nelle diocesi italiane, specialmente nel Sud. Emergono conflitti su beni ecclesiastici, gestione del clero (spesso eccessivo e indisciplinato, soprattutto nel Sud, dove molti cercano esenzioni), nomine, elezioni, pratiche religiose e contenziosi tra ecclesiastici o tra clero e laici. Nel Sud Italia, la situazione è complicata da diocesi povere, influenza feudale e difficoltà nell’applicare le norme tridentine. Molti chierici sono descritti come indisciplinati e coinvolti in attività criminali. Le denunce arrivano spesso dai laici. La Congregazione romana esamina i casi, chiedendo informazioni aggiuntive, il che allunga i tempi.L’attività della Congregazione dei Vescovi e Regolari si concentra molto sull’Italia, in particolare sul Regno di Napoli, dove ci sono frequenti conflitti tra vescovi, clero, comunità e poteri laici. Un problema diffuso è l’eccessivo numero di chierici con ordini minori e scarsa disciplina. La Congregazione interviene, ma agisce in modo reattivo, trattando i singoli casi con prudenza, senza una strategia generale per imporre le riforme di Trento. In altre regioni italiane, come Milano, Savoia e Venezia, forti governi territoriali esercitano un controllo sugli affari ecclesiastici, gestendo nomine e dispute a livello locale e limitando il ricorso a Roma.La Chiesa nel Regno di Napoli ha un legame particolare con Roma a causa della complessa situazione locale che impedisce la creazione di una Chiesa nazionale forte, spingendo al ricorso alla Santa Sede. Dai territori italiani al di fuori dello Stato Pontificio e del Regno di Napoli arrivano pochi memoriali, per lo più su questioni pratiche. Fuori dall’Italia, l’autorità papale incontra sfide maggiori. In Spagna, i memoriali riguardano problemi di confine. Le nomine vescovili regie sono a volte contestate da Roma, ma non sempre con successo. In Francia, la monarchia mostra forte autonomia e non invia memoriali alla Congregazione dei Vescovi e Regolari. Nell’Impero tedesco, gli alti prelati agiscono con indipendenza. La giurisdizione romana, in molte aree, risponde a richieste piuttosto che esercitare un controllo diretto.L’azione diretta del papato a metà Seicento si concentra principalmente nell’Italia centrale e meridionale, da dove proviene la maggior parte dei memoriali, spesso inviati dai laici. La Congregazione dei Vescovi e Regolari gestisce le situazioni con cautela, senza strategie generali. Riconosce spesso le ragioni dei laici. Interviene su molte questioni, ma le decisioni non sempre risolvono le cause in modo definitivo, che a volte si esauriscono solo con il cambio delle persone coinvolte. Questo modo di operare non è strettamente giuridico, ma si basa su regole prudenziali, agendo come un “principe ecclesiastico” per limitare i danni ed evitare reazioni, gestendo pragmaticamente i casi concreti senza applicare rigidamente le norme generali come i canoni tridentini. Il papato affronta i nuovi poteri statali aggressivi mantenendo la sua autorità, anche se più formale, grazie alla sua base italiana, ai concordati e alla diplomazia. La Chiesa si riforma dopo crisi successive, perdendo lo Stato temporale e ridefinendo la sua struttura nel XX secolo, distaccandosi dal carattere italiano che ne aveva garantito la sopravvivenza e assumendo una dimensione più universale.Riassunto Lungo
1. La Curia Romana tra Riforma e Crisi Politica
La struttura del governo papale
Il sistema di governo della Curia Romana si definisce stabilmente con la costituzione Immensa Aeterni Dei promulgata da Sisto V nel 1588. Questa importante riforma istituisce quindici Congregazioni, con sei dedicate al governo dello Stato Pontificio e nove agli affari spirituali della Chiesa universale. Tuttavia, il numero e le competenze di queste Congregazioni non rimangono fissi, ma cambiano continuamente sotto i papi successivi, portando a una rapida espansione degli organismi curiali. A metà del XVII secolo, le Congregazioni raggiungono il numero di trentasei, mostrando una forte specializzazione e una notevole frammentazione, in particolare nell’amministrazione statale. Nonostante questa proliferazione, Giovan Battista de Luca identifica intorno al 1678 sedici Congregazioni principali, sei per lo Stato temporale e undici per gli affari spirituali, che rappresentano il nucleo centrale e più attivo del sistema di governo della Chiesa.Organismi centrali per gli affari della Chiesa
Tra gli organismi più importanti per la gestione quotidiana degli affari della Chiesa si trovano la Congregazione del Concilio, quella dei Vescovi e Regolari e quella dell’Immunità ecclesiastica. Queste, insieme al Sant’Uffizio e a Propaganda Fide, mostrano spesso sovrapposizioni di competenze tra loro. I cardinali partecipano frequentemente a più di una di queste Congregazioni, facendole funzionare quasi come un unico grande “super ministero” che coordina diverse aree. La Congregazione del Concilio, creata da Pio IV nel 1564, si occupa inizialmente di mettere in pratica i decreti del Concilio di Trento. Successivamente, Sisto V le conferisce anche il potere di interpretarli, eccetto per le questioni di fede. Gestisce diverse materie, tra cui le visite dei vescovi a Roma (ad limina), l’organizzazione dei sinodi locali, la concessione di dispense matrimoniali e la gestione degli affari legati ai benefici ecclesiastici. La sua importanza diminuisce progressivamente dopo la pubblicazione ufficiale dei canoni conciliari, una volta che i decreti tridentini sono stati pienamente recepiti.La Congregazione dei Vescovi e Regolari nasce dall’unione di commissioni precedenti, unificate in un unico organismo sotto il pontificato di Clemente VIII. Ha competenza su tutte le questioni che riguardano i vescovi, i prelati minori e i membri degli ordini religiosi. Agisce spesso con un approccio “prudenziale”, basato sulla valutazione pratica dei casi, meno formale rispetto a un vero e proprio tribunale giudiziario. Tra i suoi compiti rientrano l’esame di ricorsi presentati da ecclesiastici, la supervisione delle elezioni episcopali e degli abati, la gestione di fondazioni pie e dispense, e l’organizzazione di ispezioni nelle diocesi e nei conventi.La Congregazione dell’Immunità, istituita da Urbano VIII, si occupa delle questioni legate all’immunità ecclesiastica. Queste includono la protezione dei luoghi sacri da ingerenze esterne, le esenzioni fiscali per il clero e le questioni relative al foro civile ecclesiastico, ovvero il diritto del clero di essere giudicato dai propri tribunali. Il suo ruolo è cruciale nel difendere i privilegi della Chiesa e del clero. Funge anche da tribunale d’appello per i casi di violazione di queste immunità da parte delle autorità secolari, intervenendo spesso nei conflitti tra potere ecclesiastico e civile.La crisi politica e la trasformazione della Curia
L’anno 1664 rappresenta un momento cruciale per il papato e per la sua posizione sulla scena internazionale. Sotto il pontificato di Alessandro VII, la Santa Sede affronta una grave crisi diplomatica con la potente monarchia francese, guidata da Luigi XIV. Questa crisi culmina nell’umiliante firma del Trattato di Pisa. Questo evento, insieme ad altri fattori politici e ai mutati equilibri di potere in Europa, segna l’inizio di una progressiva marginalizzazione del papato sulla scena politica europea. Di conseguenza, la Curia Romana, pur mantenendo la sua struttura, diventa sempre più un organismo a prevalenza italiana nella sua composizione e nel suo raggio d’azione. Questo cambiamento non avviene per una scelta deliberata, ma è una conseguenza diretta della riduzione dell’area geografica su cui il papa esercita effettivamente la sua giurisdizione e influenza politica. Le realtà locali, in particolare quelle all’interno della penisola italiana, continuano a rivolgersi a Roma per la gestione degli affari ecclesiastici, mantenendo viva l’attività della Curia, ma con un orizzonte d’azione più ristretto rispetto al periodo precedente, quando il papato era un attore politico di primo piano in tutta Europa.Affermare che la trasformazione della Curia in un organismo a prevalenza italiana sia stata una mera ‘conseguenza diretta’ della marginalizzazione politica non rischia di trascurare le dinamiche interne e le possibili resistenze al cambiamento che pure caratterizzavano l’istituzione?
Il capitolo descrive la trasformazione della Curia come una conseguenza diretta della crisi politica esterna. Tuttavia, un’istituzione complessa come la Curia è influenzata anche da dinamiche interne: carriere, fazioni, interessi economici, resistenze al cambiamento. Presentare il processo come un mero effetto passivo rischia di semplificare eccessivamente la realtà. Per approfondire, sarebbe utile esplorare la storia sociale e istituzionale della Curia, studiando autori che si sono dedicati all’analisi delle sue logiche interne e del suo personale, come ad esempio Wolfgang Reinhard o Paolo Prodi.2. Confini Italiani del Potere Papale
A partire dal XV secolo, il papato attraversa un periodo di grande difficoltà, segnato da eventi come lo Scisma d’Occidente e dalle crescenti pressioni delle potenze europee. La necessità di salvaguardare la propria autonomia e stabilità, messa a rischio da questi eventi e dalle pressioni esterne, spinse il papato a cercare sicurezza affidandosi sempre più a personale italiano. Questa scelta di “italianizzazione” della Curia romana fu dettata sia da una strategia precisa, volta a circondarsi di collaboratori meno legati agli interessi delle grandi monarchie europee, sia dalle circostanze politiche che limitavano l’influenza papale fuori dai confini italiani.Il Controllo degli Stati Europei
Mentre il papato si riorganizzava, i nuovi Stati europei, come Francia, Spagna e i vari principati tedeschi, non stavano fermi. Essi rivendicavano un controllo sempre maggiore sulle chiese presenti nei loro territori. Attraverso accordi specifici, chiamati concordati, e l’ottenimento di privilegi, questi sovrani riuscirono a ottenere il diritto di nominare i vescovi e di gestire le rendite e i beni ecclesiastici locali. Questo processo portò alla nascita di vere e proprie Chiese nazionali, dove i vescovi si trovavano spesso ad agire più come funzionari dello Stato che come pastori legati direttamente all’autorità di Roma. Di conseguenza, la giurisdizione effettiva del papa al di fuori dell’Italia venne progressivamente ridotta.L’Autorità Papale Concentrata in Italia
Di conseguenza, l’autorità diretta e quotidiana del pontefice si ritrovò a essere esercitata in modo pieno quasi esclusivamente all’interno della penisola italiana. Un’analisi della documentazione conservata dalle Congregazioni romane nel XVII secolo conferma questa realtà. La stragrande maggioranza delle richieste, delle decisioni e delle questioni pastorali gestite da questi uffici proveniva dallo Stato Pontificio e dal Regno di Napoli. Questo dato evidenzia come, nonostante le rivendicazioni di un’autorità universale, il governo pastorale concreto del papa fosse limitato quasi interamente all’ambito italiano. La pratica delle autorità laiche di nominare i vescovi rimase diffusa in molte parti d’Europa per lungo tempo, addirittura fino al XX secolo, limitando in modo significativo l’influenza papale sulla scelta dei capi delle diocesi.Ma l’analisi della sola documentazione pastorale è sufficiente a definire i “confini” dell’autorità papale fuori dall’Italia?
Il capitolo evidenzia correttamente come le pressioni esterne e le strategie interne abbiano portato a una concentrazione della gestione pastorale e amministrativa del papato in ambito italiano, supportando l’argomentazione con l’analisi della documentazione delle Congregazioni. Tuttavia, l’autorità papale, anche in un periodo di ridimensionamento politico, non si esauriva nella sola gestione quotidiana delle diocesi. Rivendicava e manteneva una forma di autorità dottrinale, diplomatica e di controllo su strutture sovranazionali come gli ordini religiosi, che continuavano ad operare al di fuori dei confini italiani. Concentrarsi unicamente sui flussi documentali legati alla giurisdizione pastorale diretta, limitata dai concordati, rischia di offrire una visione parziale della complessa interazione tra Roma e il mondo cattolico europeo. Per ottenere un quadro più completo, sarebbe utile esplorare la storia delle istituzioni ecclesiastiche, la storia diplomatica e le forme di autorità non strettamente giurisdizionale rivendicate dal papato, consultando autori che si sono occupati della Curia romana e delle relazioni Stato-Chiesa in età moderna, come Prodi o Reinhard.3. Una Chiesa Turbolenta: Le Voci dalle Diocesi
I documenti inviati a Roma, chiamati memoriali, mostrano le grandi difficoltà che la Chiesa locale stava affrontando, soprattutto in Italia centrale e meridionale. Questi scritti arrivavano spesso da una parte contro un’altra – per esempio, comunità di fedeli contro i loro vescovi, o vescovi contro alcuni preti – e questo fa capire quanto fosse alto il livello di conflitto in quel periodo.Le Questioni Segnalate
Le questioni sollevate in questi documenti riguardano molti aspetti della vita della Chiesa. Si parla dell’amministrazione dei beni, di come gestire il clero, che era spesso troppo numeroso e poco rispettoso delle regole, specialmente al Sud dove molti cercavano di evitare le tasse. Altri problemi riguardavano le nomine e le elezioni di figure importanti, come i sostituti dei vescovi, e le pratiche religiose di tutti i giorni, come i funerali, le processioni o chi doveva predicare. C’erano anche molte liti tra persone di Chiesa diverse o tra persone di Chiesa e laici, oltre a problemi legati alla giustizia e alla disciplina interna.La Situazione nel Sud e la Risposta da Roma
Nel Sud Italia, la situazione era particolarmente difficile. C’erano molte diocesi povere, l’influenza dei signori feudali rendeva tutto più complicato, ed era difficile far rispettare le regole decise dal Concilio di Trento. Molti preti venivano descritti come “selvatici” o “vaganti”, a volte erano armati e coinvolti in attività criminali, approfittando del fatto che la legge civile non poteva toccarli facilmente. Le lamentele arrivavano spesso dai laici, stanchi del peso economico e del comportamento morale del clero. Le liti tra vescovi e comunità, o tra vescovi e gruppi di sacerdoti, erano all’ordine del giorno. La Congregazione a Roma esaminava con attenzione questi casi, ma spesso chiedeva altre informazioni, allungando molto i tempi per risolvere i problemi. Anche i religiosi e le monache inviavano i loro memoriali, di solito per questioni interne o permessi personali, ma a volte emergevano anche casi di malessere generale nei loro ordini o dispute con le autorità locali.Il capitolo illustra le diverse manifestazioni dell’autorità romana in Europa, ma non trascura forse di spiegare le ragioni profonde, legali e politiche, che hanno generato tali distinzioni?
Il capitolo, pur offrendo un quadro delle interazioni tra Roma e le Chiese locali, si concentra più sugli effetti (il numero e il tipo di richieste, le resistenze) che sulle cause strutturali. Per comprendere appieno perché il rapporto con Roma fosse così diverso tra Napoli, Milano, la Francia o l’Impero, sarebbe fondamentale approfondire le specifiche tradizioni legali e politiche di ogni area, i concordati stipulati (o non stipulati) tra i sovrani e il Papato, e le dinamiche di potere tra autorità civile ed ecclesiastica. Approfondire la storia delle relazioni Stato-Chiesa in età moderna, studiando autori come Paolo Prodi, potrebbe fornire il contesto necessario per rispondere a tale domanda.6. La prudenza del governo ecclesiastico e il suo raggio d’azione
A metà del Seicento, l’azione del papato si concentra soprattutto nell’Italia centrale e meridionale. Da queste zone arrivano molte richieste inviate a Roma, in particolare alla Congregazione dei Vescovi e Regolari. Sono i laici, cioè le persone comuni e le loro comunità, a mandare queste richieste. Spesso le usano per sollecitare un intervento da parte delle autorità ecclesiastiche. Questo dimostra come le persone comuni cercassero attivamente il supporto di Roma per risolvere problemi locali.Come agiva la Congregazione
La Congregazione dei Vescovi e Regolari affrontava ogni situazione con grande prudenza e attenzione. Non seguiva piani prestabiliti o strategie generali. Anche se gli ecclesiastici avevano certi privilegi, la Congregazione spesso dava ragione ai laici, ritenendo le loro motivazioni più valide. Interveniva su molte questioni, anche senza rispettare sempre i limiti delle giurisdizioni locali. Però, le sue decisioni non mettevano sempre fine alle dispute; spesso le liti andavano avanti per anni, influenzate dalle situazioni del posto, e finivano solo quando cambiavano le persone nelle posizioni di potere ecclesiastico.Un approccio pratico, non solo legale
Questo modo di procedere non si basava rigidamente sulle leggi, ma su un approccio pratico e prudente, quasi come quello di un sovrano laico. La flessibilità e la cautela servivano a ridurre i problemi e a non prendere decisioni troppo drastiche che potessero causare opposizioni. Era una gestione molto concreta delle singole situazioni, senza applicare in modo rigido principi o regole generali, come i canoni del Concilio di Trento, che erano difficili da far rispettare nella pratica. Un esempio di questa difficoltà era la gestione del gran numero di chierici in minoribus.Cambiamenti nel tempo e la Chiesa universale
Nel corso dell’età moderna, il papato dovette confrontarsi con l’emergere di nuovi e potenti stati. Riuscì a mantenere la sua autorità, anche se a volte solo formalmente, grazie alla sua forte presenza in Italia, agli accordi con i governi (concordati) e alla sua attività diplomatica. In seguito a diverse crisi, la Chiesa attraversò riforme importanti. Perse il suo Stato (il potere temporale) e riorganizzò la sua struttura con il Codice di diritto canonico del 1917, che ridusse l’importanza delle vecchie Congregazioni. Questo cambiamento, insieme al trasferimento della sede papale in Vaticano e all’elezione di papi che non erano italiani, segnò il passaggio a una dimensione più universale, allontanandosi da quel carattere italiano che, in passato, era stato cruciale per la sua continuità.Se la forza del papato nel Seicento risiedeva nella sua “prudenza” e nel suo “carattere italiano”, come si è passati a una dimensione “universale” e codificata, e cosa ci dice questo sulla vera natura del potere ecclesiastico?
Il capitolo descrive un modello di governo ecclesiastico nel Seicento basato sulla flessibilità, la prudenza e una forte connessione con il contesto italiano, quasi come un sovrano laico. Tuttavia, il passaggio a una struttura più universale e codificata, culminato nel Codice del 1917, viene presentato in modo un po’ sbrigativo, come una conseguenza di crisi e riforme. Manca un’analisi approfondita su come questa transizione sia avvenuta concretamente, se la “prudenza pratica” sia stata davvero abbandonata o semplicemente ridefinita, e quali siano state le implicazioni di questo cambiamento per il rapporto tra centro (Roma) e periferia (le chiese locali). Per comprendere meglio questa complessa evoluzione, sarebbe utile approfondire la storia del diritto canonico, l’evoluzione della Curia Romana e la storia politica del papato nell’età moderna e contemporanea. Autori come Paolo Prodi o John Bossy offrono prospettive fondamentali sulla natura e lo sviluppo del potere papale.Abbiamo riassunto il possibile
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